Atto primo

 

Scena prima

Spiaggia del Mediterraneo con mare tempestoso.
Dietro la cortina s'ode strepito d'onde, di venti, e di navi percosse, grida flebili, ordini confusi, e voci disperate de' Marinari, che fra' lampi, e nembi esclamano

Immagine d'epoca ()

 Q 

 

 

Cieli aita, pietà  

la nave a perir va,

l'antenna si spezzò;

si salvi chi può.

 
S'alza la cortina, e si vede Henrico in vascello, agitato da mar tempestoso, con faccia intrepida, e Lindo suo servo sbigottito.

Henrico, Lindo

 

HENRICO

Inferocite o venti,  

imperversate o mari,

e si scateni a' danni miei l'abisso;

congiurate le furie, e l'aria, e l'onda

secondin contro me

gli odi di Federico.

Può ben morir, ma non temer Henrico.

LINDO

Signor siamo spediti;

se per salvar i tuoi

sacrificar potessi i giorni miei,

contento morirei.

Ma lasso non c'è più via di salvarsi.

HENRICO

(qui si cava l'armi)

Per combatter co' flutti

sarà la più sicura il disarmarsi,

prendi Lindo quel cuoio,

e con fila tenaci

stringilo al corpo mio. Così potrebbe

galleggiando su l'onda

spingermi amico fato a qualche sponda.

LINDO

(nel cucirgli attorno la pelle)

Che vana almen non sia

questa, che ti preparo estrema aita.

Servano le mie fila

ad allungar di bella vita i stami,

e 'l ciel, che degl'eroi tutor si scopre

d'una mano fedel assista a l'opre.

 

HENRICO

Tra le braccia de la morte  

io confido, e spero ancor,

al dispetto dela sorte

si mantien sempre più forte

la costanza in questo cor.

Sfondo schermo () ()

 
Urta la nave in uno scoglio, e s'apre. Lindo s'annega: Henrico involto nella pelle galleggia; vien preso da un grifone, e portato in aria.

Lindo ->

Henrico ->

 
 

Scena seconda

Atrio del palazzo ducale in Luneburgo.
Idalba in abito di schiava.

 Q 

Idalba

 

 

Che fai misera Idalba? ove t'aggiri  

desolata, raminga, in veste appunto

degna d'un cor abbandonato, e vile?

Ah che mal non conviene

a chi schiava è d'amor spoglia servile,

fuor della patria reggia:

in abito mentito,

per contrade nemiche

errando vai da cieco amor oppressa,

e per altri cercar perdi te stessa.

Tu cerchi un incostante.

Ch'arde per nuova fiamma, e s'è scordato

che tu fanciulla ancora

nella cesarea corte

fosti solennemente a lui promessa;

più non ti riconosce, e più non t'ama,

e tu lo segui Idalba, e non ti curi

de la nascita tua, de la tua fama?

Ma che? Lasciami in pace onor tiranno,

vergogna intempestiva:

ad amor m'abbandono, amor mi guida

e per calmar ogni fatal procella

la face sua mi servirà di stella.

 

Non sempre son funeste  

le nubi de' sospir:

ai nembi, alle tempeste

succede aria serena

e più dolce è 'l gioir dopo la pena.

 

Scena terza

Ircano ed Idalba.

<- Ircano

 

IRCANO

Purtroppo è ver ciò che narrò la fama,  

e Luneburgo tutto or ne fa fede

ch'Almaro a questa corte

che gli legava il cor, rivolse il piede

qui combatte ribelli,

assedia Bardevico,

ma molto più de la duchessa il core;

e scorso il settim'anno

de l'assenza d'Henrico,

co' bramati imenei

spera di coronar i suoi trofei.

IDALBA

Con quest'aspra novella

tu mi trafiggi Ircano.

IRCANO

Ah mia signora

sin or pur troppo io fui

compiacente a' tuoi cenni. È tempo ormai

di ritirar da' precipizi il piede,

e d'emendar sin che l'ignora il padre

quest'uscita furtiva.

Con tali sforzi al vero onor s'arriva.

