Azione prima

 

Scena prima

Coro di tre Ciclopi, ed Apolline.

 Q 

tre ciclopi, Apolline

 

CICLOPE

Del bell'antro di Tessaglia  

noi siam fatti oggi abitanti,

perch'al ciel di qui non saglia

turba più d'empi giganti.

 

APOLLINE

Ed è pur vero, ohimè, ch'ogn'or mi tocca  

sul vezzoso mattino,

col mio raggio divino,

di quell'inferno illuminar la bocca?

 

CICLOPE
IIº

Qui custodi il dio ci vuole,

perché più da fondamenti

la terrena iniqua prole

queste rupi erger non tenti.

 

APOLLINE

Già que' nudi demoni

a fabbricar son desti

gli aspri fulmini a Giove.

E ch'infausti ricordi a me son questi?

 

CICLOPE
IIIº

Questi spechi non indora

Febo mai co' raggi belli,

ch'egli il suon non oda ancora

de' tre musici martelli.

 

APOLLINE

O destra invendicata,

ancor cessi, e non t'armi?

E della prole amata

il sangue non ti chiama.

La strage non ti affretta

alla giusta vendetta?

 

CICLOPE

Nostro suon, ch'il cielo assorda,

ad Apolline è molesto;

perché a lui, ch'appena è desto,

le sue colpe egli ricorda.

 

APOLLINE

Fulminati innocenti,

Esculapio, e Fetonte,

non eccitate ancora

questi miei dardi al volo?

Misero, io che risveglio

all'opre ogni mortale,

dormentato ho lo strale?

E pigro e sonnacchioso,

o non vaglio, o non oso?

O padre io non vi sono,

perché taccio, e perdono?

 

CICLOPE
IIº

Voi del Sol figli mal nati,

per l'ingiuste altere prove,

a ragion foste da Giove

vilipesi, e fulminati.

 

APOLLINE

Se ne' superni regni  

contro un Giove tiranno

i giustissimi sdegni

gli dèi sfogar non sanno,

io ne' servi di lui, che sono al fine

d'un artefice dio plebei ministri,

satollerommi alquanto:

e per due fulminati, o destra invitta,

tre ne saetteremo.

Sia di Serope questo

dardo sempre funesto.

CICLOPE
IIIº

Bronte, ohimè, ch'io son ferito.  

APOLLINE

L'altro si deve a Bronte.

CICLOPE

Resto anch'io, resto colpito.

APOLLINE

Voli il terzo mio stral, voli a Piranne.

CICLOPE
IIº

Cado, cado, ahi colpo atroce;

chi fu mai l'empio feroce?

tre ciclopi, Apolline ->

 

Scena seconda

Venere, e Vulcano.

<- Venere, Vulcano

 

VENERE

Ferma, qual tu ti sei,  

mortal destra, o divina,

ch'impoverita di ministri hai tutta

di Vulcan la fucina.

E tu, pigro marito

non corri anco alla strage? Ah ben sei zoppo,

che non affretti il passo, ove ti chiama

degli artefici tuoi l'orribil grido.

VULCANO

E che grido, e che morte? O sempre e invano

strepitosa consorte.

VENERE

Il grido di costoro,

che trafitti nel cor piombano in Lete.

O te dolente, puoi,

puoi chiuder l'uscio, e dare

oggi a martelli tuoi l'ultimo bacio.

VULCANO

Riconosco gli strali,

la cagione indovino:

comprendo il malfattore.

VENERE

E soffrirai, che vada

tanto orgoglio impunito?

VULCANO

È di Giove l'offesa.

VENERE

E nostro il danno.

VULCANO

O come mal cangiammo

di Lenno le spelonche

in questo di Tessaglia

esposto albergo al mattutino lume;

che non avrebbe il furibondo Apollo,

dentro agli antri di Lenno,

con que' suoi raggi d'oro

discoperto costoro.

Ma tu, diva, allettata

da questo ameno Olimpo,

da questi fonti cristallini, hai teco

la stanza trasportata

in mal sicuro speco.

Ahi, che mal si confanno

le delizie di Tempe

con l'arti di Vulcano.

Ma chi va dietro a femminil consiglio

spesso incontra il periglio.

VENERE

Sì, sì la moglie incolpa

sempre di sue sventure,

garrisci meco, e lascia

di condurti, lassù, dove ritrovi

e giustizia, e soccorso.

Prendi il mio carro, prendi

le mie colombe, e vola.

Innocente marito,

del tuo gran genitore al sesto giro.

Oda il suocero mio,

oda le tue querele, oda il tuo male

l'eterno tribunale.

