LA REGINA SANT'ORSOLA
Azione per musica.
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Libretto di Andrea SALVADORI.
Musica di Marco DA GAGLIANO.
Prima esecuzione: 6 ottobre 1624, Firenze.
Persone, che recitano:
ARNO |
sconosciuto |
URANIA |
sconosciuto |
ASMODEO demonio della libidine |
sconosciuto |
LUCIFERO capo dell'inferno |
sconosciuto |
FURIA INFERNALE adorata nel campo degl'unni per Marte |
sconosciuto |
GENERALE de' romani difensori di Colonia |
sconosciuto |
TRIBUNO dell'istesso esercito |
sconosciuto |
CENTURIONE dell'istesso |
sconosciuto |
GAUNO re degl'Unni |
sconosciuto |
ISMANO uno de' suoi capitani |
sconosciuto |
ARIMALTO generale di mare del re degl'Unni |
sconosciuto |
IREO principe d'Inghilterra, preso in mare da Arimalto, e condotto prigioniero al re degl'Unni |
sconosciuto |
OREBO suo gentiluomo ancor egli per altro accidente prigione del re degl'Unni |
sconosciuto |
ORONTEO primo sacerdote di Marte |
sconosciuto |
PERASPE secondo sacerdote dell'istesso |
sconosciuto |
SANT'ORSOLA regina di Cornubia provincia della gran Britannia |
sconosciuto |
CORDULA una delle sante vergini compagne di Sant'Orsola |
sconosciuto |
SAN MICHELE arcangelo |
sconosciuto |
Coro delle Muse.
Coro di Demoni.
Coro di Soldati romani.
Coro di Soldati unni.
Coro di Cristiani inglesi prigioni degl'Unni.
Coro di Sacerdoti di Marte.
Coro di Sante vergini compagne di sant'Orsola, Capi dell'altre.
Coro d'Angeli.
Coro di Nobili di Colonia.
Coro di Santi martiri in cielo.
La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l'idolo di Marte, e dall'altra un bastione, che si sporge in fuori dal resto delle mura: nella lontananza apparisce la città di Colonia, il fiume Reno, e più oltre la campagna dove sono attendati gl'unni: apresi nella prima scena dell'atto primo, una voragine, dove si vede in un lago di fiamme seder Lucifero sopra un'Idra, e fatto il concilio de' demoni contro Sant'Orsola, si riserra. Il coro principale, che divide gl'atti è di Cristiani inglesi prigioni degl'Unni.
Quest'azione, acciò possa recitarsi senza musica, è stata dal suo autore più allungata in stampa, di quello che fu cantata in scena.
Al sereniss. ed invittiss.
Vladislao Sigismondo principe di Polonia e di Svezia.
Temistocle, doppo la nobil vittoria di Salamina, andato in Elea per esser quivi spettatore de' giochi olimpici, fu egli medesimo glorioso spettacolo al popolo: a lui con lietissimo applauso volgendosi allora quella numerosa moltitudine, il giorno destinato alla celebrazione de' giochi in onor di Giove, consumò tutto nell'ammirare, e lodare quel famosissimo uomo, dal quale era stata liberata la Grecia, e domata la Persia. Quest'esempio di segnalata gloria ha veduto l'età nostra rinovellarsi nella persona di v. a. Ella dopo i suoi illustri trofei, lasciati in lontanissime parti della terra, essendo venuta a veder Italia, teatro dell'universo, ha meritato, che i popoli di essa, lasciando di ragionar d'ogni altro, rivolgano tutte le lingue alle sue lodi, e tutti gl'animi al suo valore. Prima che in questa provincia si mirassero i lampi della sua real presenza, s'erano uditi i tuoni delle sue armi, caduti sopra ferocissime nazioni, Moscoviti, Tartari, e Turchi: allora non si tenne per favola, che Marte avesse la sua abitazione ne' regni di Tramontana: e Roma cominciò ad augurare, che il settentrione avesse ad esser per lei l'asta di Achille: ella fu da quello oppressa, e per lui spera di sollevarsi; posciaché solo fra tutti i popoli d'Europa il nobilissimo regno di Polonia ha dimostrato, che il turco non è invitto. V. a. avvezza ad essere accompagnata da numerosi eserciti, si è compiaciuta in compagnia di pochi passar per Italia incognita: ma la schiera delle sue reali virtù, le ha fatto in ogni luogo pubblico corteggio, e la fama del suo valore per tutto l'ha palesata: per esser conosciuto basta che Giove abbia il fulmine: e 'l sole, ben che celato tra le nuvole, dovunque arriva, apporta il giorno. La nostra Toscana onorata da lei con pubblico favore della sua vista, ha cercato con altrettanta dimostrazion d'amore corrispondere all'onor della sua venuta: ella come perpetua nutrice di essi, richiamando alle scene reali gl'Apelli, i Dedali, e gl'Orfei, ha spiegato per dilettarla le meraviglie degl'antichi spettacoli d'Atene, ed all'incontro v. a. in un vivo teatro d'eroica virtù, ha fatto vedere a Toscana, quella perfetta idea di principe, e di cavaliero, che da i più saggi greci ne è stata designata. Quello, che le muse le hanno cantata in scena, ora le porgono in dono: questa è la Regina Sant'Orsola, opera in ogn'altra parte felicissima, fuori che nell'esser parto d'infelice ingegno. Essa con meraviglioso apparato le è stata fatta rappresentare dal serenissimo gran duca mio signore, ed ora da me le è umilissimamente consacrata. A principe difensore della religione, benissimo si conviene poscia in lode di principessa morta per gloria del nome cristiano: si compiaccia però di gradirla, e con i raggi del suo glorioso nome la tolga da quelle tenebre, che porta dal suo autore, ed io umilissimamente inchinandola, le prego fortunati i suoi magnanimi pensieri.
Di Fior. Il dì 29 di Genn. 1625.
Di v. a. sereniss.
umilisss. e devotiss. servo
Andrea Salvadori
All'istesso sereniss. ed invittiss. principe
Della Vistola al nome omai si scote
pallido Eufrate, ed atterrito Oronte:
e 'l Nilo là sovra 'l nativo monte
la negra faccia per dolor percote.
Già piange l'Asia in dolorose note
temendo lacci alla superba fronte:
ove la Tana, ove la Volga ha fonte
sospira Scizia le provincie vote.
Per voi sol gl'eroi di nuovo Achille
teme la riva, ove già sorse Antandro,
e 'l sol d'Ilion nuove faville.
E in mesto mormorar s'ode Scamandro
piangendo dire all'inondate ville,
che s'appresta il sarmatico Alessandro.
Andrea Salvadori
Del sig. abate Agnolo Capponi all'autore
Di bella neve alato alzarsi a volo
ai forti omeri tuoi non è chi vieti,
varcar le sfere, trapassar pianeti,
l'orse stellate, e l'uno, e l'altro polo.
Non così quei, che van radendo il suolo,
cigni di Citerea, cigni di Teti;
tu, tu trasvoli, tu contempli i lieti
campi celesti, ove ogni pregio è solo.
Quindi l'alta armonia, che lece a pena
bramarsi in terra, e l'ammirabil canto
Urania ti dettò d'ambrosia piena.
Per te volse ella risonarsi il vanto
d'Orsola pia su la real scena,
onde sorgesse, e meraviglia, e pianto.
Dell'istesso signor abate
Che Troia eccelsa, e l'alte moli spente
giaccino a terra, e troppo acerbi, e rei
rimirar congiurati uomini, e dèi
la Regia stirpe funestar repente.
Che volga i dì canuti egra, e dolente
Ecuba schiava in fra mestier plebei,
e tra forzati Andromaca imenei;
sazi di Pirro la lussuria ardente.
Sì fiero aspetto de' coturni argivi,
e l'empio gioco di fortuna indegna
seco han dolor d'ogni conforto privi.
Ma ne' bei canti tuoi vittrice insegna
Orsola spiega, e come al ciel s'arrivi
per dio cadendo, e trionfar c'insegna.
Del sig. Gabriello Chiabrera
I nostri grandi, a cui rifulge in fronte
or di diadema egregio
soleano i cigni del Castalio fonte
aver quagiuso in pregio
quanto sentiasi ornar dal nobil canto
lor proprio nome, o de grandi avi il vanto.
Da l'altra parte il popolar diletto
a Clio solo permise
chioma d'oro cantar, che l'altrui petto
legasse in varie guise,
o chiaro sguardo, che vibrasse ardori,
o man di neve, che rapisse i cori.
Scemo Parnaso, or al gran re superbo
non hassi a dar sua gloria?
E de lo stato de' beati eterno
non si dée far memoria?
Non celebrargli a le devote genti?
Non mostrar su la scena i lor tormenti?
Muse al fallir, che trapassava il segno
dite voi, chi s'oppose?
Certo fu Cosmo, al cui reale ingegno
nulla virtù s'ascose;
di cui l'altiera fama in guardia avete,
e per cui non s'addensa ombra di Lete.
Poi la gentil, cui par non vede il sole
donna, che l'Arno affrena,
e sen va cinta d'ammirabil prole
Bercintia terrena
spose a' teatri l'alta Istoria; e quivi
fu trionfato de coturni argivi.
Or siasi in fondo, favoloso esempio,
col caro Admeto Alceste,
siasi di Filomena il grave scempio,
siasi non men Tieste;
chi di cantata vanità s'avanza?
Verità bella ha di giovar possanza.
Argomento
Orsola figliuola di Dionoco re di Cornubia, provincia della gran Britannia, era stata dal padre promessa per consorte ad Ireo, (o secondo alcuni altri Conano) principe d'Inghilterra ma da dio era destinata per sua sposa in cielo. Questa mentre accompagnata da moltitudine di nobili donzelle, navigava lungo la paterna marina, fu da improvvisa tempesta, o per meglio dire da divino volere, portata a' lidi della bassa Germania. Allora, (o fosse per differire in tal maniera le nozze, o pure perché era presaga del martirio da dio preparatole,) entrando per le bocche del Reno, pervenne non lontano da Colonia Agrippina, ivi incontrando l'esercito di Gauno re degl'Unni, ebbe all'ora combattuta quella città, tutte le sue donzelle, per difesa della propria pudicizia, e per l'onor di dio, furono da quegl'empi idolatri crudelmente uccise: ed Orsola loro regina per l'estrema sua bellezza conservata viva, e venuta in potere del re di quei barbari, fu da lui (vedutala ogn'ora più costante nel divino amore) vinto da immensa rabbia, col proprio arco saettata. L'azione eroica di questa real vergine, e per l'episodio gl'accidenti del principe Ireo, spiegati in poesia drammatica, sotto le note di musica recitativa, due volte con pompa degna dell'antica grandezza romana; è stata rappresentata a due de' maggiori principi d'Europa: la prima volta al sereniss. arciduca Carlo d'Austria, ed ultimamente al serenissimo Vladislao Sigismondo, principe di Polonia, e di Svezia, sotto l'ombra della cui protezione è venuta in luce. Né forse è poca gloria del nome toscano, che siccome sotto gl'auspici de' sereniss. gran duchi, prima in questo teatro fu rinnovato l'uso de gl'antichi drammi di Grecia in musica, così oggi in questo medesimo, sia stato aperto un nuovo campo, di trattare con più utile, e diletto, lasciate le vane favole de' Gentili, le vere, e sacre azioni cristiane.
Arno, ed Urania con il coro delle Muse in una particolar prospettiva di Fiorenza fanno il Prologo.
ARNO
Io, dell'alto Appennino ondoso figlio
di cento irrigator tirrene valli,
fuor de' vaghi cristalli
al sen della mia Flora innalzo il ciglio:
e qui, mi specchio al tuo guerriero sole
del sarmatico Giove invitta prole.
Là, nell'ampio oceano, onde se n' viene,
ed a cui torna il mio famoso fonte,
vidi in squallida fronte
sanguigni entrar la Volga, e 'l Boristene,
ed estinti da te negl'ermi boschi,
pianger i figli lor, Tartari, e Moschi.
Udii, ch'armato in quell'eterno gelo,
ne' monti lontanissimi Rifei,
drizzasti alti trofei,
e l'orse algenti gl'inchinar dal cielo:
e Borea inascoltando il suo gran nome
sparse d'orror, più che di gel le chiome.
L'Istro poi mi narrò, dov'egli bagna,
vicine al Nero mar l'ampie contrade,
dalla sarmate spade
l'ottomano infedel vinto in campagna
e che per te discolorata, e bruna,
allor de' traci inorridì la luna.
