Atto secondo

 

Scena prima

La prospettiva si cangia in montagne coperte di neve, nel mezzo apparisce la fucina di Vulcano, che dalla cima esala fiamme, ed aprendosi al suon di martelli esce Vulcano con sedici suoi ministri.
Vulcano, Sterope, Bronte, Pirammone, e Coro di Vulcano.

 Q 

(nessuno)

<- Vulcano, Sterope, Bronte, Pirammone, sedici ministri

 

VULCANO

Orsù Sterope? E Bronte?  

Pirammon? Dovete sete?

STEROPE

Qui tutti a' cenni tuoi presti ad ogn'ora.

VULCANO

Quante saette per lo ciel son pronte

a me ratti porgete.

L'aquila fa tra noi lunga dimora,

e forse Giove a fulminare aspetta.

BRONTE

Molte informi ne son, molte nel foco

d'arder prendono stile, una è perfetta.

PIRAMMONE

Questa formata è già, ma tersa è poco.

VULCANO

Più non serve tra voi come solea

l'usitato lavoro, e pur v'è noto,

come spesso lassù l'opre mortali

spingano il sommo padre

a doppiar contra lor fulminei strali.

O degli augei regina

questo fulmine or prendi,

e mentre ogn'altro al paragon s'affina

a darlo al gran tonante in cielo ascendi.

(lo dà all'aquila, ed ella col fulmine vola al cielo)

Tu Bronte indura in disusate tempre

l'ammirabile scudo,

opra di questo ingegno, e di mia mano;

quindi otterrà vittorioso alloro

ne' secoli avvenir eroe sovrano.

Nel mezzo intaglierò rovere d'oro,

che recisa germogli in nobil nesto,

e da' rami pregiati,

onde si veste, e dà ricovro, ed ombra,

pendan, cangiando stil, sei pomi aurati;

con caratteri d'oro, e di rubini

scriverovvi d'intorno:

rovere fortunata

mentre cadevi estinta,

a gran sostegno avvinta

sorgi a vita più cara, e più beata.

De' frutti d'alti eroi cresci feconda,

né perda il verde suo ramo, né fronda.

 

Scena seconda

Iride scende dal cielo, e i medesimi.

<- Iride

 

IRIDE

Ecco il mirabil monte  

della Trinacria altera,

che sul tergo ha la neve, in seno il foco;

in così strano loco

a mille fabbri il gran Vulcano impera.

VULCANO

Iride messaggera

della mia genitrice a me discende,

ornamento del cielo iride bella

dall'eterea magione

qual mi rechi quaggiù grata novella?

IRIDE

Grata purtroppo, e cara,

della diva d'Amor s'è fatto sposo,

nell'Olimpo festoso

oggi le nozze tue Giunon prepara,

mille superbi doni

lassù t'appresta, a tanto onore ascendi.

VULCANO

Farò quanto m'imponi

dèa, ch'in vari color le nubi accendi:

ma di' nunzia gentil, la bella diva

sa pur d'esser mia sposa?

Rado somma beltà non è ritrosa,

e non disdegna altrui superba, e schiva.

IRIDE

Del fulminante dio moglie è Giunone,

ella da lui l'ottenne, e così vuole

chi 'l tutto al voler suo regge, e dispone.

VULCANO

Or venga il carro, ond'io

alle stelle me n' voli

felicissimo dio;

e voi mentr'io ritorno

delle più chiare pompe, e pregi miei

tutto rendete il cavo monte adorno,

celebrerò quaggiù gli alti imenei.

 
Esce un carro di fuoco tirato da due leoni, che spirano fiamme, dove, asceso Vulcano sale al cielo.

Vulcano ->

 

IRIDE

(canta)  

Alla gioia infinita,

che sull'empireo tetto oggi t'aspetta,

sali felice o nume,

e fuor dal tuo costume

al carro fiammeggiante il volo affretta.

Sali gran dio del foco

alla diva d'amor, ch'in Cipro impera:

temprata col diletto

giungerà nel tuo petto

la fiamma, ond'arde in sulla terza sfera.

 

CORO DI CICLOPI

Sei possente, sei sovrano  

Imeneo, maggior d'Amore,

se co' lacci, e con l'ardore

leghi Venere, e Vulcano.

STEROPE

(solo)

Senza raggi il sol non è,

senza amor non è beltà,

se consorte ugual non ha,

non ha legge, non ha fé.

