Atto secondo

 

Scena prima

Ergasto, Mirtillo.

Immagine d'epoca ()

 Q 

Mirtillo

<- Ergasto

 

ERGASTO

Oh quanti passi ho fatti: al fiume, al poggio,  

al prato, al fonte, alla palestra, al corso

t'ho lungamente ricercato: alfine

qui pur ti trovo, e ne ringrazio il cielo.

MIRTILLO

Ond'hai tu nuova, Ergasto,

degna di tanta fretta? Hai vita, o morte?

ERGASTO

Questa non ti darei, bench'io l'avessi,

e quella spero dar, bench'io non l'abbia.

Ma tu non ti lasciar sì fieramente

vincer al tuo dolor, vinci te stesso,

se vuoi vincer altrui: vivi, e respira

talvolta. Ma per dirti la cagione

del mio venir a te sì ratto, ascolta.

Conosci tu (ma chi non la conosce?)

la sorella d'Ormino? È di persona

anzi grande, che no, di vista allegra,

di bionda chioma, e colorita alquanto.

MIRTILLO

Com'ha nome?

ERGASTO

Corisca.

MIRTILLO

I' la conosco

troppo bene, e con lei alcuna volta

ho favellato ancora.

ERGASTO

Or sappi ch'ella

da un tempo in qua (vedi ventura) è fatta,

non so già come, o con che privilegio,

della bella Amarillide compagna;

ond' a lei tutto ho l'amor tuo scoperto

segretamente; e quel, che da lei brami,

holle mostrato, ed ella prontamente

m'ha la sua fede in ciò promessa, e l'opra.

MIRTILLO

Oh mille volte, e mille,

se questo è vero, e più d'ogn'altro amante

fortunato Mirtillo: ma del modo

t'ha ella detto nulla?

ERGASTO

Appunto nulla,

e ti dirò perché: dice Corisca,

che non può ben deliberar del modo,

prima ch'alcuna cosa ella non sappia

dell'amor tuo più certa, ond'ella possa

meglio spiare, e più sicuramente

l'animo della ninfa; e sappia come

reggersi, o con preghiere, o con inganni,

quel che tentar, quel che lasciar sia buono.

Per questo solo i' ti venia cercando

sì ratto, e sarà ben, che tu da capo

tutta la storia del tuo amor mi narri.

MIRTILLO

Così appunto farò. Ma sappi, Ergasto,

che questa rimembranza

(ah troppo acerba a chi si vive amando

fuori d'ogni speranza)

è quasi un agitar fiaccola al vento;

per cui quanto l'incendio

sempre s'avanza, tanto

all'agitata fiamma ella si strugge;

o scoter pungentissima saetta

altamente confitta:

che se senti di svellerla, maggiore

fai la piaga, e 'l dolore.

Ben cosa ti dirò, che chiaramente

farà veder com'è fallace, e vana

la speme degli amanti; e come Amore

la radice ha soave, il frutto amaro.

Nella bella stagion, che 'l dì s'avanza

sovra la notte (or compie l'anno appunto)

questa leggiadra pellegrina, questo

novo sol di beltade

venne a far di sua vista,

quasi d'un'altra primavera, adorno

il mio solo per lei leggiadro allora,

e fortunato nido Elide, e Pisa,

condotta dalla madre

in que' solenni dì, che del gran Giove

i sacrifici, e i giochi

si soglion celebrar famosi tanto,

per farne a suoi begli occhi

spettacolo beato;

ma furon que' begli occhi

spettacolo d'Amore

d'ogn'altro assai maggiore.

Ond'io, che fin allor fiamma amorosa

non avea più sentita,

ohimè non così tosto

mirato ebbi quel volto,

che di subito n'arsi:

e senza far difesa al primo sguardo,

che mi drizzò negli occhi,

sentii correr nel seno

una bellezza imperiosa, e dirmi,

dammi il tuo cor, Mirtillo.

ERGASTO

Oh quanto può ne' petti nostri Amore,

né ben il può saper, se non chi 'l prova.

MIRTILLO

Mira cio che sa fare anco ne' petti

più semplici, e più molli Amore industre.

Io so del mio pensiero una mia cara

sorella consapevole, compagna

della mia cruda ninfa

que' pochi dì, ch'Elide l'ebbe, e Pisa.

Da questa sola, come Amor m'insegna,

fedel consiglio, ed amoroso aiuto

nel mio bisogno i' prendo:

ella delle sue gonne femminili

vagamente m'adorna,

e d'innestato crin cinge le tempie.

Poi le 'ntreccia, e le 'nfiora,

e l'arco, e la faretra

al fianco mi sospende,

e m'insegna a mentir parole, e sguardi,

e sembianti nel volto, in cui non era

di lanugine ancora

pur un vestigio solo.

E quando ora ne fue,

seco là mi condusse, ove solea

la bella ninfa diportarsi, e dove

trovammo alcune nobili, e leggiadre

vergini di Megara,

e di sangue, e d'amor, sì come intesi,

alla mia dèa congiunte.

Tra queste ella si stava,

sì come suol tra le violette umili

nobilissima rosa;

e poi che 'n quella guisa

state furono alquanto

senz'altro far di più diletto, o cura,

levossi una donzella

di quelle di Megara, e così disse.

Dunque in tempo di giochi,

e di palme sì chiare, e sì famose,

starem noi neghittose?

Dunque non abbiam noi

armi da far tra noi finte contese

così ben, come gl'uomini? Sorelle

se 'l mio consiglio di seguir v'aggrada,

proviam oggi tra noi così da scherzo

noi le nostr'armi, come

contra gli uomini allor, che ne sie tempo,

l'userem da dovero.

Bacianne, e si contenda

tra noi di baci; e quella, che d'ogn'altra

baciatrice più scaltra

li saprà dar più saporiti, e cari,

n'avra per sua vittoria

questa bella ghirlanda.

Risero tutte alla proposta, e tutte

subito s'accordaro;

e si sfidavan molte, e molte ancora,

senza che dato lor fosse alcun segno,

facean guerra confusa.

Il che veggendo allor la Megarese,

ordinò prima la tenzone, e poi

disse: de' nostri baci

meritamente sia giudice quella,

che la bocca ha più bella.

