Azione seconda

 

Scena prima

Apolline.

 Q 

Apolline

 

 

Son di luce spogliato:  

son del mio regno privo:

s'in terra esule io vivo,

vivo almen vendicato.

È sì dolce il piacer della vendetta,

ch'ha potuto lasciar il dio di Delo

fastosamente il cielo.

Qui sulla bella Tempe

fermato ho il piè: qui dove,

la corazza spogliata,

vestii ben tosto un pastorale ammanto.

Nomio mi finsi: e dal cortese Admeto

raccolto ebbi da lui

della greggia il comando.

Ed ecco Delia appunto,

che pastorel mi vede,

e nega agli occhi fede.

Che sotto il manto mio,

sia celato alcun dio la bella vuole.

Se sapesse costei, ch'io sono il sole?

 

Scena seconda

Delia, ed Apolline.

<- Delia

 

DELIA

Qual raggio mai di poderosa stella  

ti fu guida, o pastore,

a questa spiaggia bella?

Tu qui venisti, amico

per raddolcir col canto

un cuore amareggiato

da lunghissimo pianto.

Ma, Nomio, io giurerei,

che tu Nomio non sei:

che sembri all'occhio mio

d'esser un sole, un dio.

APOLLINE

Già l'hai tu dianzi udito,

giovinetta real, qual io mi sia

pastor di Tracia uscito:

lasciai la Tracia, venni

a questo albergo nuovo,

per destar mia fortuna,

che nel patrio terreno

o dormentata, o sonnacchiosa io provo,

DELIA

In buon punto giungesti: è un foglio aperto

il portamento, e la beltà del volto,

che sovra ogn'altro merto

a noi ti raccomanda.

APOLLINE

Biondo crin, chioma d'oro,

bell'occhio scintillante,

maestrevol sembiante,

è un fragile tesoro, è un mortal dono.

Quel, che di fuori io sono,

resta di contemplare: osserva un core

di riverenza pieno...

mira d'ossequio umile

se porto ricco il seno.

Quest'arco, e questa cetra,

mio novello ritrovo,

son gli amori, ch'io provo.

DELIA

Un musico ingegnoso,

un sì vago sembiante

tanto adorato, oh dio,

non è di donna amante?

APOLLINE

L'amo tutte del pari,

ove un raggio discopro

lampeggiar di virtù: che questo solo,

fra tanti beni frali,

questo sol d'immortale hanno i mortali.

DELIA

Sonnuto pastorello,

senti, senti l'ottavo, odi il novello

saputo della Grecia: or qui tra noi

questa è falsa dottrina. Amor tiranno

qui crediamo del petto,

e non principe eletto.

APOLLINE

Forza d'amore, o fato

non teme Nomio no, di cetra armato.

DELIA

Posa, posa la cetra,

posa, deh posa l'arco,

e i dardi, e la faretra,

che son d'impaccio al pastorale incarco:

e torniamo agli ovili

a sprigionar gli armenti.

Mentre andranno pascendo

della terra i tesori,

le delizie del prato,

noi col canto bramato,

Nomio, ci scopriremo i nostri cuori.

Qui l'avrem pronte, quando

tenti bocca vorace, o ladra mano

turbar la nostra pace.

APOLLINE

Credo, che qui sicura

entro a' fieri cespugli

resterà questa merce?

DELIA

Assai più, che cerchiata

da raddoppiate mura.

Apolline, Delia ->

 

Scena terza

Ermafrodito, e Mercurio.

<- Ermafrodito, Mercurio

 

ERMAFRODITO

Veduto esser non crede  

il dio, ch'il tutto scopre:

e noi desti alle prede

sarem, mentr'egli è sì voglioso all'opre.

MERCURIO

Come d'armi spogliata

gli avrem la destra, allora

gli ruberem gli armenti;

acciò comprenda Admeto,

quanto poco si vaglia

questo tracio pastore

ne' prati di Tessaglia.

Peregrinando altrove andrà ben tosto

questo occulto rivale,

e resterò vagheggiator sol io

del bell'idolo mio.

Ma tu figlio scendesti

oggi molto opportuno

dalle sfere celesti: ah, non vuol Giove,

che vada questa fera

senza il suo veltro ai fianchi? Or meco all'opra

ingegnoso t'adopra.

