Protesi

 
ovvero azione prima.
 

Scena prima

Ulisse, Diomede e Coro d'Isolani.

Ulisse, Diomede, isolani

 

ULISSE

Il porto è qui di Sciro,  

ove, mercé d'un zeffiro soave

entra la nostra nave.

DIOMEDE

Qui, dopo un lungo giro

di ricercate invan cittadi, e ville,

ritroveremo alfine, o stanco Ulisse,

il contenduto Achille.

ULISSE

Solo spero, che queste

arie dolci, e tranquille

ci conduce Giunone,

ella, che vuol che sia

per ubbidir al fato,

questo Achille trovato.

DIOMEDE

O quanto volentieri

in Sciro oggi discendo,

non sol, perch'io qui speri

di ritrovar il sospirato Achille,

ma per quel regno rivedere, ov'io

vissi negli anni belli

discepolo di Marte, e più d'amore.

Qui mi ferì (mentre a servigi io vivo

di re nell'armi esperto)

della figlia di lui l'arcier di Cnido.

Il padre a guerreggiare,

la figliola ad amare

m'invitava ad un tempo.

ULISSE

Ben m'avveggio, ch'a questi

scogli, più dell'usato oggi festoso,

amoroso Diomede alfin giungesti.

DIOMEDE

O quanto qui godei, quando la bella

Deidamia adorai!

Iniqua sorte ria,

che da lei mi disgiunse,

lontano ognor mi punse.

Ma non è tempo di parlar d'amori:

che veder parmi fuori

un gran drappello d'isolani in armi.

ULISSE

Guardano i liti suoi:

benché picciola sia

la patria, esser però deve di lei

grande la gelosia.

CORO

Chi siete, o naviganti, olà, chi siete?

A che porto prendete?

Nome, patria, cagione

del viaggio scoprite:

che bramate? Ove gite?

ULISSE

Siam greci ambasciatori,

al vostro re mandati.

DIOMEDE

Ecco di pace, e d'amicizia in segno

portovi il ramo degno:

prendete, amici, il riverito ulivo:

acciò del vostro porto

non resti Ulisse, e Diomede or privo.

CORO

Scendete, o dio, scendete

gloriosi campioni ospiti grati:

il nostro re v'attende, e noi già tutti

pronti per vendicar di Grecia il torto

vogliam Paride morto.

ULISSE

Scorgeteci voi dunque

al buon re Licomede, a cui c'invia

l'irata Grecia tutta,

che vuol arso Ilion, Troia distrutta.

isolani, Ulisse, Diomede ->

 

Scena seconda

Giunone, Minerva, e Tetide.

<- Giunone, Minerva, Tetide

 

GIUNONE

Or, che son giunti al destinato affare  

se benigno rendemmo

già loro il cielo, e 'l mare,

resta, Minerva, resta,

che d'uopo in terra avran de' tuoi favori

gli argivi esploratori.

MINERVA

Saran gli affari loro affari miei.

 

TETIDE

Femmine non sareste,  

se d'internarvi negli affari altrui,

non foste oggi ancor vui, dive sì preste,

femmine non sareste.

 

 

O ben, le mie madonne, avete pochi  

ne' superni vostri ozi,

domestici negozi?

Torna moglie gelosa

del tuo consorte al fianco,

che per trovar Achille,

tu non smarrisca Giove

vago di mogli nuove.

GIUNONE

Senti quanta ruina,

di sue glorie dolente,

muove questa fremente

linguacciuta marina.

TETIDE

A ragion mi querelo:

e sottraggo a ragione

da' perigli di morte

innocente garzone.

GIUNONE

Tetide, a te non tocca

negli ordini del fato

metter la bella bocca:

non può Troia cadere,

se non per man del tuo figliuolo armato.

MINERVA

Perché gl'invidi sì beata sorte?

Tu se' pur greca, e temi

di donar alla patria oggi colui,

che della patria a vendicar i torti

sceglie il ciel fra' più forti?

TETIDE

Non è voler del fato è furto vostro;

non me 'l chiede la patria;

me lo rapite voi.

MINERVA

E dove siete, o balsami sabei

che non correte a Tetide, che vuole

profumar la sua prole?

TETIDE

Tu, nata dal cervello

d'un Giove stranutante,

nella pietà materna

mi vorresti incostante.