Tutte concordemente

elesser la bellissima Amarilli:

ed ella i suoi begli occhi

dolcemente chinando,

di modesto rossor tutta si tinse;

e mostrò ben, che non men bella è dentro

di quel che sia di fuori:

o fosse che 'l bel volto

avesse invidia all'onorata bocca,

e s'adornasse anch'egli,

della purpurea sua pomposa vesta,

quasi volesse dir, son bello anch'io.

ERGASTO

Oh come a tempo ti cangiasti in ninfa

avventuroso, e quasi

delle dolcezze tue presago amante.

MIRTILLO

Già si sedeva all'amoroso ufficio

la bellissima giudice, e secondo

l'ordine, e l'uso di Megara, andava

ciascheduna per sorte

a far della sua bocca, e de' suoi baci

prova con quel bellissimo, e divino

paragon di dolcezza:

quella bocca beata:

quella bocca gentil, che può ben dirsi

conca d'Indo odorata

di perle orientali, e pellegrine:

e la parte, che chiude,

ed apre il bel tesoro

con dolcissimo mel purpura mista.

Così potess'io dirti, Ergasto mio,

l'ineffabil dolcezza,

ch'i' sentii nel baciarla:

ma tu da questo prendine argomento,

che non la può ridir la bocca stessa,

che l'ha provata: accogli pur insieme

quant'hanno in sé di dolce

o le canne di Cipro, o i favi d'Ibla;

tutto è nulla rispetto

alla soavità, ch'indi gustai.

ERGASTO

Oh furto avventuroso, oh dolci baci.

MIRTILLO

Dolci sì, ma non grati,

perché mancava lor la miglior parte

dell'intero diletto:

davagli Amor, non gli rendeva Amore.

ERGASTO

Ma dimmi: e come ti sentisti allora

che di baciar a te cadde la sorte?

MIRTILLO

Su queste labbra, Ergasto,

tutta se n' venne allor l'anima mia;

e la mia vita chiusa

in così breve spazio,

non era altro che un bacio,

onde restar le membra

quasi senza vigor tremanti e fioche:

e quando i' fui vicino

al folgorante sguardo,

come quel, che sapea,

che pur inganno era quell'atto, e furto,

temei la maestà di quel bel viso.

Ma da un sereno suo vago sorriso

assicurato poi

pur oltre mi sospinsi.

Amor si stava, Ergasto,

com'ape suol, nelle due fresche rose

di quelle labbra ascoso:

e mentre ella si stette

con la baciata bocca

al baciar della mia

immobile, e ristretta;

la dolcezza del mel sola gustai.

Ma poi che mi s'offerse, anch'ella, e porse

l'una e l'altra dolcissima sua rosa,

(fosse o sua gentilezza, o mia ventura,

so ben che non fu Amore),

e sonar quelle labbra,

e s'incontraro i nostri baci (oh caro

e prezioso mio dolce tesoro,

t'ho perduto, e non moro?)

allor sentii dell'amorosa pecchia

la spina pungentissima soave

passarmi il cor; che forse

mi fu renduto allora

per poterlo ferire.

Io, poi ch'a morte mi sentii ferito,

come suol disperato,

poco mancò, che l'omicide labbra

non mordessi, e segnassi:

ma mi ritenne, ohimè, l'aura adorata,

che quasi spirto d'anima divina

risvegliò la modestia,

e quel furore estinse.

ERGASTO

O modestia molestia

degli amanti importuna.

MIRTILLO

Già fornito il su' arringo avea ciascuna,

e con sospension d'animo grande

la sentenza attendea,

quando la leggiadrissima Amarilli

giudicando i miei baci

più di quelli d'ogn'altra saporiti,

di propria man, con quella

ghirlandetta gentil, che fu serbata

premio alla vincitrice, il crin mi cinse.

Ma, lasso, aprica piaggia

così non arse mai sotto la rabbia

del can celeste allor, che latra, e morde;

come ardeva il cor mio

tutto allor di dolcezza, e di desio,

e più che mai nella vittoria vinto.

Pur mi riscossi tanto,

che la ghirlanda trattami di capo

a lei porsi, dicendo.

Questa a te si convien; questa a te tocca,

che festi i baci miei

dolci nella tua bocca.

Ed ella umanamente

presala, al suo bel crin ne feo corona;

ed un'altra, che prima

cingea le tempie a lei, cinse le mie.

Ed è questa, ch'io porto,

e portero fin al sepolcro sempre,

arida come vedi,

per la dolce memoria di quel giorno;

ma molto più per segno

della perduta mia morta speranza.

ERGASTO

Degno se' di pietà più che d'invidia,

Mirtillo; anzi pur Tantalo novello,

che nel gioco d'Amor chi fa da scherzo,

tormenta da dovero: troppe care

ti costar le tue gioie; e del tuo furto

e 'l piacer, e 'l castigo insieme avesti.

Ma s'accorse ella mai di questo inganno?

MIRTILLO

Ciò non so dirti, Ergasto:

so ben ch'ella in que' giorni,

ch'Elide fu della sua vista degno,

mi fu sempre cortese

di quel soave, ed amoroso sguardo.

Ma il mio crudo destino

la 'nvolò sì repente,

che me ne avvidi appena: ond'io lasciando

quanto già di più caro aver solea,

tratto dalla virtù di quel bel guardo;

qui, dove il padre mio,

dopo tant'anni ancor, come t'è noto,

serba l'antico suo povero albergo,

me n' venni, e vidi, (ah misero) già corso

a sempiterno occaso

quell'amoroso mio giorno sereno,

che cominciò da sì beata aurora.

Al mio primo apparir subito sdegno

lampeggiò nel bel viso;

poi chinò gli occhi, e girò il piede altrove.

Misero allor i' dissi,

questi son ben della mia morte i segni.

Avea sentita acerbamente intanto

la non prevista, e subita partita

il mio tenero padre;

e dal dolore oppresso

ne cadde infermo assai vicino a morte;

ond'io costretto fui

di ritornar alle paterne case;

fu il mio ritorno, ahi lasso,

salute al padre, infermitate al figlio:

che d'amorosa febbre

ardendo, in pochi dì languido venni.

E dall'uscir che fe' di Tauro il sole,

fin all'entrar di Capricorno, sempre

in cotal guisa stetti;

e sarei certo ancora,

se non avesse il mio pietoso padre

opportuno consiglio

all'oracolo chiesto; il qual rispose,

che sol potea sanarmi il ciel d'Arcadia.