Arsi quinci, signor, d'eterna brama
sì chiaro sol di rimirar d'appresso;
e 'l mio dotto permesso
bramai tutto sacrare alla tua fama:
or qui ti veggio, e a riverirti intanto
sveglio le tosche muse a nobil canto.
Oggi l'alma real, cui sol fan lieta
i guerrieri metalli, e 'l suon dell'armi,
a pacifici carmi
volgi signore, e l'alte cure acquieta:
e cangia in vaga, imitatrice scena
armato campo, e bellicosa arena.
Marte così, poiché Geloni, e Sciti
ha flagellati al tempestar dell'asta,
ed or l'Ercinia vasta.
Or dell'Ircania ha funestati i liti;
stanco in Parnaso, ov'un bell'antro adombra,
spesso il canto di Febo ascolta all'ombra.
Or voi, ch'ogn'or viveste alle mie rive,
da che v'accolse il mio mediceo Lauro,
del regio cor ristauro,
quai carmi detterete amabil dive?
Tu regina gentil del dotto coro
movi Urania la voce, e 'l plettro d'oro.
URANIA
Da Parnaso d'amor nuova armonia
trasser per emular le scene argive,
Arno real sulle tue nobil rive
quinci Calliopea, quindi Talia.
Udisti al canto lor, vedovo amante
pianger gli spenti rai d'Euridice:
e la vaga del sol precorritrice
vedesti ir dietro al sol d'un bel sembiante.
Gioisti ancor di non minor dolcezza,
a' placid'imenei del bel Medoro,
quand'amante regina, e scettro d'oro,
al merto diede amor della bellezza.
Io sacra Urania, io c'ho dal cielo il nome,
oggi solo trarrò dal cielo il canto:
sdegno mirti profani, e per mio vanto
sacra fronde immortal cingo alle chiome.
Pregi di beatissime donzelle
oda prima da me la tosca scena.
Elle cadute in tormentosa arena
vinser la morte, ed abbellir le stelle.
Tu già regina in terra, ed or di Dio
fatta nel più bel ciel sposa novella:
tu gloria di Britannia Orsola bella
il soggetto sarai del canto mio.
Io canterò, qual per celeste zelo
cadesti d'empio strale il cor trafitta:
e qual poscia volò l'anima invitta
di tante dive a popolare il cielo.
So ben, ch'a te ne' luminosi campi
degl'amanti immortal coro festeggia,
ma non sdegnar, s'io nella tosca reggia
aggiungo al tuo bel sol novelli lampi.
Voi, di Febo menzogne allettatrici,
ond'han regii teatri eterno grido
cedete al vero: e sappia Pindo, e Gnido,
che nutre ancora il ciel cigni felici.
ARNO
Canta celeste musa:
io delle nuove gemme,
che 'l sacro mi darà nuovo Ippocrene,
fiorirò lieto le toscane arene.
CORO DELLE MUSE
O di raggi ornata il crine:
delle ninfe d'Elicona,
dalle piagge tue divine
non sdegnar mortal corona.
Già s'udì, che tra la schiera
delle Grazie, e degl'Amori,
nova dea se n' venne fuori
da' bei flutti di Citerea,
e che poi la terza sfera
fu bel seggio, ov'ella suole
rider lieta a' rai del sole.
Finto canto, e finto inganno
di permesso lusinghiero:
or ne giovi un nobil vero
compensar l'antico danno.
Venne fuor del mar britanno
giovinetta così bella,
ch'or in cielo è fatta stella.
O di raggi ornata il crine:
delle ninfe d'Elicona,
dalle piagge tue divine
non sdegnar mortal corona.
Asmodeo, Lucifero, Furia infernale, coro di Demoni.
ASMODEO
O negl'orridi abissi
adorato signore, e vi è più degno
d'aver soggetti i lumi erranti, e i fissi
io, tuo fido Asmodeo
a' tuoi piedi, al tuo seggio
a' pro di quest'impero aita chieggio.
LUCIFERO
Che brami, o tu, che de' mortali al petto
primo guerrier d'Averno
spiri la face di lascivo affetto?
Qual cerca la tua man di nuovo vanto
erger trofeo nella città del pianto?
ASMODEO
Deh, non aggiunger pena
con sì famosa lode
alla pena immortal, che 'l sen mi rode.
Tempo già fu, che l'infernale arena
colmai d'altere prede:
allor, che finta madre
dell'impuro Cupido,
in Amatunta, in Gnido,
e nell'alta Citerea ebbi la fede:
ora più vil nemico
il bestemmiato ciel di me non vede.
LUCIFERO
Chi tante glorie atterra?
Chi t'usurpa quel soglio,
che l'armi invitte stabiliro in terra?
ASMODEO
O vergogna immortal, donna mortale
fammi perpetua guerra,
distruggi i tempi, e 'l nome mio calpesta.
Orsola, o re d'Averno,
o tartarei compagni, Orsola è questa
real sangue britanno:
ella d'ogni mio duolo,
ella è fiera cagion d'ogni mio danno.
Ah cruda, ah che non solo
fece l'empio del ciel le caste membra;
ma tutto desolando il regno mio,
di seguaci donzelle immenso stuolo
toglie al mio foco, e 'l serba puro a Dio.
FURIA INFERNALE
Così (legge crudel) sovra le stelle
s'empieranno le sedi a noi dovute,
noi su l'arso Acheronte a dio rubelle
sospireremo il cielo alme perdute.
ASMODEO
Aita invitto re, compagni aita:
ancor ne' nostri petti
la possanza immortal non è smarrita.
LUCIFERO
Odimi, o tu, che nell'amico campo
in sembianza di Marte
hai (malgrado del ciel) divino onore:
odimi tu ministro
di torbid'ira, e d'infernal furore.
FURIA INFERNALE
A te vengo signore:
son pronte a' cenni tuoi
queste, ch'in man sostengo atre ceraste,
pronte del campo mio le spade, e l'aste.
LUCIFERO
Te, nelle schiere al mio gran nume infesto
scelgo di Stige a vendicar gl'affanni:
fa' tu, che pianga il ciel gl'estremi danni,
e 'l nemico immortal deluso reste.
FURIA INFERNALE
Or quanto brami impera.
LUCIFERO
Là, dove cinge intorno
di Colonia le mura il re degl'Unni;
andranne in questo giorno
l'odiosa regina, e la sua schiera.
Tu mentre i micidiali popoli amici
tra canti e sacrifici
ti chiederan vittoria;
palesa al re crudele,
che s'ei vuol far di quelle mura acquisto,
mandi ad onta di Cristo
il campo ad assalir le ree donzelle:
sì che, perduto prima
il sì gradito al ciel fior d'onestade,
restin trofeo d'infuriate spade.
ASMODEO
O vendetta bramata:
rido nel pianto eterno,
e già parmi eseguito il tuo volere:
non si chiude in Averno
alma più scellerata
di Gauno re, delle malvage schiere.
FURIA INFERNALE
Dispiego tosto il volo,
per impor quanto brami all'empia setta:
tu quando tempo fia,
con quanto stuolo in Flegetonte regna
vieni signore alla fatal vendetta.
LUCIFERO
Verrò, che di mia man l'impresa è degna.
CORO DI DEMONI
Contr'il nemico eterno
combatti, o nostro re:
sarà, sarà l'inferno
ogn'or fedele a te.
Combatti, o nostro re.
Sarà, sarà l'inferno
ogn'or fedele a te.
Generale de' romani, Tribuno dell'esercito, Centurione, coro di Soldati romani.
GENERALE
Poscia che tutte ingombra
l'esercito degl'Unni
le vicine riviere, e i ricchi piani;
fortissimi romani, atto parmi miglior di saggio duce,
in quei chiusi ripari
frenar di Marte il rapido torrente,
che con forze dispari
esporsi incontro a innumerabil gente.
Sia dunque nostra cura
di Colonia lo scampo,
sin che miglior ventura
ne porga il ciel di debellar quel campo.
Quinci all'onor di Roma
vegliando intenti, ed all'altrui salute,
mostrate, e con l'ardire, e con la fede,
ch'in magnanimo core,
nel periglio maggiore, è più virtute.
TRIBUNO
Guidane invitto duce,
o dove serve intollerabil vampo
nell'arene di Noto:
o dove Borea accampa
l'eterno ghiaccio in aspro lido ignoto:
guidane a fiera guerra,
o fra l'orride Sirti,
o nel centro ne serra;
questi cor, questi ferri, ove ne guidi
sempre ti saran fidi.
CENTURIONE
Mira l'armate destre,
ch'alziamo al ciel di nostra fede in segno:
sien queste a te signor sicuro pegno,
che co' propri sudori,
e con l'onde del sangue
irrigheremo i tuoi guerrieri allori.
CORO DI SOLDATI ROMANI
Questi cor, questi ferri ove ne guidi
sempre ti saran fidi.
GENERALE
Lodo il nobil affetto, e lieto prendo
dagl'animosi accenti
i pronti giuramenti.
Giuro ancor'io per questa armata testa,
che per voi cingerò d'eterna fronde,
per le ceneri sacri, e per l'impero
altissimo di Roma;
giuro in qualunque sorte
or duce, ed or guerriero,
egual partir con voi perigli, e prede,
e d'ogni fido, e forte
compensar' il valor, l'amor, la fede.
Su dunque amici il piede
fermiamo in queste mura:
queste del fiero re tolte all'offese
ne daranno l'onore,
ch'allo spartan valore
dier l'anguste Tèermopile difese.
CORO DI SOLDATI ROMANI
Questi cor, questi ferri ove ne guidi
sempre ti saran fidi.
Coro di Soldati unni, Gauno lor re, Ismano.
CORO DI SOLDATI UNNI
Alle mura, alle porte
guerra, guerra, furore, incendio, e morte.
GAUNO
In quai forze, in qual dio
confida sì la temeraria gente
in Colonia racchiusa,
ch'alla novella sol del venir mio
le porte non disserra?
E già prostrata a terra
non mi chiede piangendo, e pace, e vita?
Dovrebbon pur le stragi, e le ruine,
e de' Medi, e de' Daci,
dovrebbe l'Istro, e 'l Reno,
ambi sotto al mio freno,
a superbi insegnar popoli audaci,
che flagello del cielo,
e turbine di sdegno
scende la destra mia sovra ogni regno.
ISMANO
Signor, vivi sicuro:
pagherà con la morte il folle ardire
chi tanto si confida in chiuso muro.
Vedi l'insegne omai spiegate in alto,
vedi in quanto terreno accolte sono
le tue schiere feroci:
mira i fieri sembianti, odi le voci
in che terribil suono
dell'avversa città chieggion l'assalto.
CORO DI SOLDATI UNNI
Alle mura, alle porte
guerra, guerra, furore, incendio, e morte.
GAUNO
Forti, e fidi guerrieri
di Colonia non solo,
per voi vedrommi al nobil soglio asceso,
ma dall'Alpi disceso
nell'italico suolo,
già parmi all'alta Roma
fiaccar l'orgoglio, e lacerar la chioma.
ISMANO
Volgi signor lo sguardo a questa parte:
ecco il duce Arimalto
moderator della tua forte armata:
il marittimo Marte,
ch'a te dal mar se n' riede.
Gran re nuovi trionfi
nuov'onor, nuove prede:
vedi, ch'a' nostri dèi nemica schiera
lo segue prigioniera.
Arimalto, Gauno, Coro.
ARIMALTO
O di Scizia monarca:
io, tuo fido Arimalto,
ch'i mari a te so fermi, e i venti amici,
dal trascorso oceano,
porto a gloria di te nuove felici.
Là, negl'umidi regni,
cento d'Anglia, e d'Irlanda
affrontammo pur or guerrieri legni:
pugnammo: e la tua sorte
sull'onde accompagnò la virtù nostra.
Arsa dalle tue genti
parte restò della nemica armata,
parte dispersa al tempestar de' venti
inghiottì l'onda irata.
Questo misero avanzo
dell'acerbo conflitto,
cinto di ferreo laccio
ti porto, acciò lo calchi il piede invitto,
e t'offerisco pronta
ne' perigli maggior di questa guerra,
del cor la fede, ed il valor del braccio.
