Scena prima |
Gauno, Ismano, coro d'Unni. |
(♦) Gauno, Ismano, unni |
GAUNO |
Questi son dunque i temerari vanti? Questi i superbi voti? Così mi prometteste, di catena servil cinto la fronte, condur dal proprio fonte il Tebro a riverir l'alta Meoti? Ed ora, un debil muro, un debil muro affrena l'esercito, terror dell'occidente? Ite mal nata gente, lasciate della guerra il nobil uso e tra femmine vili la man volgete alla conocchia, e al fuso. | |
ISMANO |
Signor, non diffidar de' servi tuoi: sforzo di nuova guerra, farà cader l'avverse mura a terra. Ma, vedi fuor del tempio d'altissimi pensier carco la fronte il tuo sacro Oronteo, che a te se n' viene. | |
Scena seconda |
Oronteo, Gauno, Furia infernale, coro d'Unni. |
<- Oronteo |
ORONTEO |
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GAUNO |
Tosto il divin volere a noi dispiega: dinne perché vittoria all'invincibil unno oggi si nega. | |
ORONTEO |
Orsola, di re figlia, di sacrileghe donne insieme unita numerosa falange, trionfatrice ardita, or per l'onde trascorre, or per la terra, e d'ogni nostro nume danna gl'antichi riti, e i tempi atterra. Marte vendicatore a questo fiume, dalle paterne rive oggi l'ha scorta, acciò con l'empia setta, sia dal tuo campo, e violata, e morta. Or non sperar già mai vittoria, o re, da queste squadre ardite, se queste tu non dai vittime a Marte, e a Citerea gradite. Ma quale il tempio scuote improvviso tremore? Odi, invitto signore, dell'adorato nume odi le note. | |
<- Furia infernale | ||
FURIA INFERNALE |
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GAUNO |
Sacro, potente nume, quanto nel campo mio sei riverito, sarai tanto obbedito. Guerrieri, in quella parte dispiegate l'insegne, pronti gl'imperi ad eseguir di Marte. | |
CORO D'UNNI | Gauno, Oronteo, Ismano, unni, Furia infernale -> | |
Scena terza |
Lucifero, coro di Demoni, Asmodeo, San Michele, coro d'Angeli. |
<- Lucifero |
LUCIFERO |
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<- Asmodeo, demoni | ||
CORO DI DEMONI | ||
ASMODEO |
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LUCIFERO |
Crudo ciel, fiere stelle, farò pur la vendetta nelle tanto gradite a voi donzelle. | |
<- San Michele | ||
SAN MICHELE |
Spegni ribelle a dio tartareo mostro quella face infernale: vedi l'asta immortale, per cui cadesti al tormentato chiostro, pronta a ferirti ancor sull'empia fronte. Vuol quei, che all'alto impera, vuol per tuo maggior duolo, pura per te quella diletta schiera: or vanne, e vibra solo interna serpe d'infernal disdegno. Vanne in quel campo, e quanta chiudi al core, diffondi in questo dì rabbia, e furore. | |
LUCIFERO |
O detestato duce dell'angeliche menti: conosco la cagione, onde mi sforzi a far incrudelir le perfid'alme nelle schiere innocenti. Vuoi, ch'i martiri lor sien tante palme, vuoi, ch'io ministro sia de' propri mali. Se così chiede incontrastabil legge, svello questo dal seno atro serpente, e tra l'iniqua gente, tutto rabbia, e furor dispiego l'ali. | |
SAN MICHELE |
Moviamo abitator del regno eterno, moviamo a rimirar su quella riva, da schiera femminil vinto l'inferno. | |
<- angeli | ||
CORO D'ANGELI | Asmodeo, demoni, Lucifero, San Michele, angeli -> | |
Scena quarta |
Ireo, coro di Cristiani, Orebo. |
<- Ireo, cristiani |
IREO |
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CORO DI CRISTIANI |
Tutto dolente in viso Orebo a te ritorna: deh qual n'apporterà sinistro avviso? | |
<- Orebo | ||
OREBO |
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IREO |
Orebo: io nel tuo volto leggo le mie sventure, e l'altrui morte: o misere donzelle, o mia consorte. | |
OREBO |
Signor (ahi che l'orror nell'alma accolto di voce ancor mi priva,) come credesti appunto trovai, signor, che alla dolente riva, l'esercito era giunto delle vergin britanne: o qual sembianza agl'occhi miei s'offerse? Sparse per l'ampia arena le guerriere di Cristo, or carissimi baci, or puri abbracciamenti, alternavan ridenti. Cinta di bianca, e di purpurea veste la magnanima duce, e sparsa al tergo il coronato crine, saettava dal volto raggi di maggior luce: e somigliante all'anime divine, per lo diletto esercito scorrea. Deposto in terra avea l'aureo scettro reale, e 'n sua voce reggea, assiso in croce il suo bramato amore. Rammentava, or le piaghe, ed or lo zelo del trafitto signore: or promettendo guiderdone in cielo le caste amate schiere, contro il popolo rio di fede armava, e di speranza in dio. Ecco il perfido re, com'Austro suole, cinto d'orridi lampi, venir dell'aria a infuriar ne' campi, cinto dall'empie squadre, viensene ratto a quel funesto lido. Alzano allora un grido l'umili verginelle, e quel nome chiamato, dalle stelle adorato, e dagl'abissi tutte prostrate a terra, tutte, tenendo i lumi al cielo affissi, attendon liete la spietata guerra. O divino stupore, al santo nome ne' barbarici cori in tutto spento di libidin'infame il rio talento, gridan di rabbia pieni, pera chi Cristo adora: e tratti all'istess'ora gli scellerati ferri corron' a lacerar, i casti seni. | |