Così tornaimi, Ergasto,

a riveder colei,

che mi sanò del corpo

(oh voce degli oracoli fallace)

per farmi l'alma eternamente inferma.

ERGASTO

Strano caso nel vero

tu mi narri, Mirtillo; e non può dirsi,

che di molta pietà non ne sii degno.

Ma solo una salute

al disperato è 'l disperar salute.

E tempo è già, ch'io vada a far di quanto

m'hai detto, consapevole Corisca.

Tu vanne al fonte, e là m'attendi, dove

teco sarò quanto più tosto anch'io.

MIRTILLO

Vanne felicemente: il ciel ti dia

di cotesta pietà quella mercede,

che dar non ti poss'io, cortese Ergasto.

 

Ergasto, Mirtillo ->

 

Scena seconda

Dorinda, Lupino, Silvio.

<- Dorinda, Lupino

 

DORINDA

Oh del mio bello, e dispietato Silvio  

cura, e diletto, avventuroso, e fido

foss'io sì cara al tuo signor crudele

come se' tu, Melampo: egli con quella

candida man, ch'a me distringe il core,

te dolcemente lusingando, nutre,

e teco il dì, teco la notte alberga;

mentr'io, che l'amo tanto, invan sospiro,

e 'nvano il prego, e quel che più mi duole;

ti dà sì cari, e sì soavi baci,

ch'un sol, che n'avess'io, n'andrei beata;

e per più non poter, ti bacio anch'io,

fortunato Melampo. Or se benigna

stella forse d'Amore a me t'invia,

perché l'orme di lui mi scorga, andiamo

dove Amor me, te sol natura inchina.

Ma non sent'io tra queste selve un corno

sonar vicino?

SILVIO

Te', Melampo, te'.

DORINDA

Se 'l desio non m'inganna, quella è voce

del bellissimo Silvio, che 'l suo cane

chiama tra queste selve.

SILVIO

Te', Melampo,

te', te'.

DORINDA

Senz'alcun fallo è la sua voce.

Oh felice Dorinda: il ciel ti manda

quel ben, che vai cercando. È meglio, ch'io

serbi il cane in disparte; io farò forse

dell'amor suo con questo mezzo acquisto.

LUPINO

Eccomi.

DORINDA

Va' con questo cane

e ti nascondi in quella fratta. Intendi?

LUPINO

Intendo.

DORINDA

E non uscir s'io non ti chiamo.

LUPINO

Tanto farò.

DORINDA

Va' tosto.

LUPINO

E tu fa' tosto,

che se venisse fame a questa bestia,

in un boccone non mi manicasse.

DORINDA

O come se' da poco: su va' via.

 

<- Silvio

SILVIO

Dove misero me, dove debb'io  

volger più il piede a seguitarti, o caro,

o mio fido Melampo? Ho monte, e piano

cercato indarno; e son già molle, e stanco.

Maladetta la fera, che seguisti.

Ma ecco ninfa, che di lui novella

mi darà forse, oh come male inciampo:

questa è colei, che mi dà sempre noia.

Pur soffrir mi bisogna. O bella ninfa,

dimmi vedesti il mio fedel Melampo,

che testé dietro ad una damma sciolsi?

DORINDA

Io bella, Silvio? Io bella?

Perché così mi chiami

crudel, se bella agl'occhi tuoi non sono?

SILVIO

O bella, o brutta, hai tu il mio can veduto?

A questo mi rispondi, o ch'io mi parto.

DORINDA

Tu se' pur aspro a chi t'adora, Silvio:

chi crederia, che 'n sì soave aspetto

fosse sì crudo affetto?

Tu segui per le selve

e per gli alpestri monti

una fera fugace, e dietro l'orme

d'un veltro, ohimè t'affanni, e ti consumi;

e me, che t'amo sì, fuggi, e disprezzi.

Deh non seguir damma fugace; segui

segui amorosa, e mansueta damma,

che, senza esser cacciata

è già presa, e legata.

SILVIO

Ninfa, qui venni a ricercar Melampo,

non a perder il tempo, addio.

DORINDA

Deh Silvio

crudel non mi fuggire,

ch'i' ti darò del tuo Melampo nova.

SILVIO

Tu mi beffi, Dorinda?

DORINDA

Silvio mio,

per quello amor, che mi t'ha fatta ancella,

io so dov'è 'l tuo cane.

No 'l lasciasti testé dietro a una damma?

SILVIO

Lasciailo, e ne perdei tosto la traccia.

DORINDA

Or' il cane, e la damma è in poter mio.

SILVIO

In tuo poter?

DORINDA

In mio poter. Ti duole

d'esser tenuto a chi t'adora, ingrato?

SILVIO

Cara Dorinda mia daglimi tosto.

DORINDA

Ve', mobile fanciullo, a che son giunta,

ch'una fera, ed un can mi ti fa cara.

Ma vedi, core mio, tu non li avrai

senza mercede.

SILVIO

È ben ragion: darotti,

vo' schernirla costei.

DORINDA

Che mi darai?

SILVIO

Due belle poma d'oro, che l'altr'ieri

la bellissima mia madre mi diede.

DORINDA

A me poma non mancano; potrei

a te darne di quelle, che son forse

più saporite, e belle, se i miei doni

tu non avessi a schivo.

SILVIO

E che vorresti?

Un capro od una agnella? Ma il mio padre

non mi concede ancor tanta licenza.

DORINDA

Né di capro ho vaghezza, né d'agnella:

te solo, Silvio, e l'amor tuo vorrei.

SILVIO

Né altro vuoi, che l'amor mio?

DORINDA

Non altro.

SILVIO

Sì sì tutto te 'l dono: or dammi dunque.

Cara ninfa il mio cane, e la mia damma,

DORINDA

Oh se sapessi quanto

vale il tesor, di che sì largo sembri,

e rispondesse alla tua lingua il core.

SILVIO

Ascolta, bella ninfa, tu mi vai

sempre di certo amor parlando, ch'io

non so quel ch'e' si sia. Tu vuoi ch'i' t'ami,

e t'amo quanto posso, e quanto intendo.

Tu di' ch'io son crudele, e non conosco

quel, che sia crudeltà, né so che farti.

DORINDA

O misera Dorinda, ov'hai tu poste

le tue speranze? Onde soccorso attendi?

In beltà che non sente ancor favilla

di quel foco d'amor, ch'arde ogn'amante.