GAUNO
Abbiam vinto nell'onde,
tosto vincasi in terra: ite guerrieri,
ite ver quella parte,
ove sembra men forte il sito e 'l muro:
ivi quell'assalite empia cittade;
abbattete, ancidete
quanto ponno incontrar l'irate spade:
provin dell'ira mia dovuti scempi,
vegli, donne, fanciulli, altari, e tempi.
CORO DI SOLDATI UNNI
Alle mura, alle porte
guerra, guerra, furore, incendio, e morte.
Ireo, Orebo, coro di Cristiani.
IREO
O desiata sposa, o padre, o regno.
OREBO
Che veggo, ohimè, che questi
è 'l figlio del re d'Anglia.
O generoso Ireo, o mio signore:
a che misero segno
oggi t'ha spinto lacrimabil sorte?
Così nel patrio regno
attendi dunque la real consorte?
O regia casa afflitta, o fiere stelle.
IREO
Dove, dove ti veggio,
dove ti trovo, o mio diletto Orebo?
Oh con quanto martire,
per aver nuova di colei, ch'adoro,
misero, ho sospirato il tuo venire.
OREBO
Ah, ch'il legato piede
m'ha, vietato di fare a te ritorno.
Ohimè, ch'a mio malgrado
tra le barbare squadre io fo soggiorno.
IREO
Dimmi, qual hai novelle
del mio sol, del mio cor, della mia vita?
Di', se con tante tue caste donzelle
ancor dal mar natio,
ha verso il regno mio fatta partita?
OREBO
Signore, a' cenni tuoi
andai per ritrovar Orsola bella,
che l'alma t'innamora:
e vidi, vidi allora
tutto il bel della terra in mare unito.
Ella dal patrio lito
vaghe purpuree vele avea già sciolte,
e di caste guerriere
belle innocenti schiere
su pacifici legni eransi accolte,
per lo mobil argento
tra dolcissimi canti,
lieto se n' gia l'esercito pudico;
ed a mirar tanta bellezza intento,
sfavillava di gioia il cielo amico.
Se dal carcer antico
traeva l'ombre la gelata notte;
la bellissima duce
con la face di Cinto
gareggiava di luce:
e dalle caste ancelle
spesso mirossi vinto
nel notturno seren coro di stelle:
poi nel vago mattino
videsi al dileguar del fosco velo,
ceder al sol del mare, il sol del cielo.
IREO
Sospirata bellezza,
bramato oggetto mio,
sentir lodarti, e non poter gioire,
doppia all'alma il martire,
e nel vietato ben cresce il desio:
bramato oggetto mio.
OREBO
Giunto, dove sedendo in aurea poppa
l'ammirabil regina,
dava legge al suo coro, e gioia al mare,
inchinai da tua parte
l'alma luce divina,
che folgoravan le bellezze rare:
rammentai, che finiti eran quegl'anni,
ch'alle sospese nozze ella prefisse,
e la pregai nel fine,
che de' regni britanni
venisse lieta a coronarsi il crine.
IREO
Lasso, che ti rispose?
OREBO
Cortese ella m'accolse, e poi sì disse.
Torna servo fedele al tuo signore,
digli, che lieta vegno
a' tormenti, alla morte, e non al regno.
IREO
Portino seco i venti
auguri così rei:
o i minacciati mali
sfoghi l'irato ciel ne' danni miei.
OREBO
Confuso al tuo bel soglio
con la mesta risposta io ne venia:
ma volse, ahi lasso, il mio crudel destino,
ch'incontrassi per via,
degl'unni predatori avverso stuolo:
or sotto acerbo freno
piango la libertade, e 'l natio suolo:
e vieppiù fiero sento
farsi nel tuo dolore il mio tormento.
Ma, deh, come qui sei,
signor, qual empia sorte
oggi ti mostra tale agl'occhi miei?
IREO
Ah, che più non potendo
soffrir la tua dimora, e 'l mio dolore,
là nei soggetti mari
diedi all'ale de' venti armate prore,
e sovra quelle assiso,
io stesso andai per l'onde
a cercar il tesor di quel bel viso.
Ohimè, mentr'io credea,
ch'amor insieme, e 'l vento
mi guidasser in porto alla mia dea,
ecco, ch'in un momento
io vidi armarsi il ciel d'ombre profonde,
ed a guerra mortal disfidar l'onde.
Allora, allor cred'io,
non le bocche de' venti,
ma di furie infernali
rivolte a danno mio,
per l'aria imperversar l'orribil' ali:
e con quanto furore accoglie Averno
tutte versar sulle mie stanche antenne
le tempeste del mare, e dell'inferno.
OREBO
Onda fiera, e sdegnosa,
dovevi a tanta fede,
dovevi a tanto amore esser pietosa.
IREO
Ecco, mentre egualmente
proviamo il ciel contrario, e 'l mar crudele,
del tiranno degl'Unni, ecco repente
venirne ad assalir predaci vele.
Contro il ciel, contro il mar, contro i nemici,
in quell'orribil campo
pugnai, questi pugnar diletti amici.
Perduta alfin de' miei
nell'assalto crudel la maggior parte,
cedei, poi che sì volle
il cielo, il mare, e Marte.
Ma sappi, o mio fedele,
che quando in vil servaggio
mi vidi trar sovra gl'infami legni,
se quell'indegno oltraggio
allor non mi diè morte,
fu sol, perché sperai,
che la bramata mia real consorte,
potesse forse compensar' un giorno
con le dilette braccia
l'ingiusto ferro, che 'l mio collo allaccia.
OREBO
O del mar d'Aquilon nobil regina,
bella mia patria, o sconsolato regno,
qual pur or rimirasti
nel tuo famoso soglio
il tuo signore, e mio,
e qual, qual lo mir'io
tra 'l barbarico orgoglio?
IREO
In questo mar d'affanno,
questa sol mi lusinga aura di speme,
quest'unico conforto
il mio già morto core in parte avviva:
i barbari non sanno,
che tra loro io mi viva
ma nell'onda crudel mi credon morto:
così più facil via
fors'avverrà, ch'io trovi
alla vostra salute, ed alla mia;
e che felice sposo, ancor mi veggia
viver col mio bel sol, l'alta mia reggia.
OREBO
Benigno ciel seconde
così care speranze,
e noi rimeni alle paterne sponde.
IREO
Spera fedele Orebo:
sperate voi, fidi compagni amati.
Là su' lidi bramati
del famoso Tamigi,
libero regna ancor l'invitto padre:
cento guerriere squadre
verran per noi alla paterna arena;
ma più, sperar mi giova,
che la destra del ciel, di sdegno piena
sovra l'unno crudel fulmini piova.
CORO DI CRISTIANI
Dove ne guiderà
questo perfido re,
nemico a nostra fé,
mostro di crudeltà.
Dove ne guiderà?
O dolce libertà,
o patria, o fidi amici,
tra sì fieri nemici
chi ne consolerà?
O dolce libertà.
Addio, per sempre addio, nativi tetti:
addio, per sempre addio, patrio terreno
chi stringeravvi al seno
care gioie di noi figli diletti?
O conforto gentil de' nostri petti,
nostra più cara parte,
o bramate consorti,
quanto ciel, quanto mar da voi ne parte?
Fato dove ne porti?
Per quali vi cangiamo infami nidi,
amate arene, e sospirati lidi?
Miseri noi, dov'è più fosca, ed aspra
l'aria crudel dell'iperboreo polo,
dove di Borea il volo
a' deserti Rifei la fronte inaspra:
o dove Teti mai non si disaspra;
di vilissima plebe
condennati alla rabbia,
sarem costretti a rivoltar le glebe
della scitica sabbia:
e da braccio plebeo, spietata verga
ne vedrem flagellar le nobil terga.
Felici quei, che d'onorate piaghe
i fortissimi busti aperti in guerra,
or lungi dalla terra
l'alme piagge del ciel rendon più vaghe.
Non san, beati lor, come s'indraghe
contro un libero core
la tirannica fiera:
ohimè, che delle furie assai peggiore,
quest'umana megera
dal fiero petto, e dall'irata faccia
tutt'i mal dell'inferno a noi minaccia.
Solo, il vostro valore, alme latine,
che quelle difendete amiche mura,
in parte n'assicura,
tra tante irreparabili ruine.
Vinceste della terra oltre il confine,
e del sole, e dell'anno
trapassaste le mete:
or di barbare squadre un vil tiranno
ben' atterrar potrete:
alme chiare latine, a voi s'aspetta
della terra, e del ciel alta vendetta.
Chieggion pietà, gridan vendetta a Roma,
sparso il lacero crin donne, e donzelle,
e pure verginelle
tratte dagl'empi per la sacra chioma,
il vinto Illirio, e la Pannonia doma,
e ridotti in faville.
Ed adeguati al suolo
di Dacia i tetti, e le germane ville,
e delle turbe incatenate il duolo;
per loro, e per le misere contrade,
a voi con flebil suon chieggion pietade.
O dio, vedete diluviar dall'Orse
altre tempeste di guerrieri lampi,
e dell'Ausonia i campi
il turbin minacciar, che qui trascorso
deh, dall'invitte destre, onde risorse
più volte Europa afflitta,
in mezzo a tanto orgoglio,
questa belva infernal resti trafitta.
E nel mortal cordoglio
s'avveggia, come le superbe fronti
Roma fere a' tiranni, e 'l cielo a monti.
Oronteo, Peraspe, coro di Sacerdoti di Marte, Ismano.
ORONTEO
Se dall'orrida tana
disceso armato stuol d'unni guerrieri,
fulmin di tramontana,
del superbo occidente arde gl'imperi,
nume del quinto ciel da te dipende:
tu, quante volte ascende
nemiche mura, e fiere squadre assale,
vibri pronta per lui l'asta fatale.
PERASPE
Qual dunque omai presume
Colonia ritrovar difesa, o scampo,
se tu guerriero nume
scendi per gl'unni a guerreggiar nel campo?
CORO DI SACERDOTI DI MARTE
Dall'oppugnate mura,
ecco, che a noi ritorna il duce Ismano:
apporti il suo venir lieta ventura.
ISMANO
Amici: il signor nostro,
indarno assale ancor la rea cittade:
nembi di strali, e fulminar di spade,
dal Tebro ivi venuta,
sprezza difenditrice ardita schiera:
ond'egli al coro vostro
sacri ministri, impera,
che innanzi al fiero altar del dio dell'armi,
cadan vittime cento
del bellicoso armento,
e plachin l'ira sua devoti carmi.
ORONTEO
E vittime e preghiere
tante daransi al bellicoso dio,
che vincitrici sien le nostre schiere.
ISMANO
Restate dunque intenti
a' vostri sacri affari:
ed io, là sotto alle nemiche porte,
ritorno ad incontrar vittoria, o morte.
ORONTEO
Ministri: altri di voi nel sacro tempio
doni allo dio tremendo
gli svenati cavalli:
altri tra 'l suono orrendo
di ripercossi scudi,
guidi intorno all'altar feroci balli:
noi volti al cielo intanto,
della vittoria il dono
al dio trionfator chiediam nel canto.
CORO DI SACERDOTI DI MARTE
(in scena)
O fiero Marte, o padre
della Scizia guerriera,
del sempiterno acciar cingi la fronte:
movi dal Termodonte,
o dalla quinta sfera,
per dar bella vittoria alle tue squadre:
o fiero Marte, o padre,
o dio delle battaglie, accogli i voti
degl'unni a te devoti.
ORONTEO
Fiero Marte, se t'aggrada
sangue umano,
crud'offerta al guardo atroce:
opra tu, ch'estinto cada
stuol romano
dall'esercito feroce.
PERASPE
Prendi l'asta, e quelle mura
fa' crollare,
cada omai l'avversa terra,
e vedrami in vista oscura,
qui svenare
l'altro avanzo della guerra.
CORO DI SACERDOTI DI MARTE
(nel tempio)
Alla tua terribil ara
fiero Marte,
quest'armento cada esangue:
poscia vittima più cara
giuro darte
di Colonia uccisa il sangue.
ORONTEO
Vieni, o Marte: a te la chioma,
pompa mesta
d'atro sangue orni la morte:
tremi lungi afflitta Roma,
e tempesta,
tal attenda alle sue porte.
PERASPE
Vieni, o Marte, e rio flagello
su que' tetti
scuota l'orrida Bellona,
il furor di lei fratello
là t'affretti,
là nell'armi orribil tuona.
