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Scena prima |
Scarabea. |
Q
<- Scarabea
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O cieli, o mari, o terra,
o fere, o furie, o genti
lagrimate dolenti
una disgrazia rea
è morta Scarabea.
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Son morta (meschinella) e s'io ragiono
è perché amante ho il core;
questi i primi non sono
miracoli d'amore.
O pianti dolorosi,
che gli asciutti canali del mio volto
rendete rugiadosi,
ingrossatevi tanto,
che s'io vissi in ardor mora nel pianto.
M'hanno tolto Rosmondo;
il bel corpo gentile
han fatto un drago immondo;
che maledetta sia
l'empia negromanzia.
Come curva, e tremante
potrò incarco portar di doglie tante?
A fronda secca, e frale
ogni vento è mortale.
Amor forse mi scherne
perch'ho 'l volto caverne?
Ah che se ben sfiorio
posso con l'altre stare
ho le mie grazie anch'io.
Ti lascio infame reggia,
né vuò, che più mi veggia
se non orrida grotta, aspro deserto;
scinta andronne al scoperto
per vie sassose, e torte
ai soli ardenti, ed alle fredde piogge
chiedendo in elemosina la morte.
Entro concavi tufi
nasconderò gli orror di mie sventure;
piangerò mie sciagure
insieme co' le nottole, e coi gufi.
Mi strapperò la chioma,
e de' falsati argenti
farò l'aure cassiere
e tesorieri, i venti.
Mi graffierò le gote;
e gioirò nel duolo
di lacerar alle noiose etati
le fredde pompe, i lividi apparati.
Poca discrezione
d'ingiustissima stella,
por in tal confusione
debole vecchiarella
cara almen, se non bella.
Ma così va chi veste umano velo;
donna, impara a mie spese,
infelice è l'amar fuor che nel cielo.
| Scarabea ->
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Scena seconda |
Floridoro, Artusia dentro la scena; Rodomira, e Filaura incantate; Rosmondo cangiato in drago. |
<- Floridoro
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FLORIDORO |
Poiché tacito ognuno
di questa regia no, ma infernal chiostra
al mio parlar si mostra,
dal mio duolo percossi,
invece di faville,
vibrate lingue o sassi;
di fiati invece, o venti,
spirate voci, e sussurrate accenti.
Ove posi, ove sia, deh, voi mi dite,
la sospirata mia
soave compagnia.
Deh voi mi favorite;
aure, se moderate
del sole i raggi ardenti
temprate i miei tormenti;
sassi, e voi, s'ai mortali
di sepolcri servite
il mio duolo (pietosi) seppellite.
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ARTUSIA (dentro) |
A me tocca, a me tocca
(barbaro cavaliere)
farti questo piacere;
a me, che spero in breve
(così sei di cor pio, d'alma amorosa)
servirti in maggior cosa.
Addietro volgi il guardo che vedrai
(degno del tuo desire, e del tuo core)
un spettacol bellissimo d'amore.
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Qui s'apre la prospettiva, e si vedono gl'Incantati entr'una spelonca. | Q
<- Rodomira, Filaura, Rosmondo
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RODOMIRA E FILAURA |
Ahi che fiero martire
provar la morte, e non poter morire!
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FLORIDORO |
O amarissima vista!
Rodomira, e Filaura, ogni mia gioia,
a brano a brano un fero drago ingoia;
e per più doglia è fatt'un serpe immondo
il mio caro Rosmondo.
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RODOMIRA E FILAURA |
Ahi che per evitare
d'inimico destino i colpi, ohimè,
non basta aver tesor, nascer di re.
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FLORIDORO |
Vengo a penar con voi
o, bench'in seno a un incantato orrore,
vive lampe di gloria, astri d'onore.
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Qui si chiude la prospettiva, e spariscono gl'Incantati. | Q
Rodomira, Filaura, Rosmondo ->
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FLORIDORO |
Ma ch'il passo m'arresta, e mi vi toglie
onorata cagion delle mie doglie?
Occhi frenate il pianto;
rade volte il ciel piange,
e bagna il suol di lagrimosi umori,
che non ombri, ed oscuri i suoi splendori.
Ho perduto l'amico
o memorabil danno!
È perdita dogliosa
la sorella gentil, la regia sposa,
ma al cor non reca si penace affanno.
