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Scena prima |
Artusia, Floridoro. |
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ARTUSIA |
Grave cosa è l'amar senza mercede,
e agl'idoli dell'odio, e dello scherno
porger in sacrificio amore, e fede.
All'orlo d'un sepolcro il cor confina
amator senza speme,
e i dì, benché vitali
sempre per lui girano l'ore estreme.
Rose da rose il rustico ne tragge,
frutti da frutti toglie,
e chi semina amor pianto raccoglie.
O sventurata Artusia! Ah troppa fede
avesti a un divin volto,
ma ben perverso è chi nel ciel non crede.
Due luci avida troppo vagheggiai,
ma a chi non piacciono del sole i rai?
O mia fede schernita
o mia gioia aborrita!
Io per voi pur (chi 'l crederia giammai)
trovo sott'uman velo
perfido il sole, e traditore il cielo.
Floridoro ador'io
che porta in belle ciglia
stellante meraviglia;
ch'entro bella, e real spoglia sovrana
richiude alma villana.
Alle mie voglie Floridoro impera
con legge sì severa
che con men sella assai si regge abisso:
quella ai rei pena rende,
e questa (ahi lassa) gl'innocenti offende.
O mie glorie superbe!
Dite, non son io quella
che posso al suon di magica favella
fin nelle tombe ravvivar gli estinti?
Eppure il morto affetto
nel marmo d'un bel seno
di svegliar m'è interdetto.
Piacevoli al mio cenno
rendo i soggetti del tartareo fondo,
e del ciel d'amor (d'amore sciolto)
un angelo piegar (lassa) m'è tolto.
Ma se dall'esser mio varia non sono
farò farò ben io, non andrà molto,
che del crudel cada l'orgoglio altero,
un picciol folgor le grandi torri abbatte.
Donna fa quanto vuole
doppio mostro nel mondo
d'inganno, e di bellezza;
ma vedi l'adorato che mi sprezza.
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FLORIDORO |
Floridoro son io del regio trono
di Bitinia, e di Ponto
principe glorioso?
Un'ombra un'ombra sono
dell'Erebo di morte
trofeo caliginoso.
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ARTUSIA |
Un chiaro sol tu sei,
al cui raggio son fatti, aureo, e giocondo
aquila 'l cielo, ed Elitropio il mondo.
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FLORIDORO |
O perch'al primo passo
non inciampo in un sasso
nel cui lacero sen sepolcro io trovi!
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ARTUSIA |
S'avvien ch'alla tua doglia un sasso giovi
volgi le luci al tuo bel petto algente
del mio doglioso cor tomba dolente.
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FLORIDORO |
Lasso? Fra strani incanti
perdo me stesso, e 'l caro amico a un punto,
e tacer so delle mie glorie i vanti.
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ARTUSIA |
Fra l'amorose, e barbare malie
(lassa) me stessa perdo
né lieto di mia vita io conto un die.
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FLORIDORO |
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ARTUSIA |
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FLORIDORO |
Chiedi foco alle nevi, e raggi all'ombra.
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ARTUSIA |
Pur il verno ha calor, lume la notte.
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FLORIDORO |
Dunque aver senza me puoi quel che brami:
mille volte esclamai,
ch'amar non ti vuò mai.
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ARTUSIA |
Vuole, e disvuole umana mente in terra.
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FLORIDORO |
Pertinace è il pensier, ch'il cor m'afferra.
Odimi, fiera donna,
salirà pria nel ciel fiamma d'abisso,
che per lo tuo sembiante
ascenda nel mio cor fiamma d'amore;
quando fia vano ogni mio schermo al fine,
piuttosto ch'il mio affetto
al voler tuo soccomba
vuò far scudo al mio petto
del marmo d'una tomba.
E s'il piè mai sulla mia fossa poni,
prego il ciel, ch'in quel punto
avvampi la mia polvere gelata,
ond'accesa, e minata
in un col monumento,
voli per l'aria ad atterrire il vento.
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ARTUSIA |
O da labbri d'Aconito, e cicuta
(non di porpore, e rose)
fulminati veleni, iniqui accenti!
Misera Artusia! Ah dove sei, che senti?
È pur questi una furia, o Floridoro?
Ohimè ch'io manco, io moro.
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FLORIDORO |
Convien, ch'io la sostegna,
ch'ad ogni donna è un cavalier tenuto.
Deh chi tanto mi sdegna?
A danni miei congiura il ciel, o Pluto?
L'altr'ier mia libertà fu colta al laccio,
ed or, senza morir, la morte ho in braccio.
Ove Filaura sei, o mia Filaura
ove sono Rosmondo, e Floridoro?
Come senza di loro
t'è sano il clima, e t'è vitale l'aura?
Corri corri a mirare
quest'empia Maga impura
che dell'Asia le due lampe più chiare
col vel d'un incantesmo ombra, ed oscura.