VULCANO

O dèa, tu saggiamente,

come sempre ricordi,

ma lasciarti qui sola

troppo mi disconsola.

Vendetta, e gelosia

son a duro contrasto

in questa mente mia.

VENERE

Assai più, che col piede

zoppichi col pensiero

chi di mente è leggero,

teme, sospetta, e crede.

Non milita la stessa

legge nelle gran dèe,

che nell'alme plebee:

a gran donne è concessa

una tal libertate,

negata alle private. Or tu m'intendi,

prenditi in pace, prendi

le passate licenze: egli è ben dritto,

che la madre d'amor senta d'amore

tu cogli il frutto, ed altri odora il fiore.

VULCANO

Sovvengati che quando

alla sfera del sole io sarò giunto,

non vorrà quell'irato

concedermi passaggio: e porto rischio,

che col nemico raggio

non m'arda il carro, e le colombe, e torni

Vulcano oggi dall'alto

mal misurato cielo

a nuovo far, ma più nocivo il salto.

VENERE

Timido sempre fosti, e sarai sempre

un dio codardo, e vile:

che temenza gentile?

Che nuove gelosie

vi turbano il pensiero?

Pensa, ruvido, pensa

all'ingiurie vicine,

e non sognar lontani

disonori, e ruine.

Ma vedi, che discende

frettoloso, improvviso,

il messagger di Giove

sul fiero augel del gran tonante assiso.

 

Scena terza

Mercurio, Vulcano, e Venere.

<- Mercurio

 

MERCURIO

Appresta, o dio del foco,  

nuovi fulmini, appresta,

ch'a questo affar discendo,

sull'augello di Giove,

sì frettoloso in terra.

VULCANO

Dimmi: ritorna forse

nova età di giganti, e nova guerra?

Entra nell'antro mio,

gran nipote d'Atlante,

e scegli, amico dio,

scegli a grand'agio tuo l'arme, e gli strali

più pungenti, e mortali.

VENERE

Così piacer ti prendi

de' celesti messaggi?

MERCURIO

Buon liquor di Tessaglia

dal lavor ti distoglie.

Né fulmini qui miro,

né foco, e dissi quasi,

né mantici, o fucina: ed or, ch'in queste

vezzose amenità tu ti trastulli

con la moglie amorosa,

io veggio sonnacchiosa

giacer la turba de' serventi tuoi:

né questa l'ora è più de' lor riposi?

VENERE

Vedi tu questi dardi?

Questi fan, ch'i meschini

dormon l'ultimo sonno.

VULCANO

E sì fiso gli sguardi?

E non gli riconosci?

VENERE

Questi, questi avventati

ha dianzi il dio di Delo

in que' petti innocenti.

MERCURIO

Mal consigliato nume:

temeraria vendetta:

o questa volta sì temo, che resti

privo di cielo, e lume.

VENERE

Il mio dolce consorte,

egli, che col timor nacque ad un parto,

fingendo gelosia

della bellezza mia,

di condursi lassù teme, ove possa

narrar l'offesa alle superne orecchie.

VULCANO

Come re degli dèi

de' fulmini in gran fretta oggi richiesti

voto vegga tornar l'ardito augello,

rivolgerà la mente

a sì fiero accidente

non ha d'uopo di sprone

la celeste ragione.

MERCURIO

Saggiamente discorri.

All'orecchie de' grandi

nunzia di nuova ria

cauta lingua non sia.

VULCANO

Giove il reo punirà: saprà compensa

trovar'ai danni: or tu, sagace Ermete,

licenzia il portatore,

che voli al tuo signore.

MERCURIO

Voli spedito pur, che non mi sembra

dannoso quel consiglio,

che mi dona al riposo,

che mi toglie al periglio.

VULCANO

Or io dentro mi volgo

a dar in questo cavernoso abisso,

umil sepolcro a' bersagliati amici.

Vulcano ->

 

Scena quarta

Mercurio, e Venere.

 

MERCURIO

Bella dèa delle gioie,  

noi resteremo in queste

olimpiche foreste

a seppellir le noie.

VENERE

T'inganni questa volta,

io non son più qual era

quella Venere stolta:

ti basti, che d'Ermete,

e d'Afrodite uscito

sia vago Ermafrodito.

Non mi lusinghi più, più non m'alletti,

astutissimo dio,

co' tuoi sagaci detti:

non sei più l'amor mio

Delia mi t'ha rubato: ah ben può dirsi,

che Delia alla magion del dio de' ladri

più di Mercurio astuta

a furar sia venuta.