GIUNONE

Voi, tra le salse spume

nate d'un crudo mar, algose ninfe,

così di pietà prive oggi volete

far le celesti dive?

TETIDE

E tiranna pietà, son grazie ladre

torre il figlio alla madre

non è la prima insidia,

ch'a nipoti di Giove

della moglie di lui tesse l'invidia.

GIUNONE

Non regna invidia in cielo:

che bestemmie son queste?

TETIDE

Son storie funeste;

mentre vuoi fare Achille,

gran nipote d'Egina,

la diletta di Giove e tua rivale,

vuoi fare Achille dico,

vittima del tuo sdegno,

vuol la tua santa mano

castigar in un tempo

con l'odiato greco

il nemico troiano.

GIUNONE

Ubbidisci alle stelle.

TETIDE

Son vostre scuse belle.

MINERVA

Non contrastar col fato.

TETIDE

Il fato sarà dunque

fatto sol per mio danno?

GIUNONE

Non mormorar del cielo.

TETIDE

Non schernisca i mortali.

MINERVA

Indegna d'esser greca, d'esser diva

oggi Tetide sei,

mentre il tuo gran livore

priva di difensore

l'offesa Grecia, e gli oltraggiati dèi.

TETIDE

Troppo mi costa Achille:

ben son d'eroi mendiche

le miniere d'Atene?

Provvedi altro campione

all'esercito argivo,

ch'io voglio Achille vivo.

Giunone, Minerva, Tetide ->

 

Scena terza

Achille, e Deidamia.

<- Achille, Deidamia

 

ACHILLE

Ombra di timore,  

non mi turba il petto:

nembo di sospetto

non mi scuote il core.

Non può vero valor perder sue tempre,

in ogni abito Achille, Achille è sempre.

DEIDAMIA

Sempre, sempre tu sogni

guerre, battaglie, e morte

d'uomini a mille, a mille

entro a donnesche spoglie

mortificato Achille.

ACHILLE

Di spirto guerriero

l'ardor non si smorza;

ho grande la forza,

sublime il pensiero.

Non può vero valor perder sue tempre,

in ogni abito Achille, Achille è sempre.

 

DEIDAMIA

Oh dio, mio bene, oh dio  

dove va quel sospiro?

ACHILLE

Che nuovi messaggeri

approdarono a Sciro?

DEIDAMIA

Son due greci guerrieri.

ACHILLE

Guerrieri?

DEIDAMIA

Sì, guerrieri.

ACHILLE

Amata Deidamia;

sarem noi dunque di saper indegni,

donde vengano? A chi? Per quali affari

varcano questi mari?

DEIDAMIA

Già piena di furore

suona d'intorno, suona

la fiera tromba del troiano Marte;

e Licomede, il mio

buon genitore, a parte

della guerriera impresa,

sé stesso prima, e seco

da questo picciol regno

più d'un armato legno al suono appresta

dell'amica richiesta.

ACHILLE

E resterem qui noi

selvaggi abitator di scirie ville?

Il vecchio Licomede, e questi fauni

si copriran di ferro?

Andran di glorie onusti?

E in questi scogli angusti

rimarrà chiuso, e disarmato, Achille?

DEIDAMIA

Nettare mio soave, anima pura,

Tetide tua gran madre,

per tener lungi te, sua nobil prole,

dalle guerriere squadre,

qui celato ti vuole;

ti cangiò veste, e nome,

e Fillide chiamotti, onde fra noi

d'Achille di Tessaglia

tu sei Filli di Sciro oggi creduta,

perch'ella intimorita

dall'oracol santissimo di Themi,

vuol, ch'i perigli estremi

schivi su questa effeminata vita.

ACHILLE

Donnesche gelosie, vani riguardi,

che già sotto la sferza

d'un musico, e filosofo centauro;

or dentro a questa gonna

mi fecer divenir imbelle, e quasi,

ch'io non dissi, una donna.

Ma sai tu, qual io sono?

DEIDAMIA

So ben'io, qual tu sei

progenie degli dèi:

che discoperti a me gli occulti inganni,

che celan questi panni,

t'accolsi in letto per ischerzo, e tale

lo scherzo fu, che ti raccolsi in seno:

e fecondata alfin madre divenni,

tu genitor del vezzosetto Pirro:

ch'altro non resta omai,

che tu deposte le donnesche spoglie,

se madre mi facesti,

mi dichiari tua moglie.

