Lo stampatore a' lettori

Se l'Andromeda, del signor Benedetto Ferrari l'anno adietro rappresentata in musica dilettò in estremo, il presente anno, la sua Maga fulminata ha fulminato gli animi di meraviglia.

Non contento d'aver addolcite l'onde dell'Adria col non più inteso suono della sua dolcissima Tiorba, con i concerti delicatissimi di due volumi di musica da lui fatti stampare, ha voluto anco far d'oro questo clima con i caratteri oscuri d'una penna. A me toccò di dare alle stampe la sua Andromeda, resto onorato non meno della sua Maga, la quale è stata prima stampata ne' cori, che su le carte. Accoglietela, lettori, come parto meraviglioso, uscito da autore insigne, quale ha potuto del suo, e con quello di cinque soli musici compagni con spesa, non più, di due mila scudi, rapir gli animi a gli ascoltanti co' la reale rappresentazione di quella; operazioni simili a principi costano infinito denaro. In oltre, ove s'è trovato a' tempi nostri privato virtuoso, a cui sia dato l'animo, di porre le mani in tali funzioni, e riuscirne con onore, come ha fatto egli la cui gloria e de' compagni, il grido universale della serenissima città di Venezia proclama? Accogliete non meno intanto l'intenzione mia, qual è di giovarvi, e dilettarvi, col porgervi in dono, col mezzo delle mie stampe, le fatiche illustri, di così nobile virtuoso, e col descrivervi la musicale rappresentazione, dell'opera, la quale seguitò in questa guisa.

Dileguata la cortina si vide la scena aria tutta, e terra; il suo cielo era come l'altro, quando la notte il vela. Tempestato di stelle facea credere, che in un teatro fosse venuto ad abitare il cielo. Scese per via semicircolare nel suo cerchio d'argento la luna, la quale cantato il prologo si nascose sotterra. Divenne il cielo luminoso e chiaro, e uscito un palazzo reale a far pompa della sua meravigliosa architettura comparve con seguito di cavalieri Artusia maga, e poco dopo Floridoro principe. Il vestire di questi due personaggi era alla foggia turca. La preziosità dell'abito, la squisitezza del canto si può ben ammirare, ma non ridire. Con leggiadrissimo assalto si videro due cavalieri a far battaglia; tra la ferocia de' colpi brillando la bizzarria dell'abito, stava la gente perduta, e tra due spade languivano di piacer, non di dolore i cori. Spuntò dalla reale il principe Rosmondo. Questi adorno all'uso perso, fece altri perdere col grave aspetto, co' la pomposità del manto. E colla soavità della voce. Scarabea vecchia rimbambita spiegò con sì argute vivezze i suoi amori, che non vi fu giovane, né vecchio, che non ne divenisse amante. Si oscurò il giorno, tremò la terra, balenò il cielo; invocando la maga Plutone s'aperse l'inferno. Col seguito de' suoi neri signori comparve il principe di quella regione. Tornò chiaro, e in una nube d'oro si lasciò vedere Pallade, che scorreva le vie del cielo. Cantò costei da personaggio, qual era, divino. Era di così lucida veste ornata, ch'ogni occhio comprava la di lei vista a prezzo d'abbagliamenti. Uscirono dalla reale sei nani a formare una ridicola danza, e qui ebbe fine l'atto primo.

Divenne la scena un bosco; pareano le di lui fronde tremolare, ed i ruscelli scorrere; al suo bel verde non mancava altro di naturale, che il voto d'un augello, e 'l corso d'una fera. Cinta d'un bizzarissimo succinto arnese si vide la maga: al cenno della verga, un albero, una fonte, e un sasso figliarono tre cavalieri. Così bella trasformazione trasformò in giubilo mill'anime. Si cambiò in un baleno l'imboschito apparato in spumoso, e marittimo; veleggiava per lo mare una navicella con due cavalieri dentro, e un timoniere a poppa, si vedea tracciata da tre sirene al lito. Schernite al fine si attuffarono nell'acque. Fu l'occhio del riguardante dall'onde false a i sentieri del cielo chiamato da Mercurio, che leggiadrissimo passeggiava per le nubi; s'aperse poco dopo il cielo, e si glorificarono le viste per il tonante, che sopra d'un aquilone posava; giunse Pallade sopra d'un carro d'oro da due civette tirato, e nella gran sala dell'aria si formò un concistoro di deità. Non si può narrare, ne l'artificio, ne l'ornamento di queste macchine, chi vuol sapere il rapidissimo volo di Mercurio, diventi augello. Chiuso il cielo, si vide l'inferno, da cui uscirono otto spiriti a figurare stravagantissimi diversi intrecci; e qui ebbe fine l'atto secondo.

Tornò la reggia d'Artusia, e uscito il principe Floridoro, vide al cenno della maga mutarsi la prospettiva in orrida spelonca, colle due principesse legate a due macigni, e Rosmondo principe cangiato in drago, che le giva dilaniando. Sparì il funebre spettacolo. Artusia infuriata, dopo aver fatto tornare il mare, la selva, l'inferno, e bestemmiate le sue deità, e quelle del cielo, le cadde un folgore nel seno, e apertasi la terra profondò. Tornarono di nuovo ad indorare con i suoi splendori le nubi Giove, Pallade, e Mercurio; indi non più veduti questi numi, sopravvenne un'oscurità densa, la quale accompagnata da tuoni, e lampi, e da tempesta, scagliò terrore, e diletto insieme ne' circostanti, ad un orribile scoppio andò in fumo il palazzo d'Artusia, e tornato all'essere suo innato il loco, cioè aria, e terra, si videro liberati eroi con altri cavalieri, e Pallade a loro nel mezzo, la quale dopo avergli licenziati, sovra una nube d'argento, che sotto de piedi le nacque salì meravigliosamente al cielo. Otto de' cavalieri fecero una bellissima danza, e qui ebbe fine l'ultimo atto. Vivete sani.

All'illustrissimo ed eccellentissimo... Lo stampatore a' lettori Argomento D'incerto all'autore Del signor Francesco Sbarra all'autore Del sig. Francesco Peruzzi all'autore Della signora S. C. all'autore Del signor Angelo De' Rossi all'autore Del signor Paolo Bossio all'autore Del signor Lelio Altogradi all'autore
Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Nettuno e Giove

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