Scena prima |
Sant'Orsola, Ismano, Arimalto, Ireo con il coro de' Cristiani. |
(♦) Sant'Orsola, Ismano, Arimalto |
SANT'ORSOLA |
voi tra l'empirea corte, per l'eterne campagne spiegate il volo all'immortal consorte: già le stellate porte il luminoso Olimpo a voi disserra; ed io, misera, ed io, io, che vi scorsi, al ciel, rimango in terra. Che più da voi s'aspetta spietatissime squadre? Son io, son io la duce dell'odiosa setta: che più da voi s'aspetta? In me gl'archi tendete, in me l'aste volgete, in me le spade, mostri di crudeltade. | |
ISMANO |
Deh questo pianto affrena, e le turbate stelle, vergine avventurosa omai serena. Altro scettro, altro regno, altre donzelle ti renderan beata: a' sovrani imenei del monarca di Scizia t'innalzano gli dèi: o beltà fortunata, vedi, che tutto il campo a te s'inchina, e ti chiama regina. | |
SANT'ORSOLA |
Taci barbaro, taci, taci barbaro rio: mio regno è il cielo, e mio consorte è dio. | |
<- Ireo, cristiani | ||
IREO |
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ARIMALTO |
Per l'orribile vista dell'estinte compagne nel soverchio dolor costei vaneggia. Deh, mentre l'alma orgogliosetta ondeggia in quest'affanni suoi, togliamo quinci il piede, e le parlin per noi questi nati in sua patria, e di sua fede, voi prigionieri, voi con amiche parole, della bella dolente racconsolate il sole: e ditele a qual sorte, l'amor del nostro rege, e 'l ciel la serba. Se la beltà superba, avvien, ch'a' detti vostri facile, e grata al mio signor si renda; oltre la libertade altissima mercé da voi s'attenda. | Arimalto, Ismano, cristiani -> |
Scena seconda |
Ireo, Sant'Orsola. |
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IREO |
del mio cor, del mio regno, mentre piacque ad Amore fortunato sostegno: s'al pallido sembiante, simulacro di morte, non riconosci appieno, il tuo fedele amante, il promesso consorte; volgi i celesti lumi a questo seno, rimira in questo core, e leggi il nome mio nel mio dolore. Ireo, Ireo son io, vago mio sol, quell'infelice Ireo, che servo a te rendeo del suo costante core ogni desio: Ireo, Ireo son io, che sovra il seggio antico di Britannia famosa, sperai di rimirarti fortunata regina, e lieta sposa: ed ora, ahi lasso, ed ora privo del patrio regno, lungi dal nobil soglio, ti veggio esposta di tiranno indegno al furore, all'orgoglio. O barbari crudeli, ch'ivi state in disparte, e quest'amare lacrime mirate: voi forse vi pensate, ch'alla mia vita innanti io sparga questi pianti, sparga queste mestissime parole, per lo dolce desio di libertade: folli, se lo pensate: io, la perduta libertà non piango, piango la prigionia del mio bel sole, e solo, sol mi duole di non conoscer via né men con la mia morte, di poter liberar la vita mia. Care stelle divine, cari bramati lumi, ch'aprite in terra la beltà del cielo: io giuro a' raggi vostri, che s'io potessi mirar voi contenti, gioirei nel cordoglio, e beato sarei ne' miei tormenti. Credi a questo mio pianto, credi vergin real, ch'io non mi doglio di mia propria sventura: perder le patrie mura, perder i fidi servi, e 'l caro padre, tra mille indegni oltraggi prigioniero restar d'inique squadre; pur che libera fussi tu donna, ond'attendeva ogni mio bene, foran diletti al cor, non lacci e pene. | |
SANT'ORSOLA |