IDALBA

Tu vuoi dunque ch'io lasci

Almaro in libertà, Metilda in pace?

IRCANO

Sarai tu spettatrice

de' propri oltraggi, e delle feste altrui?

Soffrirai di vedere cogl'occhi tuoi

l'amante che ti sprezza,

la rival che trionfa,

e che dica di noi Germania tutta

ch'a spettacol sì strano

Idalba corre, e ve la guida Ircano!

Parti, ritorna, e doma

quest'insano desio, che ti distrugge,

non può vincer amor chi non lo fugge.

 

IDALBA

No, no, no, non partirò  

voglio prima veder amante

l'infedel, che m'infiammò.

Son ben donna, ma costante,

né giammai mi muterò.

Voglio pria veder amante

l'infedel che m'infiammò

no, no, no, non partirò.

Idalba ->

 

Scena quarta

Ircano.

 

 

A questo passo giunge  

chi l'ardor non ammorza

pria ch'a serper cominci, e prenda forza.

 

In qual baratro Cupido  

l'alme incaute suol gettar.

La sua face è cieca guida,

luce infida

che ci fa precipitar.

Ircano ->

 

Scena quinta

Metilda ed Errea.

<- Metilda, Errea

 

METILDA

Quanti mali in un punto  

sfortunata Metilda!

S'armano a' danni tuoi

congiurati i vicini,

contumaci i vassalli,

l'imperator nemico:

ma il peggior mal è che non torna Henrico.

ERREA

Egli sott'altro clima

sì lungo tempo errante

per le querele altrui, lascia i suoi stati.

Almaro lascia i suoi, ma per servirti,

e con valide forze

città ribelle al suo dover costringe.

Tu della vita del marito incerta,

dubbia del suo ritorno

ancor non amerai

principe sì potente,

difensor sì zelante?

METILDA

Io l'amerei, se non mi fosse amante.

ERREA

E se nell'Asia Henrico

un'altra dama amasse?

METILDA

Quando con lei tornasse,

io l'accarezzerei;

devo aggiustar a' suoi piaceri i miei.

 

Posso ogni mal soffrir  

fuor che la lontananza.

Questo crudel martir

può solo intenerir

la mia costanza.

 

ERREA

Veggo venir Almaro;

è ben ch'io mi ritiri

acciò spieghi a Metilda i suoi desiri.

Errea ->

 

Scena sesta

Almaro, Metilda.

<- Almaro

 

ALMARO

Signora ecco a' tuoi piedi un che t'adora  

e sacrifica a te vita, e fortuna.

METILDA

(O presenza importuna

più della stessa lontananza ancora!)

(voltandosi ad Almaro)

Principe che novella

dell'assedio mi porti?

Caderà Bardevico?

ALMARO

Ordini tali

ho lasciati nel campo

che l'infedel città non ha più scampo.

Così espugnar potessi

la rocca del tuo cor... Ma sempre ingrata

a' miei servigi, alla mia pura fede

tu negherai mercede?

METILDA

Ama la gloria mia, se m'ami Almaro:

un'anima reale

nulla tien di più bel né di più caro.

Sai ciò che devo al glorioso Henrico.

Più che mancar ad un dover sì degno

resterei senza vita e senza regno.

ALMARO

E pur dopo sett'anni

Henrico s'è rimesso alle tue voglie!

METILDA

Ma se morto non è, chi mi discioglie?

ALMARO

Ritornato saria se fosse in vita.

METILDA

Dimmi come lo sai, chi te l'addita!

ALMARO

Il tempo, la ragion, le sue promesse.

METILDA

Di' più tosto l'amore, o l'interesse.

 

METILDA

Io spero la sua vita.  

ALMARO

Io credo la sua morte.

METILDA

Se lo riveggo un dì

che lieta sorte.

Insieme

ALMARO

Se non ritorna più

che lieta sorte.

Metilda ->

 

Scena settima

Almaro, poi Eurillo.

 

ALMARO

Se ben paiono acerbi, e dispettosi  

i sensi di Metilda,

sono sensi onorati

di magnanimo petto.