MERCURIO

O ben gli orecchi hai desti:

o ben gli avvisi hai presti.

Delia è giunta a bearmi: anco non sai,

che bear di vantaggio

può le menti celesti

di mortal donna un raggio?

VENERE

Ecco spunta la bella

conducitrice del paterno armento.

Ecco Delia.

MERCURIO

Ma seco, ohimè, che pene?

Il genitor se n' vene.

VENERE

Or noi da questa parte

ascosi agli occhi loro

osserviamo gli affari,

intendiamo i discorsi.

S'io ti nego me stessa,

non ti nego il consiglio:

ho pietà degli afflitti: e voglio in parte,

se non posso con l'opre,

con l'indirizzo giovarte.

MERCURIO

Piena di colpe brutte

brama Venere far Veneri tutte.

VENERE

Che mormori e paventi?

Quasi dèa degli amanti io più non fossi?

MERCURIO

Vien di fieri molossi

armato più, che di guerriere genti

il re pastor d'armenti.

 

Scena quinta

Admeto, e Delia, Mercurio, e Venere.

<- Admeto, Delia

 

ADMETO

Udisti il fiero caso  

de' ciclopi innocenti

dall'ira uccisi, o figlia

del grande arcier di Delo.

Ond'è Giove rimaso

senza fulmini in cielo.

DELIA

Se regna in cielo ancora,

o genitor Admeto,

fra que' petti divini

la discordia, e la guerra,

che meraviglia è poi

fra mortali meschini,

se si battaglia immortalmente in terra?

MERCURIO

Molto ben avvisati

son de' celesti affari,

i tessali pastor.

VENERE

Queste son le lor arti:

da questi eccelsi monti

del vasto ciel le più remote parti

sempre son a spiar occhiuti, e pronti.

DELIA

Pur che non rieda, o dio,

nuovo stuol di giganti,

or ch'il gran Giove è privo

di fulmini tonanti:

pur che Tessaglia tua non torni albergo

di rie malvage squadre,

o mio signore, e padre:

che questi Olimpi, e questi

Ossa, e Pelio di nuovo

sossopra mireresti,

questi tuoi ricchi armenti

a pascolar guidati

da pastorelle timide, e gentili

resterebbero preda

di scellerate genti.

ADMETO

Vorrò, vorrò compagno

darti, o Delia, che regga, e teco guidi

in questi aperti lidi

pien di maschio valor l'amata greggia.

DELIA

Lodo il saggio pensiero.

ADMETO

Avrai Delia il consorte.

MERCURIO

O mia beata sorte;

vorrò, vorrò, che mia

la pastorella sia.

VENERE

Ben sarà stolto Admeto,

s'un dio de' ladri elegge

per guardia della gregge.

DELIA

Esser la guida io sola

di numerose mandre

e m'incresce, e non devo:

che, se non fusse il dilettevol canto,

da cui sommo valor teco ricevo,

io crederei talor struggermi in pianto.

ADMETO

Or che pasce la greggia,

e 'l sol punge, e s'innalza,

in quell'ombrosa balza

sediam con l'occhio intento:

che se ben regi siamo

di gir dietro all'armento,

pur che nostro egli sia, non ci sdegnamo.

Admeto, Delia ->

 

MERCURIO

Udisti, o bella dèa,  

canto mai più gentile?

VENERE

Udisti, o nume accorto,

cenno più fiero mai?

MERCURIO

Mira, ch'agli occhi nostri

s'aprono l'alte sfere:

ecco Giove a consiglio

siede co' maggiori numi:

fissa Venere il ciglio,

stendi lassù l'esploratrici orecchie.

Che mentre dèi noi siamo,

s'a' mortali è negato

il divin concistoro,

ecco, ch'in ogni lato,

ciprigna, noi possiamo

udire il parer loro.

VENERE

Un occhio al cielo, e l'altro

della tua Delia al viso

tu tieni, o nume scaltro,

soavemente assiso.

MERCURIO

Un doppio cielo io veggio,

mentre io rimiro il cielo,

e che Delia vagheggio.

Deh mira la vezzosa,

ch'intreccia gli amaranti ai gelsomini,

e i ligustri alla rosa,

per formarne ghirlanda agli aurei crini.

VENERE

Ah potess'ella in tanto

mirar la scena bella

del concistoro santo.

 

Scena sesta

Giove, coro degli Dèi maggiori, Apolline, Mercurio, Venere, ed Ermafrodito.