ACHILLE

Egli è ben giusto,

ma poco al nostro affetto,

e se posso ancor più, più ti prometto.

DEIDAMIA

Se ti minaccia la nemica sorte

e tradigioni, e morte,

statti, statti qui meco, e godi e taci;

che tra gli amplessi, e baci,

non ti sovrasta, Achille, altro periglio,

che d'esser genitore, io genitrice

d'un altro amato figlio.

ACHILLE

No, no, ch'ei si disdice

la rosa de' Leoni alla cervice:

e non vorrai tu meco

l'armi vestir, s'io vesto

questa gonnella or teco?

DEIDAMIA

Ti seguirò compagna

dell'armi, e degli affanni,

se vissi teco del gioir a parte;

e chi congiunse amor, non sciolga Marte.

 

ACHILLE

Felicissimo giorno,  

le nubi squarciate

di queste spoglie ingrate

faccia Achille ad Achille il suo ritorno.

DEIDAMIA E ACHILLE

Felicissimi amori,

se quel laccio che dentro il cor c'annoda,

ci stringa anco di fuori,

e senza tema io t'amoreggi, e goda.

DEIDAMIA

Onde un santo imeneo faccia ch'io sia,

ch'io sia sempre di te.

ACHILLE

Tu sempre mia.

Deidamia, Achille ->

 

Scena quarta

La Vittoria, Giove, Venere, Coro degli Dèi, e Amore.

<- Vittoria, Giove, Venere, dei, Amore

 

VITTORIA

Ove comandi, o padre?  

Ove bramate, o dèi,

ch'io spieghi i mie' trofei?

Che sulle greche squadre,

o sul troiano stuolo

rapido stenda la Vittoria il volo?

GIOVE

Vergine, un lungo affare

questi esser deve: onde a grand'agio puoi

pensar a' voli tuoi.

Non si può così tosto

fra duo popoli arditi

ultimar fiere liti.

VENERE

Tu meco esser dovrai, Vittoria illustre,

ch'io dèa della bellezza

contro le prime dive

sulle dardane rive,

oggi mai sono alle vittorie avvezza.

CORO

Col brando fulminante,

 
IIº

cinti di piastra, e maglia,

 
IIIº

con l'usbergo pesante,

 
IVº

armati d'elmo, e scudo,

VENERE E GIOVE

usciremo a battaglia:

CORO

e non con la beltà d'un corpo ignudo.

VENERE

Voi di voce gagliardi

ma non atterrirete,

che ben sapete, quanto

fulmini con gli sguardi il volto amato

d'una Venere inerme un Marte armato.

GIOVE

Diva, per te già venne

la ria discordia a scompigliarmi il cielo.

Io non voglio qui fisse

cagioni ognor di risse. O menti irate,

scendete in terra al gran litigio, e fate

che senza ombre di sdegno

splenda il celeste regno.

CORO

Scenderem, scenderemo

alla fiera tenzone:

la spada impugneremo:

arbitre saran l'armi

della nostra ragione;

andrem co' greci a trionfar sul Xanto

trovisi Achille intanto.

 

VENERE

E trovato, che sarà  

cento Achilli io sosterrò:

ben di forze ha povertà

diva, che contr'un uomo uscir non può.

Tutta avvampo di furor,

scendo in terra a guerreggiar,

se ben madre io son d'Amor,

mi voglio in una furia trasformar.

 

 

Figlio non sarai meco,  

contro lo stuolo greco?

AMORE

Madre tu mi perdona,

ch'esser non posso teco:

ch'io devo indifferente

tra l'una e l'altra gente oggi mostrarmi.

A te non mancan armi:

ma prendi il mio consiglio,

credi, credi al tuo figlio,

lascia a Marte la guerra,

non esser gioco de' mortali in terra.

Sei dal fato sospinta,

hai nemico il destino,

ch'alfin rimarrai vinta,

e vedrai Troia tua cader in cenere,

non può cozzar col fulmine divino

la tua potenza, o Venere.

 

VENERE

So, ch'il fato d'Asia vuol,  

ch'io rimanga vinta alfin,

ma ristora il grave duol

delle perdite mie anco il destin.