Ed io devo approvargli a mio dispetto.

O ne' disprezzi, e ne' rifiuti stessi

adorabil Metilda!

O ne' più mesti, e deplorati casi

felicissimo Henrico!

Al tuo cenere estinto

conserva

un vivo ardor fida consorte,

e combatte per te rival amico,

felicissimo Henrico!

Ma perdo il tempo a vaneggiar con l'ombre,

disingannar conviene

questo incredulo core,

acciò più non s'ostini invano amore.

Errea mia confidente

su la qual tutto puonno i doni miei,

farà più che non bramo...

(sopraggiunge Eurillo)

<- Eurillo

 

Eurillo vanne,

cerca, ed avvisa Errea,

che nel giardin l'attenderò fra poco.

Anco in amor gli stratagemmi han loco.

 

Pura fede, sincera costanza  

nulla avanza con una crudel.

Voi supplite raggiri, ed inganni

guarite, finite

le doglie, gli affanni

d'un'alma fedel.

Almaro ->

 

Scena ottava

Eurillo, poi Errea.

 

EURILLO

Quanti affari ha il mio signore!  

Stato, guerra, corte, amore,

ogni dì qualch'opra nuova,

per me pace non si trova,

peno, e corro a tutte l'ore.

 
(viene Errea)

<- Errea

 

 

Per un di questi a punto Errea ti cerco;  

egli al giardin t'attende:

addio vado a spedir altre faccende.

ERREA

Digli che v'anderò,

che lo consolerò,

(pigliandolo per il braccio)

ma tu non pensi a consolare ancora

questo cor che t'adora?

Nel mirarti ben mio son tutta ardore.

 

EURILLO

Quanti affari ha il mio signore!  

Stato, guerra, corte, amore,

ogni dì qualch'opra nuova,

per me pace non si trova,

peno, e corro a tutte l'ore.

(e se ne va)

Eurillo ->

 

ERREA

Donne belle, ed amorose  

compatite il mio dolor.

La beltà come le rose

non conserva sempre il fior.

È la spina,

de l'età, che ci ruina,

fa fuggir l'api d'amor.

 

Errea ->

 

Scena nona

Giardino reale.
Metilda.

 Q 

Metilda

 

 

Delizie un tempo a gli occhi miei sì care,    

or taciti deserti,

solitari passeggi, ombre romite.

Fonti voi che piangete al pianto mio,

aure de' miei sospir fide compagne,

fra voi raggiro il piede;

ma trasportato altrove

dietro l'orme d'Henrico il cor si move.

Voi siete almen felici amiche piante

perché questa fiorita ombrosa scena

che vi leva il gennar, maggio rimena,

ma barbaro destino

a me non fa goder queste vicende

e 'l ben, che mi rapì, più non mi rende.

S

 

Quando il gel spoglia il terren  

di nov'erbe il sol l'adorna:

se sparì lieto seren

in poch'ore al ciel ritorna;

ma non torna allegrezza in questo sen.

Torbido orror non dura

quando si copre il sol:

ciò che aquilon le fura

zefiro rende al suol:

me sola intorbida perpetuo duol.

Quand'il verno abbatte i fior

a le brume april succede;

vinto al fin l'aspro rigor

gli orti suoi flora rivede,

ma non riede

primavera in questo cor.

Sfondo schermo () ()

Metilda ->

 

Scena decima

Idalba, ed Ircano.

<- Idalba, Ircano

 

IDALBA

Sin che vuol amor ch'io speri,  

di sperar non cesserò.

Con pensieri

lusinghieri

le mie doglie addolcirò.

 

 

E pur ancor non posso  

riveder quell'ingrato

la cui vista funesta

fa ch'a l'anima mia pace non resta,

sin ora in van per incontrarlo errai.

IRCANO

Meglio saria se no 'l vedesti mai.

 

Troppo costa un guardo solo  

ad un cor che s'infiammò:

meglio è gir sott'altro polo

ch'esser presso a chi s'amò.

 

IDALBA

(nel veder comparir Alamaro)

Eccolo al fin: stupida resto, e muta:  

gli agitati miei spirti amore aiuta.

