I nostri grandi, a cui rifulge in fronte
or di diadema egregio
soleano i cigni del Castalio fonte
aver quagiuso in pregio
quanto sentiasi ornar dal nobil canto
lor proprio nome, o de grandi avi il vanto.
Da l'altra parte il popolar diletto
a Clio solo permise
chioma d'oro cantar, che l'altrui petto
legasse in varie guise,
o chiaro sguardo, che vibrasse ardori,
o man di neve, che rapisse i cori.
Scemo Parnaso, or al gran re superbo
non hassi a dar sua gloria?
E de lo stato de' beati eterno
non si dée far memoria?
Non celebrargli a le devote genti?
Non mostrar su la scena i lor tormenti?
Muse al fallir, che trapassava il segno
dite voi, chi s'oppose?
Certo fu Cosmo, al cui reale ingegno
nulla virtù s'ascose;
di cui l'altiera fama in guardia avete,
e per cui non s'addensa ombra di Lete.
Poi la gentil, cui par non vede il sole
donna, che l'Arno affrena,
e sen va cinta d'ammirabil prole
Bercintia terrena
spose a' teatri l'alta Istoria; e quivi
fu trionfato de coturni argivi.
Or siasi in fondo, favoloso esempio,
col caro Admeto Alceste,
siasi di Filomena il grave scempio,
siasi non men Tieste;
chi di cantata vanità s'avanza?
Verità bella ha di giovar possanza.