ERMAFRODITO

Fiere intrecciate spine.

MERCURIO

Non perdonato ancora

alle destre divine?

Ed ecco l'armi desiate: or basta,

ch'io lo privi di strali;

non voglio arco, né cetra,

voglio sol, che rimanga

del mio rivale arciero

vedova la faretra.

Ermafrodito, Mercurio ->

 

Scena quarta

Venere, Vulcano, coro delle tre Grazie, coro di Tritoni.

<- Venere, Vulcano, le tre grazie, tritoni

 

VENERE

Timido consigliato,  

lascia pur questi spechi,

e nell'antro romito, assai

qui teco dimorai.

La bella conca mia

fortunato veleggia,

e porta la fucina

dentro l'antica reggia.

VULCANO

Or che placido il mare

de' marittimi dèi

ci rende il favor santo; a tempo, o diva,

io terminai l'imbarco

del mio fabbrile arnese:

e tu l'aura d'Amor procura intanto,

al nostro vol cortese.

VENERE

Affrettati melenso,

sciogli la vela, prima

che ti discopra il rio nemico: hai molto

qui da temer Vulcano:

s'il peregrin del cielo

è fatto abitator di questi poggi,

forza è, che tu dileggi.

Ma pria della partenza

smemorato affannoso,

mira ben, s'hai qui tutta

nella conca marina

la sgombrata fucina.

Ecco i martelli, e le tenaglie, ed ecco

la gravissima incude. Io ti so dire,

c'ha la nave il suo peso.

VULCANO

Ecco i mantici, e 'l resto

di men pesante incarco.

VENERE

Su ferma il piede, e trova,

bagaglion disadatto,

ove sicuro posi. E voi mie fide

segretarie, e sorelle,

voi Grazie ornate, e belle

sul mio carro volante

gli eburnei rastri. E 'l luminoso specchio

riponete, ed ogni altro

per uso femminile

consueto apparecchio.

Vostra cura gentile oggi sia questa:

segua del carro un regolato moto

della mia conca il nuoto.

VULCANO

Ecco per questo liquido elemento,

mentre solcate voi gli aerei campi,

sciolgo la vela ossequiosa al vento.

 

<- amoretto

Venere, amoretto, Vulcano ->

CORO DELLE GRAZIE

Sgombra, sgombra il timore  

tutto par, che d'Amore

il cielo, e 'l mar avvampi;

parti Afrodisia, parti,

parti, bella Ciprigna,

né deve abbandonarti

delle Grazie lo stuol, madre benigna.

Negri lidi funesti,

desolata Tessaglia,

donde parte costei,

parton le Grazie ogn'or, parton gli amori.

Abbandonato Olimpo,

le dolcezze de' cori,

le gioie de' mortali, e degli dèi

di qui, di qui se n' vanno.

O Delia, a quale or sei

periglio esposta, a quale

non aspettato male oggi tu resti?

Antri vedovi, e mesti,

da voi, da voi se n' vanno

le delizie celesti,

e qui rimane ogni terreno affanno.

le tre grazie, tritoni ->

 

Scena quinta

Delia, Apolline, Mercurio, ed Ermafrodito.

<- Delia, Apolline, Mercurio, Ermafrodito

 

DELIA

Or che sospinto hai fuori  

tutto il reale armento,

pasca egli l'erbe, e i fiori,

e tu Nomio cortese

prendi il novel dolcissimo istromento,

e fa' ch'io senta omai,

ritrovator felice,

avvivar quelle corde

che ravvivano i cori: or di questi elce

godiam l'ombra romita,

e dove ampio sedil c'invita al canto,

uniam le voci, e più le voglie intanto.

APOLLINE

Mentre, o Delia, il correggo,

maturar col pensier, saggia, tu puoi,

l'argomento, che vuoi.

MERCURIO

(Ed or, che l'uno, e l'altro

è rapito a destar canori accenti,

io rapirò più scaltro

il meglio degli armenti.)

Mercurio ->

APOLLINE

Ancor non ben risponde  

l'armoniosa cetra ai giusti accordi,

cresce la nona, cresce,

tu la rallenta alquanto.