VENERE E AMORE

Deve il veneto, e 'l roman

non d'Achille greco uscir,

ma dal buon sangue troian.

VENERE

Onde ho giusta cagion d'insuperbir.

Insieme

AMORE

Onde hai giusta cagion d'insuperbir.

Vittoria, Giove, Venere, dei, Amore ->

 

Scena quinta

Licomede, Ulisse, e Diomede.

<- Licomede, Ulisse, Diomede

 

LICOMEDE

Mi vedete già tutto  

alle vostre richieste,

navi, genti, e me stesso

apprestato all'imbarco:

ha le grandezze, ha Licomede, a cuore

della patria l'onore,

e nutre in petto angusto un zelo immenso:

non è d'oro, o di gemme

quest'isola feconda;

re di nude maremme,

re di povero censo,

re di scarsi tributi

non può dar ricchi aiuti.

ULISSE

Del tuo sommo valor la Grecia molto

a ragion si promette,

che nel guerriero volto

contro il frigio ladron spiri vendette.

DIOMEDE

Tutte d'Asia le belle

non furono bastanti

a satollar un Paride lascivo,

che nell'Europa l'arrogante offese

l'ospite suo cortese.

Non regni in te di noi dubbio simile

Licomede gentile:

e non privar intanto

tu degli usati onori

gli ospiti ambasciatori.

LICOMEDE

Nulla negar dev'io

d'ossequio, a chi riempie

di glorie il regno mio.

E che si trascurò? Che non s'adempie?

DIOMEDE

Nostro devoto uffizio

non è signor di riverir te solo,

ma di prestar nel fortunato ospizio

segni di riverenza

delle scirie matrone al regio stuolo.

Se ti privò l'invidiosa morte

della real consorte,

privo non sei di generosa prole.

E 'l buon costume vuole,

che l'ospite onorato

dagli occhi sia delle più chiuse, e belle

domestiche donzelle.

ULISSE

Amor facondo il rende:

s'arma dell'armi amore,

che gli porge l'onore;

onor l'esca prepara, Amor l'accende.

LICOMEDE

Questo de' Greci, o Diomede è l'uso,

e tu nutrito in Sciro,

e tu meco vissuto,

sai, se costante osservator io sia

di greca cortesia?

Ma, se tardai sinora,

della mia negligenza è sol cagione

vostra armata presenza.

Timide donzellette,

non avvezze a mirar dell'armi il lampo,

sfuggono d'apparire

in sì lucido campo.

DIOMEDE

Paride non è qui, che le sgomenti.

LICOMEDE

Oh dio, che disusata, e che fatale

repugnanza m'assale?

Femminelle son tutte

armate d'aghi, e di conocchia instrutte.

DIOMEDE

Non sarò del lor bello

ammirator novello.

ULISSE

A veder io son uso

nelle vigilie di noiose notti

le Penelopi mie torcer il fuso.

LICOMEDE

E non ti sazia ancor ceffo di donna?

Qual man mi risospinge?

Qual voce entro mi dice

un esito infelice?

ULISSE

Conformeremo al tuo desir tenace

nostre indiscrete voglie:

la donna ancor mi piace,

e non m'infetta ancor fiato di moglie.

DIOMEDE

Vedi, che dinegando

i consueti onori

a greci ambasciatori,

non siam creduti noi,

o poco amici tuoi,

o tu troppo geloso

del tuo tesoro ascoso.

LICOMEDE

Togliete le cortine;

che non credesser questi

ospiti desiosi,

ch'io qui celassi veneri divine.

 

Scena sesta

Ulisse, Diomede, Licomede, Deidamia, Eunuco, Coro di Donzelle, ed Achille.

<- Deidamia, Eunuco, donzelle, Achille

 

ULISSE

O formano gli dèi  

questi teatri in terra,

o innalzano i mortali

questi apparati in cielo.

DIOMEDE

0 bellissima scena, o nobil coro

di donzelle gentili:

specchiatevi qui tutti

begli occhi femminili.

ULISSE

Si goda pria lontano

il prospetto amoroso,

che sembra poi più grato

da vicino mirato.

LICOMEDE

Non s'avvider pur anco

d'esser preda gentil degli occhi vostri.