 

Scena undicesima

Almaro e i suddetti.

<- Almaro

 

ALMARO

(mirando Idalba)

Che bella schiava! in sì gentil sembiante  

nulla di basso appare

spiran aria reale, grazie sì care.

IDALBA

(Mi loda l'infedel...)

IRCANO

Taci, ed ascolta.

ALMARO

Chi siete, onde venite?

IRCANO

Signor io son soldato.

In Asia ho guerreggiato:

fui d'Acre al grande assedio. In questa parte

per militar sotto i vessilli tuoi

mi fe' venir lo strepito di Marte;

costei da me fu presa in Palestina.

Io mi chiamo Lidauro, essa Merina.

ALMARO

Opportuni giungete,

ed a' bisogni miei

utili molto più che non credete.

IRCANO

In che posso servirti?

ALMARO

Nelle giudee campagne è morto Henrico

de la Sassonia il glorioso duce.

Or importa a lo stato

ch'a la vedova sua ch'ancor no 'l crede,

voi ne facciate fede.

IRCANO
(ad Idalba)

Prometti, e non temer...

IDALBA
(piano)

Contro me stessa?

Così facil mi credi?

ALMARO
(ad Ircano)

E che risolve?

IRCANO

Signor ella è d'accordo.

Ambi diremo più che tu non credi.

 

ALMARO

Cara speme se non m'inganni  

lunghi affanni consolerò.

Belle luci, che mi feriste

dolci labra che il sen m'apriste

per vendetta vi bacerò.

Sfondo schermo () ()

Almaro ->

 

Scena dodicesima

Idalba e Ircano.

 

IDALBA

Dunque io sarò ministra  

de le mie doglie, e de' contenti altrui?

Per aiutar Almaro

ingannerò Metilda, e sarò falsa

in favor d'un spergiuro? Ircano Ircano

che consiglio mi dai?

IRCANO

Metilda vien. Tu pensa a ciò che fai.

 

Scena tredicesima

Metilda, ed i suddetti. Sopraggiungendo in disparte Almaro.

<- Metilda, Almaro

 

METILDA

Un balen d'incerta speme  

è 'l sol raggio che m'avanza

fra le nubi del dolor.

Ma son vere le mie pene

e fallace è la speranza,

che riluce a questo cor.

 

 

(mirando poi Idalba, ed Ircano)

Veggo qui due stranieri

che sotto mesta, e nubilosa fronte

covan foschi pensieri!

Chi siete?

IRCANO

Io son guerriero

IDALBA

Ed io povera schiava.

METILDA

Onde venite?

IDALBA

Da' lidi del Giordano

qui ci guidò... Che devo dir Ircano?

IRCANO

Signora infausta nuova

ambi ci tien sospesi.

(Almaro in disparte fa cenno ad ambi di dir quanto ha concertato a Metilda)

METILDA

Ohimè che fia!

Parla, dimmi che porti?

IRCANO

È morto Henrico.

METILDA

E sarà dunque vero? O cieli, o dèi!

Ma come, e quando, e dove?

IDALBA

Senza lingua, e favella esser vorrei.

METILDA

Tu piangi, e nulla dici.

IDALBA

Ahi quante son nel mondo alme infelici!

METILDA

Ma qual altro attestato, a me recate

di caso sì funesto?

IRCANO

Purtroppo è manifesto:

ma 'l sovvenire de le sventure atroci

può convertir in lagrime le voci.

Idalba, Ircano ->

 

Scena quattordicesima

Almaro e Metilda.

 

ALMARO

Signora altro pretesto omai non resta  

a la tua crudeltade,

già che vedova sei, come pur ora

se non ho mal udito,

la schiava, ed il guerrier t'han riferito.

METILDA

E ti par ch'a bastanza

dal confuso rapporto

di due stranieri ignoti

verificato sia caso sì grave?

Se l'amor non t'accieca,

se della fama mia stimi il periglio,

tu mi dovresti dar altro consiglio.

ALMARO

E credi tu che si narrin fole?

