Scena prima |
Asmodeo, Lucifero, Furia infernale, coro di Demoni. |
(♦) <- Asmodeo, Lucifero, Furia infernale, demoni |
ASMODEO |
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LUCIFERO |
Che brami, o tu, che de' mortali al petto primo guerrier d'Averno spiri la face di lascivo affetto? Qual cerca la tua man di nuovo vanto erger trofeo nella città del pianto? | |
ASMODEO |
Deh, non aggiunger pena con sì famosa lode alla pena immortal, che 'l sen mi rode. Tempo già fu, che l'infernale arena colmai d'altere prede: allor, che finta madre dell'impuro Cupido, in Amatunta, in Gnido, e nell'alta Citerea ebbi la fede: ora più vil nemico il bestemmiato ciel di me non vede. | |
LUCIFERO |
Chi tante glorie atterra? Chi t'usurpa quel soglio, che l'armi invitte stabiliro in terra? | |
ASMODEO |
O vergogna immortal, donna mortale fammi perpetua guerra, distruggi i tempi, e 'l nome mio calpesta. Orsola, o re d'Averno, o tartarei compagni, Orsola è questa real sangue britanno: ella d'ogni mio duolo, ella è fiera cagion d'ogni mio danno. Ah cruda, ah che non solo fece l'empio del ciel le caste membra; ma tutto desolando il regno mio, di seguaci donzelle immenso stuolo toglie al mio foco, e 'l serba puro a Dio. | |
FURIA INFERNALE |
Così (legge crudel) sovra le stelle s'empieranno le sedi a noi dovute, noi su l'arso Acheronte a dio rubelle sospireremo il cielo alme perdute. | |
ASMODEO |
Aita invitto re, compagni aita: ancor ne' nostri petti la possanza immortal non è smarrita. | |
LUCIFERO |
Odimi, o tu, che nell'amico campo in sembianza di Marte hai (malgrado del ciel) divino onore: odimi tu ministro di torbid'ira, e d'infernal furore. | |
FURIA INFERNALE |
A te vengo signore: son pronte a' cenni tuoi queste, ch'in man sostengo atre ceraste, pronte del campo mio le spade, e l'aste. | |
LUCIFERO |
Te, nelle schiere al mio gran nume infesto scelgo di Stige a vendicar gl'affanni: fa' tu, che pianga il ciel gl'estremi danni, e 'l nemico immortal deluso reste. | |
FURIA INFERNALE |
Or quanto brami impera. | |
LUCIFERO |
Là, dove cinge intorno di Colonia le mura il re degl'Unni; andranne in questo giorno l'odiosa regina, e la sua schiera. Tu mentre i micidiali popoli amici tra canti e sacrifici ti chiederan vittoria; palesa al re crudele, che s'ei vuol far di quelle mura acquisto, mandi ad onta di Cristo il campo ad assalir le ree donzelle: sì che, perduto prima il sì gradito al ciel fior d'onestade, restin trofeo d'infuriate spade. | |
ASMODEO |
O vendetta bramata: rido nel pianto eterno, e già parmi eseguito il tuo volere: non si chiude in Averno alma più scellerata di Gauno re, delle malvage schiere. | |
FURIA INFERNALE |
Dispiego tosto il volo, per impor quanto brami all'empia setta: tu quando tempo fia, con quanto stuolo in Flegetonte regna vieni signore alla fatal vendetta. | |
LUCIFERO |
Verrò, che di mia man l'impresa è degna. | |
CORO DI DEMONI | ||
Asmodeo, Lucifero, Furia infernale, demoni -> | ||
Scena seconda |
Generale de' romani, Tribuno dell'esercito, Centurione, coro di Soldati romani. |
Generale, Tribuno, Centurione, soldati romani |
GENERALE |
l'esercito degl'Unni le vicine riviere, e i ricchi piani; fortissimi romani, atto parmi miglior di saggio duce, in quei chiusi ripari frenar di Marte il rapido torrente, che con forze dispari esporsi incontro a innumerabil gente. Sia dunque nostra cura di Colonia lo scampo, sin che miglior ventura ne porga il ciel di debellar quel campo. Quinci all'onor di Roma vegliando intenti, ed all'altrui salute, mostrate, e con l'ardire, e con la fede, ch'in magnanimo core, nel periglio maggiore, è più virtute. | |
TRIBUNO |