O mio destin feroce!
Se questa destra torpe in ozio vile,
come i rami schiantar potrà agli allori
per cingermi la fronte!
O mia sciagura atroce
se n' va delle mie glorie il sole a monte.
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ARTUSIA |
Ah ben ora m'avveggio,
che sull'ali d'amor volo al sepolcro!
Crudo, inumano, e barbaro che sei,
precorreranno alfine
i precipizi tuoi le mie ruine.
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FLORIDORO |
Chi le fasce real ebbe, e la cuna
non teme il contrastar d'aspra fortuna,
poco stimo, empia maga, i tuoi furori;
s'onorata virtute irraggia un seno
fin dalla tomba ancor scaglia splendori.
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Scena seconda |
Rodomira, Filaura. |
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RODOMIRA |
Levati cavalier, non mai si dica
che con vantaggio i combattenti opprima;
alma gentil è del dovere amica.
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FILAURA |
Generoso guerrier l'armi ti cedo:
seco l'alma ricevi
del tuo valore amante,
ben hai tu regio il cor, com'il sembiante.
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RODOMIRA |
Riponi il ferro, e sia tra noi finito
ogni litigio; non mi diè fortuna
in te ragione alcuna;
vacillò 'l piè, ma non il core ardito:
l'armi rifiuto, e la tua grazia accetto.
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FILAURA |
Troppo s'avanza il tuo gentile affetto,
o caduta felice
per cui salir nell'amor tuo mi lice;
benedetto quel sasso,
che per venirmi a te mi tolse il passo.
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RODOMIRA |
Giungi sempre gradito nel cor mio.
Ma dimmi (e a' desiri tuoi sta 'l ciel secondo),
perché tacendot'io
quel che di Floridoro, e di Rosmondo
mi ricercar le tue preghiere, e i carmi
(di sdegno acceso) mi sfidasti all'armi?
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FILAURA |
Lungo fora narrar quanto mi chiedi;
saper ti basti intanto,
ch'io desio, pien d'affetto, e di pietate,
i nobil cavalier scior dall'incanto.
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RODOMIRA |
O qual al cor mi scende
soavissima gioia,
che men amara rende
l'angosciosa mia noia?
Amico: all'alma, di non poco affanno
m'è di Rosmondo, e di Floridoro il danno;
or quando vuoi t'adopra,
m'avrai compagno all'opra.
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FILAURA |
Non come pensi agevole è l'effetto.
S'il ver a me fu detto
da negromante amico
tal è d'Artusia l'incantato intrico.
Se parte un cavalier, di lei malgrado,
che mai di suo consenso alcuno parte,
egli oltre non s'avanza un tiro d'arco,
che d'improvviso un muro gli s'oppone
di fiamme, e mostri carco.
Altrettanto lontano
un ne forman (inver orrido, e strano)
ben mille spietatissimi animali,
e di squame, e di pelo armati, e d'ali.
In distanza simil, quand'i duo primi
per valor oltrepassa, il terzo ei trova
d'ombre, e d'orror guernito,
e da venti fierissimi munito.
Questi sì impetuosi, ed arrabbiati
scagliano i loro fiati,
che per forte che sia un uom di guerra
convien che giaccia a terra;
onde per non perire di disagio
(nulla giovando incontro il vento l'armi)
mesto alfin riede al barbaro palagio.
Or, quand'uopo ne sia,
di queste orrende inespugnabil mura
cinto va 'l regno della Maga impura.
Quindi è, che nessun mai,
che l'iniqua ritenne
in libertà rivenne.
Ah quest'è 'l mal minore;
ella ha sì fero core,
che a ben cento guerrier la forma invola;
chi rade il suolo, e chi per aria vola.
Ma durar non può molto
sì fera ferità, sì cruda frode,
che breve tempo in tirannia si gode.
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RODOMIRA |
Tante volte girò farfalla al lume
ch'incenerite vi lasciò le piume.
Ma ve' dell'empia Maga
l'incantato ricetto?
O nido maledetto
d'inganno, e tradimento
possi in polve posar sull'ali al vento.
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FILAURA |
Ah tolga 'l ciel gli auguri,
né tal destin la nobil coppia estingua.
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RODOMIRA |
Errò l'incauta lingua,
e de' prigioni eroi non mi sovvenne.
Stupor non ti confonda,
che ragion manca ove gran duol abbonda.
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FILAURA |
È dovere, s'amico tu mi sei,
che sii amico a Rosmondo a me fratello.
Ah che diss'io?
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RODOMIRA |
Tu fratel di Rosmondo?
Che sento, o dèi?
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FILAURA |
Fratel è a me Rosmondo
io non a lui.
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RODOMIRA |
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FILAURA |
Né ti beffo, o vaneggio; io son scoperta.
