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Henrico Leone

HENRICO LEONE

Dramma.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Ortensio MAURO.
Musica di Agostino STEFFANI.

Prima esecuzione: 30 gennaio 1689, Hannover.


Personaggi:

HENRICO Leone

contralto

METILDA figlia del re d'Inghilterra moglie d'Henrico

soprano

IDALBA figlia dell'imperatore in abito di schiava

soprano

ALMARO amante di Metilda sposo di Idalba

tenore

IRCANO confidente di Idalba

basso

ERREA nutrice di Metilda, e maga

contralto

EURILLO paggio d'Almaro

contralto

LINDO servo d'Henrico

altro

DEMONE

basso


Comparse Guardie, dame, paggi con Metilda. Guardie, e cavalieri con Almaro. Spiriti. Marinari nella nave. Soldati all'assalto.



Elogio d'Henrico Leone

Ritorna al mondo Henrico Leone per dilettare fra le placide armonie delle muse, non per atterrire fra gli orridi sconcerti dell'armi, e viene a dar co' le rappresentazioni de' suoi avvenimenti le prime prove al nuovo teatro d'Hannover, fortunato d'aprirsi per onorar la memoria di principe sì famoso.

Non ancor sazio di perseguitarlo il destino suscitando nell'impero moti inaspettati, e turbolenze improvvise minacciava di sconcertar questi tranquilli disegni. Ma egli avvezzo a non temer, a non cedere, ed a viaggiar con insolita celerità, non ha lasciato fra tanti ostacoli di comparir più presto che non s'era creduto, e di trionfar delle difficoltà, e dell'invidia, che predicava impossibile in sì angusto termine la perfezione dell'opera.

Nel testo purtroppo è noto nelle Historie de' guelfi, e nella ricordanza de' popoli chi egli si fosse. Non s'altera né per nubi, né per eclissi la bella luce del sole: le disgrazie se sminuirono la potenza, non estinsero la gloria d'Henrico, e il giro di cinque secoli non ha fatto scordare a' posteri ciò ch'entra nella sua memoria d'onorato, e d'acerbo.

Una cometa altrettanto più infausta quanto più luminosa, un fulmine, che dopo corso strepitoso, ed illustre suol terminar i suoi splendori in ruine, potriano servir di simbolo al merito sfortunato di questo eroe. S'avesse saputo, o voluto moderar l'altezza degli spirti, non avrebbe veduta ristretta l'ampiezza de' suoi stati, che negli antichi limiti della Sassonia e della Baviera da esso possedute si stendevano dall'Albi al Reno, e dall'Alpi all'oceano. Ma il suo cuore maggiore ancor del dominio con eccessi di gloria irritò la fortuna, e furono per esso così perniciose le virtù, come funesti per gli altri principi sogliono essere i vizi.

Infatti parve che la pietà, l'intrepidezza, la costanza, che d'ordinario sono le basi dell'umana felicità, fossero il principio delle sue fatali sventure. Zelo di religione lo staccò sott'Alessandria dal partito di Federico Barbarossa persecutor del pontefice, e dopo impegnandolo nelle guerre di terra santa diede adito a' vicini gelosi delle sue crescenti prosperità di prevalersi delle inique congiunture dell'odio di cesare, e della proscrizione, e lontananza d'Henrico per usurparne le spoglie, mentr'egli spogliava i barbari delle provincie usurpate ai fedeli.

Così cadde nell'estremità presagite da Demade a gli ateniesi, quando gli avvertì che si guardassero per difender il cielo di non perdere la terra, consiglio in altri tempi ancora mal osservato.

Resta però degli avanzi di sì gran naufragio a suoi serenissimi discendenti di che far nell'Europa considerabil figura, e di che imitar felicemente il zelo d'Henrico a danno degli infedeli.

E che non deve la cristianità a' validi soccorsi mandati, e guidati da questi principi nell'Ungheria, nella Grecia, ed al valore di quattro gloriosi fratelli, ch'in anni ancor acerbi fra le più memorabili imprese di questa guerra si sono segnalati con azioni eroiche, e degne dell'augusto lor sangue?

Se dalla mano d'un colosso d'Ercole rinversato, e distrutto gli scultori greci argomentavano qual ne fosse stata la grandezza, quand'era intiero, nel veder ciò che fanno di grande nelle mani di principi generosi le reliquie di sì usata fortuna, è facile congetturare qual fosse nel suo florido stato la potenza d'Henrico.

Argomento

Com'i lumi dan luogo all'ombre, l'istoria d'Henrico Leone fertile d'azioni meravigliose ha data occasione a varie favole assai celebri e note ne' paesi di Bronsvich, e di Luneburgo.

