Scena prima |
Apolline. |
Apolline |
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son del mio regno privo: s'in terra esule io vivo, vivo almen vendicato. È sì dolce il piacer della vendetta, ch'ha potuto lasciar il dio di Delo fastosamente il cielo. Qui sulla bella Tempe fermato ho il piè: qui dove, la corazza spogliata, vestii ben tosto un pastorale ammanto. Nomio mi finsi: e dal cortese Admeto raccolto ebbi da lui della greggia il comando. Ed ecco Delia appunto, che pastorel mi vede, e nega agli occhi fede. Che sotto il manto mio, sia celato alcun dio la bella vuole. Se sapesse costei, ch'io sono il sole? | |
Scena seconda |
Delia, ed Apolline. |
<- Delia |
DELIA |
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APOLLINE |
Già l'hai tu dianzi udito, giovinetta real, qual io mi sia pastor di Tracia uscito: lasciai la Tracia, venni a questo albergo nuovo, per destar mia fortuna, che nel patrio terreno o dormentata, o sonnacchiosa io provo, | |
DELIA |
In buon punto giungesti: è un foglio aperto il portamento, e la beltà del volto, che sovra ogn'altro merto a noi ti raccomanda. | |
APOLLINE |
Biondo crin, chioma d'oro, bell'occhio scintillante, maestrevol sembiante, è un fragile tesoro, è un mortal dono. Quel, che di fuori io sono, resta di contemplare: osserva un core di riverenza pieno... mira d'ossequio umile se porto ricco il seno. Quest'arco, e questa cetra, mio novello ritrovo, son gli amori, ch'io provo. | |
DELIA |
Un musico ingegnoso, un sì vago sembiante tanto adorato, oh dio, non è di donna amante? | |
APOLLINE |
L'amo tutte del pari, ove un raggio discopro lampeggiar di virtù: che questo solo, fra tanti beni frali, questo sol d'immortale hanno i mortali. | |
DELIA |
Sonnuto pastorello, senti, senti l'ottavo, odi il novello saputo della Grecia: or qui tra noi questa è falsa dottrina. Amor tiranno qui crediamo del petto, e non principe eletto. | |
APOLLINE |
Forza d'amore, o fato non teme Nomio no, di cetra armato. | |
DELIA |
Posa, posa la cetra, posa, deh posa l'arco, e i dardi, e la faretra, che son d'impaccio al pastorale incarco: e torniamo agli ovili a sprigionar gli armenti. Mentre andranno pascendo della terra i tesori, le delizie del prato, noi col canto bramato, Nomio, ci scopriremo i nostri cuori. Qui l'avrem pronte, quando tenti bocca vorace, o ladra mano turbar la nostra pace. | |
APOLLINE |
Credo, che qui sicura entro a' fieri cespugli resterà questa merce? | |
DELIA |
Assai più, che cerchiata da raddoppiate mura. | Apolline, Delia -> |
Scena terza |
Ermafrodito, e Mercurio. |
<- Ermafrodito, Mercurio |
ERMAFRODITO |
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MERCURIO |
Come d'armi spogliata gli avrem la destra, allora gli ruberem gli armenti; acciò comprenda Admeto, quanto poco si vaglia questo tracio pastore ne' prati di Tessaglia. Peregrinando altrove andrà ben tosto questo occulto rivale, e resterò vagheggiator sol io del bell'idolo mio. Ma tu figlio scendesti oggi molto opportuno dalle sfere celesti: ah, non vuol Giove, che vada questa fera senza il suo veltro ai fianchi? Or meco all'opra ingegnoso t'adopra. | |
ERMAFRODITO |
Fiere intrecciate spine. | |
MERCURIO |
Non perdonato ancora alle destre divine? Ed ecco l'armi desiate: or basta, ch'io lo privi di strali; non voglio arco, né cetra, voglio sol, che rimanga del mio rivale arciero vedova la faretra. | Ermafrodito, Mercurio -> |
Scena quarta |
Venere, Vulcano, coro delle tre Grazie, coro di Tritoni. |
<- Venere, Vulcano, le tre grazie, tritoni |
VENERE |
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VULCANO |