ERMAFRODITO

(Non s'avvede il buon musico, che mentre

l'arguta cetra accorda,

di sé stesso si scorda.)

APOLLINE

Il tutto è pronto, or da' principio al canto.

DELIA

Saper da te desio,

non me 'l negar, pastore,

(ma, che dimando, o dio)

ardesti unqua d'amore?

APOLLINE

Te 'l dican queste rive

del dolente Peneo,

per chi già Nomio ardeo:

parlino questi prati,

ove altre volte ho sparsi

i prieghi, e i passi dietro

di ninfa ai passi ingrati.

Sanno quest'erbe, quanto

d'amor m'accesi, ed arsi,

san le querele mie, sanno il mio pianto.

DELIA

Ed or, Nomio, non ami?

APOLLINE

Dal primiero infelice

mal intrapreso amore, o Delia intesi

il furor di mia stella;

ond'io più non m'accesi

di ninfa altera, e bella.

DELIA

E tutte non son quali,

Nomio, tu te le fingi.

APOLLINE

Alla custodia io fui di questi armenti,

e non a folleggiar, ninfa, chiamato:

che vuoi, che dica, Admeto?

DELIA

Egli è saggio signore,

ma saggio anco, e discreto;

e sa, che si conviene

a sì gentil pastore,

l'esser servo d'Admeto,

e servo anco d'amore.

APOLLINE

E 'l primo giorno, e quasi

la prim'ora, tu vuoi,

ch'un peregrin s'accenda?

Lascia prima, ch'intenda, ov'egli possa

aspirar alla preda:

e vuoi, Delia, ch'io resti.

Sì d'improvviso amante?

DELIA

Come appunto rimase

una ninfa di te...

APOLLINE

Delia, io m'avvedo,

sì, sì, che tu ti prendi

gioco del tuo pastore:

ah tanto io non m'arrogo,

che pensi ch'una ninfa a' primi sguardi

d'un rozzo pastorel rimanga accesa.

Ben'avea pronto amore

oggi il fucile, e l'esca.

Ben saria fortunato

per Nomio questo giorno,

in cui donna, e signore

avesse egli trovato.

DELIA

Non men del primo è l'altra

mansueta, e cortese.

APOLLINE

E che ne sai?

Corre presto fra voi

d'una ninfa, che ama,

belle ninfe la fama?

DELIA

Ancor non indovini,

Nomio, chi sia costei?

Ma che dico indovini? Ancor non resti

certo degl'ardor miei?

APOLLINE

Fanciulla, ove ti lasci,

trasportar dal desio?

Non ti ricordi, ch'io

son servo, e tu regina?

DELIA

Hanno servi sì fidi alfin tra noi

privilegio di sposi.

APOLLINE

Venni a pascer d'Admeto

la gregge, e non a fare

della figlia di lui strage, o rapina,

questo qui mi farebbe

e gregge, e ninfe, e tempo

in un tempo lasciare.

O quanto il tuo fedele

omai Delia t'adora.

Io mi fingo crudele,

perché giova talora

il finger crudeltà,

per ottener pietà.

DELIA

Non temer no, che condonato il furto

allor ti sarà sempre,

che tu risponda con la stessa fede

a chi d'esser amata

semplicemente chiede.

Non ti mostrar tu, Nomio,

primieramente ingrato

a non amar amato.

Altro ninfa, che ama,

in Tessaglia non brama,

ch'all'adorato petto

render per puro amor pudico affetto;

ciò tra noi si costuma infin, che giunga

la stagion delle nozze, e quando fia

comune il piacimento,

non son contrari i genitori mai

al giusto godimento.

Nobiltà di natali, oro, e ricchezza,

nulla si pregia qui, ma sol si guarda,

s'ha tesoro d'ingegno,

s'ha fermezza di fede,

s'ha leggiadria nel canto.

APOLLINE

E 'n me, che non riluce, o Delia, in tanto

raggio alcun di valore,

cader non potrà mai, regia donzella,

uguaglianza, sì bella.

DELIA

Corrispondi all'amore,

e fia pensiero il resto

del mio buon genitore.

Porgimi su la destra,

impegnami la fede;

tu sai, chi te la porge,

tu sai, chi te la chiede.

APOLLINE

Con quella riverenza,

ch'ad un servo si deve,

Nomio la destra in pegno

e ti porge, e riceve.