Da queste per comando di chi ne ha date le idee s'è tirato l'intreccio del dramma, fingendo:

Ch'Henrico dopo aver promesso alla duchessa Metilda sua moglie di ritornar in sett'anni alla più lunga di Palestina, e dettole, che se non ritornava in quel termine, la lasciava in libertà di rimaritarsi, imbarcatosi per il ritorno, incontri fiera tempesta, e rotta la nave sia preso da un grifone che lo leva dal mar tempestoso, e se lo porta in aria.

Ch'Idalba figlia dell'imperatore Federico Barbarossa promessa ne' suoi teneri anni ad Almaro, e innamorata di lui, presentiti questi nuovi affetti venga con Ircano suo confidente a Luneburgo in abito di schiava, e trovando Almaro costante nell'amor di Metilda, non lasci per questo di continuar nelle sue passioni, ancorché Ircano faccia il possibile per guarirla, e ricondurla nella Svevia.

Che Metilda importunata da Almaro, e da Errea, da esso a forza di doni corrotta, e certificata anco per via d'incanti della morte d'Henrico, alfin condiscenda alle nozze, le quali sul punto di celebrarsi disturbate dall'improvviso arrivo d'Henrico Almaro vedendolo vivo, desiste dall'impresa, Idalba ricomincia a sperare, e nell'assalto dato a Bardevico salvando la vita all'ingrato amante, e scoprendosi per Idalba, egli la sposa.

Così il ritorno d'Henrico che consola Metilda, e 'l matrimonio d'Almaro con Idalba finiscono lietamente il dramma, nella cui tessitura s'è avuto più riguardo al divertimento de' popoli, co' quali si vive, ch'alle regole de' poeti di secoli, e paesi lontani, e s'è giudicato più conveniente l'ubbidir a' cenni d'augusto, che necessario l'assoggettarsi a' precetti d'Orazio.

Atto primo
Scena prima

Spiaggia del Mediterraneo con mare tempestoso.
Dietro la cortina s'ode strepito d'onde, di venti, e di navi percosse, grida flebili, ordini confusi, e voci disperate de' Marinari, che fra' lampi, e nembi esclamano

Cieli aita, pietà

la nave a perir va,

l'antenna si spezzò;

si salvi chi può.

S'alza la cortina, e si vede Henrico in vascello, agitato da mar tempestoso, con faccia intrepida, e Lindo suo servo sbigottito.

HENRICO

Inferocite o venti,

imperversate o mari,

e si scateni a' danni miei l'abisso;

congiurate le furie, e l'aria, e l'onda

secondin contro me

gli odi di Federico.

Può ben morir, ma non temer Henrico.

LINDO

Signor siamo spediti;

se per salvar i tuoi

sacrificar potessi i giorni miei,

contento morirei.

Ma lasso non c'è più via di salvarsi.

HENRICO

(qui si cava l'armi)

Per combatter co' flutti

sarà la più sicura il disarmarsi,

prendi Lindo quel cuoio,

e con fila tenaci

stringilo al corpo mio. Così potrebbe

galleggiando su l'onda

spingermi amico fato a qualche sponda.

LINDO

(nel cucirgli attorno la pelle)

Che vana almen non sia

questa, che ti preparo estrema aita.

Servano le mie fila

ad allungar di bella vita i stami,

e 'l ciel, che degl'eroi tutor si scopre

d'una mano fedel assista a l'opre.

HENRICO

Tra le braccia de la morte

io confido, e spero ancor,

al dispetto dela sorte

si mantien sempre più forte

la costanza in questo cor.

Urta la nave in uno scoglio, e s'apre. Lindo s'annega: Henrico involto nella pelle galleggia; vien preso da un grifone, e portato in aria.

Scena seconda

Atrio del palazzo ducale in Luneburgo.
Idalba in abito di schiava.

Che fai misera Idalba? ove t'aggiri

desolata, raminga, in veste appunto

degna d'un cor abbandonato, e vile?

Ah che mal non conviene

a chi schiava è d'amor spoglia servile,

fuor della patria reggia:

in abito mentito,

per contrade nemiche

errando vai da cieco amor oppressa,

e per altri cercar perdi te stessa.

Tu cerchi un incostante.

Ch'arde per nuova fiamma, e s'è scordato

che tu fanciulla ancora

nella cesarea corte

fosti solennemente a lui promessa;

più non ti riconosce, e più non t'ama,

e tu lo segui Idalba, e non ti curi

de la nascita tua, de la tua fama?

Ma che? Lasciami in pace onor tiranno,

vergogna intempestiva:

ad amor m'abbandono, amor mi guida

e per calmar ogni fatal procella

la face sua mi servirà di stella.

Non sempre son funeste

le nubi de' sospir:

ai nembi, alle tempeste

succede aria serena

e più dolce è 'l gioir dopo la pena.

Scena terza

Ircano ed Idalba.