Guidane invitto duce, o dove serve intollerabil vampo nell'arene di Noto: o dove Borea accampa l'eterno ghiaccio in aspro lido ignoto: guidane a fiera guerra, o fra l'orride Sirti, o nel centro ne serra; questi cor, questi ferri, ove ne guidi sempre ti saran fidi. | |
CENTURIONE |
Mira l'armate destre, ch'alziamo al ciel di nostra fede in segno: sien queste a te signor sicuro pegno, che co' propri sudori, e con l'onde del sangue irrigheremo i tuoi guerrieri allori. | |
CORO DI SOLDATI ROMANI | ||
GENERALE |
Lodo il nobil affetto, e lieto prendo dagl'animosi accenti i pronti giuramenti. Giuro ancor'io per questa armata testa, che per voi cingerò d'eterna fronde, per le ceneri sacri, e per l'impero altissimo di Roma; giuro in qualunque sorte or duce, ed or guerriero, egual partir con voi perigli, e prede, e d'ogni fido, e forte compensar' il valor, l'amor, la fede. Su dunque amici il piede fermiamo in queste mura: queste del fiero re tolte all'offese ne daranno l'onore, ch'allo spartan valore dier l'anguste Tèermopile difese. | |
CORO DI SOLDATI ROMANI Questi cor, questi ferri ove ne guidi sempre ti saran fidi. | Generale, Tribuno, Centurione, soldati romani -> | |
Scena terza |
Coro di Soldati unni, Gauno lor re, Ismano. |
<- soldati unni, Gauno, Ismano |
CORO DI SOLDATI UNNI | ||
GAUNO |
confida sì la temeraria gente in Colonia racchiusa, ch'alla novella sol del venir mio le porte non disserra? E già prostrata a terra non mi chiede piangendo, e pace, e vita? Dovrebbon pur le stragi, e le ruine, e de' Medi, e de' Daci, dovrebbe l'Istro, e 'l Reno, ambi sotto al mio freno, a superbi insegnar popoli audaci, che flagello del cielo, e turbine di sdegno scende la destra mia sovra ogni regno. | |
ISMANO |
Signor, vivi sicuro: pagherà con la morte il folle ardire chi tanto si confida in chiuso muro. Vedi l'insegne omai spiegate in alto, vedi in quanto terreno accolte sono le tue schiere feroci: mira i fieri sembianti, odi le voci in che terribil suono dell'avversa città chieggion l'assalto. | |
CORO DI SOLDATI UNNI Alle mura, alle porte guerra, guerra, furore, incendio, e morte. | ||
GAUNO |
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ISMANO |
Volgi signor lo sguardo a questa parte: ecco il duce Arimalto moderator della tua forte armata: il marittimo Marte, ch'a te dal mar se n' riede. Gran re nuovi trionfi nuov'onor, nuove prede: vedi, ch'a' nostri dèi nemica schiera lo segue prigioniera. | |
Scena quarta |
Arimalto, Gauno, Coro. |
<- Arimalto |
ARIMALTO |
io, tuo fido Arimalto, ch'i mari a te so fermi, e i venti amici, dal trascorso oceano, porto a gloria di te nuove felici. Là, negl'umidi regni, cento d'Anglia, e d'Irlanda affrontammo pur or guerrieri legni: pugnammo: e la tua sorte sull'onde accompagnò la virtù nostra. Arsa dalle tue genti parte restò della nemica armata, parte dispersa al tempestar de' venti inghiottì l'onda irata. Questo misero avanzo dell'acerbo conflitto, cinto di ferreo laccio ti porto, acciò lo calchi il piede invitto, e t'offerisco pronta ne' perigli maggior di questa guerra, del cor la fede, ed il valor del braccio. | |
GAUNO |
Abbiam vinto nell'onde, tosto vincasi in terra: ite guerrieri, ite ver quella parte, ove sembra men forte il sito e 'l muro: ivi quell'assalite empia cittade; abbattete, ancidete quanto ponno incontrar l'irate spade: provin dell'ira mia dovuti scempi, vegli, donne, fanciulli, altari, e tempi. | |
CORO DI SOLDATI UNNI Alle mura, alle porte guerra, guerra, furore, incendio, e morte. | soldati unni, Gauno, Ismano, Arimalto -> | |
Scena quinta |
Ireo, Orebo, coro di Cristiani. |
<- Ireo, Orebo, cristiani |
IREO |
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OREBO |