BRONTE

Né soffiar d'atroci venti

debil fronda mai soffrì,

Onestà mai non s'aprì

a' sospir de' cori ardenti.

PIRAMMONE

Pronti ognor a provocarte

s'ornerà,

s'armerà

quindi Adone, e quindi Marte:

pugna pur, t'adopri invano.

TUTTI

(in coro)

Sei possente, sei sovrano

Imeneo, maggior d'Amore,

se co' lacci, e con l'ardore

leghi Venere, e Vulcano.

 
 

Scena terza

Apparisce il monte Parnaso, dove le Muse mentre van cantando, e suonando sono rincontrate da Pallade.
Pallade, e le Muse.

 Q 

(nessuno)

<- le muse, Pallade

 

PALLADE

Qual chiaro nume, o di real corona  

incomparabil vanto,

presta nobil soggetto al vostro canto,

che sì dolce in Parnaso oggi risuona?

 

CALLIOPE

Diva sai ben, che al variar degli anni  

nulla sotto del ciel non cangia stile,

e che questa di noi fede gentile

barbari occuperan fieri tiranni.

Tardi gl'ingegno divenuti, e foschi

n'andremo ad abitar d'Arno le rive,

godendo in quelle sponde a cetre argive

peregrini accordar numeri toschi.

Ammirava il pensier con quale onore

la medicea virtù quivi n'accolga,

come lieta, e benigna a noi rivolga

tra gli aurei scettri suoi la mente, e 'l core.

E grate in parte agli aspettati doni

prendemmo ad animar dolci strumenti,

e temprando auree corde in vari accenti

innalzare a lor glorie i canti, e suoni.

PALLADE

Quanto a grado mi sia de' re toscani

udir canore dèe. Gli eccelsi merti,

e vagheggiar, pria ch'alla luce aperti,

de' secoli futuri onor sovrani.

Ed io dovrò non poco a gesti loro,

ch'abbandonata già l'estinta Atene,

liete soggiorno in quelle piagge amene

fortunata sarò tra 'l vostro coro.

CALLIOPE

E chi spesso iterar non ha diletto

di così amati regi e l'opre, e 'l nome,

e mostrar ne' loro vanti il proprio affetto?

 
Cantano le Muse.
 

POLIMNIA

Te lodo o Cosmo, alla cui larga mano  

larghissimi tesor parranno scarsi,

oserà contro a te l'Invidia armarsi

d'empi veleni, e spargeralli invano:

sarai padre acclamato, e dal tuo ciglio

penderà dell'Etruria ogni consiglio.

CLIO

Che dirò del mio Lauro? E quando in terra

il sol vedrà giammai pari, o secondo!

O prudenza, o valor, ch'ogni altro atterra,

di quanti ei sosterrà gran regni il pondo!

Vedrassi a senno suo dar pace e guerra,

arbitro dell'Italia, anzi del mondo:

ornerà le virtudi, a Flora in seno

lieto accoglierà noi, Febo tirreno.

URANIA

Ove non splende il figlio, ove il nipote

di sovrumano onor cinti la chioma,

oh come liete allor l'Esperia, e Roma

correr vedranne a' sacri piè devote!

Generoso leon, parranne angusto

al tuo, l'ampio donar del grande Augusto.

TERSICORE

Beato accresci alle corone i pregi

su nobil trono asceso

genitor di regine, avo di regi.

E tu d'alto valor l'anima acceso,

ch'in breve di milizia i primi onori

torneresti all'Italia, e 'l nome andato,

s'in riva al Mincio il fato

non troncasse a tue glorie i sommi allori.

Ahi, ch'ove al grido tuo più nobil tromba

crede Manto sonar, t'apre la tomba.

MELPOMENE

Cede la patria, o grand'eroe, l'impero

a tue virtudi, al tuo valor dovuto:

gode vinto mirar Marte sì fiero,

ed a Flora venir nuovo tributo.

E te (l'opre d'Aletto oppresse, e dome)

di corona real cinto le chiome.

ERATO

Voi Castore, e Polluce, onde s'adorna

di novelli splendori il ciel tirreno,

il cui sguardo sereno

le tempeste de' suoi tranquille torna.

Tu secondo d'età, ch'al trace in seno

turbi, ed al lume suo scemi le corna

primo, oh come saprai con l'alto ingegno

stabil fondar per mille lustri il regno!

EUTERPE

Qual grido non ti aggiunge, o nobil fiume

del glorioso re l'inclita prole,

che sì tosto da te sciolte auree piume

orna le stelle, e porta luce al sole!