Hanno il piacevol loro

trattenitor al fianco, onde di lui,

con la pratica amica

le romitelle chiuse

a consolar son use

la donnesca fatica.

Uditel già, ch'ei s'apparecchia al canto.

DEIDAMIA

E quanto ancora, e quanto

di lunga aspettativa

resta all'orecchio nostro?

Quando sprigionerai quel canto grato,

musico addormentato?

EUNUCO

Sia maledetto il dì, ch'io ti conobbi,

musica, eterna morte,

di chi t'adopra in corte.

Come scoppian le corde

che non mi scoppia il petto?

Servo tiranna ria

dell'altrui libertà,

che mercenaria fa

la libera armonia.

DEIDAMIA

Che mormori, mezz'uomo, io non ho sorde

l'orecchie; a tuo dispetto

vogliam teco dir quella,

che ci sembra sì bella.

ULISSE

Che musico rubesto?

DIOMEDE

Poche volte s'accorda

nel musico incostante

voce, volere, e corda,

e quando abbonda l'un, l'altro è mancante.

 
Canzonetta a tre voci.
 

EUNUCO, DEIDAMIA E ACHILLE

Il canto m'alletta:  

la gioia m'abbonda:

il suon mi diletta:

il ben mi circonda:

ceno, gioco, amoreggio;

e 'l mal c'ho da provar, non sia mai peggio.

Sfondo schermo () ()

 

DIOMEDE

Deh seguite, che questa  

vezzosa canzonetta

ogni nota molesta

dolcemente saetta.

 

EUNUCO, DEIDAMIA E ACHILLE

Qui scherzo, qui rido,

amor non mi offende:

gli credo, mi fido,

timor non mi prende.

Se non ho senno, ho sorte:

e sol del mio gioir l'ore son corte.

 

DIOMEDE

O come dolcemente  

all'arti san dell'ingegnose mani

accompagnar ancora

l'artifizio del canto?

E la voce, e la man quanto innamora?

LICOMEDE

Uscite a riverir, donzelle, uscite,

gli ospiti cavalieri.

E sia di riverenza

dimostranza palese

vostro inchino cortese.

 
Mentre le Donzelle vanno prima a raffazzonarsi, e poi escono a riverir gli Ambasciatori, l'Eunuco canta solo questa canzonetta.

donzelle, Achille ->

Belle rose, che regine  

siete pur degli altri fiori,

la natura fra le spine

chiuse invan vostri tesori:

già d'un maggio ornavi il seno,

or di rose l'anno è pieno.

Belle donne, voi, che nate

per bear gli uomini siete,

più racchiuse, più peccate,

più guardinghe, più cadete.

Foste un tempo un sol secondo,

or di donne è pieno il mondo.

Sembra rosa la bellezza:

quando spunta si gradisce:

sul mattino ella s'apprezza:

sulla sera si schernisce.

Se donzella non si sposa,

presto langue, come rosa.

 

<- donzelle, Achille

DIOMEDE

Gradita lontananza,  

se dopo le tue pene,

rendi migliore il bene,

quanto col desir vecchio, e l'occhio nuovo

la sospirata amante,

più bella alfin ritrovo?

ULISSE

Questi poveri doni

porge l'itaco Ulisse.

DIOMEDE

E l'etolo Diomede.

ULISSE E DIOMEDE

A voi di Licomede

canore inclite figlie.

CORO

Che vaghe meraviglie?

Che pregiati tesori?

Onde a noi tanti onori?

EUNUCO

Render grate pariglie,

come potrete, come

s'altro oro non avete, aride figlie

che l'oro delle chiome?

CORO DI DONZELLE

Sorelle dividiamo.

Il ricco nastro è il mio.

Io prendo il velo d'oro.

I coturni vogl'io.

Che sanguigno amaranto?

Che papavero acceso?

Che tulipan di foco?

EUNUCO

O ben sei qui natura in ogni parte

discepola dell'arte?

DEIDAMIA

La rosa a me, la rosa.

EUNUCO

Alla tua purità si deve il giglio.

DEIDAMIA

No; no voglio un giacinto

di porpora offuscata.

EUNUCO

Perché dica il colore,

che forse avvampi di segreto amore?

DIOMEDE

Quanto segreto più, tanto più caro.