METILDA

Prova miglior ci vuole.

 

METILDA

Pende il cor tra 'l no, e 'l sì  

de la vita e de la morte:

ma la speme è ancor più forte

del timor che l'assalì.

Metilda ->

 

Scena quindicesima

Almaro, e poi Errea.

 

ALMARO

Sento al cor un non so che  

ch'ora è sdegno, ed ora amore:

ma non può l'ira e 'l furore

far ch'amor ritiri il piè.

 

 

Sì sì trionfi amore  

nulla nulla si lasci

d'intentato, e negletto

per contentarti imperioso affetto.

Turberò l'universo;

sforzerò gli elementi

e se al mio duol, che già prevedo eterno

è sordo il cielo, invocherò l'inferno.

(rivolto ad Errea che sopra giunge)

<- Errea

 

Deh vieni al mio soccorso, o cara Errea,

per convincere Metilda

su la morte d'Henrico;

forma incanti, arti inventa, e spirti aduna.

Pende dal tuo saper la mia fortuna.

ERREA

Narrino un'altra volta

la tragedia d'Henrico

a l'incredul donna i due stranieri:

per dimostrarla alla sua vista, intanto

preparerò l'incanto.

ALMARO

Io vado, e già quest'alma

nelle promesse tue trova la calma.

 

Almaro ->

ERREA

È follia l'amar un'ombra  

senza corpo, e senza sangue;

cener freddo, e larva esangue

vivo petto a torto ingombra.

Errea ->

 
 

Scena sedicesima

Henrico portato a volo dal grifone nel nido, correndo a morder nella pelle ove è involto di grifoncini, si riscuote e difende.

 Q 

<- Henrico

 

HENRICO

Mal per voi m'assalite  

io vi distruggerò prole mal nata.

S'il vostro genitore

mi trasportò di questo nido in seno

per darvi pasto, io vi sarò veleno.

(strozzandoli lacerandoli e gettandoli dal nido)

Vi lacero, vi strozzo, e getto al suolo.

(ritenendo una coscia d'essi con la griffa, e con quella rompendo le fila, co' le quali era cucito dentro la pelle)

Mi servirò della strappata griffa

per discioglier le fila,

che mi tengono involto in questa pelle;

eccomi sciolto, io vi ringrazio o stelle.

(mostrando la griffa che si conserva ancora nel duomo di Bronsvich tra le antiche memorie, e reliquie, e che per altro ancora merita d'esser celebrata)

 

Quest'unghia predatrice,  

che mi disprigionò

come liberatrice

sempre riguarderò.

E serberassi a la ventura etate

tra le care memorie ed onorate.

Viene un leone a divorare i grifoncini.
 
Ritorna il grifone, e si sostiene in aria in atto d'attaccar or Henrico, or il leone e scende Henrico in terra dall'albero.
 

 

Ma da quest'alta cima  

meglio è scendere in terra,

vi troverò difesa ancor ch'inerme

e con piante più ferme

in sì strano duello

gli assalti sosterrò del crudo augello:

par che ceda il leone

all'impeto, e furor col qual l'incalza

il fiero augel ch'ora s'abbassa, or s'alza.

Che tardo più? contro il comun nemico

soccorrerò la fiera

che sovra l'altre regna,

e dela stirpe mia forma l'insegna.

 
Essendo a terra corre a squarciare un ramo, e se ne serve contro il grifone, e l'uccide; il leone l'accarezza. Parte il leone.
 

 

Non ha la selva altr'armi: un ramo io schianto.  

Com'al suo difensor grato el leone!

Ma parte, e si rinselva,

ed io resto qui solo imprigionato

dentro gli orror d'una deserta selva.

Non mi spaventan mostri,

né disagio, né fame: e non ha ceffo

per turbarmi la morte. Io temo solo

che la mia lontananza

de' miei vassalli, e di Metilda stessa

non abbatta la fede, e la costanza.

Per riveder Metilda

pria che qualche rivale

fuor del mio letto, e del suo cor mi scacci,

e dar soccorso a la mia patria oppressa

darei l'anima stessa.