Or che placido il mare de' marittimi dèi ci rende il favor santo; a tempo, o diva, io terminai l'imbarco del mio fabbrile arnese: e tu l'aura d'Amor procura intanto, al nostro vol cortese. | |
VENERE |
Affrettati melenso, sciogli la vela, prima che ti discopra il rio nemico: hai molto qui da temer Vulcano: s'il peregrin del cielo è fatto abitator di questi poggi, forza è, che tu dileggi. Ma pria della partenza smemorato affannoso, mira ben, s'hai qui tutta nella conca marina la sgombrata fucina. Ecco i martelli, e le tenaglie, ed ecco la gravissima incude. Io ti so dire, c'ha la nave il suo peso. | |
VULCANO |
Ecco i mantici, e 'l resto di men pesante incarco. | |
VENERE |
Su ferma il piede, e trova, bagaglion disadatto, ove sicuro posi. E voi mie fide segretarie, e sorelle, voi Grazie ornate, e belle sul mio carro volante gli eburnei rastri. E 'l luminoso specchio riponete, ed ogni altro per uso femminile consueto apparecchio. Vostra cura gentile oggi sia questa: segua del carro un regolato moto della mia conca il nuoto. | |
VULCANO |
Ecco per questo liquido elemento, mentre solcate voi gli aerei campi, sciolgo la vela ossequiosa al vento. | |
<- amoretto Venere, amoretto, Vulcano -> | ||
CORO DELLE GRAZIE tutto par, che d'Amore il cielo, e 'l mar avvampi; parti Afrodisia, parti, parti, bella Ciprigna, né deve abbandonarti delle Grazie lo stuol, madre benigna. Negri lidi funesti, desolata Tessaglia, donde parte costei, parton le Grazie ogn'or, parton gli amori. Abbandonato Olimpo, le dolcezze de' cori, le gioie de' mortali, e degli dèi di qui, di qui se n' vanno. O Delia, a quale or sei periglio esposta, a quale non aspettato male oggi tu resti? Antri vedovi, e mesti, da voi, da voi se n' vanno le delizie celesti, e qui rimane ogni terreno affanno. | le tre grazie, tritoni -> | |
Scena quinta |
Delia, Apolline, Mercurio, ed Ermafrodito. |
<- Delia, Apolline, Mercurio, Ermafrodito |
DELIA |
tutto il reale armento, pasca egli l'erbe, e i fiori, e tu Nomio cortese prendi il novel dolcissimo istromento, e fa' ch'io senta omai, ritrovator felice, avvivar quelle corde che ravvivano i cori: or di questi elce godiam l'ombra romita, e dove ampio sedil c'invita al canto, uniam le voci, e più le voglie intanto. | |
APOLLINE |
Mentre, o Delia, il correggo, maturar col pensier, saggia, tu puoi, l'argomento, che vuoi. | |
MERCURIO |
(Ed or, che l'uno, e l'altro è rapito a destar canori accenti, io rapirò più scaltro il meglio degli armenti.) | Mercurio -> |
APOLLINE |
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ERMAFRODITO |
(Non s'avvede il buon musico, che mentre l'arguta cetra accorda, di sé stesso si scorda.) | |
APOLLINE |
Il tutto è pronto, or da' principio al canto. | |
DELIA |
Saper da te desio, non me 'l negar, pastore, (ma, che dimando, o dio) ardesti unqua d'amore? | |
APOLLINE |
Te 'l dican queste rive del dolente Peneo, per chi già Nomio ardeo: parlino questi prati, ove altre volte ho sparsi i prieghi, e i passi dietro di ninfa ai passi ingrati. Sanno quest'erbe, quanto d'amor m'accesi, ed arsi, san le querele mie, sanno il mio pianto. | |
DELIA |
Ed or, Nomio, non ami? | |
APOLLINE |
Dal primiero infelice mal intrapreso amore, o Delia intesi il furor di mia stella; ond'io più non m'accesi di ninfa altera, e bella. | |
DELIA |
E tutte non son quali, Nomio, tu te le fingi. | |
APOLLINE |
Alla custodia io fui di questi armenti, e non a folleggiar, ninfa, chiamato: che vuoi, che dica, Admeto? | |
DELIA |