Amoroso fanciullo,

tu se' pur a me foco, e tu non ardi;

e tu, che spiri amore, amor non senti.

Te, sotto umana forma

di bellissima madre

partorì l'alma dèa, che Cipro onora.

Tu hai gli strali, e 'l foco,

ben sallo il petto mio ferito, ed arso.

Giugni agli omeri l'ali

sarai novo Cupido;

se non c'hai ghiaccio il core,

né ti manca d'Amore, altro che amore.

SILVIO

Che cosa è questo amore?

DORINDA

S'i' miro il tuo bel viso.

Amore è un paradiso:

ma s'i' miro il mio core,

è un infernal ardore.

SILVIO

Ninfa, non più parole

dammi il mio cane omai.

DORINDA

Dammi tu prima il pattuito amore.

SILVIO

Dato non te l'ho dunque? Ohimè che pena

è 'l contentar costei: prendilo, fanne

ciò che ti piace. Chi te 'l nega, o vieta?

DORINDA

Tu perdi nell'arena i semi, e l'opra

sfortunata Dorinda.

SILVIO

Che fai? Che pensi ancor mi tieni a bada?

DORINDA

Non così tosto avrai quel, che tu brami

che poi mi fuggirai, perfido Silvio.

SILVIO

No certo, bella ninfa.

DORINDA

Dammi un pegno.

SILVIO

Che pegno vuoi?

DORINDA

Ah che non oso a dirlo.

SILVIO

Perché?

DORINDA

Perc'ho vergogna.

SILVIO

E pur il chiedi.

DORINDA

Vorrei senza parlar esser intesa.

SILVIO

Ti vergogni di dirlo, e non avresti

vergogna di riceverlo?

DORINDA

Se darlo

tu mi prometti, i' te 'l dirò.

SILVIO

Prometto

ma vuò che tu me 'l dica.

DORINDA

Ah non m'intendi

Silvio mio ben: t'intenderei pur io,

s'a me il dicessi tu.

SILVIO

Più scaltra certo

se' tu di me.

DORINDA

Più calda Silvio, e meno

di te crudele io sono.

SILVIO

A dirti il vero

io non son indovin: parla se vuoi

esser intesa.

DORINDA

Oh misera, un di quelli

che ti dà la tua madre.

SILVIO

Una guanciata?

DORINDA

Una guanciata a chi t'adora Silvio?

SILVIO

Ma careggiar con queste ella sovente

mi suole.

DORINDA

Ah so ben io, che non è vero.

E talor non ti bacia.

SILVIO

Né mi bacia,

né vuol che altri mi baci.

Forse vorresti tu per pegno un bacio?

Tu non rispondi. Il tuo rossor t'accusa.

Certo mi son apposto. I' son contento;

ma dammi con la preda il can tu prima.

DORINDA

Me 'l prometti tu, Silvio?

SILVIO

I' te 'l prometto.

DORINDA

E me l'attenderai?

SILVIO

Sì ti dich'io.

Non mi dar più tormento.

DORINDA

Esci, Lupino.

Lupino, ancor non odi?

 

LUPINO

Oh se' noioso.

Chi chiama? Oh vengo, vengo: io non dormiva,

no certo. Il can dormiva.

DORINDA

Ecco il tuo cane,

Silvio; che più di te cortese in queste.

SILVIO

Oh come son contento.

DORINDA

In queste braccia,

che tanto sprezzi tu, venne a posarsi.

SILVIO

O dolcissimo mio fido Melampo.

DORINDA

Cari avendo i miei baci, e i miei sospiri.

SILVIO

Baciar ti voglio mille volte, e mille.

Ti se' fatto alcun mal forse correndo?

DORINDA

Avventuroso can: perché non posso

cangiar teco mia sorte. A che son giunta,

che sin d'un can la gelosia m'accora

ma tu, Lupin, t'invia verso la caccia,

che fra poco i' ti seguo.

LUPINO

Io vo, padrona.

 

Lupino ->

 

Scena terza

Silvio, Dorinda.

 

SILVIO

Tu non hai alcun male. Al rimanente;  

ov'è la damma che promessa m'hai?

DORINDA

La vuoi tu viva, o morta?

SILVIO

Io non t'intendo.

Com'esser viva può, se 'l can l'uccise?

DORINDA

Ma se 'l can non l'uccise?

SILVIO

È dunque viva?

DORINDA

Viva.

SILVIO

Tanto più cara, e più gradita

mi fia cotesta preda: e fu sì destro

Melampo mio, che non l'ha guasta, o tocca?

DORINDA

Sol è nel cor d'una ferita punta.

SILVIO

Mi beffi tu, Dorinda, oppur vaneggi?

Com'esser viva può nel cor ferita?

DORINDA

Quella damma son io,

crudelissimo Silvio,

che senza esser attesa,

son da te vinta, e presa;

viva, se tu m'accogli;

morta, se mi ti togli.

SILVIO

E questa è quella damma, e quella preda,

che testé mi dicevi?

DORINDA

Questa, e non altra, ohimè, perché ti turbi?

Non t'è più caro aver ninfa, che fera?

SILVIO

Né t'ho cara, né t'amo; anzi t'ho in odio,

brutta, vile, bugiarda, ed importuna.

 

Silvio ->

DORINDA

È questo il guiderdon, Silvio crudele;

è questa la mercé che tu mi dai,

garzon ingrato? Abbi Melampo in dono,

e me con lui, che tutto,

pur ch'a me torni, i' ti rimetto; e solo

de' tuoi begli occhi il sol non mi si neghi.

Ti seguirò compagna

del tuo fido Melampo assai più fida:

e quando sarai stanco,

ti asciugherò la fronte;

e sovra questo fianco,

che per te mai non posa, avrai riposo.

Porterò l'armi, porterò la preda,

e, se ti mancherà mai fera al bosco,

saetterai Dorinda, in questo petto

l'arco tu sempre esercitar potrai;

che sol come vorrai,

il porterò tua serva,

il proverò tua preda,

e sarò del tuo stral faretra, e segno.

Ma con chi parlo? Ahi lassa

teco che non m'ascolti, e via te n' fuggi;

ma fuggi pur: ti seguirà Dorinda

nel crudo inferno ancor, s'alcun'inferno

più crudo aver poss'io

della fierezza tua, del dolor mio.

