Catastrofè

 
ovvero azione terza.
 

Scena prima

Nutrice, Eunuco.

(nessuno)

<- Nutrice, Eunuco

 

NUTRICE

Or va', saggio signore,  

e la tua nobil corte

brama di pazzi piena.

Questi giullari scemi

buffoneggiano, e spesso

danno un malvagio eccesso.

EUNUCO

Che furie, e che demoni?

NUTRICE

Io mi credea tutto l'inferno addosso.

O come prestamente i pazzi uniti,

senza altre sottilissime dispute,

son l'ingiurie credute,

a vendicar usciti.

EUNUCO

Piace al mio re la loro

semplicità ridente.

Oh dio, quanto quell'oro

meglio s'impiegherebbe

in dotta alimentar arida gente.

Quest'isola di Sciro

d'uno scorpione ha forma,

ond'io misero fo le chiome bianche

d'un scorpion fra le branche.

Ma chi Sciro ti disse,

Iro dirti dovea,

isola d'erme arene, e nudi scogli,

cotanta in te mendicità raccogli.

E dal porto non riede

il genitor all'esecrabil nuova?

NUTRICE

Non può tardar ei molto.

EUNUCO

Or eccola di nuovo. Oh ben son io

di pazza inferocita

oggi la calamita.

 

Scena seconda

Deidamia, Nutrice, Eunuco.

<- Deidamia

 

DEIDAMIA

Non paventate, no, timidi agnelli,  

che guerra io non v'apporto.

Sdegnan l'aquile altere

d'inimicizia avere

con animali imbelli:

sol voglio Achille, o mio prigione, o morto.

NUTRICE

Non partiamo, deh no, che sembra alquanto

più mansueta in volto.

DEIDAMIA

Che melodie son queste?

Ditemi? Che novissimi teatri,

che numerose scene

s'apparecchiano in Sciro?

Voglio esser ancor'io

del faticare a parte;

ch'a me non manca l'arte, ad un sol fischio

di cento variar scenici aspetti,

finger mari, erger monti, e mostre belle

far di cieli, e di stelle:

d'aprir l'inferno, e nel tartareo lito

formar Stige, e Cocito.

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EUNUCO

Un facile passaggio

è da finte follie

a veraci pazzie.

DEIDAMIA

Oggi, che dalle stelle,

per tante opere ornar illustri, e nove,

l'architettura piove,

anch'io spiegar vorrei

macchine eccelse, e belle

da far romper il collo a cento orfei.

NUTRICE

Versi, macchine, e canto

son atti a render pazze

le più sagge sibille; e se v'aggiungi

un amoroso affetto,

meraviglia non è, se da costei

partito è l'intelletto.

DEIDAMIA

Alla prova, alla prova:

applicatemi l'ali,

strette, strette annodatele, ch'io voglio

con feroce ardimento

varcar le vie del vento.

Eunuco ->

 

Scena terza

Licomede, Deidamia, Nutrice.

<- Licomede

 

LICOMEDE

Cingetela d'intorno  

o miei fidi, e negate

il fuggire a costei.

DEIDAMIA

Alla caccia, alla caccia, al monte, al bosco,

Atheon, Atheon

la lepre se ne va:

e non sarai tu buon,

in questi orror sacrati,

con que' tuo' piedi alati

a dar de' calci all'altrui crudeltà?

Guarda come si fa.

LICOMEDE

Ai lacci, presto ai lacci.

NUTRICE

Non è pazza, che scherzi.

LICOMEDE

Annodatela stretta.

DEIDAMIA

Usa la forza

contro le frigie schiere,

spietato, e non volere

incrudelir contro innocente figlia.

NUTRICE

Padre lo riconosce,

ha lucidi intervalli.

DEIDAMIA

Invece d'erbe, e fiori, oggi mi dà

e stecchi, e spine, e lappole

vostra paternità?

Che padri ingannatori,

pieni d'insidie e trappole,

vivono in questa età?