Egli è saggio signore, ma saggio anco, e discreto; e sa, che si conviene a sì gentil pastore, l'esser servo d'Admeto, e servo anco d'amore. | |
APOLLINE |
E 'l primo giorno, e quasi la prim'ora, tu vuoi, ch'un peregrin s'accenda? Lascia prima, ch'intenda, ov'egli possa aspirar alla preda: e vuoi, Delia, ch'io resti. Sì d'improvviso amante? | |
DELIA |
Come appunto rimase una ninfa di te... | |
APOLLINE |
Delia, io m'avvedo, sì, sì, che tu ti prendi gioco del tuo pastore: ah tanto io non m'arrogo, che pensi ch'una ninfa a' primi sguardi d'un rozzo pastorel rimanga accesa. Ben'avea pronto amore oggi il fucile, e l'esca. Ben saria fortunato per Nomio questo giorno, in cui donna, e signore avesse egli trovato. | |
DELIA |
Non men del primo è l'altra mansueta, e cortese. | |
APOLLINE |
E che ne sai? Corre presto fra voi d'una ninfa, che ama, belle ninfe la fama? | |
DELIA |
Ancor non indovini, Nomio, chi sia costei? Ma che dico indovini? Ancor non resti certo degl'ardor miei? | |
APOLLINE |
Fanciulla, ove ti lasci, trasportar dal desio? Non ti ricordi, ch'io son servo, e tu regina? | |
DELIA |
Hanno servi sì fidi alfin tra noi privilegio di sposi. | |
APOLLINE |
Venni a pascer d'Admeto la gregge, e non a fare della figlia di lui strage, o rapina, questo qui mi farebbe e gregge, e ninfe, e tempo in un tempo lasciare. O quanto il tuo fedele omai Delia t'adora. Io mi fingo crudele, perché giova talora il finger crudeltà, per ottener pietà. | |
DELIA |
Non temer no, che condonato il furto allor ti sarà sempre, che tu risponda con la stessa fede a chi d'esser amata semplicemente chiede. Non ti mostrar tu, Nomio, primieramente ingrato a non amar amato. Altro ninfa, che ama, in Tessaglia non brama, ch'all'adorato petto render per puro amor pudico affetto; ciò tra noi si costuma infin, che giunga la stagion delle nozze, e quando fia comune il piacimento, non son contrari i genitori mai al giusto godimento. Nobiltà di natali, oro, e ricchezza, nulla si pregia qui, ma sol si guarda, s'ha tesoro d'ingegno, s'ha fermezza di fede, s'ha leggiadria nel canto. | |
APOLLINE |
E 'n me, che non riluce, o Delia, in tanto raggio alcun di valore, cader non potrà mai, regia donzella, uguaglianza, sì bella. | |
DELIA |
Corrispondi all'amore, e fia pensiero il resto del mio buon genitore. Porgimi su la destra, impegnami la fede; tu sai, chi te la porge, tu sai, chi te la chiede. | |
APOLLINE |
Con quella riverenza, ch'ad un servo si deve, Nomio la destra in pegno e ti porge, e riceve. | Ermafrodito -> |
Scena sesta |
Coro, Admeto, Apolline, e Delia. |
<- pastori, ninfe, Admeto |
CORO | ||
pastori, ninfe -> | ||
ADMETO |
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APOLLINE |
Ohimè, Delia, che sento? | |
ADMETO |
Quel, ch'ambeduo non foste, dietro a festosi canti, a discoprir bastanti. | |
APOLLINE |
Mostrami il temerario. | |
DELIA |
E chi fu mai il ladro insidioso? | |
APOLLINE |
Ch'io non verrò, che rieda alla seconda preda. | |
ADMETO |
Colà nascose le giovenche; ed egli accortosi di me, da me si tolse. | |
APOLLINE |
Ecco il gran dio degl'ingegnosi ladri, che ver noi s'incammina: vorrò, ch'egli mi renda conto del ladroneccio. Riconducete voi la greggia intanto a' presepi vicini, ch'io qui resto all'esame del ladroncello infame. | |
DELIA |
Ma, qui restar non deve su questo nudo sasso questo canoro legno, voglio meco portar l'amato pegno. | Admeto, Delia -> |
Scena settima |
Apolline, e Mercurio. |
<- Mercurio |
APOLLINE |
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MERCURIO |
Vorrai tu meco in terra, vago signor di Delo, se ti son caro in cielo, aver contrasto, e guerra? | |