 

Dorinda ->

 

Scena quarta

Corisca.

<- Corisca

 

 

Oh, come favorisce i miei disegni  

Fortuna molto più, ch'io non sperai.

Ed ha ragion di favorir colei,

che sonnacchiosa il suo favor non chiede.

Ha ben ella gran forza; e non la chiama

possente dèa senza ragione il mondo;

ma bisogna incontrarla, e farle vezzi;

spianandole il sentiero. I neghittosi

saran di rado fortunati mai.

Se non m'avesse la mia industria fatta

compagna di colei, che potrebbe ora

giovarmi una sì comoda, e sicura

occasion di ben condurre a fine

il mio pensiero? Avria qualch'altra sciocca

la sua rival fuggita; e segni aperti

della sua gelosia portando in fronte

di malocchio guatata anco l'avrebbe;

e mal' avrebbe fatto ch'assai meglio

dall'aperto nemico altri si guarda,

che non fa dall'occulto. Il cieco scoglio

è quel ch'inganna i marinari ancora

più saggi: chi non sa finger l'amico,

non è fiero nemico. Oggi vedrassi

quel, che sa far Corisca. Ma sì sciocca

non son io già, che lei non creda amante.

A qualch'un'altro il farà creder forse,

che poco sappia; a me non già, che sono

maestra di quest'arte. Una fanciulla

tenera, e semplicetta, che pur ora

spunta fuor della buccia: in cui pur dianzi

stillò le prime sue dolcezze Amore;

lungamente seguita, e vagheggiata

da sì leggiadro amante; e quel ch'è peggio,

baciata, e ribaciata, e starà salda?

Pazzo è ben chi se 'l crede; io già no 'l credo.

Ma vedi il mio destin come m'aita.

Ecco appunto Amarilli, ah i' vo' far vista

di non vederla, e ritirarmi alquanto.

 

Scena quinta

Amarilli, Corisca.

<- Amarilli

 

AMARILLI

Care selve beate,  

e voi solinghi, e taciturni orrori,

di riposo, e di pace alberghi veri.

Oh quanto volentieri

a rivedervi i' torno: e se le stelle

m'avesser dato in sorte

di viver a me stessa, e di far vita

conforme alle mie voglie;

i' già co' campi Elisi

fortunato giardin de' semidèi,

la vostr'ombra gentil non cangerei.

Che, se ben dritto miro

questi beni mortali

altro non son che mali.

Meno ha, chi più n'abbonda,

e posseduto è più, che non possede,

ricchezze no, ma lacci

dell'altrui libertate.

Che val ne' più verdi anni

titolo di bellezza,

o fama d'onestate,

e 'n mortal sangue nobiltà celeste;

tante grazie del cielo, e della terra,

qui larghi, e lieti campi,

e la felici piagge,

fecondi paschi, e più fecondo armento,

se 'n tanti beni il cor non è contento?

Felice pastorella,

cui cinge appena il fianco

povera sì, ma schietta,

e candida gonnella:

ricca sol di sé stessa,

e delle grazie di natura adorna,

che 'n dolce povertate

né povertà conosce, né i disagi

delle ricchezze sente;

ma tutto quel possede,

per cui desio d'aver non la tormenta.

Nuda sì, ma contenta.

Co' doni di natura

i doni di natura anco nudrìca,

col latte il latte avviva,

e col dolce dell'api

condisce il mel delle natie dolcezze.

Quel fonte, ond'ella beve,

quel solo anco la bagna, e la consiglia:

paga lei, pago 'l mondo.

Per lei di nembi il ciel s'oscura indarno,

e di grandine s'arma,

che la sua povertà nulla paventa.

Nuda sì, ma contenta.

Sola una dolce, e d'ogn'affanno sgombra

cura le sta nel core.

Pasce le verdi erbette

la greggia a lei commessa, ed ella pasce

de' suo' begli occhi il pastorello amante,

non qual le destinaro

o gli uomini, o le stelle,

ma qual le diede Amore.

E tra l'ombrose piante

d'un favorito lor mirteto adorno

vagheggiata il vagheggia; né per lui

sente foco d'amor, che non gli scopra,

né ella scopre ardor, ch'egli non senta;

nuda sì, ma contenta.

Oh vera vita, che non sa che sia

morire innanzi morte;

potess'io pur cangiar teco mia sorte.

Ma vedi là Corisca. Il ciel ti guardi,

dolcissima Corisca.

CORISCA

Chi mi chiama?

Oh, più degli occhi miei, più della vita

a me cara Amarilli: e dove vai

così soletta?

AMARILLI

In nessun altro loco,

se non dove mi trovi, e dove meglio

capitar non potea, poiché te trovo.

CORISCA

Tu trovi chi da te non parte mai,

Amarilli mia dolce, e di te stava

pur or pensando, e fra mio cor dicea:

s'io son l'anima sua, come può ella

star senza me sì lungamente? E, 'n questo

tu mi s'è sopraggiunta, anima mia.

Ma tu non ami più la tua Corisca.

AMARILLI

E perché ciò?

CORISCA

Come perché? Tu 'l chiedi

oggi tu sposa.

AMARILLI

Io sposa?

CORISCA

Sì tu sposa,

ed a me no 'l palesi?

AMARILLI

E come posso

palesar quel, che non m'è noto?

CORISCA

Ancora

tu t'infingi, e me 'l neghi?

AMARILLI

Ancor mi beffi

CORISCA

Anzi tu beffi me.

AMARILLI

Dunque m'affermi

ciò tu per vero?

CORISCA

Anzi te 'l giuro: e certo

non ne sai nulla tu?

AMARILLI

So che promessa

già fui, ma non so già che sì vicine

sien le mie nozze: e tu da chi 'l sapesti?

CORISCA

Da mio fratello Ormino. Esso l'ha inteso,

dice, da molti, e non si parla d'altro.

Par che tu te ne turbi. È forse questa

novella da turbarsi?

AMARILLI

Gli è un gran passo,

Corisca. E già la madre mia mi disse,

che quel dì si rinasce.

CORISCA

A miglior vita

si rinasce per certo. E tu per questo

viver lieta dovresti. A che sospiri?

Lascia pur sospirar a quel meschino.

AMARILLI

Qual meschino?

CORISCA

Mirtillo, che trovossi

presente a ciò che 'l mio fratel mi disse.