LICOMEDE

Che voci, ohimè, son queste?

Che spoglie, che divise?

Chi t'ha così travolta,

ingegnosa donzella?

DEIDAMIA

Donzella? Ogn'altra cosa:

la stagione è passata:

chiedilo alla Nutrice,

che degli amori miei

fu ministra felice.

NUTRICE

Io? Dove? Quando? Come? O cieli, o Giove.

LICOMEDE

Non senti, che costei

follemente ragiona?

DEIDAMIA

Vuoi la rea castigar, scioglimi, e lega

in mia vece colei,

che questi lacci miei

meglio se le convengono, e, se forse

si riguardasse al merto;

tu non ne andresti senza

genitore inesperto.

LICOMEDE

Al pazzo, ed all'amante,

tutto se gli concede,

e nulla se gli crede.

DEIDAMIA

Sentimi, sordo padre, io per tua colpa

d'Achille mascherato

entro a donnesche spoglie,

io fui, dillo Nutrice, io fui la moglie.

NUTRICE

Senti quanto folleggia, e quanto mente.

DEIDAMIA

E moglie e fecondata

di maschia prole.

LICOMEDE

Al cielo

piacesse.

DEIDAMIA

Egli è piaciuto.

LICOMEDE

Piacesse, che tu degna

fussi d'un tal consorte. Un re sì grande

un germoglio del cielo,

un nipote di Giove

merta una dèa celeste.

DEIDAMIA

Io fui la dèa, ch'amore

fe' degna d'un Achille.

LICOMEDE

Pazzerella tu sogni

divinità, marito

non dovuto al tuo stato:

vergognati d'averlo

col pensier desiato.

Non sai, che non agguaglia

una capra di Sciro

un corsier di Tessaglia.

DEIDAMIA

Io mi pregio d'avere

questo corsier domato.

LICOMEDE

Ah fosse vero.

DEIDAMIA

Ah dunque tu me 'l concedi.

LICOMEDE

A piene mani.

DEIDAMIA

Achille, Achille è mio.

LICOMEDE

O cara nova.

DEIDAMIA

Nova? O che nova curiosa è giunta,

che le rose, e le stelle

sono alle pugnalate.

E sai per qual cagione?

Sol per contese nate

di chi venga più spesso,

o le stelle o le rose

in bocca de' poeti:

ma tu, per grazia, taci

questi avvisi segreti.

LICOMEDE

Pazza non mi rassembri alle dimande

in desiar Achille

mostri prudenza grande,

ma sdruccioli: e di nuove,

sei la mal avvisata:

ond'io son pazzo a duellar più teco.

Voi tra le pompe di quegli orti ameni

conducete la misera, che forse

in questi dì sereni

dell'anno rinascente

tranquillerà la mente.

Licomede, Nutrice, Deidamia ->

 

Scena quarta

Caronte, e Tetide.

<- Caronte, Tetide

 

CARONTE

Se ben han volti angelici, e divini,  

braman le belle ancor d'esser più belle.

Stancano il sol per indorarsi i crini,

tingonsi il labbro, illustransi la pelle:

rompon de' morti gli orridi confini,

per dispogliar queste cervici, e quelle.

Conciatura ridicola, e funesta;

portan di chiome un cimitero in testa.

 

TETIDE

Tu canti della moglie i lievi errori,  

gondolier di Cocito,

e non quei del marito.

CARONTE

Che fai fra questi orrori,

o bella di Nereo timida figlia?

Qual pensier ti consiglia

a varcar di Acheronte i negri umori?

TETIDE

Cerco soccorso nuovo

contro l'ire del cielo;

voglio richieder Pluto

del suo cortese aiuto.

CARONTE

Gli eterni alti decreti

non può del fato intorbidar Plutone:

armati di ragione:

oprasti omai quanto d'oprar conviene

al gran materno affetto.