APOLLINE |
Voglio, che tu mi scopra qual fu l'iniqua mano, che tentò di furarmi oggi la greggia. | |
MERCURIO |
Che son io forse il relator de' furti? L'osservator de' mali? Il dio referendario? Hai perduto tu dunque col bel carro lucente oggi gl'occhi, e la mente? Il futuro indovini, e 'l presente non miri. | |
APOLLINE |
È perché lo mirai da te conto ne voglio. | |
MERCURIO |
Dunque ladro mi fai? | |
APOLLINE |
Qual tu ti sia, contezza da te ricerco, e devi darmela tu, che fusti oggi dal luogo non lontan del delitto. | |
MERCURIO |
Se lungamente il fato fra le braccia felici delle nuove amatrici ti conservi beato, parla, e canta d'amore fortunato pastore: lascia le risse, e i furti, e 'l pensier degl'armenti, contami le tue gioie, narrami i tuoi contenti. | |
APOLLINE |
Tu sai, ch'io ti conosco, astutissima volpe, non mi fanno i piaceri obliar le tue colpe. Non volger il discorso, ch'io volgerò gli strali: non ho l'arco lontano, e colpisce nel segno d'Apolline la mano. | |
MERCURIO |
De' tuoi strali mi rido, esiliato nume, per me puoi sprezzar l'arco. Così meco favelli? Non sai di quella verga di serpi attorcigliata il privilegio ancora? Io son di Giove riverito messaggio. | |
APOLLINE |
Ed or più me ne invogli, che Giove mi nomasti: non so, s'egli in difesa scudo ti si farà, che non colpisca questa saetta il petto del messagger diletto? | |
MERCURIO |
E qual saetta? Quella, che per la fretta forse, povero dio di Delo, ti sei scordata in cielo? | |
APOLLINE |
Ben dianzi ne avev'io gravida la faretra, ma tu, ladro gentil, me l'involasti. Assai, Mercurio, assai ti prendi gioco omai. Il tutto sia un tuo scherzo leggiadro; mi rido della frode, e lodo il ladro. | |
MERCURIO |
Per una volta alfin, rigido Apollo, ridenti io rimirai le tue labbra divine, abbracciami, o vezzoso, abbracciami, e conosci la mia fida leanza. I dardi io ti nascosi sol per tua sicurezza, or che stanza cangiasti, e vivi peregrino, esule in terra, perché tu non trovassi sempre debil cagion d'ignobil guerra. | |
APOLLINE |
Pietosa provvidenza. | |
MERCURIO |
Mentr'io ti veggo fatto regio pastor d'Admeto, nei giardini di Tempe, qui sul limpido Anfriso, da Delia amoreggiato, tra gli amori, e 'l comando dubito, che ti scordi in questi ozi gentili della reggia del cielo, né d'impetrar perdono tu ti curi per ora, come quegli, a cui grata sembra questa dimora: ond'io venni a turbare la pace del tuo cuore, venni, venni a scemare, per queste negligenze, l'amor d'Admeto, a cui ti rendesse men caro, il vederti men desto. | |
APOLLINE |
O per rapir l'altrui ingegnoso pretesto. Tu mi vorresti dunque veder in ciel tornato? | |
MERCURIO e vedi, come il luminoso carro sia da Giove guidato? Stanco spesso, e cruccioso Giove, Giove bestemmia, e di sé stesso incolpa la soverchia prudenza. Ohimè, che dianzi nel malvagio sentiero l'inesperto cocchiero ha traviato, e quasi rotto ad Acquario i vasi. E s'egli a sorte guasta in quella zona rea le bilance ad Astrea, che fia della giustizia? Io so che zoppa vedrassi in terra, mentre Giove la storpia in cielo. Ma che fia, quando a Giove venga il Cancro vicino con quell'orride branche? O quanto allor pentito sarà d'aver nel dirupato calle preso a guidar la luminosa face. | ||
APOLLINE |
Onde tu non disperi il mio presto ritorno? | |
MERCURIO |
Anzi io me n'assicuro. | |
APOLLINE |
Il desio di regnare è un fiero invito. | |
MERCURIO |
Che vuoi tu, che rovini precipitoso il carro, e Giove seco a incenerir la terra? Che diranno i mortali, che degli dèi purtroppo si querelano ogn'ora, se pecca Giove ancora? | |