Ermafrodito ->

 

Scena sesta

Coro, Admeto, Apolline, e Delia.

<- pastori, ninfe, Admeto

 

CORO

Accorrete, o pastori,  

pastori al ladro, al nequitoso, al ladro,

accorrete, accorrete.

 

pastori, ninfe ->

ADMETO

Voi cantando spendete  

soavemente l'ore,

ma gl'occhi non volgete

al ladroncel, che seco

ha furando condotto,

dentro a quell'antro cieco,

il meglio dell'armento.

APOLLINE

Ohimè, Delia, che sento?

ADMETO

Quel, ch'ambeduo non foste,

dietro a festosi canti,

a discoprir bastanti.

APOLLINE

Mostrami il temerario.

DELIA

E chi fu mai

il ladro insidioso?

APOLLINE

Ch'io non verrò, che rieda

alla seconda preda.

ADMETO

Colà nascose le giovenche; ed egli

accortosi di me, da me si tolse.

APOLLINE

Ecco il gran dio degl'ingegnosi ladri,

che ver noi s'incammina:

vorrò, ch'egli mi renda

conto del ladroneccio.

Riconducete voi la greggia intanto

a' presepi vicini,

ch'io qui resto all'esame

del ladroncello infame.

DELIA

Ma, qui restar non deve

su questo nudo sasso

questo canoro legno,

voglio meco portar l'amato pegno.

Admeto, Delia ->

 

Scena settima

Apolline, e Mercurio.

<- Mercurio

 

APOLLINE

Dovrai, tu sempre, o dio  

d'industriose genti,

insidiar gl'armenti?

MERCURIO

Vorrai tu meco in terra,

vago signor di Delo,

se ti son caro in cielo,

aver contrasto, e guerra?

APOLLINE

Voglio, che tu mi scopra

qual fu l'iniqua mano,

che tentò di furarmi oggi la greggia.

MERCURIO

Che son io forse il relator de' furti?

L'osservator de' mali?

Il dio referendario?

Hai perduto tu dunque

col bel carro lucente

oggi gl'occhi, e la mente?

Il futuro indovini,

e 'l presente non miri.

APOLLINE

È perché lo mirai

da te conto ne voglio.

MERCURIO

Dunque ladro mi fai?

APOLLINE

Qual tu ti sia, contezza

da te ricerco, e devi

darmela tu, che fusti oggi dal luogo

non lontan del delitto.

MERCURIO

Se lungamente il fato

fra le braccia felici

delle nuove amatrici

ti conservi beato,

parla, e canta d'amore

fortunato pastore:

lascia le risse, e i furti,

e 'l pensier degl'armenti,

contami le tue gioie,

narrami i tuoi contenti.

APOLLINE

Tu sai, ch'io ti conosco,

astutissima volpe,

non mi fanno i piaceri

obliar le tue colpe.

Non volger il discorso,

ch'io volgerò gli strali:

non ho l'arco lontano,

e colpisce nel segno

d'Apolline la mano.

MERCURIO

De' tuoi strali mi rido,

esiliato nume,

per me puoi sprezzar l'arco.

Così meco favelli?

Non sai di quella verga

di serpi attorcigliata

il privilegio ancora? Io son di Giove

riverito messaggio.

APOLLINE

Ed or più me ne invogli,

che Giove mi nomasti:

non so, s'egli in difesa

scudo ti si farà, che non colpisca

questa saetta il petto

del messagger diletto?

MERCURIO

E qual saetta? Quella,

che per la fretta forse,

povero dio di Delo,

ti sei scordata in cielo?

APOLLINE

Ben dianzi ne avev'io

gravida la faretra,

ma tu, ladro gentil, me l'involasti.

Assai, Mercurio, assai

ti prendi gioco omai. Il tutto sia

un tuo scherzo leggiadro;

mi rido della frode, e lodo il ladro.

MERCURIO

Per una volta alfin, rigido Apollo,

ridenti io rimirai

le tue labbra divine,

abbracciami, o vezzoso,

abbracciami, e conosci

la mia fida leanza.

I dardi io ti nascosi

sol per tua sicurezza,

or che stanza cangiasti,

e vivi peregrino, esule in terra,

perché tu non trovassi

sempre debil cagion d'ignobil guerra.