Io so, che in questa mia lacera barca

le forti membra ignude

dell'infante diletto

nella stigia palude

tuffasti, e rituffasti,

e non ti par, che basti

da qualunque gli sia strale avventato

a renderlo guardato?

Femmina incontentabile vo' dirti,

se dagli inferni spirti

dopo tanti sicuri

nuovo aiuto procuri.

TETIDE

Caronte; io gli son madre,

dalle voci atterrita

degli oracoli santi.

CARONTE

Riedi, riedi, alla luce,

e lascia che sia duce

omai del greco stuolo

il tuo nobil figliuolo.

Veggo Apolline stesso

temer la di lui destra:

e presto attendo all'infernal traghetto

Mennone, Ettore, e mille

uccisi eroi dal tuo fatato Achille.

TETIDE

Gradisco il tuo ricordo:

mortale il generai,

il consacro alla patria, il dono a' Greci:

ricevo il tuo consiglio

non vo' più che m'affanni

soverchio amor di figlio.

 

Resti libera, o Tetide,  

da gravissimo tedio;

ch'a danno inevitabile

di fato inesorabile

è molto meglio il non cercar rimedio.

Non puoi, figlia di Nereo,

col tuo destin contendere.

Non trova il fato ostacoli,

né stuzzichi gli oracoli,

chi non vuol del suo mal novelle intendere.

I servi accorti, e docili

che d'onor si dilettano

da color, che comandano,

il bene, e 'l mal, che mandano,

con fronte ugual tranquillamente accettano.

Caronte, Tetide ->

 

Scena quinta

Ulisse, ed Eunuco.

<- Ulisse

 

ULISSE

Per ritardar l'imbarco,  

potea venir il caso

d'intoppi oggi più carco?

Far pazza divenir donna sì saggia,

per inchiodar di Sciro

le navi in questa spiaggia?

 

Io veggo il caso ognor  

d'impensati accidenti

esser novello autor,

ad onta sol delle sapute genti.

Non val l'antiveder,

che 'l caso ha miglior occhi

dell'umano saper,

e la buona fortuna ama i più sciocchi.

Creder non voglio già,

ch'il caso a caso sia,

alcun gli sovrasta,

ch'a noi le dette, e le disdette invia.

Ond'oggi mi dorrò

di voi numi divini,

se vagabondo io sto,

del mar invece, a passeggiar giardini.

Chi muove, e ferma il piè

a stelle erranti, e fisse,

egli sol può, di re

cangiar in ortolano, anco un Ulisse.

 

<- Eunuco

 

Ma dove in tanta fretta?  

EUNUCO

Il re m'invia

a ritrovar elleboro, che presto

risani ogni pazzia.

Conosci tu la pianta?

La provasti tu mai?

ULISSE

Eccola appunto.

EUNUCO

Gradita brevità,

ma non vuol Licomede

incrudelir nella diletta figlia.

ULISSE

Il medico reale

quell'archiatro barbuto,

che propone, o consiglia?

EUNUCO

Il medico di corte,

quell'ingordo animale

per uccider gl'infermi ha, credo, un fermo

salario dalla morte. Egli propone

questi ellebori, e questi

inchiostri micidiali.

ULISSE

Delle femmine ai mali

un medico garzone

ha rimedi più lieti.

EUNUCO

Io non son buono

a ricordarlo al padre.

Ma s'altri, che m'ascolta,

in sé sperimentato,

o ne' congiunti suoi

avesse alcun segreto

di sanar la pazzia,

l'impresti a Deidamia.

Ulisse, Eunuco ->

 

Scena sesta

Deidamia, Achille, coro d'Isolani, Diomede.

<- Deidamia, Achille, isolani, Diomede

 

DEIDAMIA

Come riveda Achille  

quest'occhio innamorato,

molto gli sia più grato,

ch'in verdeggiante suolo aria di ville.

ACHILLE

0 dio, che veggio, o dio,

legate quelle mani,

che son degne di scettro?

Masnadieri inumani,

scioglietele quei lacci.