Ahi che a un egro mortale
più degl'affini assai giova un leale;
e dove han loco le miserie, e i pianti
radi gli amici son, molti gli amanti.
Ecco un abisso eretto
sotto regia struttura
per orror di natura;
a questo ogni guerriere
accorre per vedere
meraviglie gentili, e singolari
(tal sua fama rimbomba)
e i spettacoli amari vi trova della morte
strana vi trova inusitata sorte;
a questo il mio Rosmondo
corse di gloria vago,
io lo seguii per trarnelo d'inganni,
ei venne a conquistar spoglia di drago
io venni a fare sempiterni i danni.
O nostra vita, quanto sei penosa!
Tu se' un tronco, e un rosaio,
che porgi a nostre voglie
più spin che rose, e più che frutti foglie.
Pessima donna, abominevol Maga
di mal oprar sì vaga,
ombri la mente pur d'errori il velo,
tutti i registri uman rivede il cielo.
Il fio tu pagherai d'ogni mal opra;
piede nel fango avvolto,
e nel vizio sepolto
a fuga non soccombe;
abbiam sotto le tombe
e i fulmini di sopra.
Morte de' tetri avelli
formidabil reina
il mio sasso funebre omai disserra;
è felice ruina
per ascender al ciel cader sotterra.
Alfin son sogni le grandezze umane;
senza la tomba mai non va la culla,
e dée chinarsi l'universo a un nulla.
| (♦)
(♦)
Floridoro ->
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Scena terza |
Artusia. |
<- Artusia
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E di sdegno, e d'amore
ho sì gravido il core,
che d'amor, e di sdegno
al sicuro ho spogliato
e de' beati, e de' dannati il regno.
Ma diventa o mio seno
di rabbia, e di furor tutto veneno,
e amor, che da tue poppe
latte non vuol, ma sangue,
fa' ch'egli cada avvelenato esangue.
Sdegnose amanti faci,
che nel mio seno ardete,
spegner non vi volete?
Ardete pur vivaci,
servirete all'esequie
del perfido ribelle
di tetre lampe, e d'orride facelle.
Sì sì ch'io t'odierò quanto t'amai
barbaro traditore:
sì sì spegnerai
l'ardor mio col tuo sangue;
sì ch'io sarò una vipera al tuo core
s'al mio sen sei un angue.
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Qui leggendo sul libro in basse note cangia la scena in mare. | |
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O del spumoso cristallino impero
umidi abitatori
qual è vostr'onda errante
datemi alma incostante;
tutti i vostri rigori
corrano nel mio seno ad ondeggiare,
ch'io vuò vendetta fare
de' miei scherniti amori.
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| Q
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DEITÀ INVISIBILI DEL MARE
Mostro di vanità
rigor pari al rigor
del tuo barbaro cor
tutt'il mare non ha.
Cangia cangia consiglio,
il mal oprar non va senz'il periglio.
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ARTUSIA |
Iniquissimi numi!
Onde tutti n'andiate arsi, e distrutti,
possano i vostri flutti
i cocenti adeguar tartarei fiumi.
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Mentre dice i tre seguenti versi, va colla verga delineando in terra, e muta la scena in bosco. | |
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| Q
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ARTUSIA |
Sprezzata Artusia in questa forma? E tanto
indugiai la vendetta?
ma i castighi più rei non vanno in fretta.
Su, su numi campestri,
voi di verdi contrade, e tetti alpestri
frondose deità; convenienti
a mie vendette acerbe
insegnatemi or or radici, ed erbe.
Vuò formar un incanto,
con cui sia da me tanto
l'odiato traditor martirizzato
quanto da me fu amato.
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DEITÀ INVISIBILI DEL BOSCO
Insana femmina
qual idea strania
tanta zizzania
nel sen ti semina?
Cangia il pensiero nubilo,
chi 'l ciel ha contro anco inimico ha 'l giubilo.
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ARTUSIA |
Barbari numi, i nostri infami tronchi
eterno gelo opprima;
e dal piede alla cima
li copra ombra sì ria,
che di lei l'infernal men fera sia.
Sia maledetto amore
ammantato d'inganni, ancorch'ignudo.
Quale selva, qual bosco
produce per i strali il legno crudo?
Li forma in ciel, o in terra, o al centro fosco?
Sia l'aria, ch'il sostiene
aria d'inferne arene,
che ben merita un serpe aer di tosco.