IRCANO

Purtroppo è ver ciò che narrò la fama,

e Luneburgo tutto or ne fa fede

ch'Almaro a questa corte

che gli legava il cor, rivolse il piede

qui combatte ribelli,

assedia Bardevico,

ma molto più de la duchessa il core;

e scorso il settim'anno

de l'assenza d'Henrico,

co' bramati imenei

spera di coronar i suoi trofei.

IDALBA

Con quest'aspra novella

tu mi trafiggi Ircano.

IRCANO

Ah mia signora

sin or pur troppo io fui

compiacente a' tuoi cenni. È tempo ormai

di ritirar da' precipizi il piede,

e d'emendar sin che l'ignora il padre

quest'uscita furtiva.

Con tali sforzi al vero onor s'arriva.

IDALBA

Tu vuoi dunque ch'io lasci

Almaro in libertà, Metilda in pace?

IRCANO

Sarai tu spettatrice

de' propri oltraggi, e delle feste altrui?

Soffrirai di vedere cogl'occhi tuoi

l'amante che ti sprezza,

la rival che trionfa,

e che dica di noi Germania tutta

ch'a spettacol sì strano

Idalba corre, e ve la guida Ircano!

Parti, ritorna, e doma

quest'insano desio, che ti distrugge,

non può vincer amor chi non lo fugge.

IDALBA

No, no, no, non partirò

voglio prima veder amante

l'infedel, che m'infiammò.

Son ben donna, ma costante,

né giammai mi muterò.

Voglio pria veder amante

l'infedel che m'infiammò

no, no, no, non partirò.

Scena quarta

Ircano.

A questo passo giunge

chi l'ardor non ammorza

pria ch'a serper cominci, e prenda forza.

In qual baratro Cupido

l'alme incaute suol gettar.

La sua face è cieca guida,

luce infida

che ci fa precipitar.

Scena quinta

Metilda ed Errea.

METILDA

Quanti mali in un punto

sfortunata Metilda!

S'armano a' danni tuoi

congiurati i vicini,

contumaci i vassalli,

l'imperator nemico:

ma il peggior mal è che non torna Henrico.

ERREA

Egli sott'altro clima

sì lungo tempo errante

per le querele altrui, lascia i suoi stati.

Almaro lascia i suoi, ma per servirti,

e con valide forze

città ribelle al suo dover costringe.

Tu della vita del marito incerta,

dubbia del suo ritorno

ancor non amerai

principe sì potente,

difensor sì zelante?

METILDA

Io l'amerei, se non mi fosse amante.

ERREA

E se nell'Asia Henrico

un'altra dama amasse?

METILDA

Quando con lei tornasse,

io l'accarezzerei;

devo aggiustar a' suoi piaceri i miei.

Posso ogni mal soffrir

fuor che la lontananza.

Questo crudel martir

può solo intenerir

la mia costanza.

ERREA

Veggo venir Almaro;

è ben ch'io mi ritiri

acciò spieghi a Metilda i suoi desiri.

Scena sesta

Almaro, Metilda.

ALMARO

Signora ecco a' tuoi piedi un che t'adora

e sacrifica a te vita, e fortuna.

METILDA

(O presenza importuna

più della stessa lontananza ancora!)

(voltandosi ad Almaro)

Principe che novella

dell'assedio mi porti?

Caderà Bardevico?

ALMARO

Ordini tali

ho lasciati nel campo

che l'infedel città non ha più scampo.

Così espugnar potessi

la rocca del tuo cor... Ma sempre ingrata

a' miei servigi, alla mia pura fede

tu negherai mercede?

METILDA

Ama la gloria mia, se m'ami Almaro:

un'anima reale

nulla tien di più bel né di più caro.

Sai ciò che devo al glorioso Henrico.

Più che mancar ad un dover sì degno

resterei senza vita e senza regno.

ALMARO

E pur dopo sett'anni

Henrico s'è rimesso alle tue voglie!

METILDA

Ma se morto non è, chi mi discioglie?

ALMARO

Ritornato saria se fosse in vita.

METILDA

Dimmi come lo sai, chi te l'addita!

ALMARO

Il tempo, la ragion, le sue promesse.

METILDA

Di' più tosto l'amore, o l'interesse.

METILDA

Io spero la sua vita.

ALMARO

Io credo la sua morte.

Insieme

METILDA

Se lo riveggo un dì

che lieta sorte.

ALMARO

Se non ritorna più

che lieta sorte.

Scena settima

Almaro, poi Eurillo.

ALMARO

Se ben paiono acerbi, e dispettosi

i sensi di Metilda,

sono sensi onorati

di magnanimo petto.

Ed io devo approvargli a mio dispetto.

O ne' disprezzi, e ne' rifiuti stessi

adorabil Metilda!

O ne' più mesti, e deplorati casi

felicissimo Henrico!