Gode arricchito il ciel d'un sì bel lume

quanto si lagneria la bassa mole

se più chiaro nel figlio, a lei sé stesso

non lasciasse, qual raggio in vetro espresso.

CALLIOPE

O d'eccelsa pietà mirabil dono

Ferdinando gentil, che 'l mondo onora,

quante glorie, e virtù la terra adora,

come in fede real tutte in te sono.

Tu con soave impero assiso in trono

in te reggi l'affetto, in altrui l'alma,

quindi più degna, e bella

corona eterna, e palma

germoglia a te nel ciel tra stella, e stella.

E tu vittoria, ond'ogni grazia è vinta

godi pure seco in doppio nodo avvinta.

TALIA

Con la face, ond'avvampa il sommo amore

dal ciel sacro Imeneo lieto discenda,

dolce gara d'amor felice accenda

di Ferdinando, e di Vittoria al core.

Santa Onestà col suo pudico ardore,

l'onesto grembo in lei gravido renda,

ond'Arno d'altri eroi chiaro risplenda,

e di nuove corone il capo indore.

Reggan tranquillo impero, e cresca in loro

qual pianta, ch'abbia il sol cortese, e l'onda,

ogni grazia, ogni gloria, ogni tesoro.

Benigno a' voti loro il ciel risponda,

e concordi le Parche al bel lavoro

stami tessan di vita aurea gioconda.

 
Tutte insieme, ed a parte.
 

CORO DI MUSE

A voi risplendano

nel cielo i lumi,

a voi discendano

dal cielo i numi

a bear vostri imenei

gloriosi semidei.

 

Scena quarta

Mercurio, Pallade, coro di Muse.

<- Mercurio

 

MERCURIO

Quanto bramar potea,  

tua mercé bel Parnaso,

le muse io scorgo, e la più saggia dèa.

Bene immortal vi si raddoppi ognora;

a nuove gioie il gran rettor v'invita;

ite al ciel, che fia colpa ogni dimora.

PALLADE

Qual contento si aggiunge al gaudio eterno

del più felice nume,

ond'a chiamarne al giubilar superno

così veloci a noi spieghi le piume?

MERCURIO

S'è sposa al re, ch'impera

dove Cocito d'atre fiamme innonda;

quindi avvien ch'ogni sfera

di letizia maggior, lume diffonda.

PALLADE

Io sposa a Pluto in sorte?

Io con altrui legata?

La dèa d'ogni saper non ha consorte:

genera con sé stessa entro la mente

più nobil parto; e con più chiaro impero

non picciol regno in atre fiamme ardente,

ma l'uno, e l'altro regge ampio emisfero.

MERCURIO

Pallade invan t'adiri

s'io messagger del cielo

lungi da' tuoi desiri

quel, che Giove m'impose a te disvelo:

se l'avviso ti è grave

sulla reggia superna

apri i tuoi sensi al genitor davante,

e come saggia i tuoi pensier governa,

ch'inverso a Cipro al volo alzo le piante.

PALLADE

Vanne Mercurio ov'il desio ti guida,

onta non mi fai tu, né teco ho sdegno,

ma non può senza doglia

quel, che spiace sentir sublime ingegno.

Dal sovrano intelletto

unica nacqui, e pura,

l'alta del mio natal nobil ventura

non prenda ad oscurar l'altrui diletto:

come scaturir suole

fiume da fonte, o rio partir da fiume,

o sfavillando il lume

nascer dal foco, e 'l raggio suo dal sole,

tal parvi in cielo, e tale

sorsi dall'oriente, ov'io splendèa

da sommo dio gran dèa,

e da senno immortal saggia immortale:

s'al mio gran pregio eguale

lassù non fulge un nume,

gli altissimi imenei dell'onor mio

come sperar presume

chi sull'arso Acheronte arder sortio?

 

CORO DI MUSE

Lascia lo sdegno o dèa,  

non avrai sposo no;

chi l'universo bea

consorte aver non può:

sposa non è chi crea

ogni bene, ogni pro.

 
In tre nuvole salgono al cielo; in quella del mezzo Urania, e Pallade, e nelle due de' lati l'altre otto.
 

URANIA

(sola)

Ad altri viva unita

chi sì pura non fu;

splenda a' cori gradita

beltà quanto può più,

che di gioia infinita

le menti empier sai tu.