CORO DI SACERDOTI DI MARTE
(nel tempio)
Alla tua terribil ara
fiero Marte,
quest'armento cada esangue:
poscia vittima più cara
giuro darte
di Colonia uccisa il sangue.
ORONTEO
Il mio re, là per tua gloria
tende or l'arco,
ed or vibra invitta spada:
a lui rida alma vittoria,
poscia carco
di trionfi al Tebro vada.
PERASPE
Doma tu, gente proterva,
i tuoi cari
alzi al ciel l'altrui ruina:
tremi Italia, e d'esser serva
Roma impari,
se del mondo fu regina.
CORO DI SACERDOTI DI MARTE
(nel tempio)
Alla tua terribil ara
fiero Marte,
quest'armento cada esangue:
poscia vittima più cara
giuro darte
di Colonia uccisa il sangue.
ORONTEO
Al più riposto altare,
ove risponder suol idol feroce,
andianne a raddoppiar più forti preghi:
e dalla santa voce
intendiam la cagione,
perché l'usata aita a gl'unni neghi.
CORO DI SACERDOTI DI MARTE
(nel tempio e in scena)
O fiero Marte, o padre,
o dio delle battaglie, accogli i voti,
degl'Unni a te devoti.
Coro di Sante vergini, Sant'Orsola, Cordula.
CORO DI SANTE VERGINI
O desiate prede:
o fortunato acquisto:
morir per la tua fede,
morir per la tua gloria amato Cristo.
SANT'ORSOLA
Serve del re del cielo, e fide scorte
dell'esercito mio:
ecco il promesso giorno, omai presente,
che noi per man di scellerata gente
cadremo in questo suol vittime a dio.
A così dolce effetto,
sinora ho differito
col principe degl'Angli altere nozze,
e le prore ho drizzate a questo lito.
Pegno della certissima novella
ammi pur or portato,
scesa di paradiso anima bella.
O care, o fide amiche,
in celeste parlare, ella m'ha detto,
ch'empie squadre nemiche
degl'Unni micidiali,
col darne oggi qui morte,
ne faranno lassù dive immortali.
Su dunque, or voi, che siete
belle duci dell'altre,
ite, scorrete voi, di schiera, in schiera,
portando il lieto avviso:
sappia ogni fida mia casta guerriera,
ch'oggi trionferemo in paradiso.
CORO DI SANTE VERGINI
Pronte siamo, o regina,
pronte son le tue squadre,
per l'eterno consorte,
ad ogn'aspro tormento, ad ogni morte.
SANT'ORSOLA
O cara, o dolce, o sospirata terra,
porto del mio desire,
principio al mio gioire:
o cara, o dolce terra,
il teatro sarai del mio trionfo,
e 'l fin della mia guerra,
per così caro bene,
tanti baci ti porgo,
quant'hai nel grembo arene,
e voi, voi lieta abbraccio
aure care, e ridenti,
voi tra 'l sangue, e i tormenti,
visto spezzato il mio caduco laccio,
aure prendendo in voi lo spirto mio,
datelo puro a dio.
CORO DI SANTE VERGINI
Desiate corone
datene omai felici
nell'eterna magione.
SANT'ORSOLA
Che di' Cordula mia:
deh qual in te s'addita
non dovuto timore?
Vedi Cordula mia:
breve passo è la vita:
la morte è breve noia:
sempiterna nel ciel regna la gioia.
CORDULA
Regina, io non pavento
qualunque oggi m'avvenga,
per la fé del mio dio, fiero tormento.
SANT'ORSOLA
A sì lieta novella
ti stringo il caro seno,
bacio la cara fronte:
quant'è dolce sorella,
quant'è dolce per Cristo il venir meno.
Sposo dell'alma mia, se nulla oprai,
che fosse a te gradito,
o quando il soglio di real marito
per tua gloria sprezzai,
o quando lungi dalla regia fede,
con tante prese all'infernal tiranno,
dilettissime prede,
verginella trascorsi il mar britanno;
per sì grate memoria, e per quel sangue,
ch'a diffonder per te già pronta sono,
fa' mio signore, e dio,
che del mio casto coro,
segua ciascuna il bel trionfo mio;
ed io contenta moro.
CORO DI SANTE VERGINI
Prendine tutte, o cielo:
egual serbiamo al core
puro ardor, puro zelo.
SANT'ORSOLA
Signore: omai tu vedi
schiere d'umili agnelle,
in preda a' micidial lupi voraci:
deh se cieco desio, negl'empi petti
impuro foco spira;
nell'alme a te rubelle
estingui tu l'abominate faci,
e fa', ch'ardano sol d'orgoglio, e d'ira.
Pur che l'anime belle
tornin, qual le creasti, al patrio cielo:
ogni più fiero scempio
faccia del mortal velo,
congiurato furor di popolo empio.
CORO DI SANTE VERGINI
Vieni barbaro crudo,
sfoga l'empio furore,
trafiggi il seno ignudo,
vibra la spada al cuore.
SANT'ORSOLA
Su, di Cristo guerriere:
su felici donzelle:
veggio pronte per noi dall'auree stelle
scender fulgide schiere.
Su, di Cristo guerriere:
vinca sforzo di fede
i tener anni nostri, e 'l sesso imbelle
o comagne, o sorelle,
o spose del signore, o ben nat'alme,
a' trionfi, alle palme.
Ireo, Orebo.
IREO
Orebo: alto timor m'ingombra il petto.
Tu pur or mi dicesti,
che con purpuree vele
scorreva il vicin mar l'alma mia diva,
or del color istesso
adornate l'antenne,
vedi novelli legni al Reno in riva:
ohimè, l'empia mia sorte,
il mio fiero destino, ohimè non voglia,
ch'ad avverar la minacciata morte
ella col suo bel coro ivi m'accoglia.
OREBO
Deh non immaginar sì rea sventura:
le navi, che tu vedi
forse è novella armata,
dal tiranno degl'Unni
fatta venir contro l'avverse mura.
Né t'inganni il color, che là rimiri:
fors'il barbaro rio, com'egli accenne,
che d'orribile sangue
vuol inondarla combattuta terra.
Il vermiglio colore,
per funesto terrore,
spiega colà sulle superbe antenne:
ma per torti dall'alma mia ogni sospetto,
andronne in riva al fiume,
e d'appresso vedrò, se d'infedele,
o d'esercito pio son quelle vele.
IREO
Vanne, e tosto mi porta, o morte, o vita.
OREBO
Lasso me, che purtroppo,
mentre gl'altri assicuro,
tremo in me stesso, e immenso danno auguro.
IREO
O, se come indovina,
l'agitato pensiero
anima mia sia vero,
che tue sien quelle navi: a qual ruina
ti veggio giunta? A qual insidie esposta
la real onestade, e la tua vita?
Tua pietade infinita
opri signor del cielo,
ch'a quelle mura appresso,
pria, che farne sentir l'estremo danno,
dal latin ferro oppresso,
cada col popol rio l'empio tiranno.
Arimalto, Gauno, Ismano, Tribuno de' romani dalle mura, coro d'Unni.
ARIMALTO
Mentre, che gl'altri stanchi
nel dato assalto alle nemiche torri,
là respiran' in parte
dal faticoso Marte;
questo nobil drappello
d'invitti cavalier, fulmin di guerra,
ti supplica signore,
poter quinci chiamare a fier duello
altrettanti guerrier di quella terra.
Sdegna il lor nobile core
comun con la turba,
aver di guerra i vanti:
e di più chiaro onore
brama illustrarsi al suo signore innanti.
GAUNO
Ardimento sì degno
tempra dal vano assalto
il concepito in me giusto disdegno.
Fortissimi guerrieri
s'altrettanti il mio campo
nutrisse a voi simili, arditi petti,
già mirerei per terra
quegl'odiosi tetti,
e 'l cor d'Italia premerei col piede.
Ite: pugnate, ed al valor eguale
attendete mercede.
Tu, sotto il vicin muro
porta l'alta disfida, o forte Ismano:
di', che 'l campo assicuro
al nemico romano,
e che per Giove altissimo lo giuro.
ISMANO
Grazie signor ti rendo,
e sotto il forte gl'inimici chiamo.
Disfida degl'unni a' romani.
Udite, o voi, che non osando in campo
venir col nostro esercito a battaglia,
entro chiusa muraglia
cercate, anime vili, indegno scampo;
udite la magnanima disfida,
onde schiera degl'Unni
la romana viltà rampogna, e sgrida.
O femmine romane:
stan le timide fiere
ascose entro le tane:
ma l'anime guerriere
escono in campo ad affrontar le schiere.
Romani sol di nome:
se v'è petto tra voi,
in cui regni d'onor brama gentile,
da quel chiuso ovile,
oggi contro di noi,
a battaglia mortale
esca tosto di voi numero eguale.
Libero a tutti il campo
il mio signor concede:
e per Marte, e per Giove egli vi giura
salda la regia fede.
Codardi, uscite omai da quelle mura,
e per legge di guerra
i vinti cavalieri
de' vincitor sien prede.
Io dell'offerta pugna, ecco per segno
l'alte merlate cime,
questo mando a ferir dardo sublime.
Risposta alla disfida.
TRIBUNO
(dalle mura)
Vilissimi ladroni, arpie de' regni,
a suo tempo vedrete,
non ignobili fiere,
ma leoni, e pantere,
da questi cari alberghi usciti fuore,
venirvi a disbranar le membra, e 'l core.
Tosto v'accorgerete
alla prova dell'armi,
se siam' petti virili,
o femminelle vili.
Diranvi le nostr'opre, e 'l sangue vostro,
diranvi, se di noi ciascun si noma
degno figlio di Roma.
Verremo, e diece, e diece, e cento, e cento,
fuori del chiuso muro:
poco, o nulla ne cale,
che sia fido il re vostro, o sia spergiuro:
ad ogni rischio il nostro duce intento,
del perfido tiranno
poco stima la forza, e men l'inganno.
Su dalle porte uscite
valorosi compagni,
e gl'insolenti barbari assalite.
Si fa la battaglia di tanti per parte, perdono gl'Unni, il Re mancando di fede, spinge l'Esercito contro i Romani vincitori, per entrar con essi loro nella città.
GAUNO
Manchisi pur di fede;
oltragginsi pur tutti uomini, e dèi;
io non voglio soffrire
di mirar prigionieri i servi miei.
Guerrier, gl'amici vostri
ritogliete a coloro:
o passate con loro
a viva forza entro l'avverse porte.
CORO D'UNNI
Guerra, guerra, furore, incendio, e morte.
CORO DI CRISTIANI
Precipiti
da quelle mura
il re fierissimo,
che 'l ciel non cura.
Di fulmini
cadan tempeste,
che tutte abbattano
l'inique teste.
Disserrisi
l'infernal chiostro
e 'l mondo liberi,
dal crudo mostro.
Ondeggino
di sangue i campi,
del crudo esercito
non sia chi scampi.
Aitane
celeste padre,
al giogo togline
dell'empie squadre.
Padre eterno del ciel, che d'aurei lampi
vesti il sole, e le stelle;
so ben, che tu ne' tormentati campi
hai per l'alme rubelle
di fiamme punitrici orrendi laghi.
Hai pitoni, e chimere,
e portentosi draghi,
e mille orride furie, e mille fiere:
ma s'anco in vita fere
tua destra onnipotente, anima rea
s'induce il mondo a più temere Astrea.
Qual mostra esempio il regnator d'Egitto
a' superbi tiranni?
Ei, nel vermiglio mar, da te trafitto
trasse Israel d'affanni:
così spada del ciel dimostra agl'empi,
ch'in terra ancora arriva.
Ma deh, novelli esempi
ricerchiamo del Tebro in sulla riva:
ivi, mentre infieriva
più l'orgoglioso cor, tra l'atre spume,
Massenzio rio precipitò nel fiume.
Mira, giusto signor, l'unno rapace,
qual sotto Tebe antica
il fulminato assalitore audace,
di quella terra amica
premer' i tetti, e minacciare il cielo.
Scenda divina piaga
di fulminante telo:
o sovra l'empio capo il Reno allaga.
Signore, il mondo appaga
di sì bramata vista, e sì gradita,
che la morte dell'empio al giusto è vita.
Signor, a te, noi miserabil' alme,
mesta turba piangente,
alziam le voci, e percottam' le palme:
mira tua fida gente,
col volto afflitto, e le ginocchia a terra
sparger di polve il crine,
e della lunga guerra
battendo i petti, supplicare il fine.