CORO

Gli ha comandati il padre:

tu gli sarai nemico.

ACHILLE

Scioglietegli, vi dico.

CORO

Che non divenga reo, fiero garzone,

d'offesa maestà?

ACHILLE

Anzi sarò campione

d'un'offesa beltà.

CORO

Guardati dall'indomito furore,

che la pazza in libertà,

senza punto di timore,

ove può, s'avventa, e dà.

DEIDAMIA

Concedetemi alquanto, or ch'io son sciolta,

amici di riposo;

in questo prato erboso

fresco, limpido rio m'invita al sonno:

e mentre ei saltellante

lambe i fior, bacia l'erbe, e morde il suolo,

sovra un guancial di mirto,

tacita cado, a licenziar il duolo.

DIOMEDE

Tanto oggi la dolente

corse, girò ch'alfine

vinta dalla stanchezza,

depose la fierezza.

ACHILLE

Saggio è stato sinora

il discorso di lei:

all'apparenza prima

per pazza io non l'avrei.

DIOMEDE

Ha la memoria offesa,

la fantasia turbata,

non ti conobbe ancora

la stolta imperversata.

CORO

Senti, deh senti, quale

in alitando forma

strepito roncheggiante, anco si deve

temer pazzo, che dorma.

ACHILLE

Lasciate, che riposi

colei, per cui travaglio.

Che spesso un sonno grato

gran male ha discacciato.

DEIDAMIA

Achille, dove te n' fuggi?

DIOMEDE

Senti, com'ella sogna, e sogna, e pensa

alla partenza tua dormendo ancora.

DEIDAMIA

Tu non rispondi Achille?

ACHILLE

Sento a pietà destarmi.

DEIDAMIA

0 somma crudeltà.

ACHILLE

M'udisse almeno.

DEIDAMIA

Io t'odo.

ACHILLE

Se tu m'udissi, io ti direi, che mentre

libero mi vid'io da' lacci indegni

della femminea gonna

Achille, e non più donna,

andai col piede, e col pensier vagando,

ove d'armi, e battaglie

natio pensier mi sprona.

Perdona tu, perdona

all'impeto guerriero,

che mi fece obliar, per breve istante,

il debito d'amante.

DIOMEDE

Or si dorme davvero, e non ti presta

ella udienza alcuna.

ACHILLE

M'ode il ciel se non m'ode

la mia stella, ch'io miro

sì mesta, e nubilosa. Amor m'intende,

e speranza mi porge,

e perdon mi promette. Occhi sinora

foste d'arida pomice, e superbi

non piangeste pur anco; ahi troppo duro

principio date a distemprarvi in pianto,

ma d'un Achille forse

avran forza maggiore

le lagrime, che l'ira,

perché si renda il senno,

a chi per lui delira.

DEIDAMIA

Tu piangi, e m'abbandoni.

ACHILLE

Ovunque io vada, o resti,

servo m'avrai fedele,

e s'il perduto ingegno

errasse a caso al tuo bel corpo intorno

per far in lui ritorno,

a lui parlo, a lui giuro

nuova fé, nuovo laccio, e nuovo ardore.

DEIDAMIA

Parla pietà.

ACHILLE

Ciò che le detta amore.

Ti giuro quel...

DEIDAMIA

Che spergiurato hai prima.

ACHILLE

Credo, ch'ella m'intenda; e 'l sonno finga.

DIOMEDE

Ma la pazzia non finge.

CORO

E se la finge

sa simularla al vivo.

ACHILLE

E qual medica mano

rendere mai ti potrebbe

il perduto discorso?

DEIDAMIA

La man sola d'Achille.

ACHILLE

Eccola pronta.

DEIDAMIA

Caro pegno di fede,

fido albergo d'amore,

io ti ristringo pure, e pur son desta;

sì, sì che non ho pazzo

che d'allegrezza il core.

ACHILLE

Tu dunque non vaneggi?