CORO

Non è felice il petto,

che 'l pregio tuo non ha:

ogni vero diletto

da te nell'alma va:

chi mira ad altro oggetto

o ch'è folle, o non sa.

le muse, Pallade ->

 
 

Scena quinta

Si volta la scena nel giardino di Venere.
Venere, Adone, tre Grazie, Riso, Scherzo, Gioco, Coro di 14 Amorini, e sei Pastori d'Adone.

Bozzetti

 Q 

Venere, Adone, tre grazie, Riso, Scherzo, Gioco, 14 amorini, e sei pastori

 
(gli Amori scherzano e gli altri cantano)

VENERE

Amoretti  

vezzosetti,

che scherzate,

che beate

con le gioie i nostri petti:

se ferite, la ferita

non dà morte, ma dà vita.

Son vitali

gli aurei strali,

le catene non dan pene,

ma contenti almi immortali,

se n'ardete, al vostro ardore

arde sì, ma gode il core.

Sfondo schermo () ()

 
Qui mutandosi la musica sei Amorini, e sei Pastori d'Adone fanno un vaghissimo ballo senza canto, e Venere nel fin del ballo dice:

 

Quanto felice in queste piagge amene  

godendo in te d'amore,

teco sempre trarrei dolce mia spene

poste in bando le stelle, i giorni, e l'ore.

ADONE

Dèa immortal non fosse il tuo bel guardo,

direi quali il mio seno

faville accolga, ond'io gioisco, ed ardo;

ma per che 'l tutto al ciglio tuo si svela,

se i vaghi volgerai lucidi giri

nel profondo del core,

vedrai com'ei per te goda, e sospiri.

VENERE

Vivi lieto ben mio,

contenta, di tua fiamma avvampo anch'io;

mi vivo anch'io beata

dall'oro del tuo crin presa, e legata,

né fia mai forza, o voglia,

che da' bei nodi tuoi Venere scioglia.

ADONE

Se riguardi l'oggetto

nobil dèa del tuo foco,

dirai, che degno è poco

pregio mortal d'un immortale affetto:

ma se miri l'ardore,

ch'incenerisce il petto,

non negherai, che almeno

del tuo non sia maggiore

l'incendio, ch'ad ognor mi strugge il seno.

VENERE

Poi che tua bella imago

nell'alma m'intagliò con l'aureo strale

Amor possente mago,

che sa ben l'uomo trasformare in dio;

più non sembri mortale

idol di questo core, al guardo mio:

non è disuguaglianza,

ove Amor giusto impera,

il tutto agguaglia un'amorosa brama:

non ama no, non ama

chi all'amato tesor ceder non degna.

 

Scena sesta

Mercurio, e i medesimi.

<- Mercurio

 

MERCURIO

Oh quanto volo invano  

te bella dèa cercando ho sparso intorno,

fa' tosto al ciel ritorno,

desioso t'aspetta il re sovrano.

VENERE

Perché tanto desire, e che t'appresta?

MERCURIO

Pompe superbe, e nuove

d'incomparabil festa

nel soggiorno immortal prepara Giove.

VENERE

Ond'è l'alta allegrezza,

ch'inusitata piove?

MERCURIO

Dir no 'l so dèa, ch'adorni ogni bellezza.

VENERE

E dir no 'l sa dell'eloquenza il dio?

Pria che tu di parole

scarso fia d'onde il mare,

e degli aurei splendor povero il sole.

Di' pur, non me 'l tacer Mercurio mio.

MERCURIO

Gli alti numi più vaghi

novi sposi felici

doppian fulgore alla natia beltade.

VENERE

Sarovvi a parte anch'io messo gentile?

MERCURIO

Nulla fia senza te, del vanto in cima

godrai tra le più degne

dove Grazia, e Beltà si loda, e stima.

VENERE

Ma chi sarà mio sposo?

MERCURIO

Giove tra cupi arcani il serba ascoso;

l'alta mente spiare

ogni guardo, o pensier s'adopra invano:

pur se fusse Vulcano

al paterno voler presumi ostare?

VENERE

Se dal seggio superno

la genitrice sua gettollo al mare,

io precipiterollo al basso inferno.

MERCURIO

Dèa scherzo teco, a tua vaghezza eguali

saran le nozze altere

movi all'ardenti sfere,

ch'al ritorno ancor'io batterò l'ali.

VENERE

Prendi l'alto sentiero,

verrò dietro al tuo volo.

ADONE

Ahi qual m'ingombra il petto atro pensiero;

ahi novella crudele. Ahi pena, ahi duolo.