E poco men, che di dolor no 'l vidi

morire: è certo e' si moriva, s'io

non l'avessi soccorso, promettendo

di sturbar queste nozze: e ben che questo

dicessi sol per suo conforto, io pure

sarei donna per farlo.

AMARILLI

E ti darebbe

l'animo di sturbarle?

CORISCA

E di che sorte

AMARILLI

E come ciò faresti?

CORISCA

Agevolmente,

pur che tu ti disponga, e ci consenta.

AMARILLI

Se ciò sperassi, e la tua fé mi dessi

di non l'appalesar, ti scovrirei

un pensier, che nel cor gran tempo ascondo.

CORISCA

Io palesarti mai? Aprasi prima

la terra, e per miracolo m'inghiotta.

AMARILLI

Sappi, Corisca mia, che quand'io penso,

ch'i' debbo ad un fanciullo esser soggetta,

che m'ha in odio, e mi fugge, e ch'altra cura

non ha che i boschi, e ch'una fera e un cane

stima più che l'amor di mille ninfe,

malcontenta ne vivo; e poco meno

che disperata; ma non oso a dirlo,

sì perché l'onestà non me 'l comporta,

sì perché al padre mio n'ho di già data,

e quel ch'è peggio, alla gran dèa, la fede:

che se per opra tua, ma però sempre,

salva la fede mia, salva la vita,

e la religion, e l'onestate,

troncar di questo a me sì grave nodo

si potesser le fila; oggi saresti

tu ben la mia salute, e la mia vita.

CORISCA

Se per questo sospiri hai gran ragione,

Amarilli. Deh quante volte il dissi:

una cosa sì bella a chi la sprezza?

Sì ricca gioia a chi non la conosce?

Ma tu se' troppo savia, a dirti il vero;

anzi pur troppo sciocca. E che non parli?

Che non ti lasci intendere?

AMARILLI

Ho vergogna.

CORISCA

Hai un gran mal, sorella. I' vorrei prima

aver la febbre, il fistolo, la rabbia;

ma, credi a me, la perderai tu ancora,

sorella mia, sì ben basta una sola

volta, che tu la superi, e rinieghi.

AMARILLI

Vergogna, che 'n altrui stampò natura

non si può rinnegar: che se tu tenti

di cacciarla dal cor, fugge nel volto.

CORISCA

O Amarilli mia, chi troppo savia

tace il suo male, alfin da pazza il grida.

Se questo tuo pensiero avessi prima

scoperto a me, saresti fuor d'impaccio.

Oggi vedrai quel che sa far Corisca.

Nelle più sagge man, nelle più fide

tu non potevi capitar. Ma quando

sarai per opra mia già liberata

d'un cattivo marito; non vorrai tu

d'un buon amante provvederti?

AMARILLI

A questo

penseremo a bell'agio.

CORISCA

Veramente

non puoi mancare al tuo fedel Mirtillo.

E tu sai pur s'oggi è pastor di lui,

né per valor, né per sincera fede,

né per beltà dell'amor tuo più degno.

E tu 'l lasci morire (ah troppo cruda)

senza che dir ti possa almeno, io moro.

Ascoltalo una volta.

AMARILLI

Oh quanto meglio

farebbe a darsi pace, e la radice

sveller di quel desio ch'è senza speme.

CORISCA

Dagli questo conforto anzi che mora.

AMARILLI

Sarà piuttosto un raddoppiargli affanno.

CORISCA

Lascia di questo tu la cura a lui.

AMARILLI

E di me che sarebbe, se mai questo

si risapesse?

CORISCA

Oh quanto hai poco core.

AMARILLI

E poco sia, pur ch'a bontà mi vaglia.

CORISCA

Amarilli, se lecito ti fai

di mancarmi tu in questo, anch'io ben posso

giustamente mancarti, addio.

AMARILLI

Corisca,

non ti partir, ascolta.

CORISCA

Una parola

sola non udirei, se non prometti.

AMARILLI

Ti prometto d'udirlo, ma con questo,

ch'ad altro non m'astringa.

CORISCA

Altro non chiede.

AMARILLI

E tu gli facci credere, che nulla

saputo i' n'abbia.

CORISCA

Mostrerò che tutto

abbia portato il caso.

AMARILLI

E ch'indi possa

partirmi a mio piacer, né mi contrasti.

CORISCA

Quando ti piacerà, pur che l'ascolti.

AMARILLI

E brevemente si spedisca.

CORISCA

E questo

ancora si farà.

AMARILLI

Né mi s'accosti,

quanto è lungo il mio dardo.

CORISCA

Ohimè che pena

m'è oggi il riformar cotesta tua

semplicità. Fuor che la lingua ogn'altro

membro gli legherò; sì che sicura

star ne potrai: vuoi altro?

AMARILLI

Altro non voglio.

CORISCA

E quando il farai tu?

AMARILLI

Quando a te piace,

pur che tanto di tempo or mi conceda;

ch'i' torni a casa, ove di queste nozze

mi vo' meglio informar.

CORISCA

Vanne, ma guarda

di farlo accortamente. Or odi quello,

ch'i' vo pensando, ch'oggi sul meriggio

qui sola fra quest'ombre, e senz'alcuna

delle tue ninfe tu te n' venghi; dove

mi troverò per questo effetto anch'io.

Meco saran Nerine, Aglauro, Elisa,

e Fillide, e Licori; tutte mie

non meno accorte, e sagge, che fedeli,

e segrete compagne: ove con loro

facendo tu, come sovente suoli,

il giuoco della cieca, agevolmente

Mirtillo crederà, che non per lui,

ma per diporto tuo ci sii venuta.

AMARILLI

Questo mi piace assai; ma non vorrei

che quelle ninfe fossero presenti

alle parole di Mirtillo sai?

CORISCA

T'intendo; e ben avvisi; e sie mia cura,

che tu di questo alcun timor non aggia;

ch'io le farò sparir quando sia tempo.

Vattene pur, e ti ricorda intanto

d'amar la tua fidissima Corisca.

AMARILLI

Se posto ho il cor nelle sue mani, a lei

starà di farsi amar quanto le piace.

 

Amarilli ->

CORISCA

Parti ch'ella stia salda? A questa rocca

maggior forza bisogna. S'all'assalto

delle parole mie può far difesa,

a quelle di Mirtillo certamente

resister non potrà. So ben'anch'io

quel che nel cor di tenera fanciulla

possano i preghi di gradito amante.