DEIDAMIA

Io sol vaneggio

quando di me ti scordi: or, che pietoso

mi ti dimostri, l'intelletto ho sano,

mercé della tua mano.

Il sonno finsi, e simulai stoltezza,

per renderti a pietà de' miei tormenti.

ACHILLE

Senti, Diomede, senti,

a che prezzo mi compra, e suo mi rende.

DIOMEDE

Ben il mio cor l'intende.

DEIDAMIA, ACHILLE E DIOMEDE

O meraviglie, o cieli: e questa volta

tanto saper avete

infuso in una stolta?

 

CORO

O prudenti bugie;  

mancavan queste tresche,

all'astuzie donnesche,

di simular pazzie.

Già già veggo di voi donne, più d'una

cornacchietta vogliosa,

rubar questa invenzion con lode molta

di fingersi la stolta.

Che quel pazzo non essere, e parere,

è un accorto godere.

Deidamia, Achille, isolani ->

 

Scena settima

Diomede, Minerva.

<- Minerva

 

DIOMEDE

Nell'isola di Sciro  

ogni cosa mi sembra

cangiato aver natura. Insin le pietre

nuotano intere, e grandi,

e s'affondan poi trite, e minute:

le fanciulle impazziscono, e ritrovano

nel folleggiar salute.

Se questa bella amai,

con maritaggio ossequioso, e vero

d'affetto, e di ragione,

non fu barbaro amor, amor fu greco:

che quel bello adorai,

che la virtude ha seco.

Se ad un altro si sposa

l'amata donna, non mi dolgo, e credo

che mio non sia quel bene,

che dal ciel non mi viene.

MINERVA

Ben di poco t'appaghi,

schernito amante, e pretensor deluso.

DIOMEDE

Questo d'amor è l'uso,

ad un mostra le prede,

e all'altro le concede.

MINERVA

Odimi.

DIOMEDE

O fida scorta.

MINERVA

Odimi. È la vendetta

il sommo de' piaceri:

né te ne priva il cielo,

ma ti concede il fato,

che la tua destra invitta un dì colpire

fra le troiane squadre,

possa d'amor la madre.

Non puoi punir amor, potrai del sangue

tingerti di ciprigna, o mio bel fiore,

di quella dèa maligna

ch'omai volò sulle nemiche tende:

empio non è chi gli spietati offende.

DIOMEDE

Per onor della patria il ferro io cingo

saran di Diomede ognor nemici

i nemici di lei,

sieno mortali, o dèi.

Minerva, Diomede ->

 

Scena ottava

Licomede, Ulisse, Achille, Deidamia, Nutrice con Pirro, coro di Isolani.

<- Licomede, Ulisse, Achille, Deidamia

 

LICOMEDE

La soverchia allegrezza  

ogni colpa cancella

ogni offesa disprezza; il fallo è merto,

e l'ingiuria non è più quella.

Non si rimiri al modo,

pur che ne segua un desiato effetto.

Disavventure grate,

disgrazie fortunate.

Oggi trovaste voi, prudenti amici,

il mascherato Achille,

ed io conobbi dopo

finte stoltezze ignote,

il genero e 'l nipote.

ULISSE

Fallo non è di donna

bramar consorte un nerboruto Achille

l'amerebbero mille:

fallo sarebbe stato

non aver Deidamia Achille amato.

ACHILLE

O mia regina, e sposa,

gran tesoro di Sciro,

io t'adoro, e t'ammiro,

non resti più sì bella gemma ascosa.

T'amerò, se t'amai,

negl'amori, e nell'armi, in guerra, e in pace

e consorte, e seguace.

DEIDAMIA

Ho pur acquisto fatto

di quell'eroe sublime

di quel, che pregierebbonsi d'avere

talvolta in lor potere,

anco le dive prime.

LICOMEDE

Di prudenza mortai fallace è il raggio,

quanto più pazzo è amor, tanto è più saggio.