APOLLINE

Pietosa provvidenza.

MERCURIO

Mentr'io ti veggo fatto

regio pastor d'Admeto,

nei giardini di Tempe,

qui sul limpido Anfriso,

da Delia amoreggiato,

tra gli amori, e 'l comando

dubito, che ti scordi

in questi ozi gentili

della reggia del cielo,

né d'impetrar perdono

tu ti curi per ora,

come quegli, a cui grata

sembra questa dimora:

ond'io venni a turbare

la pace del tuo cuore,

venni, venni a scemare,

per queste negligenze,

l'amor d'Admeto, a cui

ti rendesse men caro,

il vederti men desto.

APOLLINE

O per rapir l'altrui

ingegnoso pretesto.

Tu mi vorresti dunque

veder in ciel tornato?

 

MERCURIO

Ben hai tu gli occhi teco,    

e vedi, come il luminoso carro

sia da Giove guidato?

Stanco spesso, e cruccioso

Giove, Giove bestemmia,

e di sé stesso incolpa

la soverchia prudenza. Ohimè, che dianzi

nel malvagio sentiero

l'inesperto cocchiero

ha traviato, e quasi

rotto ad Acquario i vasi.

E s'egli a sorte guasta

in quella zona rea

le bilance ad Astrea,

che fia della giustizia? Io so che zoppa

vedrassi in terra, mentre

Giove la storpia in cielo.

Ma che fia, quando a Giove

venga il Cancro vicino

con quell'orride branche?

O quanto allor pentito

sarà d'aver nel dirupato calle

preso a guidar la luminosa face.

S

Sfondo schermo () ()

 

APOLLINE

Onde tu non disperi

il mio presto ritorno?

MERCURIO

Anzi io me n'assicuro.

APOLLINE

Il desio di regnare è un fiero invito.

MERCURIO

Che vuoi tu, che rovini

precipitoso il carro, e Giove seco

a incenerir la terra?

Che diranno i mortali,

che degli dèi purtroppo

si querelano ogn'ora,

se pecca Giove ancora?

APOLLINE

Questo grave pensiero

de' minacciati mali

contro il pubblico bene

de' miseri mortali,

fa' ch'io deponga il concepito sdegno,

fa', ch'io brami il ritorno

al mio celeste regno.

MERCURIO

Lasciane a me la cura:

mio pensier sarà questo

di ricondurti in cielo.

E vedi s'io m'affretto. Io per lo centro

della terra trapasso:

ingegnoso schivando

un cerchio di lunghissimo cammino

Giove rincontrerò, che porta il lume

di sotto ad altre genti.

Tu torna intanto a pascolar gli armenti.

Apolline ->

 

Scena ottava

Mercurio, Proserpina, e Coro infernale.

 

MERCURIO

Spalancatemi, olà, numi d'Averno,  

il grand'uscio infernale,

e le voci ubbidite,

cortigiani di Dite,

del messagger di Giove.

 
 

 Q 

<- Proserpina, coro infernale

PROSERPINA

Entra, fido ministro,  

dell'alta eccelsa corte

di Cocito le porte.

CORO

China, i ginocchi, china,

postiglion annebbiato.

MERCURIO

Augusta donna degli inferni regni

perdonami, se tosto

in quest'orror eterno

non t'inchino, o discerno.

CORO

Uso è di voi celesti:

spregiate questi chiostri,

e i gravi affari nostri.

PROSERPINA

Ma che novelle arrechi,

o nunzio degli dèi?

Dentro questi antri ciechi

a che venuto sei?

Ergiti, e scopri l'ambasciate.

MERCURIO

Io chiedo,

Proserpina cortese,

per queste inferne vie

un sicuro passaggio,

per incontrar qui sotto

felicemente il raggio,

che Giove or guida apportator del die.

PROSERPINA

Cillenio, io mi credea, ch'oggi qui giunto

a richiamar alle primiere salme

tu fossi l'alme de' ciclopi estinti.