Al tuo cenere estinto

conserva

un vivo ardor fida consorte,

e combatte per te rival amico,

felicissimo Henrico!

Ma perdo il tempo a vaneggiar con l'ombre,

disingannar conviene

questo incredulo core,

acciò più non s'ostini invano amore.

Errea mia confidente

su la qual tutto puonno i doni miei,

farà più che non bramo...

(sopraggiunge Eurillo)

Eurillo vanne,

cerca, ed avvisa Errea,

che nel giardin l'attenderò fra poco.

Anco in amor gli stratagemmi han loco.

Pura fede, sincera costanza

nulla avanza con una crudel.

Voi supplite raggiri, ed inganni

guarite, finite

le doglie, gli affanni

d'un'alma fedel.

Scena ottava

Eurillo, poi Errea.

EURILLO

Quanti affari ha il mio signore!

Stato, guerra, corte, amore,

ogni dì qualch'opra nuova,

per me pace non si trova,

peno, e corro a tutte l'ore.

(viene Errea)

Per un di questi a punto Errea ti cerco;

egli al giardin t'attende:

addio vado a spedir altre faccende.

ERREA

Digli che v'anderò,

che lo consolerò,

(pigliandolo per il braccio)

ma tu non pensi a consolare ancora

questo cor che t'adora?

Nel mirarti ben mio son tutta ardore.

EURILLO

Quanti affari ha il mio signore!

Stato, guerra, corte, amore,

ogni dì qualch'opra nuova,

per me pace non si trova,

peno, e corro a tutte l'ore.

(e se ne va)

ERREA

Donne belle, ed amorose

compatite il mio dolor.

La beltà come le rose

non conserva sempre il fior.

È la spina,

de l'età, che ci ruina,

fa fuggir l'api d'amor.

Scena nona

Giardino reale.
Metilda.

Delizie un tempo a gli occhi miei sì care,

or taciti deserti,

solitari passeggi, ombre romite.

Fonti voi che piangete al pianto mio,

aure de' miei sospir fide compagne,

fra voi raggiro il piede;

ma trasportato altrove

dietro l'orme d'Henrico il cor si move.

Voi siete almen felici amiche piante

perché questa fiorita ombrosa scena

che vi leva il gennar, maggio rimena,

ma barbaro destino

a me non fa goder queste vicende

e 'l ben, che mi rapì, più non mi rende.

Quando il gel spoglia il terren

di nov'erbe il sol l'adorna:

se sparì lieto seren

in poch'ore al ciel ritorna;

ma non torna allegrezza in questo sen.

Torbido orror non dura

quando si copre il sol:

ciò che aquilon le fura

zefiro rende al suol:

me sola intorbida perpetuo duol.

Quand'il verno abbatte i fior

a le brume april succede;

vinto al fin l'aspro rigor

gli orti suoi flora rivede,

ma non riede

primavera in questo cor.

Scena decima

Idalba, ed Ircano.

IDALBA

Sin che vuol amor ch'io speri,

di sperar non cesserò.

Con pensieri

lusinghieri

le mie doglie addolcirò.

E pur ancor non posso

riveder quell'ingrato

la cui vista funesta

fa ch'a l'anima mia pace non resta,

sin ora in van per incontrarlo errai.

IRCANO

Meglio saria se no 'l vedesti mai.

Troppo costa un guardo solo

ad un cor che s'infiammò:

meglio è gir sott'altro polo

ch'esser presso a chi s'amò.

IDALBA

(nel veder comparir Alamaro)

Eccolo al fin: stupida resto, e muta:

gli agitati miei spirti amore aiuta.

Scena undicesima

Almaro e i suddetti.

ALMARO

(mirando Idalba)

Che bella schiava! in sì gentil sembiante

nulla di basso appare

spiran aria reale, grazie sì care.

IDALBA

(Mi loda l'infedel...)

IRCANO

Taci, ed ascolta.

ALMARO

Chi siete, onde venite?

IRCANO

Signor io son soldato.

In Asia ho guerreggiato:

fui d'Acre al grande assedio. In questa parte

per militar sotto i vessilli tuoi

mi fe' venir lo strepito di Marte;

costei da me fu presa in Palestina.

Io mi chiamo Lidauro, essa Merina.

ALMARO

Opportuni giungete,

ed a' bisogni miei

utili molto più che non credete.

IRCANO

In che posso servirti?

ALMARO

Nelle giudee campagne è morto Henrico

de la Sassonia il glorioso duce.

Or importa a lo stato

ch'a la vedova sua ch'ancor no 'l crede,

voi ne facciate fede.

IRCANO

(ad Idalba)

Prometti, e non temer...

IDALBA

(piano)

Contro me stessa?

Così facil mi credi?

ALMARO

(ad Ircano)

E che risolve?