APOLLINE |
Questo grave pensiero de' minacciati mali contro il pubblico bene de' miseri mortali, fa' ch'io deponga il concepito sdegno, fa', ch'io brami il ritorno al mio celeste regno. | |
MERCURIO |
Lasciane a me la cura: mio pensier sarà questo di ricondurti in cielo. E vedi s'io m'affretto. Io per lo centro della terra trapasso: ingegnoso schivando un cerchio di lunghissimo cammino Giove rincontrerò, che porta il lume di sotto ad altre genti. Tu torna intanto a pascolar gli armenti. | Apolline -> |
Scena ottava |
Mercurio, Proserpina, e Coro infernale. |
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MERCURIO |
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<- Proserpina, coro infernale | ||
PROSERPINA |
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CORO |
China, i ginocchi, china, postiglion annebbiato. | |
MERCURIO |
Augusta donna degli inferni regni perdonami, se tosto in quest'orror eterno non t'inchino, o discerno. | |
CORO |
Uso è di voi celesti: spregiate questi chiostri, e i gravi affari nostri. | |
PROSERPINA |
Ma che novelle arrechi, o nunzio degli dèi? Dentro questi antri ciechi a che venuto sei? Ergiti, e scopri l'ambasciate. | |
MERCURIO |
Io chiedo, Proserpina cortese, per queste inferne vie un sicuro passaggio, per incontrar qui sotto felicemente il raggio, che Giove or guida apportator del die. | |
PROSERPINA |
Cillenio, io mi credea, ch'oggi qui giunto a richiamar alle primiere salme tu fossi l'alme de' ciclopi estinti. Sossopra omai rivolto per l'or l'inferno è tutto. Hanno gli arditi per il scherzo disciolto ben due volte Ission dall'alta ruota, tolto a Sisifo il sasso, uccisi i serpi a Tesifone, e poscia Cerbero addormentato: indi a Caronte tolto di mano il noderuto remo, molte anime introdotte, contro il voler del fato, hanno al passo vietato. | |
MERCURIO |
Ohimè, quel poco dunque di servitù di Giove, entro gl'inferni liti, tanto gli rende arditi? | |
PROSERPINA |
Ma non son queste intanto fierezze, che le voglia, entro l'inferna soglia, soffrir più Radamanto. | |
MERCURIO |
Non si devon mischiare nell'infernal prigione tra stolidi ignoranti questi ingegni prestanti. | |
PROSERPINA |
Odi bella ragione: ancor non sai, che negli inferni regni piombano i primi imperversati ingegni. E ch'angusta è la stanza a tanti omai, dalla tartarea chiostra Giove dunque richiami a nuova luce i suo' feri ministri: e vorrai forse star ozioso in cielo senza il fulmineo telo? Che dirà quel mortale poco a Giove divoto, se Giove tuona a voto? Su dunque a Giove esponi i nostri danni, e digli i nostri, e suo' perigli. Sprigioneranno alfin quant'alme accoglie il cieco regno, e quanti, ha sepolto giganti; e da costor, che sempre han maneggiato il foco, ohimè, che già pavento non venga un dì per gioco questo incendio infernal sopito, e spento. | |
MERCURIO |
O diva, a grandi affari oggi m'affretto; per ricondur in cielo il sole esiliato son a nobil trattato. Come ciò segua, avranno nuova vita i ciclopi: onde sarai libera d'ogni affanno. | |
PROSERPINA |
Sì, sì, ch'io non ho d'uopo, per raffrenar quest'alme, di fulmini, o ciclopo. | |
CORO |
E l'ordine, e la pace nell'inferno anco piace. | |
Mercurio, Proserpina, coro infernale -> | ||
Scena nona |
Ermafrodito col ballo de' Soldati d'Admeto. |
<- Ermafrodito, soldati d'Admeto |
