Io non infilzo concetti, né sono alchimista di metafore. Se sapessero alcuni con quanta poca fatica si fa la moneta falsa dell'eloquenza, che corre oggidì, si arrossirebbero in darle cotanto spaccio: s'intendessero similmente, quanto sia malagevole il formar l'oro puro d'uno stile facile insieme, e sostenuto, non si riderebbero di coloro, che dopo l'esercizio di molti anni arrivano quasi a saperlo fare.
La musica è sorella di quella poesia che vuole assorellarsi seco, ma, quando non s'intendono bene tra di loro, non sono né attinenti, né amiche.
Il canto, che raddolcisce gli animi, riesce in due maniere un'aborrita cantilena, o quando s'ha da gir dietro alle chimere del poeta, o quando dileguandosi la parola, o la finale d'alcuna voce nell'ampiezza dei teatri, smarriscono gli uditori il filo de gli ammassati concetti.
Prima nella memoria, che ne gli orecchi, e più decantati, che cantati devon esser que' versi, che si rivolgono nel condimento delle musicali armonie; e delle cose dilettevoli la ripetizione non reca tedio.
Per questo io son ricorso alla stampa, acciò ch'ella sia la contracifra di que' musici, che cantano talora più volentieri a loro medesimi, ch'agli ascoltanti.
Ho partita con qualche metodo l'opera in tre azioni. Division comune di tutte le cose: principio, mezzo, e fine. Gli antichi ne formavano cinque, perché vi frammettevano il canto. Questa ch'è tutta canto, non ha di bisogno di tante posate.
Ho introdotto qui l'Hilaredo de' greci, e questi sarà il giocoso Ermafrodito, personaggio nuovo che tra la severità del tragico, e la facezia del comico campeggia molto bene su le nostre scene.
D'un paio d'ore mi son preso licenza: non so s'Aristotele, o Aristarco me le farà buone. Quando non avessi errato in altro buon per me, ma quando comincia a tremar la mano al poeta, molto più gli trema il cuore: le belle arditezze sono da' giovani, de' quali s'innamora, come donna, più volentieri la fortuna. Abbozzai la Delia nelle ritiratezze del passato contagio, per sollievo dell'animo, e per tributo di riverenza a gran principe, nelle cui nozze io mi credeva di pubblicarla. Non seguì per mia negligenza. Ed esce ora molto meglio raffazzonata, ch'ha ritrovato mecenate di tanta stima, recitanti sì degni, e macchine sì belle in teatro sì ragguardevole dell'illustriss. sig. Gio. Grimani, nato meravigliosamente in pochi giorni per la felicità di un secolo.
Le favole finalmente sono favole, e le divinità de' gentili tutte sciocchezze, onde ci si può scherzar sopra allegramente; ma l'allegorie, che nascono da loro non sono senza profitto. Così le voci fortuna, fato, destino, sorte, e simiglianti sono leggerezze poetiche, e non sentenze teologali.