IRCANO

Signor ella è d'accordo.

Ambi diremo più che tu non credi.

ALMARO

Cara speme se non m'inganni

lunghi affanni consolerò.

Belle luci, che mi feriste

dolci labra che il sen m'apriste

per vendetta vi bacerò.

Scena dodicesima

Idalba e Ircano.

IDALBA

Dunque io sarò ministra

de le mie doglie, e de' contenti altrui?

Per aiutar Almaro

ingannerò Metilda, e sarò falsa

in favor d'un spergiuro? Ircano Ircano

che consiglio mi dai?

IRCANO

Metilda vien. Tu pensa a ciò che fai.

Scena tredicesima

Metilda, ed i suddetti. Sopraggiungendo in disparte Almaro.

METILDA

Un balen d'incerta speme

è 'l sol raggio che m'avanza

fra le nubi del dolor.

Ma son vere le mie pene

e fallace è la speranza,

che riluce a questo cor.

(mirando poi Idalba, ed Ircano)

Veggo qui due stranieri

che sotto mesta, e nubilosa fronte

covan foschi pensieri!

Chi siete?

IRCANO

Io son guerriero

IDALBA

Ed io povera schiava.

METILDA

Onde venite?

IDALBA

Da' lidi del Giordano

qui ci guidò... Che devo dir Ircano?

IRCANO

Signora infausta nuova

ambi ci tien sospesi.

(Almaro in disparte fa cenno ad ambi di dir quanto ha concertato a Metilda)

METILDA

Ohimè che fia!

Parla, dimmi che porti?

IRCANO

È morto Henrico.

METILDA

E sarà dunque vero? O cieli, o dèi!

Ma come, e quando, e dove?

IDALBA

Senza lingua, e favella esser vorrei.

METILDA

Tu piangi, e nulla dici.

IDALBA

Ahi quante son nel mondo alme infelici!

METILDA

Ma qual altro attestato, a me recate

di caso sì funesto?

IRCANO

Purtroppo è manifesto:

ma 'l sovvenire de le sventure atroci

può convertir in lagrime le voci.

Scena quattordicesima

Almaro e Metilda.

ALMARO

Signora altro pretesto omai non resta

a la tua crudeltade,

già che vedova sei, come pur ora

se non ho mal udito,

la schiava, ed il guerrier t'han riferito.

METILDA

E ti par ch'a bastanza

dal confuso rapporto

di due stranieri ignoti

verificato sia caso sì grave?

Se l'amor non t'accieca,

se della fama mia stimi il periglio,

tu mi dovresti dar altro consiglio.

ALMARO

E credi tu che si narrin fole?

METILDA

Prova miglior ci vuole.

METILDA

Pende il cor tra 'l no, e 'l sì

de la vita e de la morte:

ma la speme è ancor più forte

del timor che l'assalì.

Scena quindicesima

Almaro, e poi Errea.

ALMARO

Sento al cor un non so che

ch'ora è sdegno, ed ora amore:

ma non può l'ira e 'l furore

far ch'amor ritiri il piè.

Sì sì trionfi amore

nulla nulla si lasci

d'intentato, e negletto

per contentarti imperioso affetto.

Turberò l'universo;

sforzerò gli elementi

e se al mio duol, che già prevedo eterno

è sordo il cielo, invocherò l'inferno.

(rivolto ad Errea che sopra giunge)

Deh vieni al mio soccorso, o cara Errea,

per convincere Metilda

su la morte d'Henrico;

forma incanti, arti inventa, e spirti aduna.

Pende dal tuo saper la mia fortuna.

ERREA

Narrino un'altra volta

la tragedia d'Henrico

a l'incredul donna i due stranieri:

per dimostrarla alla sua vista, intanto

preparerò l'incanto.

ALMARO

Io vado, e già quest'alma

nelle promesse tue trova la calma.

ERREA

È follia l'amar un'ombra

senza corpo, e senza sangue;

cener freddo, e larva esangue

vivo petto a torto ingombra.

Scena sedicesima

Henrico portato a volo dal grifone nel nido, correndo a morder nella pelle ove è involto di grifoncini, si riscuote e difende.

HENRICO

Mal per voi m'assalite

io vi distruggerò prole mal nata.

S'il vostro genitore

mi trasportò di questo nido in seno

per darvi pasto, io vi sarò veleno.

(strozzandoli lacerandoli e gettandoli dal nido)

Vi lacero, vi strozzo, e getto al suolo.

(ritenendo una coscia d'essi con la griffa, e con quella rompendo le fila, co' le quali era cucito dentro la pelle)

Mi servirò della strappata griffa

per discioglier le fila,

che mi tengono involto in questa pelle;

eccomi sciolto, io vi ringrazio o stelle.