<- Giove, dèi maggiori, Apolline, Ermafrodito

 

GIOVE

Numi qui posti dagli eterni fati  

a regger meco de' celesti il regno;

che compartite con pesato ingegno

e le pene severe, e i premi grati,

udito avete il temerario orgoglio,

ch'armò la destra ingiuriosa al sole,

per vendicar sua fulminata prole,

contro la maestà di questo soglio?

Noi punimmo Esculapio altero ahi tanto

in richiamar più d'un mortale in vita:

e di Fetonte ancor la destra ardita,

ch'ebbe d'auriga sì funesto il vanto.

S'il vostro almo parer non fa contrasto

di Giove alla giustissima sentenza.

Voglio, ch'il sole esiliato, or senza

luce, deponga l'alterigia, e 'l fasto.

Scenda mendico, e peregrino in terra

a provar de' mortali il viver duro:

perch'ogni dio quassù viva sicuro:

e non s'ammetta in ciel litigio, o guerra.

 

CORO

Vada il Sole esule, vada:  

privo di cielo,

privo di raggi,

il dio di Delo

sul carro adorno

più non regga la luce, o porti il giorno.

 
IIº

Regga i destrieri ardenti

Giove invece di lui per l'aurea strada:

vada il Sole esule, vada.

 

APOLLINE

Parto, ch'a' cenni vostri  

convien, numi, ubbidire.

Lascio i celesti chiostri,

e cedo nel partire

le perigliose brighe, a chi di voi

saprà meglio frenar gli Edti, e i Piroi.

 

Apolline ->

GIOVE

Io restar devo al pondo  

universal del mondo.

CORO

Ma chi t'aggrada, o piace,

che guidi l'altra face?

GIOVE

A ciprigna cortese, o pur si dia

questa briglia ad Ermete,

ch'ambi seguendo ogn'ora,

o percorrendo il raggio

del luminoso carro, anco sapranno

meglio imprender di noi l'aspro viaggio.

MERCURIO

Ciprigna, ecco io m'ascondo

per Delia vagheggiare

in questo opaco mondo:

tu predi, o diva, il luminoso affare.

VENERE

Ecco io mi involo pure: ecco mi reco

più dentro a questo speco:

mi scusi Marte pur s'in ciel non torno.

Guidi il carro chi vuol di luce adorno.

Mercurio, Venere ->

 

GIOVE

O ben oggi lontani  

son i due numi, a cui

questo freno è dovuto.

CORO

Alle tue sante mani

l'alto impiego si dia:

tu, ch'i cieli formasti,

sai de' cieli ogni via.

 
IIº

Scenda il sole in terra, scenda;

e sovra il carro adorno

regga Giove la luce, e porti il giorno.

 

GIOVE

Ermafrodito, Ermafrodito, o nostro  

diletto ambasciatore.

ERMAFRODITO

Questo titol d'onore

mi chiama a gran fatiche.

L'uso de' grandi è questo: allor che Giove

elefante mi vuole

mi gonfia di parole.

GIOVE

In questo angusto foglio

quanto da te desio,

ti commetto, e raccoglio.

Vola tu dietro al discacciato dio:

ogni andamento osserva

nell'esule nemico;

opra tu molto più, se poco io dico.

Ermafrodito, Giove, dèi maggiori ->

 

Scena settima

Delia, e Admeto.

<- Delia, Admeto

 

DELIA

Che rimbombi son questi?  

Che strepiti funesti?

Or che perduti ha Giove

i fulmini, mi pare

raddoppi il toneggiare?

ADMETO

È forza, che s'accoppi

in quest'orrido giorno

più d'un celeste affare.

Tanto i lampi, e le nubi errano intorno.

DELIA

Quegli è re, che non paventa,

né si gonfia, o insuperbisce.

ADMETO

Quegli è re, che nulla ambisce:

regna solo alma contenta.

DELIA

Non è re, chi notte, e giorno

dubbio vive del suo stato...

ADMETO

Non è re, chi regna armato...

DELIA

Vuol custodi.

ADMETO

E frodi ha intorno.

DELIA

Chi di porpora s'ammanta,

e chi d'or si cinge il crine,

re non è: cui manca al fine

desir buono, e virtù santa.

ADMETO

Quegli è re, re fortunato,

ch'a suoi popoli è gradito:

DELIA

Serve lor da gran servito,

ADMETO

Ama lor da loro amato.

DELIA

Quegli è re, re fortunato.

Ma non è giusto, o padre,

che, se l'opra ci chiama,

qui ci tenga il discorso.

ADMETO

Di quest'erbe odorate

assai pasciuto avete;

movete il piè, movete,

pecorelle gentili,

gite dilette miti, gite agli ovili.

