Sappia il benigno lettore, che io nel comporre, e stampar questa opera non ho avuto altro fine, che di ubbidire al comandamento del serenissimo gran duca, a cui servo; il quale mentre ch'io era con l'animo più che mai alieno da simili poesie, mi comandò, che componessi la commedia, la quale si dovea rappresentare in musica nelle sue felicissime nozze. Mi restrinse a breve spazio di tempo per condurla a fine, come quegli, che avea gusto di vederla compita avanti la sua partenza per Pisa. M'ordinò soggetto allegro, quale si conviene a nozze, e per dar maggior campo all'inventor delle macchine di abbellirla con varietà, e vaghezza di prospettiva; volle che contenesse festa in cielo, in mare, e nell'inferno. Ond'io presi per soggetto le Nozze degli dei, trattandone quattro più celebrate da' poeti; cioè quelle di Giove con Giunone; di Vulcano con Venere; di Plutone, e Proserpina, e di Nettuno con Anfitrite. Fingo dunque (seguendo l'opinione di coloro, che han detto, che Vulcano, e Marte sien figliuoli di Giunone senza marito, come Pallade di Giove senza moglie) che Giove per far una allegrezza universale nel mondo, voglia in un medesimo giorno celebrar queste nozze. Determina egli prender Giunone, dar Venere a Vulcano, Pallade a Plutone, e Diana a Nettuno. Manda a questo fine Mercurio in Terra, il quale trovata Diana, la invita al cielo, come nuova sposa, ella ricusa: risoluta di viver casta. Il medesimo fa Pallade, la quale era in Parnaso a sentir le muse rammentar le lodi della serenissima casa di Toscana: Venere al solo nome di Vulcano entra su le furie: Nettuno perduto d'Anfitrite sdegna ogn'altra consorte: Plutone non sapendo che Giove gli ha destinato moglie, arma l'inferno contro del cielo: Marte tutto rabbia minaccia danni, e rovine al sentir che Venere sia stata promessa a Vulcano. Così tutto si turba: ma questi scompigli terminano felicemente, perché Venere vien da Cupido confortata, ed essa prega lui a ferir con lo stral d'oro Anfitrite, che deposta la passata fierezza ami Nettuno. Giove per mezzo delle parche mandate da Plutone al cielo, ordina alla medesima Venere, che tragga fuori del guardato palazzo Proserpina, acciò che Plutone volando col carro la rapisca, e la prenda per moglie; il che fatto restano contente Diana, e Pallade, e soddisfatti Plutone, e Nettuno. Vulcano, e Marte combattono, e per premio del vincitore si propone Venere; ma Giove per mezzo di Mercurio spartisce la battaglia. Giunone placa Marte suo figliuolo, il quale a' preghi ancora della stessa Venere si ritira. Giove acquetate queste discordie, invia Imeneo nel mare, e nell'inferno a render felici quelle nozze. Si festeggia nel mare per le nozze di Nettuno con Anfitrite, nell'inferno per quelle di Plutone con Proserpina; nel cielo per quelle di Giove con Giunone, e di Vulcano con Venere.
Così pensai soddisfare alla volontà del serenissimo gran duca il quale tra sette giorni vide la commedia finita, l'udì letta da me, e mostrò non poco gradirla. Spero che la brevità del tempo, nel quale è stata composta scuserà le imperfezioni, che ci sono, e l'avere ubbidito al comandamento di s. a. s. e forse incontrato il suo gusto le arrecherà qualche lode.
Non tralascerò di dire, che per fuggir la lunghezza, che portan seco le musiche, e le macchine, e per la stagione molto calda, e poco atta agli spettacoli, e per la brevità delle notti, quella che si rappresentò fu in gran parte scemata, e variata da questa, che si stampa.
Ricordo ancora, che dove troveranno Fato, Destino, Fortuna, o simili parole della gentilità. Intendano che si parla favolosamente, e per leggiadria poetica, non per offender la pietà cristiana.