(mostrando la griffa che si conserva ancora nel duomo di Bronsvich tra le antiche memorie, e reliquie, e che per altro ancora merita d'esser celebrata)

Quest'unghia predatrice,

che mi disprigionò

come liberatrice

sempre riguarderò.

E serberassi a la ventura etate

tra le care memorie ed onorate.

Viene un leone a divorare i grifoncini.

Ritorna il grifone, e si sostiene in aria in atto d'attaccar or Henrico, or il leone e scende Henrico in terra dall'albero.

Ma da quest'alta cima

meglio è scendere in terra,

vi troverò difesa ancor ch'inerme

e con piante più ferme

in sì strano duello

gli assalti sosterrò del crudo augello:

par che ceda il leone

all'impeto, e furor col qual l'incalza

il fiero augel ch'ora s'abbassa, or s'alza.

Che tardo più? contro il comun nemico

soccorrerò la fiera

che sovra l'altre regna,

e dela stirpe mia forma l'insegna.

Essendo a terra corre a squarciare un ramo, e se ne serve contro il grifone, e l'uccide; il leone l'accarezza. Parte il leone.

Non ha la selva altr'armi: un ramo io schianto.

Com'al suo difensor grato el leone!

Ma parte, e si rinselva,

ed io resto qui solo imprigionato

dentro gli orror d'una deserta selva.

Non mi spaventan mostri,

né disagio, né fame: e non ha ceffo

per turbarmi la morte. Io temo solo

che la mia lontananza

de' miei vassalli, e di Metilda stessa

non abbatta la fede, e la costanza.

Per riveder Metilda

pria che qualche rivale

fuor del mio letto, e del suo cor mi scacci,

e dar soccorso a la mia patria oppressa

darei l'anima stessa.

Ma mi sembra d'udir voce del cielo,

che mi richiama, e grida

Henrico non temer, spera, e confida.

Viene il leone ritornato dalla caccia con diverse salvaticine che porta sul dorso e nelle zanne.

Che veggio? ecco il leone

al suo benefattor grato, e cortese.

Per sostenermi in vita

con insolita fede

torna, ed apporta a' piedi miei le prede?

Carità generosa!

Gratitudine illustre!

Quanto meglio di voi le fiere stesse

di vera umanità sanno gl'uffici

sudditi ingrati, e poco fidi amici.

Grazie a voi placide menti

che regnate in queste selve,

se per porgermi alimenti

ispiraste sentimenti

di pietà sino alle belve.

Qui escono dagli alberi, che s'aprono all'improvviso, varie Ninfe, con vaghi ornamenti, corone in testa, e ghirlande alla mano, co' le quali scherzando, e ponendole sulla testa, ed a' piedi di Henrico formano il balletto.

HENRICO

Belle idee, geni clementi

che m'offrite, e danze, e serti,

spero fine a' miei tormenti

mentr'incontro movimenti

di bontà sin ne' deserti.

Atto secondo
Scena prima

Anticamera di Metilda.
Eurillo.

Padron miglior del mio

al mondo non si dà.

Tutto tutto è bontà.

È bravo, liberal, saggio, obligante,

ma troppo sta su l'aria del galante,

e sarebbe una gioia,

s'amasse un poco meno a far la foia.

Il servir innamorati

è un tormento da morir:

sono spiriti dannati,

e con essi star legati

è peggior d'ogni martir.

Scena seconda

Errea e il detto.

ERREA

Il servir innamorati

è mia gioia, e mio desir;

con piacer, con affetto

io servo il tuo padron. Tu li dirai

che mi faccia saper tutto il concerto,

che con due stranieri ha stabilito:

e poi sarà servito.

Ma tu crudel non pensi punto a me.

EURILLO

Perché pensar a te?

ERREA

Se tu sapessi

quanti per questo viso amor travaglia.

EURILLO

Io non saprei che far d'un'anticaglia,

tu non sei più fanciulla:

tu vuoi ch'io t'ami e non mi doni nulla.

ERREA

Cosa vuoi ch'io ti dia? vuoi ch'io ti baci?

EURILLO

A la cometa non si giuocan baci.

Dammi questa medaglia.

ERREA

Non sapresti che farne: è un'anticaglia.

Io non amo un cor avaro;

se si vende

la beltà, più non m'accende,

e discaro

m'è 'l piacer se costa caro.

Scena terza

Almaro e Idalba.

ALMARO

Non mi negar aita

vanne a Metilda, parla

de la morte d'Henrico; afferma, e giura.

IDALBA

Io non ho come te l'alma spergiura.

ALMARO

Io ti prego.

IDALBA

Non posso.

ALMARO

Ti scongiuro.

IDALBA

Non devo.

ALMARO

Prendi almen questo don.

IDALBA

Nulla ricevo.

Scena quarta

Ircano senz'essere osservato, ed i suddetti.