Delia, Admeto ->

 

Scena ottava

Ermafrodito col Ballo.

<- Ermafrodito

 

ERMAFRODITO

Vagabondo errante  

dal regno stellante

discendo talor.

Chi vuol saper, ch'io sia

di Giove son referendario, e spia.

Esser relatore

manegio è d'onore,

vaglia a dir il ver,

che nelle regie corti

questo ufficio gentil porta, se porti.

So, ch'avete udito

d'un Ermafrodito

il bel nome già,

io sono, io son quel desso,

fato di Giove esploratore, e messo.

Con lusinghe ladre

Mercurio mio padre

Venere assaggiò:

nacqui di bella dèa;

e la nutrice mia fu Scarabea.

L'han già molti udita

vecchia rimbambita

d'amore cantar,

d'una tiorba, e d'un poeta è figlia.

Latte Scarabea

mi fece un Orfeo

sì lungo, e sottil:

son di Venere figlio,

ma nel restante a Scarabea somiglio.

A tutto m'adatto;

ed or che son fatto

maturo assai ben,

non dà più gelosia

in terra, o 'n ciel questa bellezza mia.

Per mala sciagura

a doppia natura

trasportato io son;

ma più l'ingegno ho doppio,

larga la bocca, e se non parlo, io scoppio.

Al ballo m'accosto,

che Giove m'ha imposto,

ch'io miri colà,

se Venere io ritrovo,

vaga d'un Marte più robusto, e nuovo.

Mercurio ad ogni ora

quaggiù s'innamora,

e non pensa al ciel.

Nell'esilio del sole

il dio de' ladri qui Giove non vuole.

Mortali mi manda

Giove a questa banda,

si guardi ciascun.

Per farmi grato a lui,

cerco sempre novelle, e fatti altrui.

Ecco, a questo avviso,

io miro, ch'il viso

si copre più d'un.

Non giova esser non visti,

braccheggia al naso Ermafrodito i tristi.

Sfondo schermo () ()

 
Ballo di Dame, di Paggi d'Admeto.

<- dame, paggi d'Admeto

Ermafrodito ->

 

CORO

Se al ballo c'invita  

leggero il piè,

leggera la mente non è.

Sull'erbe tenere

Amor danza con noi, festeggia Venere.

Abbiam cara però bella onestà:

chi mal di noi pensò, mal averà.

Del bel canto amica

ognor qui fu

l'armonia della virtù.

Col canto prendere

sappiamo, e far quaggiù Cinzia discendere.

Tanto è cara lassù nostra pietà:

chi mal di noi pensò, mal averà.

Forse a' nostri canti

fermar il vol

vedremo a' corsieri del sol.

D'Anfriso al fremito

Apollo accompagnò la cetra e 'l gemito:

forse per nuova Dafne ei piangerà.

Chi mal di noi pensò, mal averà.

 

Fine (Azione prima)

Prologo Azione prima Azione seconda Azione terza

Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso.

tre ciclopi, Apolline
 

Ed è pur vero,ohimè, ch'ogn'or mi tocca

 

 

 

 

Se ne' superni regni

(i tre ciclopi sono feriti da Apolline)

 

 

(i tre ciclopi feriti fuggono moribondi nell'antro)

tre ciclopi, Apolline ->
<- Venere, Vulcano

Ferma, qual tu ti sei

Venere, Vulcano
<- Mercurio

Appresta, o dio del foco

Venere, Mercurio
Vulcano ->

Bella dèa delle gioie

Venere, Mercurio
<- Admeto, Delia

Udisti il fiero caso

Venere, Mercurio
Admeto, Delia ->

Udisti, o bella dèa

Venere, Mercurio
<- Giove, dèi maggiori, Apolline, Ermafrodito
Coro di dei maggiori
Vada il Sole esule, vada

Parto, ch'a' cenni vostri

Venere, Mercurio, Giove, dèi maggiori, Ermafrodito
Apolline ->

Io restar devo al pondo

Giove, dèi maggiori, Ermafrodito
Mercurio, Venere ->
Giove e Coro di dei maggiori
O ben oggi lontani

Ermafrodito, Ermafrodito, o nostro

Ermafrodito, Giove, dèi maggiori ->
<- Delia, Admeto

Che rimbombi son questi?

Delia, Admeto ->
<- Ermafrodito
Ermafrodito
<- dame, paggi d'Admeto
dame, paggi d'Admeto
Ermafrodito ->

(ballo di dame e di paggi d'Admeto)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava
Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Grand'uscio infernale. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso.
Prologo Azione seconda Azione terza

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