ULISSE

Vaga terrena stella

d'aureo doppio narciso

abbia questa donzella,

che sembra di pensier maschia, e di viso.

ACHILLE

Questo, questo riceve

volentier la mia destra.

EUNUCO

Ohimè, tra gigli e rose

per far a tutti noi torbido il sangue,

chi quel serpaccio ascose?

ACHILLE

O povere di spirto:

è ben altro il mio fior, che rosa, o mirto.

ULISSE

Ferma, ferma o fanciulla,

ch'al tuo buon genitor questo rechiamo

ferro pungente in dono.

ACHILLE

Ei sarà mio.

DIOMEDE

Di Licomede alla guerriera destra

questo pugnal si deve.

ACHILLE

Ma la mia lo riceve,

né paventa a nudarlo.

LICOMEDE

Vanarella, si crede

questa Filli di Sciro,

d'esser nuova Bellona,

armi sempre, armi chiede,

sempre d'armi ragiona.

ULISSE

Ha di guerriero il cor, di donna il volto.

DIOMEDE

O saggio Ulisse, questi

è l'Achille sepolto.

ULISSE

Questi è il fatal garzone,

ch'andiamo ricercando.

ULISSE E DIOMEDE

Questi è di Peleo il generoso figlio.

LICOMEDE

Stanno a stretto consiglio.

DEIDAMIA

Achille è discoperto.

LICOMEDE

Tetide, io più non posso

sostener il torrente;

tutta la greca gente

per te non voglio furibonda addosso.

 

ULISSE

Di Grecia tutta i più sopiti eroi  

desta il rumor della troiana tromba.

Te sol pelide, da' letarghi tuoi,

non risveglia quel suon, ch'alto rimbomba?

Lascia quegli ornamenti, e dove a mille

vanno i guerrier, non sia l'ultimo Achille.

DIOMEDE

Tu richiesto dal ciel, dovuto a' preghi

della tua Grecia, resti anco celato?

Fra coro di donzelle a noi ti neghi,

alla gloria rubi? E sprezzi il fato?

T'incresca omai dell'incresciosa sorte,

e vola a Marte, e non temer di morte.

ACHILLE

O Licomede, o mio signor, tu senti,

ch'io son chiamato alle troiane imprese.

Né Filli io sarò più, fra chiuse genti,

agli occhi di costor fatto palese.

Assai mi celò qui timida madre:

abbian l'Achille suo le greche squadre.

LICOMEDE

Io del pubblico bene ognor fui vago;

e se l'oracol vostro Achille chiede,

nelle voglie del ciel mie voglie appago,

né contender col ciel può Licomede.

Dovrà Tetide tua saggia scusarmi:

su, su squarcia la gonna, e vesti l'armi.

 

EUNUCO

O nuove meraviglie,  

che gran tesoro ascoso

voi godevate, o figlie?

Chissà di quante ei divenuto è sposo.

DEIDAMIA

O sospirato dì tu pur sei giunto?

Andrò pur io di tante glorie a parte,

se chi congiunse Amor non sciorrà Marte?

Ulisse, Achille, Diomede, Licomede, Deidamia, Eunuco, donzelle ->

 

Scena settima

Minerva, e Giunone guidano il ballo della sofferenza.

<- Minerva, Giunone

 

MINERVA

A soffrire, a soffrire  

o devoti di Minerva;

troppo vostra mortal carne è proterva;

usatela al patire

a soffrire, a soffrire

usatevi a buonora

in bella fresca età;

ch'altre sferzate dà

amor poscia a colui, che s'innamora.

GIUNONE

Si cominci la danza,

fortissimi garzoni.

 

<- danzatori, giovanetti

MINERVA

Si cominci, sì, sì, la greca usanza,  

e mentre salta il piè, la sferza suoni.

 

 

Altri colpi la fortuna  

porge a' miseri mortali,

sofferenza, sofferenza;

che di pene, che di mali

l'uomo mai, mai non va senza,

sofferenza, sofferenza.

Fiera, lunga e mortal guerra

grande chiede l'apparecchio;

sempre fu la sciria terra

di fortezza illustre specchio:

questi greci esploratori,

c'hanno qui trovato Achille,

vedranno anco a mille mille

nascer qui gli eroi migliori.

MINERVA E GIUNONE

Sofferenza, sofferenza.

