Scena unica |
Alfeo fiume d'Arcadia. |
(♦) Alfeo |
ALFEO da noi negletta, e non creduta fama avete mai d'innamorato fiume le meraviglie udite, che per seguir l'onda fugace, e schiva dell'amata Aretusa corse (o forza d'amor) le più profonde viscere della terra; e del mar penetrando; là dove sotto alla gran mole etnea non so se fulminato, o fulminante vibra il fiero gigante contra 'l nemico ciel fiamme di sdegno quel son io: già l'udiste, or ne vedete prova tal, ch'a noi stessi fede negar non lice. Ecco lasciando il corso antico, e noto per incognito mar l'onda incontrando del re de' fiumi altero, qui sorgo, e lieto a rivederne vegno qual esser già solea libera, e bella, or desolata, e serva, quell'antica mia terra, ond'io derivo. O cara genitrice: o dal tuo figlio riconosciuta Arcadia: riconosci il tuo caro, e già non men di te famoso Alfeo. Queste son le contrade sì chiare un tempo: e queste son le selve, ove 'l prisco valor visse, e morio. In questo angolo sol del ferreo mondo, cred'io che ricovrasse il secol d'oro, quando fuggia le scellerate genti. Qui non veduta altrove libertà moderata, e senza invidia fiorir si vide, in dolce sicurezza non custodita, e n' disarmata pace. Cingea popolo inerme un muro d'innocenza, e di virtute, assai più impenetrabile di quello, che d'animati sassi canoro fabbro alla gran Tebe eresse. E quando più di guerre, e di tumulti arse la Grecia, e gli altri suoi guerrieri popoli armò l'Arcadia, a questa sola fortunata parte; a questo sacro asilo strepito mai non giunse né d'amica né di nemica tromba. E sperò tanto sol Tebe, e Corinto, e Micene, e Megara, e Patra, e Sparta di trionfar del suo nemico, quanto l'ebbe cara e guardolla questa amica del ciel devota gente, di cui fortunatissimo riparo fur esse in terra, ella di lor nel cielo: pugnando altri con l'armi, ella co' prieghi. E benché qui ciascuno abito e nome pastorale avesse, non fu però ciascuno, né di pensier, né di costumi rozzo: però ch'altri fu vago di spiar tra le stelle, e gli elementi di natura, e del ciel gli alti segreti: altri di seguir l'orme di fuggitiva fera. Altri con maggior gloria d'atterrar orso o d'assalir cignale. Questi rapido al corso, e quegli al duro cesto fiero mostrossi ed alla lotta invitto. Chi lanciò dardo, e chi ferì di strale il destinato segno. Chi d'altra cosa ebbe vaghezza, come ciascun suo piacer segue. La maggior parte amica fu delle sacre muse: amore, e studio beato un tempo, or infelice, e vile. Ma chi mi fa veder dopo tant'anni qui trasportata, dove scende la Dora in Po, l'Arcada terra? Questa la chiostra è pur, questo quel antro dell'antica Ericina. E quel, che colà sorge è pur il tempio alla gran Cintia sacro. Or qual m'appare miracolo stupendo? Che 'nsolito valor, che virtù nova vegg'io di trapiantar popoli e terre? O fanciulla reale, d'eta fanciulla, e di saver già donna: virtù del vostro aspetto. Valor del vostro sangue, gran Caterina, (or me n'avveggio), è questa di quel sublime, e glorioso sangue, alla cui monarchia nascono i mondi. Questi sì grandi effetti, che sembran meraviglie, opre son vostre usate, opre natie, come a quel sol, che d'oriente sorge tante cose leggiadre produce il mondo: erbe, fior, fronde e tante in cielo, in terra in mare alme viventi, così al vostro possente, altero sole, ch'uscì dal grande, e per voi chiaro occaso si veggon d'ogni clima nascer province, e regni, e crescer palme, e pullular trofei. A voi dunque m'inchino, altera figlia di quel monarca, a cui né anco quando annotta il sol tramonta: sposa di quel gran duce, al cui senno, al cui petto, alla cui destra commise il ciel la cura dell'italiche mura. Ma non bisogna più d'alpestre rupi schermo, o d'orride balze. Stia pur la bella Italia per voi sicura, e suo riparo, invece delle grand'alpi, una grand'alma or sia. Quel suo tanto di guerra propugnacolo invitto, è per voi fatto alle nemiche genti quasi tempio di pace, ove novella deità s'adori. Vivete pur, vivete lungamente concordi anime grandi, che da sì glorioso, e santo nodo spera gran cose il mondo; ed ha ben anco, ove fondar sua speme. Se mira in oriente con tanti scettri il suo perduto impero, campo sol di voi degno, o magnanimo Carlo, e dai vestigi dei grand'avoli vostri ancora impresso: augusta è questa terra, augusti i vostri nomi, augusto il sangue, i sembianti, i pensier, gli animi augusti; saran ben anco augusti i parti, e l'opre. Ma voi, mentre v'annunzio corone d'oro, e le prepara il fato, non isdegnate queste, nelle piagge di Pindo d'erbe e di fior conteste per man di quelle vergini canore, che, malgrado di morte altrui dan vita: picciole offerte sì; ma però tali, che se con puro affetto il cor le dona, anco il ciel non le sdegna. E se dal vostro serenissimo ciel d'aura cortese qualche spirto non manca, la cetra, che per voi vezzosamente or canta teneri amori, e placidi imenei, sonerà fatta tromba arme e trofei. | ||