Che veggo, ohimè, che questi è 'l figlio del re d'Anglia. O generoso Ireo, o mio signore: a che misero segno oggi t'ha spinto lacrimabil sorte? Così nel patrio regno attendi dunque la real consorte? O regia casa afflitta, o fiere stelle. | |
IREO |
Dove, dove ti veggio, dove ti trovo, o mio diletto Orebo? Oh con quanto martire, per aver nuova di colei, ch'adoro, misero, ho sospirato il tuo venire. | |
OREBO |
Ah, ch'il legato piede m'ha, vietato di fare a te ritorno. Ohimè, ch'a mio malgrado tra le barbare squadre io fo soggiorno. | |
IREO |
Dimmi, qual hai novelle del mio sol, del mio cor, della mia vita? Di', se con tante tue caste donzelle ancor dal mar natio, ha verso il regno mio fatta partita? | |
OREBO |
Signore, a' cenni tuoi andai per ritrovar Orsola bella, che l'alma t'innamora: e vidi, vidi allora tutto il bel della terra in mare unito. Ella dal patrio lito vaghe purpuree vele avea già sciolte, e di caste guerriere belle innocenti schiere su pacifici legni eransi accolte, per lo mobil argento tra dolcissimi canti, lieto se n' gia l'esercito pudico; ed a mirar tanta bellezza intento, sfavillava di gioia il cielo amico. Se dal carcer antico traeva l'ombre la gelata notte; la bellissima duce con la face di Cinto gareggiava di luce: e dalle caste ancelle spesso mirossi vinto nel notturno seren coro di stelle: poi nel vago mattino videsi al dileguar del fosco velo, ceder al sol del mare, il sol del cielo. | |
IREO |
Sospirata bellezza, bramato oggetto mio, sentir lodarti, e non poter gioire, doppia all'alma il martire, e nel vietato ben cresce il desio: bramato oggetto mio. | |
OREBO |
Giunto, dove sedendo in aurea poppa l'ammirabil regina, dava legge al suo coro, e gioia al mare, inchinai da tua parte l'alma luce divina, che folgoravan le bellezze rare: rammentai, che finiti eran quegl'anni, ch'alle sospese nozze ella prefisse, e la pregai nel fine, che de' regni britanni venisse lieta a coronarsi il crine. | |
IREO |
Lasso, che ti rispose? | |
OREBO |
Cortese ella m'accolse, e poi sì disse. Torna servo fedele al tuo signore, digli, che lieta vegno a' tormenti, alla morte, e non al regno. | |
IREO |
Portino seco i venti auguri così rei: o i minacciati mali sfoghi l'irato ciel ne' danni miei. | |
OREBO |
Confuso al tuo bel soglio con la mesta risposta io ne venia: ma volse, ahi lasso, il mio crudel destino, ch'incontrassi per via, degl'unni predatori avverso stuolo: or sotto acerbo freno piango la libertade, e 'l natio suolo: e vieppiù fiero sento farsi nel tuo dolore il mio tormento. Ma, deh, come qui sei, signor, qual empia sorte oggi ti mostra tale agl'occhi miei? | |
IREO |
Ah, che più non potendo soffrir la tua dimora, e 'l mio dolore, là nei soggetti mari diedi all'ale de' venti armate prore, e sovra quelle assiso, io stesso andai per l'onde a cercar il tesor di quel bel viso. Ohimè, mentr'io credea, ch'amor insieme, e 'l vento mi guidasser in porto alla mia dea, ecco, ch'in un momento io vidi armarsi il ciel d'ombre profonde, ed a guerra mortal disfidar l'onde. Allora, allor cred'io, non le bocche de' venti, ma di furie infernali rivolte a danno mio, per l'aria imperversar l'orribil' ali: e con quanto furore accoglie Averno tutte versar sulle mie stanche antenne le tempeste del mare, e dell'inferno. | |
OREBO |
Onda fiera, e sdegnosa, dovevi a tanta fede, dovevi a tanto amore esser pietosa. | |
IREO |
Ecco, mentre egualmente proviamo il ciel contrario, e 'l mar crudele, del tiranno degl'Unni, ecco repente venirne ad assalir predaci vele. Contro il ciel, contro il mar, contro i nemici, in quell'orribil campo pugnai, questi pugnar diletti amici. Perduta alfin de' miei nell'assalto crudel la maggior parte, cedei, poi che sì volle il cielo, il mare, e Marte. Ma sappi, o mio fedele, che quando in vil servaggio mi vidi trar sovra gl'infami legni, se quell'indegno oltraggio allor non mi diè morte, fu sol, perché sperai, che la bramata mia real consorte, potesse forse compensar' un giorno con le dilette braccia l'ingiusto ferro, che 'l mio collo allaccia. | |