Sossopra omai rivolto

per l'or l'inferno è tutto. Hanno gli arditi

per il scherzo disciolto

ben due volte Ission dall'alta ruota,

tolto a Sisifo il sasso, uccisi i serpi

a Tesifone, e poscia

Cerbero addormentato: indi a Caronte

tolto di mano il noderuto remo,

molte anime introdotte,

contro il voler del fato,

hanno al passo vietato.

MERCURIO

Ohimè, quel poco dunque

di servitù di Giove,

entro gl'inferni liti,

tanto gli rende arditi?

PROSERPINA

Ma non son queste intanto

fierezze, che le voglia,

entro l'inferna soglia,

soffrir più Radamanto.

MERCURIO

Non si devon mischiare

nell'infernal prigione

tra stolidi ignoranti

questi ingegni prestanti.

PROSERPINA

Odi bella ragione: ancor non sai,

che negli inferni regni

piombano i primi imperversati ingegni.

E ch'angusta è la stanza a tanti omai,

dalla tartarea chiostra

Giove dunque richiami a nuova luce

i suo' feri ministri: e vorrai forse

star ozioso in cielo

senza il fulmineo telo?

Che dirà quel mortale

poco a Giove divoto,

se Giove tuona a voto?

Su dunque a Giove esponi

i nostri danni, e digli

i nostri, e suo' perigli.

Sprigioneranno alfin quant'alme accoglie

il cieco regno, e quanti,

ha sepolto giganti;

e da costor, che sempre

han maneggiato il foco,

ohimè, che già pavento

non venga un dì per gioco

questo incendio infernal sopito, e spento.

MERCURIO

O diva, a grandi affari oggi m'affretto;

per ricondur in cielo

il sole esiliato

son a nobil trattato.

Come ciò segua, avranno

nuova vita i ciclopi: onde sarai

libera d'ogni affanno.

PROSERPINA

Sì, sì, ch'io non ho d'uopo,

per raffrenar quest'alme,

di fulmini, o ciclopo.

CORO

E l'ordine, e la pace

nell'inferno anco piace.

 

Mercurio, Proserpina, coro infernale ->

 Q 

 

Scena nona

Ermafrodito col ballo de' Soldati d'Admeto.

<- Ermafrodito, soldati d'Admeto

 

ERMAFRODITO

Chi può gir dietro ad un Mercurio alato?  

Chi seguirà mai diva

incostante, e lasciva?

Corra chi vuole, io qui l'attenderò.

Veduto ancor non ho

di ninfe belle

danze più snelle:

che voli, e cadute?

Or quindi, or quindi

che trilli, e che trinci

facea scherzoso il piè?

Stella sì saltellante in ciel non è.

Ma non restate

voi però paghi

de' balli vaghi,

mortali bramate

sempre sempre aver più.

Non scendo quaggiù,

ch'io non ritrovi,

costumi nuovi.

Il parlar tosco

da stagione a stagion, più no 'l conosco.

E dissi quasi,

ch'i sommi dèi

per l'orribil tenor di vostre frasi

non intendon lassù

i vostri prieghi più.

Onde a rovescio spesso

il bene v'è tolto,

il mal v'è concesso;

impara a fraseggiar supplice stolto.

Ecco l'aurora,

che si vergogna

di sortir fuora,

perch'elle mira

non gradir voi

i colori suoi

ond'ella vuole

sin che non cangia la sua scorza antica,

che prenda fatica

Eunomia d'infiorare il calle al Sole.

E m'ha pregato

Iride seco,

ch'io porti meco

alcun nuovo colore in terra usato.

Quanti impacci mi danno, e impieghi, e impicci

i femminili capricci?

Ogni volta, ch'io torno,

io reco, o donne, a quel celeste chiostro

alcun segreto vostro.

Ranno da torre ogni appannata macchia

al volto della Luna.

Olio da far più lunghi

i crini alla Fortuna.

Per discrepar la fronte

alla rugosa età quest'acque ho pronte.

Ma di nuovi colori

questa è la mostra bella.

Color d'Isabella,

baciami caretta,

pancia di monachetta,

pallor d'infermo ebreo,

donna commossa,

Celadon, trista mia, cenere d'ossa.

Color di cervo, ohimè,

ohimè, che questo in molti

è un color di suo piè.

Testa di luccio,

verde cappuccio,

piè di cappone,

e questo chi gli piace ha gran ragione.