IRCANO

(Incontro qui gli amanti,

vo' tenermi in disparte.)

ALMARO

Che farò per piegarti?

IDALBA

È vana ogn'arte.

ALMARO

Tu sei troppo crudele.

IDALBA

Son più di te fedele.

IRCANO

(Parlan d'amor. Forse scoperta è Idalba?)

ALMARO

Vuoi risolverti al fin? che fai, che pensi?

IDALBA

S'ho da dirti i miei sensi

penso ch'a torto una spietata adori,

quante son ne l'impero

donne d'alta fortuna

ch'in merito, e beltà, non cedon punto

a questa tua fierissima Metilda.

IRCANO

(In bellezze Metilda ha poche pari,

in merito nessuna.)

IDALBA

Ti parlerò sol d'una,

che solo di te parla

e ch'in te solo pensa

se cade il sol, e se risorge l'alba.

ALMARO

Chi sarà questa?

IDALBA

È l'infelice Idalba.

ALMARO

Ora il mistero intendo.

IDALBA

Io la vidi giungendo

a la reggia d'augusto.

Là delle tue promesse istrutta fui.

ALMARO

Era fanciulla allora:

né la conoscerei, se la vedessi;

si promette talor senza riflessi.

IRCANO

(Obligante risposta a chi l'adora.)

IDALBA

Se non l'ami hai cor d'acciaro,

crudo Almaro:

sa che regna nel tuo petto

altro affetto,

e pur sempre le sei caro.

ALMARO

Metilda ha l'amor mio: non v'è riparo.

IRCANO

(Si riscalda il discorso, e troppo dura;

è tempo che mi scopra.)

(ad Almaro)

Signor eccomi pronto a' cenni tuoi.

Io farò che la schiava

dirà quel che tu vuoi.

(ad Idalba)

Simula più che puoi.

ALMARO

Vien meco Lidauro, A' nostri affari

provederemo insieme;

in te solo è riposta ogni mia speme.

(rivolgendosi ad Idalba)

Ma voi labra vezzosette

risolvete di parlar;

quattro sole parolette

darian fine al mio penar.

Scena quinta

Idalba.

Sì sì risolvo al fin servir l'ingrato,

e per giovargli offenderò me stessa.

Forse mai non s'udio

un esempio d'amor simile al mio.

Che non può l'amor tiranno

s'io son fabra del mio mal?

S'io procuro il proprio danno

per servir un disleal?

Scena sesta

Metilda.

Dopo sì crudi influssi

stelle volgete in me benigni i rai.

Consolatemi,

assistetemi,

soccorretemi o cieli in tanti guai.

Parvi un tempo beata

ed or di me, non può veder il sole

donna più sfortunata.

S'è ver ch'Henrico è morto,

Metilda è disperata;

non ha il mondo per me pace, o conforto;

ma che fece nell'Asia il mio consorte

per meritar la morte,

ed io per irritarvi, in che peccai?

Dopo sì crudi influssi

stelle volgete in me benigni i rai.

Consolatemi,

assistetemi,

soccorretemi o cieli in tanti guai.

Troppo infausta per tutto ho la fortuna,

discorde è l'Inghilterra,

Ricardo prigioniero:

m'intenerisce Henrico,

m'imbarazza la guerra,

Almaro m'importuna,

e turban la mia pace amori, ed armi;

non mancan d'arrivarmi

tutti i mali ch'io temo.

Il sol ben che desio non torna mai.

Dopo sì crudi influssi

stelle volgete in me benigni i rai.

Consolatemi,

assistetemi,

soccorretemi o cieli in tanti guai.

Lunghi nembi di doglie, e di pianti

da la sorte per breve seren,

e del dolce ch'inebria gli amanti

non ci lascia che fiele, e velen.

Scena settima

Almaro, Metilda, ed Eurillo.

ALMARO

Donna real, se da l'eroiche prove

del tuo viril coraggio

ad esser forte ogni gran cor impara,

a nuovi assalti il tuo vigor prepara.

METILDA

Che mi destini il ciel gioia, o tormento

io son già preparata ad ogni evento.

ALMARO

Il colpo è doloroso:

ma s'improvviso mal troppo contrista,

reca doglia minor piaga prevista.

Su la morte d'Henrico

la schiava, ed il guerrier m'han trattenuto

con evidenze, e circostanze tali,

che pur troppo è sicura

la sua fatal sventura.

METILDA

Falli venir, voglio ascoltarli anch'io:

starà sospeso intanto

fra la speme, e 'l timor l'animo mio.

ALMARO

Cerca Eurillo i stranieri, e qui li mena:

(a parte)

ed ad Errea dirai,

che più non tardi a preparar la scena.

EURILLO

Ubbidito sarai.

Scena ottava

Almaro, e Metilda.