S'alle piagge divine
giusto prego mortale, oggi se n' vola,
signor, doma quest'empio, e noi consola.
Gauno, Ismano, coro d'Unni.
GAUNO
Questi son dunque i temerari vanti?
Questi i superbi voti?
Così mi prometteste,
di catena servil cinto la fronte,
condur dal proprio fonte
il Tebro a riverir l'alta Meoti?
Ed ora, un debil muro,
un debil muro affrena
l'esercito, terror dell'occidente?
Ite mal nata gente,
lasciate della guerra il nobil uso
e tra femmine vili
la man volgete alla conocchia, e al fuso.
ISMANO
Signor, non diffidar de' servi tuoi:
sforzo di nuova guerra,
farà cader l'avverse mura a terra.
Ma, vedi fuor del tempio
d'altissimi pensier carco la fronte
il tuo sacro Oronteo, che a te se n' viene.
Oronteo, Gauno, Furia infernale, coro d'Unni.
ORONTEO
Non uccisi destrier, non preghi, o voti
oggi gradisce Marte: odi, o gran rege
udite, o voi di Scizia eroi più chiari,
quanto celeste voce
imposto m'ha da riveriti altari,
ch'io faccia a voi palese.
GAUNO
Tosto il divin volere a noi dispiega:
dinne perché vittoria
all'invincibil unno oggi si nega.
ORONTEO
Orsola, di re figlia,
di sacrileghe donne insieme unita
numerosa falange,
trionfatrice ardita,
or per l'onde trascorre, or per la terra,
e d'ogni nostro nume
danna gl'antichi riti, e i tempi atterra.
Marte vendicatore a questo fiume,
dalle paterne rive oggi l'ha scorta,
acciò con l'empia setta,
sia dal tuo campo, e violata, e morta.
Or non sperar già mai
vittoria, o re, da queste squadre ardite,
se queste tu non dai
vittime a Marte, e a Citerea gradite.
Ma quale il tempio scuote
improvviso tremore?
Odi, invitto signore,
dell'adorato nume odi le note.
FURIA INFERNALE
Contro nemica al ciel schiera proterva,
o degl'Unni gran re, movi veloce:
ed io placato al sacrifizio atroce,
Europa ti darò domata, e serva.
GAUNO
Sacro, potente nume,
quanto nel campo mio sei riverito,
sarai tanto obbedito.
Guerrieri, in quella parte
dispiegate l'insegne,
pronti gl'imperi ad eseguir di Marte.
CORO D'UNNI
Pera l'iniqua setta:
vendetta, omai vendetta.
Lucifero, coro di Demoni, Asmodeo, San Michele, coro d'Angeli.
LUCIFERO
Venite infernal numi:
quanti albergate giù nell'arsa Dite,
i passi miei seguite.
CORO DI DEMONI
Tutte l'orride schiere,
tutti i numi d'Averno
son pronti al tuo volere.
ASMODEO
Prendi rettor della perduta gente,
prendi la face in mano
degl'impuri diletti:
spira questa degl'Unni agl'empi petti,
acciò che quel crudel più non si vanti,
pure le membra aver di caste amanti.
LUCIFERO
Crudo ciel, fiere stelle,
farò pur la vendetta
nelle tanto gradite a voi donzelle.
SAN MICHELE
Spegni ribelle a dio tartareo mostro
quella face infernale:
vedi l'asta immortale,
per cui cadesti al tormentato chiostro,
pronta a ferirti ancor sull'empia fronte.
Vuol quei, che all'alto impera,
vuol per tuo maggior duolo,
pura per te quella diletta schiera:
or vanne, e vibra solo
interna serpe d'infernal disdegno.
Vanne in quel campo, e quanta chiudi al core,
diffondi in questo dì rabbia, e furore.
LUCIFERO
O detestato duce
dell'angeliche menti:
conosco la cagione, onde mi sforzi
a far incrudelir le perfid'alme
nelle schiere innocenti.
Vuoi, ch'i martiri lor sien tante palme,
vuoi, ch'io ministro sia de' propri mali.
Se così chiede incontrastabil legge,
svello questo dal seno atro serpente,
e tra l'iniqua gente,
tutto rabbia, e furor dispiego l'ali.
SAN MICHELE
Moviamo abitator del regno eterno,
moviamo a rimirar su quella riva,
da schiera femminil vinto l'inferno.
CORO D'ANGELI
Aprite, o sfere il grembo,
raddoppiate la luce, o stelle, o sole:
il castissimo sangue,
ch'oggi bagna la terra,
dia nuovi gigli al ciel, nuove viole.
Ecco l'alme corone,
ecco il premi immortal di mortal guerra:
gloria nell'alto a dio,
all'esercito pio vittoria in terra.
Ireo, coro di Cristiani, Orebo.
IREO
Vedeste in quanta fretta
l'esercito crudel si volse al fiume?
Sentiste poi che formidabil grido
fe' risonare il lido?
Non so fedeli amici,
quel che pensar mi deggia;
ma tra fiere tempeste il core ondeggia.
CORO DI CRISTIANI
Tutto dolente in viso
Orebo a te ritorna:
deh qual n'apporterà sinistro avviso?
OREBO
Fuggi dall'alto cielo, o della luce
sempiterno rettore, e 'n mar ti serra,
sin che sostien la terra
queste in sembiante uman Furie infernali.
Stelle vendicatrici i raggi vostri
cangiate in tanti strali,
e dal ciel fulminate i fieri mostri.
IREO
Orebo: io nel tuo volto
leggo le mie sventure, e l'altrui morte:
o misere donzelle, o mia consorte.
OREBO
Signor (ahi che l'orror nell'alma accolto
di voce ancor mi priva,)
come credesti appunto
trovai, signor, che alla dolente riva,
l'esercito era giunto
delle vergin britanne: o qual sembianza
agl'occhi miei s'offerse?
Sparse per l'ampia arena
le guerriere di Cristo,
or carissimi baci,
or puri abbracciamenti,
alternavan ridenti.
Cinta di bianca, e di purpurea veste
la magnanima duce,
e sparsa al tergo il coronato crine,
saettava dal volto
raggi di maggior luce:
e somigliante all'anime divine,
per lo diletto esercito scorrea.
Deposto in terra avea
l'aureo scettro reale,
e 'n sua voce reggea,
assiso in croce il suo bramato amore.
Rammentava, or le piaghe, ed or lo zelo
del trafitto signore:
or promettendo guiderdone in cielo
le caste amate schiere,
contro il popolo rio
di fede armava, e di speranza in dio.
Ecco il perfido re, com'Austro suole,
cinto d'orridi lampi,
venir dell'aria a infuriar ne' campi,
cinto dall'empie squadre,
viensene ratto a quel funesto lido.
Alzano allora un grido
l'umili verginelle,
e quel nome chiamato,
dalle stelle adorato, e dagl'abissi
tutte prostrate a terra,
tutte, tenendo i lumi al cielo affissi,
attendon liete la spietata guerra.
O divino stupore, al santo nome
ne' barbarici cori in tutto spento
di libidin'infame il rio talento,
gridan di rabbia pieni,
pera chi Cristo adora:
e tratti all'istess'ora
gli scellerati ferri
corron' a lacerar, i casti seni.
IREO
Oh dio, che sento? Oh dio?
Così cadesti estinta
dolcissima cagion del viver mio?
OREBO
Signor la tua regina,
a tutte l'altre innante,
più, che mortal ne' detti, e nel sembiante,
dicea, ferite, o dispietata gente,
ferite questo core:
al mio sposo, o signore,
portin le piaghe mie l'alma innocente:
ma, tal di quel bel volto
la maestà splendea,
che 'l ferro in lei rivolto
in mezzo al suo rigor, d'amore ardea.
Morte, morte chiedea
la sprezzatrice vergine animosa:
ma la ritenne a suo malgrado in vita
l'istessa crudeltà fatta pietosa.
IREO
Dispietata pietade!
Per uccidermi il cor con doppia morte,
concedi vita alla real beltade.
OREBO
Fuor, che la tua consorte,
troncate i sacri busti, aperte il seno,
o dolore, o pietade,
nell'orribil terreno
tutte l'altre cader dall'empie spade.
Ma deh, perché mi doglio,
o martiri beate al morir vostro,
se questi lumi han visto
trionfarvi lassù nel divin soglio,
e corone portar del sol più belle?
Bramo le palme vostre
nuovi pregi del ciel pure donzelle:
per sì giocondo acquisto,
bramo, bramo ancor io morir per Cristo.
IREO
Lasso, ma dove resta,
se pur è ver, che viva
la mia terrena diva?
OREBO
Del superbo tiranno
la divina beltà preda è rimasta.
Egli avvampa per lei d'immenso foco:
ed ha pur ora imposto
a' suoi più chiari duci,
ch'a quell'anima casta
movan'assalto di lusinghe, e preghi:
e stassi il fiero core in sé disposto,
o ch'ella mora, o al suo voler si pieghi.
IREO
Quando, già mai si vide,
quando, misero me, già mai s'udio
tenor di fiera stella eguale al mio?
Non ti bastò privarmi
implacabil destin del patrio regno?
Non ti bastò legarmi
alle piante real servil catena,
che per maggior mia pena,
innanzi agl'occhi miei,
vuoi, ch'io veggia colei,
colei, ch'è la mia vita,
da barbaro spietato
esser a me rapita?
Deh pria, che questo veggia, o cielo, o fato,
di sì misera vista, il pensier solo
ancida il cuor di duolo.
CORO DI CRISTIANI
Alle donzelle,
pur or estinte,
cedete vinte
notturne stelle:
più numerose di voi trascendono,
nell'alto splendono
di voi più belle:
cedete vinte
notturne stelle.
Quanti splendete,
per gl'alti cori
celesti amori
l'ali movete:
al cantar vostro
lassù festeggino,
al sol lampeggino,
che le fa liete:
celesti amori
l'ali movete.
O fortezza d'onore inclita prole,
d'insuperabil cor nobil trofeo:
ben sovente ti pasce
d'animose parole
la loquace accademia, ed il liceo:
ma se uopo talor nel mondo nasce
di tua nobil corona,
o come spesso avviene,
che te, per vil timor l'alma abbandona.
Un Codro ammira Atene.
Tre Decii, un sol Attilio, e un Curzio noma
tra tanti figli suoi l'invitta Roma.
Io non parlo di voi, cui spinse a morte,
o tema, o sdegno, o fervida cagione
d'ambiziosa brama:
te dal nome di forte
esclude il saggio, o rigido Catone.
Era vieppiù dovuto alla tua fama,
a Roma in quell'affanno
seguir di dar aita,
che per non rimirar Cesar tiranno
col ferro uscir di vita.
Lode viè più, che libero morire,
e per la patria vivere, e soffrire.
Molto minor tra la femminea schiera
de' forti petti il numero rimiro.
Te Lucrezia pudica,
e te consorte altera
del magnanimo Bruto io ben' ammiro.
Ma, benché generosa, e al ciel nemica
vostra morte immatura.
Vuol, chi la vita regge,
che cediamo a suo tempo alla natura.
Voi lungi all'alma legge
viver sdegnando ingloriose, e serve,
foste crude a voi stesse, e al ciel proterve.
Ma nelle scole altissime di Cristo
qualor insegna sacrosanta fede
di morir per il cielo,
con numeroso acquisto
vera fortezza trionfar si vede.
Ecco ch'ardon non sol, d'invitto zelo
viril petti robusti,
e gloriose palme
han dalla rabbia di tiranni ingiusti;
ma frali, e timid'alme
del più debole sesso, io vedo audaci
sprezzar croci, flagelli, e rote, e faci.
Lascio te, che sul Tebro a dio fedele
sì tenera cadesti Agnese bella:
e te, cui tolse al seno
barbara man crudele
l'un, E l'altra purissima mammella.
Lascio te, che sul Nil venisti meno
real germe d'Egitto:
e te, ch'in ree faville
trasse nobil'ardor d'animo invitto.
Da palme a mille a mille,
oggi di Cristo diletta arena,
e più di sangue, e di trionfi è piena.
Volgiamo il guardo al Reno: appena tante
s'unir del Termodonte in sulla foce,
quante spiegonne in campo
Orsola trionfante
contro il profano esercito feroce.
O sacro lido, o sacrosanto campo:
puro teatro, e pio,
ove palme sì belle
riportaro l'amazzoni di dio.