Ah, così dunque Ireo, a chi bramasti il regno invìdi il cielo? Lascia, lascia, se m'ami questi vani lamenti, che quelle. Che tu chiami mie sventure, e tormenti, son dell'anima mia gioie, e contenti. Non all'alte tue nozze, non a' regni britanni era volto il mio core: bramai da tener'anni, bramai col sangue mio, sposa venir del crocefisso amore: or che vedi adempirsi il bel desio, soverchio, ingiusto sei, se piangi il lieto fin de' giorni miei. Ireo, diletto Ireo, quest'amor, questo zelo verso donna mortal rivolgi al cielo: Ireo, diletto Ireo, ti rifiutai consorte, or t'eleggo compagno nella via degl'affanni, e della morte. Là vedi in quell'arene sanguinosi torrenti: quelli versar dalle pudiche vene le mie schiere innocenti: io regina di loro rimasta sola in mezzo all'esercito ingiusto, puro serbando al cielo dell'alma pudicizia il bel tesoro; irriterommi al sen tutte le spade, c'han dato morte al mio diletto coro. Su giovine reale, da tenere donzelle di cristiana virtù prendi l'esempio: vanne tra 'l popolo empio, va' generoso eroe, confessa Cristo, e fa' di nuovo regno in cielo acquisto. | |
Scena terza |
Coro d'Unni, e di Sacerdoti di Marte, Gauno, Sant'Orsola, Ireo. |
<- unni, sacerdoti di Marte, Gauno |
CORO D'UNNI | ||
GAUNO |
Che fai? Che pensi? A che ti lagni, o bella prigioniera felice, preda del vincitor trionfatrice? Dimmi, si placa ancor l'irato core? Conosci a qual onore t'innalza amando il regnator degl'Unni? Deh sì, bella mia dèa, che lieto omai del tuo felice amore, io, non invido a Marte l'amor di Citerea. Vivi lieta, mio sol felice sposa meco verrai per i soggetti regni: al tuo scettro, al tuo nome, i re più chiari, i cavalier più degni piegheran riverenti le soggiogate chiome. Io con l'irata destra fulminerò gl'imperi: tu co' bei lumi alteri ferirai questo core: io, guerriero di Marte, e tu d'Amore. | |
IREO |
Lasso, a che più mi celo? A che più mi riserbo, o regno, o vita? Ah, che con la mia morte son pronto a darti, o mio bel sol aita. Signore: a queste piante, a queste regie piante ch'io di lacrime bagno, vengo a chieder pietà misero amante. Non son, qual forse credi privato cavaliero: alto signore, del gran re di Britannia il figlio vedi, funesto esempio d'infelice amore. Arte di regio core e sollevar gl'oppressi: a questi preghi, a questi amari pianti giustissima pietade, ahi non si nieghi, questa regia donzella è dell'anima mia la miglior parte: l'amai, servii, la desiai consorte: ma lasso, altro dispose di lei, di me l'inesorabil sorte. Deh, se non men che forte sei generoso, invitto re degl'Unni, rendi a' miei lumi il sole, rendi il mio core al petto, rendimi omai colei, ch'è vita, anima, e sol de' pensier miei. Deh, de 'l valore immiti, immita la magnanima pietade di quel nobil romano, che la sì bella preda libera rese all'amatore ispano. Questa nobil vittoria, ch'otterrai di te stesso, farà più chiara ogni passata gloria: e ammireranno cavalieri, e regi, della tua destra, e del tuo core i pregi. Meravigliando il mondo dirà: destino ingiurioso, e reo. In mano ai re degl'Unni, died'Orsola, ed Ireo, ma la nobil pietà del re degl'Unni, negando al proprio petto illecito diletto, Orsola rese, e sé beato Ireo. Ma, se l'empio mio fato non permette ch'io speri da te quel dono, onde vivrei beato; doppia in me le catene, accresci i lacci, danna le regie membra ad eterno servaggio; ma lascia, che sicura alla natia marina, torni innocente vergine regina. Misero, e se t'aggrada, che sia riscosso a prezzo di sì vaga beltà l'alto tesoro; vedi quanto il mio regno por lei può numerarti argento, ed oro; vedi pur quanto sangue ti pon dar le mie vene: ed a sì caro prezzo da' libertade al mio bramato bene. Per lei, non poca parte ti darò del mio regno, per lei farò ch'a questi invitti piedi mandi tributo il mio famoso padre; il padre mio, che forse or per altro desio della vendetta armati legni a tua ruina affretta. Ma, s'obliando esser guerriero e rege, eleggi sol di far, quanto dispone il tirannico affetto, e non bella ragione, deh pria, che tu mi tolga questa del viver mio cagion gradita; passa il ferro crudel per questo petto, toglimi questa vita: ohimè senza morire, io non posso soffrire, io non posso soffrir, che d'altri sia questa rara beltà se non è mia. | |