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RODOMIRA |
Insensata ch'io sono
il mio signor german non ha, son certa.
Qual speme mi lusinga?
Sì, sì t'intendo, o cavalier mentito,
Filaura sei; lascia ch'al sen ti stringa.
Dunque con pigri modi
alla sorella del tuo Floridoro
gli amplessi, e i baci frodi?
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FILAURA |
Che ascolto, o dèi, che veggio?
Itene lunge, o doglie,
Filaura in seno Rodomira accoglie.
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RODOMIRA |
O benedetto incontro, o cieli amici.
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FILAURA |
O cara conoscenza, o lieti auspici.
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RODOMIRA |
Lieti, s'il fiero incanto
strugger potesse d'un guerrier il vanto.
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FILAURA |
Questa gemma rimira, e ti consola;
tal valor ella serra
ch'ogni opra di magia strugge, ed atterra.
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RODOMIRA |
Andianne (or che si tarda?) a trar d'incanti
i sposi gloriosi, i regi amanti.
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FILAURA |
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RODOMIRA |
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FILAURA |
Anzi il cielo ne scorga; erra la via
quel che d'un cieco, e d'un fanciul si fida.
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Scena terza |
Rosmondo. |
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O perduto Rosmondo!
Terminata ha due volte
il suo corso maggiore
il principe dell'ore,
da che le glorie tue quivi sepolte
uscir non ponno ad illustrare il mondo.
Ma che? Uno spirito augusto,
se perde libertà non perde ardire;
sempre di gloria è un regio core onusto,
e sostien coraggioso ogni martire.
Pur in vostro poter talor i' cado
angosce, e lai; quando pensando vado,
ch'il mio fedele amico
(l'invitto Floridoro)
sol per me liberar, senta martoro.
Chi stabil della sorte il moto rende?
Col sì del cielo or quale no contende?
Che pera oggi d'Armenia il real germe
il rampollo pregiato
nulla mi curo, io sottoscrivo al fato;
e 'l cor finor risolve
i suoi decreti idolatrar in polve.
Ma che Filaura, e Rodomira mia
(com'in sonno mi parve)
oggi sian preda della Maga ria,
cieli, d'empi, o di stolti
deggio titoli darve?
Dansi alle furie gli angioli in governo?
Fansi le stelle lampade d'Averno?
Terra, quando sia 'l vero,
a contanti di sangue
vendimi allora allora un cimitero.
O mortal cecità! S'ange, e contrista
chi va di scettri, e di corone inerme;
stolto, né sa, che se ben sane in vista,
le grazie di quaggiù son sempre inferme.
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Scena quarta |
Scarabea. |
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Ciascun mi burla, perché sì vecchia
io fo l'amor;
perché la chioma, ch'il tempo invecchia
orno di fior;
cancher vi venga; se ben son grinza
io voglio amar;
che non per tutto l'età m'aggrinza
chi vuol giocar?
S'alcun m'incontra, le spalle stringe
si volta in là;
son una donna, non una sfinge,
che diavol ha?
Io non son brutta, se ben in bocca
denti non ho;
per far sgabello a chi 'l cor mi tocca
sì gobba vo.
Possa morir, se settant'anni fa,
preda, e diletto
mezz'il mondo non fu di mia beltà;
or l'ingrataccio
mi dà di calcio, come fossi un straccio.
A tuo dispetto,
se ben mi par decrepita sorella,
io son pur tra le vecchie la più bella.
Delineamento di faccia tale
chi vide mai?
Un sì bel naso piramidale
dove l'avrai?
Sì belle rughe non portan noie,
ma voglia fan;
in queste fosse d'amor le gioie
nascoste stan,
e pur il letto convien, ch'io veggia
vedovo, e sol;
di dieci amanti, c'ho nella reggia
nessun mi vuol;
Rosmondo bello, che più mi piace
m'è più crudel;
della mia grazia non si compiace,
poco cervel.
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Tal a un vago sembiante sì s'inchina,
che poi stenta a levar senza la china
non si dia tanto tanto
di naso alla vecchiaia.
Vediam, che portan di sostanza il vanto
sol que' polli, ch'invecchiano nell'aia.
Donna canuta, e crespa
la borsa mai all'amator discrespa.
Maturo il frutto ha succo peregrino,
miglior è vecchio, che fanciullo il vino.
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Vadin al diavol tutti i governi
tutti gli affar;
se non ho un cane, che mi governi
ho da crepar?
O Scarabea, ci sei ridotta,
che farai tu?
O poveretta son tanto cotta
non posso più.
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Ma qual tremoto, ahi lassa,
il terreno conquassa?
Qual nube orrenda oscura il volto al giorno?
Io più non vedo intorno;
aiuto, ohimè,
io cado affé.
Artusia fa' un incanto; o mia signora,
ricordati mia dèa,
c'ha paura de' spirti Scarabea.