GIUNONE

Di Giunone...

MINERVA

Di Minerva.

MINERVA E GIUNONE

Oggi siete alla presenza

sofferenza, sofferenza.

 
Coro di Giovanetti isolani col ballo della sofferenza.

1  

Che fate in questi chiostri

nascose frodi, e mascherati inganni?

Qual nembo vi sospinge

a' turbar il seren dei petti nostri?

S'amor a' nostri danni

v'arma la destra, e vi nasconde il volto,

egli è ben cieco, e stolto.

Qui bugia non si finge;

ma sull'aperta fronte abbiamo il core,

quel che dentro si pensa, appar di fuore.

2

Il nemico è nemico,

e quando ama, o disama altri il dimostra:

qui la destra, e la lingua

sempre la stessa egual scorge l'amico.

Se l'un l'altro si giostra

con percossa mortal, non è per tanto

che l'odio c'entri, o 'l pianto.

Vorrò, ch'altri m'estingua,

pria ch'io scopra viltà, dolore, o tema;

né per gara d'onore, Amor si scema.

3

Nasce dal duolo il riso,

e l'allegrezza dal soffrir s'acquista.

Duole il colpo, no 'l niego,

ma no 'l dimostra la parola, o 'l viso.

Il dolor non m'attrista,

e sembra inganno il mio, ma qui la frode

degnissima è di lode.

Egli è fregio ogni frego,

ogni livido è lampo: ha sol la palma

il corpo sofferente intrepid'alma.

4

Dell'ardor bellicoso

mantice è questo suono, all'armi io sento

per l'orecchie rapirmi,

d'indugio impaziente, e di riposo.

Tu, tu quest'ardimento

gradisci, o dea de' boschi, a te davanti

spargo sangue, e non pianti.

Può ben altri ferirmi,

ma vera sofferenza oggi m'insegna,

ch'un magnanimo cor la morte sdegna.

5

Dal tuo verace esempio

sofferenza s'apprende, o dea triforme.

Né qui senza ragione

Sciro ti consacrò l'altare, e 'l tempio,

tu delle fiere l'orme

con passo infaticabile seguisti.

Tu l'inferno t'apristi.

Tu nell'alta magione

facella velocissima t'appresti,

né per macchie, o mancanze il corso arresti.

 

Fine (Protesi)

Prologo Protesi Epitasi Catastrofè
Ulisse, Diomede, isolani
 

Il porto è qui di Sciro

isolani, Ulisse, Diomede ->
<- Giunone, Minerva, Tetide

Or, che son giunti al destinato affare

O ben, le mie madonne

Giunone, Minerva, Tetide ->
<- Achille, Deidamia

Oh dio, mio bene, oh dio

Achille e Deidamia
Felicissimo giorno
Deidamia, Achille ->
<- Vittoria, Giove, Venere, dei, Amore

Ove comandi, o padre?

Figlio non sarai meco

Vittoria, Giove, Venere, dei, Amore ->
<- Licomede, Ulisse, Diomede

Mi vedete già tutto

Licomede, Ulisse, Diomede
<- Deidamia, Eunuco, donzelle, Achille

O formano gli dèi

Eunuco, Deidamia, e Achille
Il canto m'alletta

Deh seguite, che questa

 

O come dolcemente

Licomede, Ulisse, Diomede, Deidamia, Eunuco
donzelle, Achille ->
Licomede, Ulisse, Diomede, Deidamia, Eunuco
<- donzelle, Achille

Gradita lontananza

Ulisse, Diomede, Achille e Licomede
Di Grecia tutta i più sopiti eroi

O nuove meraviglie

Ulisse, Achille, Diomede, Licomede, Deidamia, Eunuco, donzelle ->
<- Minerva, Giunone
Minerva, poi Giunone
A soffrire, a soffrire
Minerva, Giunone
<- danzatori, giovanetti

Si cominci, sì, sì, la greca usanza

Minerva, Giunone
Altri colpi la fortuna

(ballo della sofferenza)

Coro di Giovanetti isolani
Che fate in questi chiostri
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima
Scena di ugual lode d'artificiosa, e di vaga. Porto della città di Sciro, che a mano destra stendeva le sue lunghe, e fortissime mura lungo la riva d'un...
Prologo Epitasi Catastrofè

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