GAUNO |
O Marte, o nudo arciero, potentissimi numi, un del mio core, l'altro del vasto impero: per voi, per voi mi veggio in un sol giorno di real prigioniero, e di bel volto amato possessor fortunato. Sappi, o tu negl'amori, e nelle guerre temerario egualmente, ed infelice, sappi, che solo lice all'aquila real fissarsi al sole: ogni men degno augello, che ciò di far presume, trabocca a' rai del troppo ardente lume. Questo sol di bellezza solo può sostenere il guardo mio: cieca a tanta chiarezza rimarrebbe la vista del tuo folle desio: quind'è, che quanto nega al tuo sì basso merto d'ingiuriosa stella il rio tenore; concede al merto mio sorte, ed amore. Usar teco pietade, fora usar con me stesso ingiusta crudelitade: quant'il mio cor, più del tuo core intende il merto di sì nobile bellezza, più ne brama il possesso, e più l'apprezza. Quel tuo nobil romano, ch'adduci in chiaro esempio, so pregi d'esser generoso, e pio: io, pregerommi d'esser forte, ed empio, pur ch'appaghi del core ogni desio. Né per tesoro io vendo il tesoro d'amore: a compensar di sì gentil sembiante l'indicibil valore, non solo il regno tuo, non è bastante. Ma l'impero del mondo è prezzo indegno. Se tutto il tuo bel regno, o l'ocean britannico m'aggrada, dal tuo dono io non voglio quel che posso ottener dalla mia spada. Or tu del regio soglio perdi ogni speme: e a' piedi miei soggiaci: e questa, che mirare a te non lice, io godrommi felice: or servi, e taci. | |
SANT'ORSOLA |
Togli padre del cielo, ch'io senta più quest'esecrabil detti. Deh perché indugi tanto dispietato furore a lacerarmi il seno, a saettarmi il core? | |
CORO | ||
GAUNO |
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SANT'ORSOLA |
Vengo fiero tiranno, vengo lieta alla morte. Ireo rimanti in pace: più non vedrami in terra: ma se divino zelo spegnerà questa tua non degna face, ancor più bella mi vedrai nel cielo. Ireo, ivi t'aspetto, ivi t'appresto il soglio, ove tu meco assiso vedrai quanto più belle delle real corone, con corone di stelle in paradiso. Venisti pur, venisti ora delle mie pene? Nell'occaso mortal tu pur t'apristi alba d'eterno bene? Fide compagne mie attendete del cielo in sulle porte la vostra amata duce, che per sì care vie a voi si riconduce. | |
CORO O diva degl'amori, o Citerea vezzosa, dolce stella amorosa, ch'in ciel tranquilli ogni più fiero aspetto: tu ch'or infiammi il petto al nuovo Marte, che tra gl'Unni impera, placa per lui questa bellezza altera. | unni, Gauno, sacerdoti di Marte, Sant'Orsola -> | |
Scena quarta |
Ireo, Orebo, coro di Cristiani. |
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IREO | ||
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inconsolabil alma? Fuggi da questo core, spira da questo petto tormentato ricetto delle furie d'amore. Barbaro il più crudele, barbaro il più spietato, che del Rifeo gelato abitasse giammai l'orribil selve, torna a star tra le belve della Scizia natia, e lascia, lascia a me l'anima mia. È mio, è mio quel volto, che tu crudel m'involi: son miei quei vaghi soli, che tu crudel m'hai tolto: o cari lumi, o volto: quant'ho per voi sofferto? Quant'ho sparsi per voi pianti, e querele? In premio or del mio merto, da tiranno crudele, ogni spietata gioia, ahi, m'è rapita. | |
Toglietemi di vita fierissimo dolore, aspra pena infinita, toglietemi di vita. | ||
OREBO |
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IREO |