 

<- Nutrice, Pirro, isolani

NUTRICE

Vieni, vieni, ah vieni fuori:  

a conoscer, o vezzoso,

incomincia i genitori,

troppo, oh dio, vivesti ascoso.

DEIDAMIA

O soave, o fido pegno

porgi un bacio all'avo degno.

LICOMEDE

Occhi al ben, che voi mirate,

per dolcezze lagrimate.

ULISSE

Ne' begli occhi è tutto il padre,

e madreggia nella bocca.

NUTRICE

Corri in sen, corri alla madre,

o mia gioia, o mio contento

dopo un fiero avvenimento

miglior sorte oggi ti tocca.

CORO

Deh, vedetene le prove,

se d'Achille egli è figliuolo,

se nipote egli è di Giove,

benché d'armi il rumor senta,

ei non piange, e non paventa.

 

ULISSE

Ma fra tante dolcezze  

non ci scordiam l'imbarco.

LICOMEDE

A Troia, amici, a Troia,

non più dimore, agli apprestati legni,

ospiti, figlia, genero, e nipote,

guerrieri è questo della gloria il varco,

all'imbarco, all'imbarco.

DEIDAMIA

Questi lacci al sacrato

altar di Cinzia io lascio

queste ambite catene,

trofei della mia fede,

di Cinzia al simulacro,

riverente io consacro.

CORO

Viva tra' Greci ognora,

la vittoria, e la gioia;

a Troia tutti a Troia,

mora Paride, mora.

Licomede, Ulisse, Achille, Deidamia, Nutrice, Pirro, isolani ->

 

Scena nona

Coro di tre Menti celesti.

<- tre menti celesti

 

CORO

Fortunate catene,  

ch'annodaste laggiù membra sì belle,

a voi ben si conviene,

ornamento di stelle.

Che di stoltezza, e di prudenza un misto

può far del cielo acquisto.

 
IIº

Avventurati lacci, a sé v'invita

celeste calamita.

 
IIIº

Ecco all'amata pietra

ch'il vostro ferro si marita, e sale

a circondar quest'etra.

 

Cerchiaste dèa mortale,

zone del ciel sarete,

in ciel voi splenderete,

acciò di Deidamia,

l'amorosa stoltezza, e 'l furor degno,

eterno esempio sia

al femminile ingegno.

 

MENTI CELESTI

Fortunate catene,

ornamento di stelle,

a voi ben si conviene,

fortunate catene.

 

Fine (Catastrofè)

Prologo Protesi Epitasi Catastrofè
 
<- Nutrice, Eunuco

Or va', saggio signore

Nutrice, Eunuco
<- Deidamia

Non paventate, no, timidi agnelli

Nutrice, Deidamia
Eunuco ->
Nutrice, Deidamia
<- Licomede

Cingetela d'intorno

Licomede, Nutrice, Deidamia ->
<- Caronte, Tetide

Tu canti della moglie i lievi errori

Caronte, Tetide ->
<- Ulisse

Per ritardar l'imbarco

Ulisse
<- Eunuco

Ma dove in tanta fretta?

Ulisse, Eunuco ->
<- Deidamia, Achille, isolani, Diomede

Come riveda Achille

Diomede
Deidamia, Achille, isolani ->
Diomede
<- Minerva

Nell'isola di Sciro

Minerva, Diomede ->
<- Licomede, Ulisse, Achille, Deidamia

La soverchia allegrezza

Licomede, Ulisse, Achille, Deidamia
<- Nutrice, Pirro, isolani
Nutrice, Deidamia, Licomede, Ulisse e Coro
Vieni, vieni, ah vieni fuori

Ma fra tante dolcezze

Licomede, Ulisse, Achille, Deidamia, Nutrice, Pirro, isolani ->
<- tre menti celesti
Menti celesti
Fortunate catene
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona
Scena di ugual lode d'artificiosa, e di vaga. Porto della città di Sciro, che a mano destra stendeva le sue lunghe, e fortissime mura lungo la riva d'un...
Prologo Protesi Epitasi

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