Contentati, ch'io mora innamorata,
ma non ispiritata.
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Scena quinta |
Artusia, Plutone. |
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ARTUSIA |
Spiri l'aria terrore,
e dal suo cerchio d'oro
scagli, annottato il sol, lampi d'orrore.
Crolli il bosco le piante:
dubbioso, e vacillante
il terreno si scota
or che le forma in sen magica rota.
Ecco tre volte all'occidente miro,
e col piè scinto, e nudo il suol percoto
o fiero rege del tartareo giro.
Mentre nubi sanguigne ammantan l'aria,
mentr'al suon di tremoto il suolo varia,
d'Artusia innamorata
ascolta il grido, odi la voce irata.
O dell'eterno orribile martoro,
voi deperduti spirti dolenti
spalancatevi or or ricetti ardenti;
che s'una furia adoro
dell'inferno d'amore
non sia per dispiacermi il vostro orrore.
Su su pronto, e veloce
dal sen di confusion portami pace
o degli antri d'orror Giove feroce.
Sorgi dall'aspra, e rugginosa sede
tenebroso signor del crudo impero;
dimmi perché disdegni il rio guerriero
l'amor mio, la mia fede?
Discopritemi 'l ver tartaree grotte,
rischiara i pensier miei torbidi, e foschi
o imperator della perpetua notte.
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PLUTONE |
Per picciol raggio, che t'abbaglia il seno
vuoi che pronto al tuo cenno
delle tenebre eterne il dio si mova?
Adunque il re dell'odio, il fiero Pluto
(o meraviglia nova?)
dovrà agl'amanti provveder d'aiuto?
Tempra il folle desir alma dolente,
non si scherza col dio, del mondo ardente.
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ARTUSIA |
Basta basta d'amor l'atroce scherno
senza che dagl'infami orridi liti
rigido mi ti mostri o re d'Averno.
Ah per dio non s'irriti
donna amante adirata
donna amante sprezzata.
Ancor indugi? Ed io qui 'ndarno aspetto
principe maledetto?
Che sì, che sì?
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PLUTONE |
Dal fiammeggiante regno
ecco ch'a te ne vegno
arbitro de' dannati
esplorator veridico de' fati.
Ahi con quanto cordoglio
il bell'etereo soglio,
in cui beato il mio destin già femmi,
or vagheggiar conviemmi.
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ARTUSIA |
O meraviglia! I miei superbi vanti
sforzan le stelle, e l'ombre,
e nulla pon nel regno degli amanti.
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PLUTONE |
Donna l'acceso core
arde solo per gloria d'una tomba,
ma suol con morte star unito amore.
Floridoro è d'altrui, virtù l'avvince;
di Filaura l'annoda il regio aspetto.
L'esser tuo ti convince;
non val contro virtù lascivo affetto.
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ARTUSIA |
O degno d'un tal nunzio
amarissimo annunzio!
Dunque amor la mia fera a freno pone?
Non è dunque di sasso il cor ch'adoro?
Or dimmi s'altro a desir miei s'oppone?
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PLUTONE |
Gemma in dito ha Filaura,
che s'agli occhi d'alcun si pone avanti
più no 'l può dominar forza d'incanti.
In abito guerriero
con Rodomira di Rosmondo amica,
per trarne l'un, e l'altro cavaliere
or or giunta al tuo albergo s'affatica.
Ma fa' quello, che vuoi,
i disegni del ciel romper non puoi.
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ARTUSIA |
Vita pur, che del ciel nulla mi curo,
or or tutto assicuro.
Perfidi ingannator, vostr'ombre sole
oscureran della mia vita il giorno.
Non cade un'alta mole
che non spaventi, e non atterri intorno.
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PALLADE
L'orizzonte di Ponto oggi scolora
perfida maga, e disonesta amante;
laccio duro vieppiù d'un adamante
quella fama trattien, che l'Asia onora.
Del silenzio un gran cor dall'ima valle
vuol portarsi di gloria al giogo degno;
ma libero di rado ei corre al segno,
che pien d'inciampi è della terra il calle.
L'empia a colpi amorosi, ecco, ch'intende
della virtù gittar il forte al suolo;
ma seco un cor sempre s'innalzi a volo,
non s'invischia l'augel, s'al pian non scende.
Fuggir denno a ragion egregi spirti
lascivo amplesso, ed impudico amore;
di Marte, e non d'amor degno è 'l sudore,
non ben convengon colle palme i mirti.
Oggi Pallade atterra amori, ed odi,
Floridor toglie alle catene immonde,
oggi quest'asta ogni malia confonde,
chi è caro al ciel non tema danni, e frodi.
Troppo l'empia s'avanza ne' difetti,
e 'l flagello divin trascura (indotta);
non si corruccia il mar, che non inghiotta,
e non s'adira il ciel, che non saetti.
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