ERMAFRODITO Chi può gir dietro ad un Mercurio alato? Chi seguirà mai diva incostante, e lasciva? Corra chi vuole, io qui l'attenderò. Veduto ancor non ho di ninfe belle danze più snelle: che voli, e cadute? Or quindi, or quindi che trilli, e che trinci facea scherzoso il piè? Stella sì saltellante in ciel non è. Ma non restate voi però paghi de' balli vaghi, mortali bramate sempre sempre aver più. Non scendo quaggiù, ch'io non ritrovi, costumi nuovi. Il parlar tosco da stagione a stagion, più no 'l conosco. E dissi quasi, ch'i sommi dèi per l'orribil tenor di vostre frasi non intendon lassù i vostri prieghi più. Onde a rovescio spesso il bene v'è tolto, il mal v'è concesso; impara a fraseggiar supplice stolto. Ecco l'aurora, che si vergogna di sortir fuora, perch'elle mira non gradir voi i colori suoi ond'ella vuole sin che non cangia la sua scorza antica, che prenda fatica Eunomia d'infiorare il calle al Sole. E m'ha pregato Iride seco, ch'io porti meco alcun nuovo colore in terra usato. Quanti impacci mi danno, e impieghi, e impicci i femminili capricci? Ogni volta, ch'io torno, io reco, o donne, a quel celeste chiostro alcun segreto vostro. Ranno da torre ogni appannata macchia al volto della Luna. Olio da far più lunghi i crini alla Fortuna. Per discrepar la fronte alla rugosa età quest'acque ho pronte. Ma di nuovi colori questa è la mostra bella. Color d'Isabella, baciami caretta, pancia di monachetta, pallor d'infermo ebreo, donna commossa, Celadon, trista mia, cenere d'ossa. Color di cervo, ohimè, ohimè, che questo in molti è un color di suo piè. Testa di luccio, verde cappuccio, piè di cappone, e questo chi gli piace ha gran ragione. Or, s'alcuna di voi per quelle dèe celesti mi vuol dar altra mostra, gloria dell'arte vostra sarà, l'aver donne, insegnato al cielo a colorir le spoglie, a cangiar velo. | ||
(♦) | ||
Ballo di otto Soldati della guardia di Admeto, che formano negli scudi a lettere d'oro, questo anagramma, e variandosi sempre nell'intreccio il colore d'un turchino, e d'un rosso, fanno con le cadenze riverenza alle gentildonne. | ||
1---2---3---4---5--6--7---8 | ||
LA BELTÀDE RIVERIAMO | ||
anagramma primo | ||
D'ETÀ BELLA AMORI VERI. | ||
CORO Rei pensieri, nembi dell'alma, venti fieri, mentre danziamo, non turbate la nostra calma la beltade noi riveriamo sia stabile il voler, se vola il piè: s'intrecci la mano, s'impegni la fé. Secol rio, cangiati omai: donne, stelle terrene a' vostri rai sian d'amanti guerrieri principio d'età bella amori veri. | ||
E restando in una cadenza a dietro il 4 e 'l 5: | ||
AMO BELLA VERITA' | ||
e può dir finalmente | ||
RIAMO BELLA VERITADE. | ||
Anagramma secondo da dieci soldati tutti d'un colore: | ||
DELIA SALUTO | ||
anagramma | ||
L'IDEA TU SOLA. | ||
CORO | ||
Anagramma terzo con variazione di due colori: | ||
VENETIANA | ||
anagramma | ||
NEVE NATIA. | ||
CORO Sin qui sul nostro pargoletto Anfriso, venetiana bellezza, il tuo candor s'apprezza: e vedi or, come bella neve natia suona il tuo nome col degno esempio tuo le guance, e 'l labbro non macchia a Delia mai mal composto cinabro: e se rosseggian quelle nevi intatte, l'ostro sol di virtù tinge il suo latte. | ||
Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso.
Qual raggio mai di poderosa stella
(l'amoretto soffia nella vela di venere)
(Mercurio e Ermafrodito nascosti)
(ballo di pastori e ninfe)
Spalancatemi, olà, numi d'Averno
Grand'uscio infernale.
Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso.
(ballo di otto soldati della guardia di Admeto, che formano negli scudi a lettere d'oro degli anagrammi, e variandosi sempre nell'intreccio il colore d'un turchino, e d'un rosso, fanno con le cadenze riverenza alle gentildonne)
(anagramma primo, prima parte)
(anagramma primo, seconda parte)
(anagramma secondo)
(anagramma terzo)