Se ridur ci si lascia, a tal partito

la stringerò ben' io con questo giuoco,

che non l'avrà da giuoco. Ed io non solo

dalle parole sue, voglia, o non voglia,

potrò spiar, ma penetrar ancora

fin nell'interne viscere il suo core.

Come questo abbia in mano, e già padrona

sia del segreto suo, farò di lei

ciò che vorrò, senza fatica alcuna,

e condurrolla a quel che bramo, in guisa,

ch'ella stessa, non ch'altri, agevolmente

creder potrà, che l'abbia a ciò condotta

il suo sfrenato amor, non l'arte mia.

 

Scena sesta

Corisca, Satiro.

<- Satiro

 

CORISCA

Ohimè, son morta.  

SATIRO

Ed io son vivo.

CORISCA

Torna,

torna, Amarilli mia, che presa sono.

SATIRO

Amarilli non t'ode: ah questa volta

ti converrà star salda.

CORISCA

Ohimè le chiome.

SATIRO

T'ho pur sì lungamente attesa al varco,

che nella rete se' caduta. E sai,

questo non è il mantello, è 'l crin, sorella.

CORISCA

A me Satiro?

SATIRO

A te. Non se' tu quella

Corisca sì famosa, ed eccellente

maestra di menzogne, che mentite

parolette, e speranze, e finti sguardi

vendi a sì caro prezzo? Che tradito

m'ha' in tanti modi, e dileggiato sempre,

ingannatrice, e pessima Corisca?

CORISCA

Corisca son ben' io; ma non già quella,

Satiro mio gentil, ch'agli occhi tuoi

un tempo fu sì cara.

SATIRO

Or son gentile

sì, scellerata, ma gentil non fui,

quando per Coridon tu mi lasciasti.

CORISCA

Te per altrui?

SATIRO

Or odi meraviglia,

e cosa nuova all'animo sincero.

E quando l'arco a Lilla, e 'l velo a Clori,

la veste a Dafne, ed i coturni a Silvia

m'inducesti a rubar, perché 'l mio furto

fosse di quell'amor poscia mercede,

ch'a me promesso fu donato altrui:

e quando la bellissima ghirlanda,

che donata i' t'avea, donasti a Niso;

e quando alla caverna, al bosco, al fonte

facendomi vegghiar le fredde notti

m'hai schernito, e beffato: allor ti parvi

gentile, ah scellata? Or pagherai,

credimi, or pagherai di tutto il fio.

CORISCA

Tu mi strascini, ohimè, come s'i' fussi

una giovenca.

SATIRO

Tu 'l dicesti appunto.

Scotiti pur, se sai: già non tem'io,

che quinci or tu mi fugga: a questa presa

non ti varranno inganni. Un'altra volta

te n' fuggisti, malvagia. Ma se 'l capo

qui non mi lasci, indarno t'affatichi

d'uscirmi oggi di man.

CORISCA

Deh non negarmi

tanto di tempo almen, che teco i' possa

dir mia ragion comodamente.

SATIRO

Parla.

CORISCA

Come vuoi tu ch'io parli essendo presa?

Lasciami.

SATIRO

Ch'i' ti lasci?

CORISCA

I' ti prometto

la fede mia di non fuggir.

SATIRO

Qual fede,

perfidissima femmina? Ancor osi

parlar meco di fede? I' v' condurti

nella più spaventevole caverna

di questo monte, ove non giunga mai

raggio di Sol, nonché vestigio umano.

Del resto non ti parlo, il sentirai.

Farò con mio diletto, e con tuo scorno

quello strazio di te, che meritasti.

CORISCA

Puoi tu dunque, crudele, a questa chioma

che ti legò già il core; a questo volto,

che fu già il tuo diletto, a questa un tempo

più della vita tua cara Corisca,

per cui giuravi che ti fora stato

anco dolce il morire; a questa puoi

soffrir di far oltraggio? Oh cielo, oh sorte

in cui pos'io speranza? A cui debb'io

creder mai più, meschina?

SATIRO

Ah, scellerata

pensi ancor d'ingannarmi? Ancor mi tenti

con le lusinghe tue, con le tue frodi?

CORISCA

Deh, Satiro gentil, non far più strazio

di chi t'adora. Ohimè non se' già fera,

non hai già il cor di marmo, o di macigno.

Eccomi a' piedi tuoi. Se mai t'offesi,

idolo del mio cor, perdon ti cheggio.

Per queste nerborute, e sovrumane

tue ginocchia, ch'abbraccio, a cui m'inchino,

per quello amor, che mi portasti un tempo,

per quella soavissima dolcezza,

che trar solevi già dagli occhi miei,

che tue stelle chiamavi, or son duo fonti;

per queste amare lagrime ti prego,

abbi pietà di me, lasciami omai.

SATIRO

La perfida m'ha mosso; e, s'io credessi

solo all'affetto, affé che sarei vinto.

Ma insomma io non ti credo. Tu se' troppo

malvagia, e 'nganni più, chi più si fida.

Sotto quell'umiltà, sotto que' preghi

si nasconde Corisca: tu non puoi

esser da te diversa. Ancor contendi?

CORISCA

Ohimè il mio capo, ah crudo; ancor un poco

fermati prego, ed una sola grazia

non mi negar' almen.

SATIRO

Che grazia è questa?

CORISCA

Che tu m'ascolti ancor un poco.

SATIRO

Forse

ti pensi tu con parolette finte,

e mendicate lagrime piegarmi?

CORISCA

Deh, Satiro cortese, e pur tu vuoi

far di me strazio?

SATIRO

Il proverai, vien pure.

CORISCA

Senza avermi pietà?

SATIRO

Senza pietate.

CORISCA

E 'n ciò se' tu ben fermo?

SATIRO

In ciò ben fermo.

Hai tu finito ancor questo incantesmo?

CORISCA

O villano, indiscreto, ed importuno;

mezz'uomo, e mezzo capra, e tutto bestia:

carogna fracidissima, e difetto

di natura nefando; se tu credi

che Corisca non t'ami, il vero credi.

Che vuoi tu ch'ami in te? Quel tuo bel ceffo?

Quella succida barba? Quell'orecchie

caprigne? E quella putrida e bavosa

isdentata caverna?

SATIRO

Oh scellerata:

a me questo?

CORISCA

A te questo.