Lascia al cielo le stelle,
lascia le gemme alla bell'India, e l'oro:
Germania serba in te sì bel tesoro.
Sant'Orsola, Ismano, Arimalto, Ireo con il coro de' Cristiani.
SANT'ORSOLA
Dolcissime compagne:
voi tra l'empirea corte,
per l'eterne campagne
spiegate il volo all'immortal consorte:
già le stellate porte
il luminoso Olimpo a voi disserra;
ed io, misera, ed io,
io, che vi scorsi, al ciel, rimango in terra.
Che più da voi s'aspetta
spietatissime squadre?
Son io, son io la duce
dell'odiosa setta:
che più da voi s'aspetta?
In me gl'archi tendete,
in me l'aste volgete, in me le spade,
mostri di crudeltade.
ISMANO
Deh questo pianto affrena,
e le turbate stelle,
vergine avventurosa omai serena.
Altro scettro, altro regno, altre donzelle
ti renderan beata:
a' sovrani imenei
del monarca di Scizia
t'innalzano gli dèi:
o beltà fortunata,
vedi, che tutto il campo a te s'inchina,
e ti chiama regina.
SANT'ORSOLA
Taci barbaro, taci,
taci barbaro rio:
mio regno è il cielo, e mio consorte è dio.
IREO
O dolce anima mia,
o mio bene, o mia vita, o mio tesoro,
qui ti veggio, e non moro?
ARIMALTO
Per l'orribile vista
dell'estinte compagne
nel soverchio dolor costei vaneggia.
Deh, mentre l'alma orgogliosetta ondeggia
in quest'affanni suoi,
togliamo quinci il piede,
e le parlin per noi
questi nati in sua patria, e di sua fede,
voi prigionieri, voi
con amiche parole,
della bella dolente
racconsolate il sole:
e ditele a qual sorte,
l'amor del nostro rege, e 'l ciel la serba.
Se la beltà superba,
avvien, ch'a' detti vostri
facile, e grata al mio signor si renda;
oltre la libertade
altissima mercé da voi s'attenda.
Ireo, Sant'Orsola.
IREO
O donna, o del mio core,
del mio cor, del mio regno,
mentre piacque ad Amore
fortunato sostegno:
s'al pallido sembiante,
simulacro di morte,
non riconosci appieno,
il tuo fedele amante,
il promesso consorte;
volgi i celesti lumi a questo seno,
rimira in questo core,
e leggi il nome mio nel mio dolore.
Ireo, Ireo son io,
vago mio sol, quell'infelice Ireo,
che servo a te rendeo
del suo costante core ogni desio:
Ireo, Ireo son io,
che sovra il seggio antico
di Britannia famosa,
sperai di rimirarti
fortunata regina, e lieta sposa:
ed ora, ahi lasso, ed ora
privo del patrio regno,
lungi dal nobil soglio,
ti veggio esposta di tiranno indegno
al furore, all'orgoglio.
O barbari crudeli,
ch'ivi state in disparte,
e quest'amare lacrime mirate:
voi forse vi pensate,
ch'alla mia vita innanti
io sparga questi pianti,
sparga queste mestissime parole,
per lo dolce desio di libertade:
folli, se lo pensate:
io, la perduta libertà non piango,
piango la prigionia del mio bel sole,
e solo, sol mi duole
di non conoscer via
né men con la mia morte,
di poter liberar la vita mia.
Care stelle divine,
cari bramati lumi,
ch'aprite in terra la beltà del cielo:
io giuro a' raggi vostri,
che s'io potessi mirar voi contenti,
gioirei nel cordoglio,
e beato sarei ne' miei tormenti.
Credi a questo mio pianto,
credi vergin real, ch'io non mi doglio
di mia propria sventura:
perder le patrie mura,
perder i fidi servi, e 'l caro padre,
tra mille indegni oltraggi
prigioniero restar d'inique squadre;
pur che libera fussi
tu donna, ond'attendeva ogni mio bene,
foran diletti al cor, non lacci e pene.
SANT'ORSOLA
Ah, così dunque Ireo,
a chi bramasti il regno invìdi il cielo?
Lascia, lascia, se m'ami
questi vani lamenti,
che quelle. Che tu chiami
mie sventure, e tormenti,
son dell'anima mia gioie, e contenti.
Non all'alte tue nozze,
non a' regni britanni
era volto il mio core:
bramai da tener'anni,
bramai col sangue mio,
sposa venir del crocefisso amore:
or che vedi adempirsi il bel desio,
soverchio, ingiusto sei,
se piangi il lieto fin de' giorni miei.
Ireo, diletto Ireo,
quest'amor, questo zelo
verso donna mortal rivolgi al cielo:
Ireo, diletto Ireo,
ti rifiutai consorte,
or t'eleggo compagno
nella via degl'affanni, e della morte.
Là vedi in quell'arene
sanguinosi torrenti:
quelli versar dalle pudiche vene
le mie schiere innocenti:
io regina di loro
rimasta sola in mezzo
all'esercito ingiusto,
puro serbando al cielo
dell'alma pudicizia il bel tesoro;
irriterommi al sen tutte le spade,
c'han dato morte al mio diletto coro.
Su giovine reale,
da tenere donzelle
di cristiana virtù prendi l'esempio:
vanne tra 'l popolo empio,
va' generoso eroe, confessa Cristo,
e fa' di nuovo regno in cielo acquisto.
Coro d'Unni, e di Sacerdoti di Marte, Gauno, Sant'Orsola, Ireo.
CORO D'UNNI
All'alma Venere
sacriamo il canto,
e Marte intanto
plachi i furori.
O diva degl'amori,
o Citerea vezzosa,
dolce stella amorosa,
ch'in ciel tranquilli ogni più fiero aspetto;
tu, ch'or infiammi il petto
al nuovo Marte, che tra gl'Unni impera;
placa per lui questa bellezza altera.
GAUNO
Che fai? Che pensi? A che ti lagni, o bella
prigioniera felice,
preda del vincitor trionfatrice?
Dimmi, si placa ancor l'irato core?
Conosci a qual onore
t'innalza amando il regnator degl'Unni?
Deh sì, bella mia dèa,
che lieto omai del tuo felice amore,
io, non invido a Marte
l'amor di Citerea.
Vivi lieta, mio sol felice sposa
meco verrai per i soggetti regni:
al tuo scettro, al tuo nome,
i re più chiari, i cavalier più degni
piegheran riverenti
le soggiogate chiome.
Io con l'irata destra
fulminerò gl'imperi:
tu co' bei lumi alteri
ferirai questo core:
io, guerriero di Marte, e tu d'Amore.
IREO
Lasso, a che più mi celo?
A che più mi riserbo, o regno, o vita?
Ah, che con la mia morte
son pronto a darti, o mio bel sol aita.
Signore: a queste piante,
a queste regie piante
ch'io di lacrime bagno,
vengo a chieder pietà misero amante.
Non son, qual forse credi
privato cavaliero: alto signore,
del gran re di Britannia il figlio vedi,
funesto esempio d'infelice amore.
Arte di regio core
e sollevar gl'oppressi: a questi preghi,
a questi amari pianti
giustissima pietade, ahi non si nieghi,
questa regia donzella
è dell'anima mia la miglior parte:
l'amai, servii, la desiai consorte:
ma lasso, altro dispose
di lei, di me l'inesorabil sorte.
Deh, se non men che forte
sei generoso, invitto re degl'Unni,
rendi a' miei lumi il sole,
rendi il mio core al petto,
rendimi omai colei,
ch'è vita, anima, e sol de' pensier miei.
Deh, de 'l valore immiti,
immita la magnanima pietade
di quel nobil romano,
che la sì bella preda
libera rese all'amatore ispano.
Questa nobil vittoria,
ch'otterrai di te stesso,
farà più chiara ogni passata gloria:
e ammireranno cavalieri, e regi,
della tua destra, e del tuo core i pregi.
Meravigliando il mondo
dirà: destino ingiurioso, e reo.
In mano ai re degl'Unni,
died'Orsola, ed Ireo,
ma la nobil pietà del re degl'Unni,
negando al proprio petto
illecito diletto,
Orsola rese, e sé beato Ireo.
Ma, se l'empio mio fato
non permette ch'io speri
da te quel dono, onde vivrei beato;
doppia in me le catene, accresci i lacci,
danna le regie membra
ad eterno servaggio;
ma lascia, che sicura
alla natia marina,
torni innocente vergine regina.
Misero, e se t'aggrada,
che sia riscosso a prezzo
di sì vaga beltà l'alto tesoro;
vedi quanto il mio regno
por lei può numerarti argento, ed oro;
vedi pur quanto sangue
ti pon dar le mie vene:
ed a sì caro prezzo
da' libertade al mio bramato bene.
Per lei, non poca parte
ti darò del mio regno,
per lei farò ch'a questi invitti piedi
mandi tributo il mio famoso padre;
il padre mio, che forse
or per altro desio della vendetta
armati legni a tua ruina affretta.
Ma, s'obliando esser guerriero e rege,
eleggi sol di far, quanto dispone
il tirannico affetto,
e non bella ragione,
deh pria, che tu mi tolga
questa del viver mio cagion gradita;
passa il ferro crudel per questo petto,
toglimi questa vita:
ohimè senza morire,
io non posso soffrire,
io non posso soffrir, che d'altri sia
questa rara beltà se non è mia.
GAUNO
O Marte, o nudo arciero,
potentissimi numi, un del mio core,
l'altro del vasto impero:
per voi, per voi mi veggio in un sol giorno
di real prigioniero,
e di bel volto amato
possessor fortunato.
Sappi, o tu negl'amori, e nelle guerre
temerario egualmente, ed infelice,
sappi, che solo lice
all'aquila real fissarsi al sole:
ogni men degno augello,
che ciò di far presume,
trabocca a' rai del troppo ardente lume.
Questo sol di bellezza
solo può sostenere il guardo mio:
cieca a tanta chiarezza
rimarrebbe la vista
del tuo folle desio:
quind'è, che quanto nega
al tuo sì basso merto
d'ingiuriosa stella il rio tenore;
concede al merto mio sorte, ed amore.
Usar teco pietade,
fora usar con me stesso
ingiusta crudelitade:
quant'il mio cor, più del tuo core intende
il merto di sì nobile bellezza,
più ne brama il possesso, e più l'apprezza.
Quel tuo nobil romano,
ch'adduci in chiaro esempio,
so pregi d'esser generoso, e pio:
io, pregerommi d'esser forte, ed empio,
pur ch'appaghi del core ogni desio.
Né per tesoro io vendo
il tesoro d'amore:
a compensar di sì gentil sembiante
l'indicibil valore,
non solo il regno tuo, non è bastante.
Ma l'impero del mondo è prezzo indegno.
Se tutto il tuo bel regno,
o l'ocean britannico m'aggrada,
dal tuo dono io non voglio
quel che posso ottener dalla mia spada.
Or tu del regio soglio
perdi ogni speme: e a' piedi miei soggiaci:
e questa, che mirare a te non lice,
io godrommi felice: or servi, e taci.
SANT'ORSOLA
Togli padre del cielo,
ch'io senta più quest'esecrabil detti.
Deh perché indugi tanto
dispietato furore
a lacerarmi il seno,
a saettarmi il core?
CORO
O diva degl'amori,
o Citerea vezzosa,
dolce stella amorosa,
ch'in ciel tranquilli ogni più fiero aspetto:
tu ch'or infiammi il petto
al nuovo Marte, che tra gl'Unni impera,
placa per lui questa bellezza altera.
GAUNO
Moviam sacri ministri,
moviamo al fiume in riva:
ivi all'altar dell'amorosa diva
celebransi i miei
fortunati imenei.
Vieni bella consorte,
vieni al mio soglio, e lascia
così noioso affanno.
SANT'ORSOLA
Vengo fiero tiranno,
vengo lieta alla morte.
Ireo rimanti in pace:
più non vedrami in terra:
ma se divino zelo
spegnerà questa tua non degna face,
ancor più bella mi vedrai nel cielo.
Ireo, ivi t'aspetto,
ivi t'appresto il soglio,
ove tu meco assiso
vedrai quanto più belle
delle real corone,
con corone di stelle in paradiso.
Venisti pur, venisti
ora delle mie pene?
Nell'occaso mortal tu pur t'apristi
alba d'eterno bene?
Fide compagne mie
attendete del cielo in sulle porte
la vostra amata duce,
che per sì care vie
a voi si riconduce.