VENERE

O mio bene, o mio lume

deh non ti giunga il mio partir sì greve,

il ritorno fia breve,

come tal fu mai sempre il mio costume;

senza te non è cosa

nel ciel, ch'agli occhi miei non fia noiosa.

 

CORO DI AMORINI

In ciel non fuggesi  

quanto il cuor ha;

tra gioie struggesi

ch'in duol vi sta;

se la diva

del diletto suo fia priva

fia dolente ovunque va.

VENERE

(sola canta)

Sull'erbe tenere

si gode più

non trova Venere

pace lassù,

vago Amore

dove giungi con l'ardore

nulla piace se non tu.

CORO

I cieli spiacciono

s'Amor non v'è

gioie non piacciono

ch'Amor non diè;

pargoletto

teco porti ogni diletto

né si gode senza te.

 

Scena settima

Apparisce Giunone in aria sul carro tirato da' suoi pavoni.
Giunone, i medesimi, e quattro Venti.

<- Giunone

 

GIUNONE

Ecco la dèa d'amore, e 'l vago accanto,  

vi turberò ben io

i soavi diporti, e 'l dolce canto.

VENERE

Qual voce in ciel risuona?

GIUNONE

Da' vostri cupi alberghi

d'atri turbini armati

sorgete o venti a' miei desir cortesi;

movete in questi prati

a' lor diletti infeste

disusate tempeste.

 
(appariscono da quattro parti quattro venti)

<- quattro venti

 
Si oscura la scena, s'odono tuoni, si veggono lampi e grandine, e si dà fine al secondo atto.
 

NOTO

Eccone pronti a secondar tuoi sdegni  

diva gentil, ch'a noi dai spirto, e vita,

e benigna n'accogli entro i tuoi regni.

 

Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

Montagne coperte di neve, nel mezzo la fucina di Vulcano, che dalla cima esala fiamme.

 
<- Vulcano, Sterope, Bronte, Pirammone, sedici ministri

Orsù Sterope? E Bronte?

Vulcano, Sterope, Bronte, Pirammone, sedici ministri
<- Iride

Ecco il mirabil monte

(esce un carro di fuoco tirato da due leoni, che spirano fiamme)

Sterope, Bronte, Pirammone, sedici ministri, Iride
Vulcano ->

Monte Parnaso.

 
<- le muse, Pallade

Qual chiaro nume, o di real corona

le muse, Pallade
<- Mercurio

Quanto bramar potea

Coro di Muse, Urania
Lascia lo sdegno o dèa

(le muse a Pallade in tre nuvole salgono al cielo)

 
Mercurio
le muse, Pallade ->

Giardino di Venere.

Venere, Adone, tre grazie, Riso, Scherzo, Gioco, 14 amorini, e sei pastori
 

(qui mutandosi la musica sei Amorini, e sei Pastori d'Adone fanno un vaghissimo ballo senza canto)

Quanto felice in queste piagge amene

Venere, Adone, tre grazie, Riso, Scherzo, Gioco, 14 amorini, e sei pastori
<- Mercurio

Oh quanto volo invano

Coro di Amorini, Venere
In ciel non fuggesi
Venere, Adone, tre grazie, Riso, Scherzo, Gioco, 14 amorini, e sei pastori, Mercurio
<- Giunone

(Giunone in aria sul carro tirato da' suoi pavoni)

Ecco la dèa d'amore, e 'l vago accanto

Venere, Adone, tre grazie, Riso, Scherzo, Gioco, 14 amorini, e sei pastori, Mercurio, Giunone
<- quattro venti

(si oscura la scena, s'odono tuoni, si veggono lampi e grandine)

Eccone pronti a secondar tuoi sdegni

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima
Il mondo, quasi un caos, che distintosi appariscono le campagne di Firenze con Arno Cielo. Boschereccia. Montagne coperte di neve, nel mezzo la fucina di Vulcano, che dalla cima esala fiamme. Monte Parnaso. Giardino di Venere. Reggia di Plutone. Torna la scena della amenità di Venere, ma variata nel foro. La prospettiva, e l'inferno. Palazzo di Cerere sopra un prato. S'apre la grotta di Vulcano. Mare, dal mezzo apparisce uno scoglio di coralli, e perle. Tutta la prospettiva mostra inferno. Diventa tutta la scena cielo aprendosi dalla destra, e dalla sinistra parte: in aria si vede una grandissima...
Prologo Atto primo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

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