IREO |
Oh dio, che sento? Oh dio? Così cadesti estinta dolcissima cagion del viver mio? | |
OREBO |
Signor la tua regina, a tutte l'altre innante, più, che mortal ne' detti, e nel sembiante, dicea, ferite, o dispietata gente, ferite questo core: al mio sposo, o signore, portin le piaghe mie l'alma innocente: ma, tal di quel bel volto la maestà splendea, che 'l ferro in lei rivolto in mezzo al suo rigor, d'amore ardea. Morte, morte chiedea la sprezzatrice vergine animosa: ma la ritenne a suo malgrado in vita l'istessa crudeltà fatta pietosa. | |
IREO |
Dispietata pietade! Per uccidermi il cor con doppia morte, concedi vita alla real beltade. | |
OREBO |
Fuor, che la tua consorte, troncate i sacri busti, aperte il seno, o dolore, o pietade, nell'orribil terreno tutte l'altre cader dall'empie spade. Ma deh, perché mi doglio, o martiri beate al morir vostro, se questi lumi han visto trionfarvi lassù nel divin soglio, e corone portar del sol più belle? Bramo le palme vostre nuovi pregi del ciel pure donzelle: per sì giocondo acquisto, bramo, bramo ancor io morir per Cristo. | |
IREO |
Lasso, ma dove resta, se pur è ver, che viva la mia terrena diva? | |
OREBO |
Del superbo tiranno la divina beltà preda è rimasta. Egli avvampa per lei d'immenso foco: ed ha pur ora imposto a' suoi più chiari duci, ch'a quell'anima casta movan'assalto di lusinghe, e preghi: e stassi il fiero core in sé disposto, o ch'ella mora, o al suo voler si pieghi. | |
IREO |
Quando, già mai si vide, quando, misero me, già mai s'udio tenor di fiera stella eguale al mio? Non ti bastò privarmi implacabil destin del patrio regno? Non ti bastò legarmi alle piante real servil catena, che per maggior mia pena, innanzi agl'occhi miei, vuoi, ch'io veggia colei, colei, ch'è la mia vita, da barbaro spietato esser a me rapita? Deh pria, che questo veggia, o cielo, o fato, di sì misera vista, il pensier solo ancida il cuor di duolo. | |
CORO DI CRISTIANI pur or estinte, cedete vinte notturne stelle: più numerose di voi trascendono, nell'alto splendono di voi più belle: cedete vinte notturne stelle. Quanti splendete, per gl'alti cori celesti amori l'ali movete: al cantar vostro lassù festeggino, al sol lampeggino, che le fa liete: celesti amori l'ali movete. | ||
O fortezza d'onore inclita prole, d'insuperabil cor nobil trofeo: ben sovente ti pasce d'animose parole la loquace accademia, ed il liceo: ma se uopo talor nel mondo nasce di tua nobil corona, o come spesso avviene, che te, per vil timor l'alma abbandona. Un Codro ammira Atene. Tre Decii, un sol Attilio, e un Curzio noma tra tanti figli suoi l'invitta Roma. Io non parlo di voi, cui spinse a morte, o tema, o sdegno, o fervida cagione d'ambiziosa brama: te dal nome di forte esclude il saggio, o rigido Catone. Era vieppiù dovuto alla tua fama, a Roma in quell'affanno seguir di dar aita, che per non rimirar Cesar tiranno col ferro uscir di vita. Lode viè più, che libero morire, e per la patria vivere, e soffrire. Molto minor tra la femminea schiera de' forti petti il numero rimiro. Te Lucrezia pudica, e te consorte altera del magnanimo Bruto io ben' ammiro. Ma, benché generosa, e al ciel nemica vostra morte immatura. Vuol, chi la vita regge, che cediamo a suo tempo alla natura. Voi lungi all'alma legge viver sdegnando ingloriose, e serve, foste crude a voi stesse, e al ciel proterve. Ma nelle scole altissime di Cristo qualor insegna sacrosanta fede di morir per il cielo, con numeroso acquisto vera fortezza trionfar si vede. Ecco ch'ardon non sol, d'invitto zelo viril petti robusti, e gloriose palme han dalla rabbia di tiranni ingiusti; ma frali, e timid'alme del più debole sesso, io vedo audaci sprezzar croci, flagelli, e rote, e faci. Lascio te, che sul Tebro a dio fedele sì tenera cadesti Agnese bella: e te, cui tolse al seno barbara man crudele l'un, E l'altra purissima mammella. Lascio te, che sul Nil venisti meno real germe d'Egitto: e te, ch'in ree faville trasse nobil'ardor d'animo invitto. Da palme a mille a mille, oggi di Cristo diletta arena, e più di sangue, e di trionfi è piena. Volgiamo il guardo al Reno: appena tante s'unir del Termodonte in sulla foce, quante spiegonne in campo Orsola trionfante contro il profano esercito feroce. O sacro lido, o sacrosanto campo: puro teatro, e pio, ove palme sì belle riportaro l'amazzoni di dio. Lascia al cielo le stelle, lascia le gemme alla bell'India, e l'oro: Germania serba in te sì bel tesoro. | ||
La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l'idolo di Marte, e dall'altra un bastione, che si sporge in fuora dal resto delle mura: nella lontananza apparisce la città di Colonia, il fiume Reno, e più oltre la campagna dove sono attendati gl'unni.
Questi son dunque i temerari vanti?
Non uccisi destrier, non preghi, o voti
Contro nemica al ciel schiera proterva
Prendi rettor della perduta gente
Spegni ribelle a dio tartareo mostro
Fuggi dall'alto cielo, o della luce