O desiata morte,
o padre, o sposo, o dio,
a te lieta ne vegno,
a te lieta m'invio:
o padre, o sposo, o dio.
CORO
O diva degl'amori,
o Citerea vezzosa,
dolce stella amorosa,
ch'in ciel tranquilli ogni più fiero aspetto:
tu ch'or infiammi il petto
al nuovo Marte, che tra gl'Unni impera,
placa per lui questa bellezza altera.
Ireo, Orebo, coro di Cristiani.
IREO
Toglietemi di vita
fierissimo dolore,
aspra pena infinita,
toglietemi di vita.
Che più, che più ritardi
inconsolabil alma?
Fuggi da questo core,
spira da questo petto
tormentato ricetto
delle furie d'amore.
Barbaro il più crudele,
barbaro il più spietato,
che del Rifeo gelato
abitasse giammai l'orribil selve,
torna a star tra le belve
della Scizia natia,
e lascia, lascia a me l'anima mia.
È mio, è mio quel volto,
che tu crudel m'involi:
son miei quei vaghi soli,
che tu crudel m'hai tolto:
o cari lumi, o volto:
quant'ho per voi sofferto?
Quant'ho sparsi per voi pianti, e querele?
In premio or del mio merto,
da tiranno crudele,
ogni spietata gioia, ahi, m'è rapita.
Toglietemi di vita
fierissimo dolore,
aspra pena infinita,
toglietemi di vita.
OREBO
Ah, ch'infinito è 'l danno,
ed è ragion, che sia
infinito l'affanno.
IREO
Ove resto, ove sei
amatissima donna?
Luce degl'occhi miei
ove resto, ove sei?
A qual termin oh dio,
a qual termin sei giunto
anima del cor mio?
Ohimè, ch'in quest' arene,
tra scellerate spade,
o perder ti conviene
in questo dì la vita,
o perder l'onestade
vieppiù di lei gradita.
Toglietemi di vita
fierissimo dolore,
aspra pena infinita,
toglietemi di vita.
CORO
O lacrimabil sorte:
così tolta ne sei
desiata regina?
IREO
Deh se non è chi porte
alla bella mia patria il suon di queste
dolorose parole,
ferma pietoso sole
là sovra il regno mio, ferma le rote,
al real genitore,
a' servi miei fa note
l'alte di lei miserie, e 'l mio dolore.
Volate amiche prore,
volate a questo lido,
fate vendetta del tiranno infido,
che mi toglie il mio core:
volate amiche prore.
Che parlo? Ah non m'avveggio,
ch'indarno al caro padre,
indarno alle mie squadre aita chieggio?
Troppo è lungi il mio regno,
troppo sei tu vicina
amata mia regina
all'estrema partita.
Toglietemi di vita
fierissimo dolore,
aspra pena infinita,
toglietemi di vita.
CORO
Chi non piange signore
al tuo duolo, al tuo pianto,
ben ha di sasso il core.
IREO
Ditemi, o miei fedeli,
ditemi amici voi, che far debb'io
in così fiera sorte?
Il mio core, il bene mio
vorrei torre alla morte:
ditemi amici voi, che far debb'io
contr'infinito stuolo
giovin, privo del regno, inerme, e solo.
Ah, ch'io devo là gire,
dov'è l'anima mia vicina a morte;
ah, ch'io devo morire,
ma mora, mora prima
il barbaro villano,
mora l'empio ladrone,
ch'ogni mio ben mi toglie:
mia disarmata mano
prendi l'arma dall'ira,
prendila dalle furie
dell'acerbe mie doglie:
e contro quel fellone
fatti spada animata, o vivo telo,
o fulmine del cielo:
va' disperato amante,
va' tra l'iniqua setta,
va' del crudo tiranno a far vendetta,
poi lieto mori alla tua vita innante.
CORO
Segui fedele Orebo
il tuo caro signore:
noi qui restando intanto
l'onde del Reno accrescerem col pianto.
Arresta, arresta il piè:
dove ne corri, o misero?
Ah non sperar mercé.
Se la tua donna uccisero,
uccideranno te:
arresta, arresta il piè.
Ah, non sperar pietà
dal mostro crudelissimo,
ch'in te pietà non ha.
Giovine infelicissimo,
qual fin tua vita avria?
Ah, non sperar pietà.
CORO DI CRISTIANI
O quali in quell'arena
spettacoli daranno,
quinci l'unno tiranno,
quindi l'eroe, che la bell'Anglia affrena,
quindi ognor più costante
la diletta di dio pudica amante?
Ogn'aspra tigra ircana,
ogni serpe, ogni fiera
della stigia riviera,
vincerà Gauno con la rabbia insana:
e sien di lui più giusti
Diomedi, Scironi, Atrei, Procusti.
Dalle fiamme d'Orfeo
il celebrato grido,
e l'altr'amor d'Abido
farà tacer l'innamorato Ireo,
per il bel volto, poco
parragli entrar nell'onde, entrar, nel foco.
Dall'altra parte accesa
d'invincibil zelo,
e da' campion del cielo
verginella purissima difesa,
in mezzo al popol empio
fia d'alta pudicizia eterno esempio.
Ma d'ambedue la palma
ottenga la gentile,
che tema, ed amor vile
da sé sbandito, in dio beata ha l'alma:
ella il tiranno affrene,
e 'l suo troppo amatore a dio rimene.
Santa, divina face,
che la bell'alma accendi,
or tu dal ciel discendi
in giovin troppo amante, e troppo audace;
tu col tuo foco spegni
face di paradiso, ardor men degni.
Oggi, a divino affetto
ceda desire umano:
e se spietata mano
dev'al regio garzon passare il petto,
non per mortal desio,
ma cada per l'onor dovuto a dio.
Deh, se coppia sì bella
non fia quaggiù consorte,
per generosa morte
risplenda su nel ciel gemina stella:
e in quei beati campi
di puro foco al sol di gloria avvampi.
Dall'orgogliose labbia
minacci pur tormenti:
contro i petti innocenti
sfoghi il crudel l'infuriata rabbia:
di Cristo amante core
sprezza ogni morte, e vince allor che more.
Generale de' romani, Tribuno, coro di Soldati romani.
GENERALE
O della bella Italia, o del gran Tebro
invitti figli: al valor nostro è poco
difeso aver quel loco,
contro furor d'innumerabil campo:
da più degna vittoria.
Attendete guerrier più degna gloria.
Poscia che da barbarica fierezza
sospinto il fier tiranno,
fe' profondi torrenti
correr del femminil sangue britanno;
acceso all'ammirabile bellezza
della regina loro,
cerca sol come possa
quel magnanimo cor rivolto a Dio,
volger al proprio suo folle desio.
Quindi in riva del Reno,
ad empi sacrifici,
e a vani amori intento
ebbro vaneggia, e 'l guerreggiar non cura:
io dalle chiuse mura
nell'aperte campagne ora vi guido,
acciò sovra quel lido
tutta per le man vostre oppressa reste
l'abominata peste,
ch'ingombra di Germania i nobil regni.
Romani, or di voi degni
veggiansi i fatti: onde l'avversa gente
dall'armi vostre doma,
con suo gran danno impari
a riverire il sacro impero, e Roma.
TRIBUNO
Alla natia palude,
o vinto tornerassi il re superbo,
o sotto giogo acerbo
incatenato al trionfal tuo soglio,
fia spettacol' altero al Campidoglio.
GENERALE
Spieghisi dunque in alto
la sacrosanta croce, e 'l regio augello:
dien di battaglia il segno
ardite trombe in bellicosi carmi:
guerrieri all'armi, all'armi.
CORO
All'armi, all'armi.
Cordula, coro di Cristiani.
CORDULA
Dove corro infelice?
In qual antro mi celo
agl'occhi de' mortali. Al sole, al cielo?
Qual cerco inabitata aspra pendice?
Ah, che dovunque io movo il mesto piede,
la tradita regina, e Dio mi vede.
Così Cordula vile,
così lasci l'insegna
di tua schiera gentile?
O troppo, troppo indegna
alla donna real d'esser compagna,
dal suo beato coro
qual sì basso timore, ahi, chi ti scompagna?
CORO
Donzella, il passo arresta.
Qui vedi amica gente
non meno afflitta, e mesta:
dinne, per qual tua sorte
ti sottraesti al micidial furore?
CORDULA
Per viltà, per timore.
Non fui degna di morte:
ma, lassa or c'ho veduta
in quel fiero terreno,
la diletta regina
da spietata saetta aperta il seno,
più non temo il morire, anzi lo bramo,
e morte, morte ad alte grida io chiamo.
CORO
O spietata fierezza:
il fior delle regine,
il sol della bellezza,
la fenice d'Europa ebbe tal fine?
CORDULA
Amici, ah non piangete
l'estrema sua magnanima partita:
piuttosto vi dolete,
che fra tanta viltade io resti in vita.
CORO
Fu divino volere,
che sola tu non rimanessi estinta,
per far a noi palese,
quanto soffrì tra dispietata gente,
per la fé del suo dio donna innocente.
CORDULA
Il generoso ardire,
l'invincibil costanza, e la sua fede,
son contenta narrarvi, e poi morire.
CORO
Vedi come ciascuno
con lacrimose ciglia a te lo chiede.
CORDULA
In solitaria parte
stavami ascosa, e 'l vergognoso scampo
semiviva attendeva;
quando mirai di nuovo il fiero campo
tornar con alti gridi
d'una folle letizia, agl'empi lidi.
Venia la mia regina
tra l'orgogliosa gente,
sì nel volto ridente,
che ben esser parea a dio vicina:
nulla l'anima bella
movean lusinghe, o preghi,
o di certo morir fiera novella.
CORO
O come, o come è vero,
che chi ben ama dio di nulla teme.
CORDULA
Giunto il fiero tiranno ove si scorge
eretto a forza dea profano altare,
ivi qual è costume
della barbara Scizia,
ebro guidò carole
al simulacro dell'infame nume,
e profane cantò folli parole.
Finito il sacrifizio, e l'empia danza
baldanzoso si mosse, ove rivolto
al cielo, il core, e 'l volto
la vergine real languiva in dio:
al tartareo desio
sciolse poi tanto il freno,
ch'a quel pudico seno
corse per avventar l'impure braccia:
parve ch'allor dalla divina faccia
saettasse per lei sdegnato il cielo
folgor di riverenza, e di timore:
dal celeste splendore
atterrito quell'empio
si trasse addietro, e in lei lo sguardo affiso,
che tutta ardendo in volto
di nobil'ira in guisa tal gli disse.
Stanne da me lontano
barbaro scellerato,
e non osar la temeraria mano
stender in questo corpo a dio sacrato.
Serva son io di Cristo, e sua consorte:
ti basti a darmi morte,
a mandarmi contenta al mio bel coro,
ch'i falsi dèi disprezzo, e Cristo adoro.
CORO
Generoso ardimento, e di te degno
purissima donzella,
fatta regina omai d'eterno regno.
CORDULA
A' magnanimi detti
l'orgoglioso tiranno accolse in seno
tutta l'ira d'Averno,
e delle furie la spietata rabbia:
gonfiò l'orrida labbia,
spirò da fieri lumi atro veleno
in sembiante feroce
curvando poscia l'arco,
parve il cielo atterrir con l'empia voce.
Or va', femmina vile, or va', le disse,
l'amor nostro disprezza,
oltraggia i nostri numi, e Cristo adora.
Amici udissi allora
sonar l'orribil arco,
e per l'aria volar l'acuto strale,
che sulle rapid'ale
giunto al candido seno, ivi s'immerse,
e 'l puro cor aperse.
CORO
Crudeltade infinita:
o mansueta agnella,
quando cadde giammai
vittima al re del cielo così gradita.
CORDULA
Cade la verginella
sovr'il suol genuflessa:
sparge il pudico sangue,
e come rosa langue,
da troppo ardore, o troppa pioggia oppressa.
Fur delle caste labbra
il nome di Gesù gl'estremi accenti:
i bei lumi ridenti,
si chiuser poscia: e dal beato velo
volò la nobil alma
di mortal guerra a trionfar nel cielo.
CORO
Felice lei, che seppe
cangiar lo scettro in sempiterna palma.
CORDULA
Ahi, che mi par vedere,
che dall'eterna soglia
di me cercando, il divin guardo giri;
e se doler si puote, ora si doglia,
che me nel suo trionfo ella non miri,
o regina, o signora
attendi, attendi ancora
la tua Cordula amata,
riserba ancora a me la palma mia:
per l'istessa tua via
già ti seguo veloce,
già volo pronta alle celesti porte.