OREBO |
O del mar d'Aquilon nobil regina, bella mia patria, o sconsolato regno, qual pur or rimirasti nel tuo famoso soglio il tuo signore, e mio, e qual, qual lo mir'io tra 'l barbarico orgoglio? | |
IREO |
In questo mar d'affanno, questa sol mi lusinga aura di speme, quest'unico conforto il mio già morto core in parte avviva: i barbari non sanno, che tra loro io mi viva ma nell'onda crudel mi credon morto: così più facil via fors'avverrà, ch'io trovi alla vostra salute, ed alla mia; e che felice sposo, ancor mi veggia viver col mio bel sol, l'alta mia reggia. | |
OREBO |
Benigno ciel seconde così care speranze, e noi rimeni alle paterne sponde. | |
IREO |
Spera fedele Orebo: sperate voi, fidi compagni amati. Là su' lidi bramati del famoso Tamigi, libero regna ancor l'invitto padre: cento guerriere squadre verran per noi alla paterna arena; ma più, sperar mi giova, che la destra del ciel, di sdegno piena sovra l'unno crudel fulmini piova. | |
CORO DI CRISTIANI | ||
Addio, per sempre addio, nativi tetti: addio, per sempre addio, patrio terreno chi stringeravvi al seno care gioie di noi figli diletti? O conforto gentil de' nostri petti, nostra più cara parte, o bramate consorti, quanto ciel, quanto mar da voi ne parte? Fato dove ne porti? Per quali vi cangiamo infami nidi, amate arene, e sospirati lidi? Miseri noi, dov'è più fosca, ed aspra l'aria crudel dell'iperboreo polo, dove di Borea il volo a' deserti Rifei la fronte inaspra: o dove Teti mai non si disaspra; di vilissima plebe condennati alla rabbia, sarem costretti a rivoltar le glebe della scitica sabbia: e da braccio plebeo, spietata verga ne vedrem flagellar le nobil terga. Felici quei, che d'onorate piaghe i fortissimi busti aperti in guerra, or lungi dalla terra l'alme piagge del ciel rendon più vaghe. Non san, beati lor, come s'indraghe contro un libero core la tirannica fiera: ohimè, che delle furie assai peggiore, quest'umana megera dal fiero petto, e dall'irata faccia tutt'i mal dell'inferno a noi minaccia. Solo, il vostro valore, alme latine, che quelle difendete amiche mura, in parte n'assicura, tra tante irreparabili ruine. Vinceste della terra oltre il confine, e del sole, e dell'anno trapassaste le mete: or di barbare squadre un vil tiranno ben' atterrar potrete: alme chiare latine, a voi s'aspetta della terra, e del ciel alta vendetta. Chieggion pietà, gridan vendetta a Roma, sparso il lacero crin donne, e donzelle, e pure verginelle tratte dagl'empi per la sacra chioma, il vinto Illirio, e la Pannonia doma, e ridotti in faville. Ed adeguati al suolo di Dacia i tetti, e le germane ville, e delle turbe incatenate il duolo; per loro, e per le misere contrade, a voi con flebil suon chieggion pietade. O dio, vedete diluviar dall'Orse altre tempeste di guerrieri lampi, e dell'Ausonia i campi il turbin minacciar, che qui trascorso deh, dall'invitte destre, onde risorse più volte Europa afflitta, in mezzo a tanto orgoglio, questa belva infernal resti trafitta. E nel mortal cordoglio s'avveggia, come le superbe fronti Roma fere a' tiranni, e 'l cielo a monti. | ||
Apresi una voragine, dove si vede un lago di fiamme.
(la voragine si riserra)
La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l'idolo di Marte, e dall'altra un bastione, che si sporge in fuora dal resto delle mura: nella lontananza apparisce la città di Colonia, il fiume Reno, e più oltre la campagna dove sono attendati gl'unni.
Lodo il nobil affetto, e lieto prendo
O desiata sposa, o padre, o regno