Ma mi sembra d'udir voce del cielo,

che mi richiama, e grida

Henrico non temer, spera, e confida.

 
Viene il leone ritornato dalla caccia con diverse salvaticine che porta sul dorso e nelle zanne.
 

 

Che veggio? ecco il leone  

al suo benefattor grato, e cortese.

Per sostenermi in vita

con insolita fede

torna, ed apporta a' piedi miei le prede?

Carità generosa!

Gratitudine illustre!

Quanto meglio di voi le fiere stesse

di vera umanità sanno gl'uffici

sudditi ingrati, e poco fidi amici.

Grazie a voi placide menti

che regnate in queste selve,

se per porgermi alimenti

ispiraste sentimenti

di pietà sino alle belve.

 
Qui escono dagli alberi, che s'aprono all'improvviso, varie Ninfe, con vaghi ornamenti, corone in testa, e ghirlande alla mano, co' le quali scherzando, e ponendole sulla testa, ed a' piedi di Henrico formano il balletto.
 

HENRICO

Belle idee, geni clementi  

che m'offrite, e danze, e serti,

spero fine a' miei tormenti

mentr'incontro movimenti

di bontà sin ne' deserti.

 

Henrico ->

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Spiaggia del Mediterraneo con mare tempestoso.

(si odono voci disperate dietro il sipario)

(si alza il sipario, e si vede Henrico in vascello e Lindo)

Henrico, Lindo
 

Inferocite o venti

(urta la nave in uno scoglio e s'apre; Lindo s'annega; Henrico vien preso da un grifone, e portato in aria)

Henrico
Lindo ->
Henrico ->

Atrio del palazzo ducale in Luneburgo.

Idalba
 

Che fai misera Idalba?

Idalba
<- Ircano

Purtroppo è ver ciò che narrò la fama

Ircano
Idalba ->

A questo passo giunge

Ircano ->
<- Metilda, Errea

Quanti mali in un punto

Metilda
Errea ->
Metilda
<- Almaro

Signora ecco a' tuoi piedi un che t'adora

Meilda e Almaro
Io spero la sua vita
Almaro
Metilda ->

Se ben paiono acerbi, e dispettosi

Almaro
<- Eurillo

Eurillo
Almaro ->
Eurillo
<- Errea

Per un di questi a punto Errea ti cerco

Errea
Eurillo ->
Errea ->

Giardino reale.

Metilda
 

Delizie un tempo agli occhi miei sì care

Metilda ->
<- Idalba, Ircano

E pur ancor non posso

Eccolo al fin: stupida resto, e muta

Idalba, Ircano
<- Almaro

Che bella schiava!

Idalba, Ircano
Almaro ->

Dunque io sarò ministra

Idalba, Ircano
<- Metilda, Almaro

(Almaro sta in disparte)

Metilda, Almaro
Idalba, Ircano ->

(Almaro si mostra)

Signora altro pretesto omai non resta

Almaro
Metilda ->

Sì sì trionfi amore

Almaro
<- Errea

Errea
Almaro ->
Errea ->

Deserto con alberi e nido di grifone.

(Henrico portato in volo dal grifone nel nido è involto di grifoncini)

<- Henrico

Mal per voi m'assalite

(scende Henrico in terra dall'albero)

Ma da quest'alta cima

(Henrico uccide il grifone con un ramo; il leone l'accarezza e poi parte)

Non ha la selva altr'armi

(viene il leone con prede sul dorso e nelle zanne)

Che veggio? ecco il leone

(escono dagli alberi, che s'aprono all'improvviso, varie ninfe che formano il balletto)

Henrico ->
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima
Spiaggia del Mediterraneo con mare tempestoso. Atrio del palazzo ducale in Luneburgo. Giardino reale. Deserto con alberi e nido di grifone. Anticamera di Metilda. Squallida, e tenebrosa prigione. Ritorna la prima scena dell'anticamera. Monte Calcario. Sala reale con apparato di convito nuziale. Bardevico assediata. Porta della città di Luneburgo.
Atto secondo Atto terzo

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