Alla morte, alla morte.
CORO
Alle perfide squadre ella se n' riede:
o generosa emenda, o quanto puote
in un'alma pentita ardor di fede.
Orebo, coro di Cristiani.
OREBO
Compagni udite, e date lodi a dio:
mentre ch'inerme, e solo
il vostro, il mio signore,
animato dall'ira,
e trafitto dal duolo,
là se ne giva, ove credeva innanti
al superbo tiranno
viva trovar la gloriosa duce;
ecco ch'in un istante
l'alma di lei beata,
allor disciolta dal mortal suo velo,
vibrando lampi d'infinita luce,
gli rifulse dal cielo:
e con amabil volto,
e soave parlar di paradiso,
tutt'il cor gl'ingombrò di santo zelo.
Egli, venuto degno
di mirar l'ineffabile beltade
fatta beata nell'eterna gioia,
ogni affetto mortale ha preso a sdegno:
arde solo nel cielo,
e brama sol potere
per la gloria di dio,
cader trafitto in mezzo all'empie schiere.
Ma vedete, ch'appunto
egli di qua se n' viene,
forse per dar a voi l'ultimo addio.
Ireo, Orebo, coro di Cristiani.
IREO
È morta la mia vita:
anzi è luce novella
al più bel ciel salita.
Pur or la rimirai
tra le vaghe carole
di giovinetti alati,
vieppiù bella del sole
ascendere gl'immortal seggi beati.
Udii pur ora il suono
di sua dolce favella
biasmar dal cielo i miei terreni amori,
ed infonderm'al cor celesti ardori.
Degno solo di dio
eri, o beato volto,
e tropp'offesi io,
pura celeste stella,
ne' miei bassi pensieri in terra involto.
Perdona anima bella
se troppo amai la tua caduca spoglia:
perdona a' folli detti,
che sciolse il cor per disperata doglia:
or di più bel desio
avvampando nell'alma,
nella celeste tua cangiata forma
adoro solo il tuo fattore, e mio.
Sì, che seguir' io voglio
quell'istesse bell'orme,
che tu pur or segnasti:
sì, che nel divin soglio
vo' portar quella palma,
che tu pur or portasti:
o cara: o beat'alma
se non sdegnasti in vita
consolarmi talor di tue parole,
or dall'eterno sole
mandami un raggio di celeste aita,
onde da questa notte a te me n' vole.
O cara, o beat'alma
ecco com'io conforme al tuo volere
il santo nome a confessar di Cristo
vo tra l'inique schiere.
Passi a me questo core
quella man dispietata,
che ti trafisse il seno:
beato venir meno,
dolce sorte beata,
s'avverrà, che per merto
del tuo pudico sangue,
gradisca il re del cielo il morir mio.
O padre, o regno addio.
Addio fedeli amici:
non sia di voi chi vieti
al suo caro signore opra sì pia,
che 'l vietarmi il morire
con ingiusta pietade,
sarebbe tormi un immortal gioire.
Voi, (se mai libertade
da squadre avrete di pietà rubelle)
là nel paterno lido,
dite al mio genitor, che più bel regno
m'han donato le stelle,
e ch'in soglio di gloria ivi m'affido.
Io, qui vi lascio amici,
e seguo, ove mi chiama, ardente zelo:
vivete voi felici,
né piangete per me, ch'io volo in cielo.
CORO
Dove ne lasci soli,
o nostra amata guida?
Chi senza te n'aita, e chi n'affida?
Ma se voce di dio
è quella, che ti chiama,
segui signor tua brama,
ch'io non so ritardar ardor sì pio:
addio signor, dolce signor addio.
OREBO
Ohimè, ch'il fier tiranno, il crudo mostro
nuda tenendo in man la fiera spada
se n' vien da questa parte:
ohimè, ch'appunto incontra il signor nostro:
ahi con quanto furore
verso di lui si move?
CORO
Vedete come le ginocchia a terra
posto il real garzone,
con magnanima voce
si palesa di Cristo,
esser vero seguace.
OREBO
Oh dio, di quanta rabbia
freme quel crudo all'odiato nome?
Ah, che sovra gli corre:
ah, che per l'auree chiome
prende il bel giovinetto,
e la spada crudel gli passa il petto.
CORO
Questo novello scempio
ancor sopporti, o terra,
e non tranghiotti l'empio?
OREBO
O spettacolo atroce,
vedete come calca
quella rabbiosa fiera il regio volto:
eccolo a noi rivolto:
compagni, armiam di fede,
armiam di fede il seno:
incontriamo ogni sorte
di tormento, e di morte,
che vive eterno chi per dio vien meno.
Gauno, Orebo, coro di Cristiani.
GAUNO
Così vada qualunque
segue di Cristo il detestato nome:
vada come quel folle,
che giace là dal ferro mio trafitto:
ma dove, o Gauno invitto,
dove son le tue tante armate genti?
Dov'il campo infinito, onde pur ora
minacciavi le stelle, e gl'elementi?
Ah, che mentre tu feri
femmina vile, ed uomo inerme, e solo,
l'orgoglioso nemico, i tuoi guerrieri,
t'ancide a stuolo, a stuolo.
Trionfa nazareno, hai vinto, hai vinto:
sovra quel lido estinto
tutto giace il mio campo:
ed io che volger feci
a tutt'Europa il tergo,
io con indegna fuga
da' feroci romani appena scampo.
Ahi, che serpi, che furie al cor mi sento?
Qual fiamma mi circonda?
Chi mi sgrida dal ciel, chi mi flagella?
Sei tu cruda donzella:
Orsola certo sei,
che lo stral che t'ancise,
mostri di fulminare agl'occhi miei.
Or contr'a me discendi,
venga meco a battaglia
il tuo Cristo, il tuo dio,
e vegga chi più vaglia,
l'odiata sua croce, o 'l ferro mio.
Qui per l'orrenda bestemmia cade un fulmine sopra il Re, e la terra l'inghiotte, cade ancora fulminato il tempio di Marte, e l'idolo va in pezzi.
OREBO
O divina vendetta:
scesa sull'empia fronte
giustissima saetta,
di natura, e del ciel vendicò l'onte.
Dov'è l'iniquo corpo? Ah che la terra,
a quel fiero rimbombo il grembo aperto
l'ha tranghiottito entro gl'orrendi abissi.
Purgasti pur il sole
d'oggetto tanto immondo:
sgravasti pur la terra
di sì noioso affanno,
scellerato tiranno,
peste della natura, odio del mondo.
Va' nella reggia eletta
a' tuoi misfatti atroci:
va' da dio maledetta
nel più profondo centro anima infida!
Ivi durino tanto
i dovuti tormenti, e le tue strida,
quanto d'Orsola in ciel la gioia, e 'l canto.
Centurione romano, Orebo, coro di Cristiani.
CENTURIONE
Libertà, libertà, misere genti:
ha vinto il roman duce,
son gl'unni in tutto spenti,
libertà, libertà, misere genti:
sentite il latin campo
pien di preda, e di gloria
di lietissimo suon ferir le stelle:
io, dell'alta vittoria
in Colonia me n' volo a dar novelle.
CORO
Verrà, verrà quel giorno
cari paterni tetti,
che noi liete facciamo a voi ritorno?
Quando vi mireremo amati porti?
Quando vi stringerem figli, e consorti?
OREBO
Ecco le squadre amiche:
altri dietro si trae le vinte insegne,
altri porta in trionfo elmi, e loriche.
Vedete il nobil duce
ornato il crin di meritato alloro,
altero fiammeggiar tra l'ostro, e l'oro.
CORO
Ecco dall'altra parte:
e d'olivo, e di fior cinti la fronte
incontro a' vincitori
da Colonia venire allegri cori,
e risonar vittoria il lido, e 'l monte.
Coro di Soldati romani, coro di Nobili di Colonia, Generale de' romani.
CORO DI SOLDATI ROMANI
Viva il Tebro, Italia viva:
del mio duce il chiaro nome
voli omai di riva in riva.
Cinga la pace il crin di lieta oliva.
CORO DI NOBILI DI COLONIA
Piango Meoti
d'ogni suo figli
i lidi voti:
tutto vermiglio
al mare in seno
trascorre il Reno.
CORO DI SOLDATI ROMANI
Su figli spenti
svellan la chioma
madri dolenti:
festeggi Roma,
e 'l Tebro suone
palme, e corone.
GENERALE
Fortissimi guerrier, s'in quella riva
da così poche squadre
esercito infinito oggi cadeo,
vostra pietade ascriva
alle sante donzelle
là per Cristo trafitte,
ogni nostra vittoria, ogni trofeo.
Io stesso, io stesso vidi
su ne' campi immortali
schierate le castissime guerriere,
dalle gole innocenti
trarsi gl'acuti strali,
e quelli riversar sull'empie genti.
Questo che 'l crin mi cinge altero alloro,
io da te riconosco
bella duce immortal del casto coro.
Grato a tanta mercé, dell'alte spoglie
da' miei forti romani al popol' empio
ritolte in nobil guerra,
a te giuro sacrar sublime tempio,
e 'l tuo nome adorar prostrato a terra.
CORO DI SOLDATI ROMANI
Viva il Tebro, Italia viva:
del mio duce il chiaro nome
voli, omai di riva, in riva.
CORO DI NOBILI DI COLONIA
Cinga la pace il crin di lieta oliva.
GENERALE
Ite, voi che in Colonia albergo avete
popoli liberati:
ite, e fia vostra cura
ornare i patrii tempi
degli sparsi cadaveri beati.
Riposi il mortal vostro
sacrosante donzelle in quelle mura:
ivi, tra gl'odorati arabi fiumi,
e tra divine lodi,
ardan' a' vostri altari eterne faci,
e siate contr'a' barbari rapaci
dell'imperio roman fide custodi.
CORO DI SOLDATI ROMANI
Viva il Tebro, Italia viva:
del mio duce il chiaro nome
voli, omai di riva, in riva.
CORO DI NOBILI DI COLONIA
Cinga la pace il crin di lieta oliva.
Qui per applauso della vittoria fu ballato da nobilissimi cavalieri della corte di Toscana, rappresentando parte di loro, Soldati Romani, e parte, Nobili di Colonia. Cangiossi di poi la scena in un bellissimo paradiso, dove in mezzo alle sue sante vergini, e tra cori di santi martiri fu vista trionfar Sant'Orsola.
Trionfo di Sant'Orsola in cielo, Coro di Santi Martiri, Sant'Orsola.
CORO
Vieni alle piagge immortalmente belle,
o sol di castitade
intorno cinto di pudiche stelle.
Questi soavi canti
spiegan i pregi della tua vittoria:
alla più alta gloria
vieni, o bramata dagl'eterni amanti,
e nel divino amore
appaga il guardo, e fa beato il core.
SANT'ORSOLA
O bei campi delle stelle
ingemmati di zaffiro,
a voi vengo, e tra voi spiro
luminose anime belle.
Deh quai festeggiano
schiere divine?
Deh quai lampeggiano
raggi al mio crine?
CORO
Vieni alle piagge immortalmente belle,
o sol di castitade
intorno cinto di pudiche stelle.
SANT'ORSOLA
Sommo bene, eterno dio,
in qual gloria ora mi veggio?
Pur ti godo, e ti vagheggio
dolce fin del mio desio.
Deh qual circondami
beato lume?
Deh qual inondami
di gioia fiume?
CORO
Vieni, o bramata dagli eterni amanti,
e nel divino amore
appaga il guardo, e fa' beato il core.
SANT'ORSOLA
Qual tu sei senz'alcun velo
puro sol di paradiso
ti contemplo, e in te m'affiso
alma luce, amor del cielo.
Deh sempre accendimi
mio divo amore?
Deh sempre splendimi
sol del mio core.
CORO
Vieni alle piagge immortalmente belle,
o sol di castitade
intorno cinto di pudiche stelle.
SANT'ORSOLA
Piaghe mie, beate piaghe,
pegni eterni di mia fede,
qual si porge a voi mercede
piaghe mie del sol più vaghe?
O morte amabile,
o mio cordoglio,
per voi mirabile
nel cielo ho soglio.
CORO
Vieni, bramata dagl'eterni amanti,
e nel divino amore
appaga il guardo, e fa' beato il core.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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