Or, s'alcuna di voi

per quelle dèe celesti

mi vuol dar altra mostra,

gloria dell'arte vostra

sarà, l'aver donne, insegnato al cielo

a colorir le spoglie, a cangiar velo.

 

Immagine d'epoca ()

Ballo di otto Soldati della guardia di Admeto, che formano negli scudi a lettere d'oro, questo anagramma, e variandosi sempre nell'intreccio il colore d'un turchino, e d'un rosso, fanno con le cadenze riverenza alle gentildonne.
 
1---2---3---4---5--6--7---8
LA BELTÀDE RIVERIAMO
anagramma primo
D'ETÀ BELLA AMORI VERI.

CORO

Rei pensieri, nembi dell'alma,  

venti fieri, mentre danziamo,

non turbate la nostra calma

la beltade noi riveriamo

sia stabile il voler, se vola il piè:

s'intrecci la mano, s'impegni la fé.

Secol rio, cangiati omai:

donne, stelle terrene a' vostri rai

sian d'amanti guerrieri

principio d'età bella amori veri.

E restando in una cadenza a dietro il 4 e 'l 5:
AMO BELLA VERITA'
e può dir finalmente
RIAMO BELLA VERITADE.
 
Anagramma secondo da dieci soldati tutti d'un colore:
DELIA SALUTO
anagramma
L'IDEA TU SOLA.

CORO

Danza il guerrier drappello,  

e negli scudi ogn'ora

prega a Delia salute.

Ma nell'intreccio ancora

varian le lettre d'or voci, e vedute.

Ecco l'idea del bello,

Delia tu sola sei. Gentil pensiero:

la sorte è cieca, e pur conosce il vero.

 
Anagramma terzo con variazione di due colori:
VENETIANA
anagramma
NEVE NATIA.

CORO

Sin qui sul nostro pargoletto Anfriso,  

venetiana bellezza,

il tuo candor s'apprezza: e vedi or, come

bella neve natia suona il tuo nome

col degno esempio tuo le guance, e 'l labbro

non macchia a Delia mai

mal composto cinabro:

e se rosseggian quelle nevi intatte,

l'ostro sol di virtù tinge il suo latte.

 

Fine (Azione seconda)

Prologo Azione prima Azione seconda Azione terza

Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso.

Apolline
 

Son di luce spogliato

Apolline
<- Delia

Qual raggio mai di poderosa stella

Apolline, Delia ->
<- Ermafrodito, Mercurio

Veduto esser non crede

Ermafrodito, Mercurio ->
<- Venere, Vulcano, le tre grazie, tritoni

Timido consigliato

Venere, Vulcano, le tre grazie, tritoni
<- amoretto

(l'amoretto soffia nella vela di venere)

le tre grazie, tritoni
Venere, amoretto, Vulcano ->
Coro delle Grazie, e dei Tritoni
Sgombra, sgombra il timore
le tre grazie, tritoni ->
<- Delia, Apolline, Mercurio, Ermafrodito

(Mercurio e Ermafrodito nascosti)

Or che sospinto hai fuori

Delia, Apolline, Ermafrodito
Mercurio ->

Ancor non ben risponde

Delia, Apolline
Ermafrodito ->
Delia, Apolline
<- pastori, ninfe, Admeto

(ballo di pastori e ninfe)

Delia, Apolline, Admeto
pastori, ninfe ->

Voi cantando spendete

Apolline
Admeto, Delia ->
Apolline
<- Mercurio

Dovrai, tu sempre, o dio

Mercurio
Apolline ->

Spalancatemi, olà, numi d'Averno

Grand'uscio infernale.

Mercurio
<- Proserpina, coro infernale

Entra, fido ministro

Mercurio, Proserpina, coro infernale ->

Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso.

<- Ermafrodito, soldati d'Admeto

(ballo di otto soldati della guardia di Admeto, che formano negli scudi a lettere d'oro degli anagrammi, e variandosi sempre nell'intreccio il colore d'un turchino, e d'un rosso, fanno con le cadenze riverenza alle gentildonne)

(anagramma primo, prima parte)

(anagramma primo, seconda parte)

(anagramma secondo)

(anagramma terzo)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona
Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Grand'uscio infernale. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso.
Prologo Azione prima Azione terza

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