Al primo volo possa
rompersi 'l collo, e l'ossa.
Per miracolo strano
possa mirar sbendato al primo colpo
l'arco impetrir, marmoreggiar la mano.
Tropp'è fiera la sorte
che struggano i mortali amore, e morte.
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Qui reiterando i carmi, e le linee in terra formando segni nell'aria, volta la scena in inferno. | |
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| Q
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ARTUSIA |
O del regno d'orror numi di foco
ombrose deità, spirti tremendi,
de' vostri spechi orrendi,
e mostri, e furie invoco:
vuò la terra agitare
cozzar con gli elementi, e la natura,
e di chi non mi cura
ai posteri d'amor norma lasciare;
vuò che lavi onda stigia amante scherno,
e che piaga d'amor sani l'inferno.
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DEITÀ INVISIBILI D'AVERNO
O senza senno, e fé
donna cruda, e bestial,
di furie, o d'altro tal
cede l'abisso a te.
Cangia cangia desio
o quant'è grande delle stelle il dio.
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ARTUSIA |
Olà? Dunque sì poco Artusia cura
la terra, il mar, l'inferno?
Perch'io mi volga forse
a colui, ch'a suo modo il freno porse
al fato, e la natura,
mia beltà, mio valor, prendon'a scherno?
Mi volgerò ben io
ribelle sì, ma non mai fida a dio;
che s'è vero, ch'il cielo
è del tutto cagione,
altri ch'il cielo rio
inumano non fa l'idolo mio.
Vuò ravvivar titani,
vuò dar spirto a Nembrotti,
acciò ch'in modi strani
ti dian eterne noie
cielo crudo, ed avverso;
altri che tu, perverso,
non frastornò, né mi rapì mie gioie.
Che ciel, che ciel? Sian i cieli a noi stessi,
e finché non si sciolga il vital nodo
ognun viva a suo modo.
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Qui vien fulminata dal cielo, ed inghiottita dalla terra. | Artusia ->
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Scena quarta |
Giove, Pallade, Mercurio. |
Q
<- Giove, Pallade, Mercurio
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GIOVE |
A chi dell'arco non sovvien del cielo,
quando se 'l crede meno
ratto le giunge al seno
l'irreparabil telo.
Troppo tropp'oltre scorse
la temeraria maga;
né insensata s'accorse,
che guida a morte non curata piaga.
Ahi son fatti i mortali
sì del mondo parziali
ch'han per nemico il cielo anco pietoso;
e pur miseria umana a loro insegna
che più doglia, che gioia al mondo regna.
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PALLADE |
Son cessati i diluvi;
meraviglia non è, dell'umana
folle superbia vana
innumerabil fumano i vesuvi.
Rustico agricoltore,
se lascia un tempo di piagar la vite
non speri, di raccor sano l'umore.
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MERCURIO |
O quant'è degno di pietà un mortale!
Ben sa quel, ch'opra il cielo;
è grave peso a un'alma il frale velo,
e di gran spoglia augel poco alto sale.
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GIOVE |
Creai l'uomo per gemma
del pavimento eterno
per compagno agli dèi
non per bersaglio mai de' folgor miei;
ma non cura l'ingrato un tanto dono,
e più prezza, e desia
goder di fango, che di stelle un trono.
Benché noto le sia
ch'al cenno mio si giri
la gran mole de' cieli,
che d'orror tutto geli
al mio gran nome Averno,
ch'al mio volere eterno
riverente soggiaccia.
Quanto chiude la terra, e 'l mar abbraccia
(qual talpa) gli occhi della mente serra,
e gli apre allor, che gir convien sotterra.
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MERCURIO |
È sì dolce a un vivente
il letargo del mondo,
ch'allor ei si risente,
che morte il desta dall'oblio profondo.
Con sì soavi scorte, e lusinghiere
lo tragge a sé 'l piacere,
ch'ei più non pensa, ch'ogni umano passo
va d'una tomba ad inciampar nel sasso.
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PALLADE |
Qual nobile scultore,
che di materia informe
fabbrica belle forme,
tal dell'alto motore
abbellisce la grazia, e la pietate
quant'han l'alme d'immondo al mondo nate.