SATIRO

A me, ribalda?

CORISCA

A te caprone.

SATIRO

Ed io con queste mani

non ti trarrò cotesta tua canina,

ed importuna lingua?

CORISCA

Se t'accosti,

e fossi tanto ardito.

SATIRO

In tale stato

una vil femminuzza? In queste mani?

E non teme? E m'oltraggia? E mi dispregia?

Io ti farò.

CORISCA

Cosa mi farai, villano?

SATIRO

I' ti mangerò viva.

CORISCA

E con quai denti,

se tu non gli hai?

SATIRO

Oh ciel, come il comporti.

Ma s'io non te ne pago vien pur via.

CORISCA

Non vo' venir.

SATIRO

Non ci verrai, malvagia?

CORISCA

No, mal tuo grado, no.

SATIRO

Tu ci verrai,

se mi credessi di lasciarci queste

braccia.

CORISCA

Non ci verrò, se questo capo

di lasciarci credessi.

SATIRO

Orsù veggiamo

chi di noi ha più forte, e più tenace,

tu il collo, od io le braccia. Tu ci metti

le mani; né con questo anco potrai

difenderti, perversa.

CORISCA

Or il vedremo.

SATIRO

Sì certo.

CORISCA

Tira ben. Satiro, addio,

fiaccati il collo.

SATIRO

Ohimè dolente, ahi lasso,

ohimè il capo, ohimè il fianco, ohimè la schiena.

O che fiera caduta. Appena i' posso

movermi, e rilevarmene: è pur vero

è ch'ella fugga, e qui rimanga il teschio?

Oh meraviglia inusitata: o ninfe,

o pastori, accorrete, e rimirate

il magico stupor di chi se n' fugge,

e vive senza capo. Oh come è lieve:

quanto ha poco cervello; e come il sangue

fuor non ne spiccia? Ma che miro? Oh sciocco,

oh mentecatto: senza capo lei?

Senza capo se' tu: chi vide mai

uom di te più schernito? Or mira s'ella

ha saputo fuggir, quando tu meglio

la pensavi tener? Perfida maga;

non ti bastava aver mentito il core,

e 'l volto, e le parole, e 'l riso, e 'l guardo,

s'anco il crin non mentivi? Ecco, poeti,

questo è l'oro nativo, e l'ambra pura,

che pazzamente voi lodate. Omai

arrossite, insensati, e ricantando,

vostro soggetto in quella vece sia

l'arte d'una impurissima, e malvagia

incantatrice, che i sepolcri spoglia,

e dai fracidi teschi il crin furando,

al suo l'intesse; e così ben l'asconde,

che v'ha fatto lodar quel, che aborrire

dovevate assai più, che di Megera

le viperine, e mostruose chiome.

Amanti, or non son questi i vostri nodi?

Mirate, e vergognatevi, meschini.

E se come voi dite, i vostri cori

son pur qui ritenuti, omai ciascuno

potrà senza sospiri, e senza pianto

ricoverar il suo. Ma che più tardo

a pubblicar le sue vergogne? Certo

non fu mai sì famosa, né sì chiara

la chioma, ch'è lassù con tante stelle

ornamento del ciel, come fie questa

per la mia lingua, e molto più colei,

che la portava, eternamente infame.

 
 

CORO

Ah ben fu di colei grave l'errore,  

(cagion del nostro male)

che le leggi santissime d'Amore,

di fé mancando, offese:

poscia ch'indi s'accese

degli immortali dèi l'ira mortale,

che per lagrime, e sangue

di tante alme innocenti ancor non langue.

Così la fé, d'ogni virtù radice,

e d'ogn'alma ben nata unico fregio

lassù si tiene in pregio.

Così di farci amanti, onde felice

si fa nostra natura,

l'eterno amante ha cura.

Ciechi mortali voi, che tanta sete

di possedere avete:

l'urna amata guardando

d'un cadavero d'or, quasi nud'ombra,

che vada intorno al suo sepolcro errando;

qual amore, o vaghezza

d'una morta bellezza il cor v'ingombra?

Le ricchezze, e i tesori

son insensati amori. Il vero, e vivo

amor dell'alma, è l'alma: ogn'altro oggetto,

perché d'amare è privo,

degno non è dell'amoroso affetto.

L'anima perché sola è riamante,

sola è degna d'amor, degna d'amante.

Ben è soave cosa

quel bacio, che si prende

da una vermiglia, e delicata rosa

di bella guancia. E pur chi 'l vero intende,

com' intendete vui,

avventurosi amanti, che 'l provate;

dirà che quello è morto bacio, a cui

la baciata beltà bacio non rende.

Ma i colpi di due labbra innamorate,

quando a ferir si va bocca con bocca,

e che in un punto scocca

Amor con soavissima vendetta

l'una, e l'altra saetta,

son veri baci; ove con giuste voglie

tanto si dona altrui, quanto si toglie.

Baci pur bocca curiosa, e scaltra

o seno, o fronte, o mano; unqua non fia

che parte alcuna in bella donna baci,

che baciatrice sia,

se non la bocca: ove l'un'alma, e l'altra

corre, e si bacia anch'ella: e con vivaci

spiriti pellegrini

da vita al bel tesoro

de' bacianti rubini:

sì che parlan tra loro

gran cose in picciol suono,

e segreti dolcissimi, che sono

a lor solo palesi, altrui celati.

Tal gioia amando prova, anzi tal vita

alma con alma unita:

e son come d'amor baci baciati

gli incontri di due cori amanti amati.

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Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

Arcadia.

Mirtillo
 
Mirtillo
<- Ergasto

Oh quanti passi ho fatti: al fiume, al poggio

Ergasto, Mirtillo ->
<- Dorinda, Lupino

Oh del mio bello, e dispietato Silvio

(Lupino si nasconde)

Dorinda, Lupino
<- Silvio

Dove misero me, dove debb'io

(Lupino esce dal nascondiglio)

Dorinda, Silvio
Lupino ->

Tu non hai alcun male. Al rimanente

Dorinda
Silvio ->

Dorinda ->
<- Corisca
Corisca
<- Amarilli

Care selve beate

Corisca
Amarilli ->

Corisca
<- Satiro

Ohimè, son morta / Ed io son vivo / Torna

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta
Arcadia. Arcadia. Arcadia. Arcadia. Arcadia. Arcadia.
Prologo Atto primo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

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