Ove resto, ove sei amatissima donna? Luce degl'occhi miei ove resto, ove sei? A qual termin oh dio, a qual termin sei giunto anima del cor mio? Ohimè, ch'in quest' arene, tra scellerate spade, o perder ti conviene in questo dì la vita, o perder l'onestade vieppiù di lei gradita. | |
Toglietemi di vita fierissimo dolore, aspra pena infinita, toglietemi di vita. | ||
CORO |
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IREO |
Deh se non è chi porte alla bella mia patria il suon di queste dolorose parole, ferma pietoso sole là sovra il regno mio, ferma le rote, al real genitore, a' servi miei fa note l'alte di lei miserie, e 'l mio dolore. Volate amiche prore, volate a questo lido, fate vendetta del tiranno infido, che mi toglie il mio core: volate amiche prore. Che parlo? Ah non m'avveggio, ch'indarno al caro padre, indarno alle mie squadre aita chieggio? Troppo è lungi il mio regno, troppo sei tu vicina amata mia regina all'estrema partita. | |
Toglietemi di vita fierissimo dolore, aspra pena infinita, toglietemi di vita. | ||
CORO |
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IREO |
Ditemi, o miei fedeli, ditemi amici voi, che far debb'io in così fiera sorte? Il mio core, il bene mio vorrei torre alla morte: ditemi amici voi, che far debb'io contr'infinito stuolo giovin, privo del regno, inerme, e solo. Ah, ch'io devo là gire, dov'è l'anima mia vicina a morte; ah, ch'io devo morire, ma mora, mora prima il barbaro villano, mora l'empio ladrone, ch'ogni mio ben mi toglie: mia disarmata mano prendi l'arma dall'ira, prendila dalle furie dell'acerbe mie doglie: e contro quel fellone fatti spada animata, o vivo telo, o fulmine del cielo: va' disperato amante, va' tra l'iniqua setta, va' del crudo tiranno a far vendetta, poi lieto mori alla tua vita innante. | |
CORO |
Segui fedele Orebo il tuo caro signore: noi qui restando intanto l'onde del Reno accrescerem col pianto. | |
CORO DI CRISTIANI spettacoli daranno, quinci l'unno tiranno, quindi l'eroe, che la bell'Anglia affrena, quindi ognor più costante la diletta di dio pudica amante? Ogn'aspra tigra ircana, ogni serpe, ogni fiera della stigia riviera, vincerà Gauno con la rabbia insana: e sien di lui più giusti Diomedi, Scironi, Atrei, Procusti. Dalle fiamme d'Orfeo il celebrato grido, e l'altr'amor d'Abido farà tacer l'innamorato Ireo, per il bel volto, poco parragli entrar nell'onde, entrar, nel foco. Dall'altra parte accesa d'invincibil zelo, e da' campion del cielo verginella purissima difesa, in mezzo al popol empio fia d'alta pudicizia eterno esempio. Ma d'ambedue la palma ottenga la gentile, che tema, ed amor vile da sé sbandito, in dio beata ha l'alma: ella il tiranno affrene, e 'l suo troppo amatore a dio rimene. Santa, divina face, che la bell'alma accendi, or tu dal ciel discendi in giovin troppo amante, e troppo audace; tu col tuo foco spegni face di paradiso, ardor men degni. Oggi, a divino affetto ceda desire umano: e se spietata mano dev'al regio garzon passare il petto, non per mortal desio, ma cada per l'onor dovuto a dio. Deh, se coppia sì bella non fia quaggiù consorte, per generosa morte risplenda su nel ciel gemina stella: e in quei beati campi di puro foco al sol di gloria avvampi. Dall'orgogliose labbia minacci pur tormenti: contro i petti innocenti sfoghi il crudel l'infuriata rabbia: di Cristo amante core sprezza ogni morte, e vince allor che more. | ||
La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l'idolo di Marte, e dall'altra un bastione, che si sporge in fuora dal resto delle mura: nella lontananza apparisce la città di Colonia, il fiume Reno, e più oltre la campagna dove sono attendati gl'unni.
Che fai? Che pensi? A che ti lagni, o bella