O monarca sovrano
che i divoti sublimi,
ed i rubelli opprimi;
or or dal tuo gran soglio
volò folgor acceso
d'un'empia donna ad ammorzar l'orgoglio,
amica or la tua mano
diffonda i favor suoi
sul nobil stuol degl'incantati eroi;
quant'ha l'Asia di chiaro, e di pudico,
ed al mio nume amico
strazia barbara reggia,
e 'l tesoro d'onor Lete saccheggia.
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GIOVE |
Vanne, struggi l'incanto
coll'asta tua fatale,
lieta fa' la gentil coppia reale;
non dée gemma d'onor notar nel pianto.
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PALLADE |
Quel padre è giusto, e pio,
che sa al suo tempo esser pietoso, e rio.
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MERCURIO |
Ecco che pur si mira
gioir alfin chi per virtù sospira
pene dogliose, e felle
laggiù soffriro gl'innocenti eroi,
le reali donzelle,
ma ferito mortal di pene, e guai,
s'ha per medico il ciel non pere mai.
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GIOVE |
Ecco a qual fine giunge
chi 'l furore del ciel instiga, e punge.
Specchio alle genti sia
la Maga fulminata,
ch'ogni onta al cielo fatta, ogni opra ria
non resta invendicata.
Chi de' frali diletti avvolge il core
vive tre volte, e tra le spine more.
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MERCURIO |
Giove ne' raggi è chiuso
della sua gloria; ed io
profondar non ricuso
ne' bellissimi rai dell'idol mio.
Begli occhi senza par
di voi torno a cantar;
esser vuò sempre, ovunque spiego il vol,
Icaro al vostro sol;
né cader temo, poich'al sol d'amore
arde bensì, ma non trabocca un core.
Meco ogn'or vi vorrei
occhi d'amor trofei;
ma Febo allor, se voi foste quassù,
non piacerebbe più.
Val più (chi 'l crederia, luci mie belle?)
un vostro raggio sol, che mille stelle.
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Qui s'oscura la scena, lampeggia, e tuona. | |
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Ma tempestoso, e ner
fatt'ecco, l'emisfer,
per ira, ch'è più bel vostro splendor
forse cambiò color?
Volo all'idolo mio, veloce, e sciolto,
non ha lampi, e tempeste il ciel d'un volto.
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Qui cade la tempesta, e va in fumo il palazzo della Maga. | Giove, Mercurio ->
Q
<- eroi, otto cavalieri, altri cavalieri, Floridoro, Rosmondo, Filaura, Rodomira
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Scena quinta |
Pallade in terra. Floridoro, Rosmondo, Filaura, Rodomira, Coro di cavalieri. |
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CORO DI CAVALIERI |
Godete illustri eroi, amanti sposi,
vi unisce il cielo amico,
v'annoda amor pudico.
Varcando un ocean d'aspri martiri
salvi giungete al porto;
non può restar assorto
chi fa servi del cielo i suoi desiri.
Non più timor d'incanti
le grand'alme v'ingombre;
chi fu cagion di pianti
or di riso è cagion sotterra all'ombre.
Itene ai regni vostri;
e dove nasce, e dove more il sole
viva d'un nodo tal l'alta memoria,
fate d'illustre, e generosa prole
festeggiar l'Asia, e giubilar la gloria.
Acciò con men disagio
ritrar possiate il piè dal regno infido
(che a molte miglia intorno
dal distrutto palazzo
la sciocca maga rese
deserto il rio paese)
per volere di Giove
bitina nave al mar vicin v'attende;
troverete per via scorta, ch'or prende
il cammin verso voi, e di là move.
Nel penoso viaggio della vita,
ch'arresta morte, e stanca,
a chi ha foriero il ciel nulla non manca.
Vado alle stelle; uniti, o cavalieri,
date gloria agli dèi con puro zelo:
seguitemi coll'alme, e coi pensieri,
che mal si regge chi non pensa al cielo.
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CORO
Diva de' nostri errori
regolatrice amica;
spiegar del ciel le lodi
non è lieve fatica;
tu vigor danne, e tu n'insegna i modi.
Ma se taccion le labbra i suoi onori
gradisce il ciel più che gli accenti i cori.
O dèi, vostri favori
narreran sugli altari,
ed Armeni, e Bitini
balsami ardenti, e chiari,
ricchi olocausti, e voti peregrini;
s'ora taccion le labbra i vostri onori
gradisce il ciel più che gli accenti i cori.
| Pallade, eroi, altri cavalieri, Floridoro, Rosmondo, Filaura, Rodomira ->
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