METILDA

Sfronda il gel con duri oltraggi

orni e faggi;

ma 'l bel verde de le palme

sotto i ghiacci illeso sta:

né si mutan le grand'alme

per crudeli avversità

ALMARO

Ad un soffio estinta giace

debil face:

ma 'l sol chiuso in nubi oscure

i suoi rai mantien ancor.

Né fan perder le sventure

lume, e forza a regio cor.

Scena nona

Metilda, Almaro, Ircano, Idalba, Eurillo, e poi Errea.

METILDA

(ad Ircano)

Voglio che tu mi narri

com'Henrico morì, ma dimmi il vero.

IRCANO

Ei morì prigioniero

le ferite, e 'l dolor...

METILDA

Come fu preso?

IRCANO

Dal fiero Saladino

in quel fatal conflitto

che tutti quasi i nostri eroi distrusse,

sotto un monte d'estinti, e di feriti

pria sepolto, che vinto

restò preso ed avvinto, ed in Damasco

fra barbare catene

chiuse del viver suo l'illustri scene.

METILDA

Quanto sarà?

IRCANO

Quattr'anni, o poco svario.

METILDA

(ad Idalba)

E tu come lo sai?

IDALBA

Vorrei poterti dir tutto il contrario.

METILDA

Hai d'Henrico veduto, o pur udito

il miserabil fine?

IDALBA

Egualmente percossa

ho la vista, e la mente

da quest'aspro accidente:

e se dai fede ai pianti

credilo agli occhi miei più ch'a la bocca.

(qui giunge Errea piangendo)

ERREA

Tutta mi struggo in lacrime

son morta di dolor.

ALMARO

E perché piangi?

ERREA

Ch'ognun cominci a piangere;

mi sento l'alma a frangere,

è morto il mio signor.

METILDA

Come lo sai?

ERREA

Mentr'incerto, e confuso

tra speranza, e timore

ondeggiava il pensiero,

per via d'incanti ho penetrato il nero.

METILDA

E come hai fatto?

ERREA

I demoni costretti

m'hanno fatto veder fra tetri orrori

di carcere profondo

Henrico incatenato, e moribondo.

E se veder lo vuoi

lo mostrerem di nuovo a gli occhi tuoi.

METILDA

Per chiarirmi lo voglio:

ma se pecco in eccesso

di curioso zelo

all'amor coniugal perdoni il cielo.

Errea forma il circolo, e gira la verga in movimenti magici.

ERREA

Demoni che venite

da l'infernal voragine

a' miei carmi ubbidite:

ne la lor vera immagine

Henrico, e la prigion qui trasferite.

O demoni ubbidite!

ALMARO

Quest'orrida sventura

mi rasserena il cor.

IRCANO

Io son pieno di stupor.

EURILLO

Io di paura.

IDALBA

Rimorso, orror, dispetto.

METILDA

Tenerezza, e dolor.

METILDA E IDALBA

M'ingombra il petto.

ERREA

Vano dell'arte mia, non è l'effetto.

ERREA

O demoni ubbidite!

Mentre Errea replica «O demoni ubbidite» si va mutando la scena, e d'anticamera si fa squallida, e tenebrosa prigione, dov'appare l'immagine d'Henrico languente, e sanguinoso fra le catene, ed avanti li spettatori, che restano attoniti, così parla.

Scena decima

S'osservi che non è Henrico che parla; ma il diavolo con sensi empi, e sacrileghi.

HENRICO

Morirò fra strazi, e scempi,

e dirassi ingiusti dèi

che salvando i vostri tempi

io per voi tutto perdei.

HENRICO

Chi vorrà da qui innanzi

per la causa del ciel sacrificarsi,

se tali son de la pietà gl'avanzi?

Chi per la libertà de' vostri altari

esporrà libertà, vita, ed impero,

se date la vittoria a chi v'offende,

e lasciate perir chi vi difende?

Ma di chi t'abbandona

lascia Henrico la cura, e solo pensa

a l'amata consorte:

o Metilda, Metilda

non m'affligge il morire,

perché è 'l fin d'ogni male:

il mio più fier martire,

e la pena maggior de l'altre pene

è che perdendo te perdo ogni bene.

Ti lascio in congiunture

pericolose, e dure.

Se m'ami, ama lo stato,

turbato, e disunito:

cerca un degno marito,

che t'ami, e ti difenda. Il mio decoro,

la sicurezza tua... ma più non posso

dirti Metilda... Addio, ti bacio, e moro.

Qui sparisce la prigione, e ritorna la prima scena dell'anticamera.

Scena undicesima

Tutti i sopradetti.

ERREA

Qui rimanga chi vuol io scampo via;

non ebbi tal paura in vita mia.

IDALBA

Sol di me stessa ho da dolermi ahi lassa,

se per giovar altrui

de le miserie mie la fabra io fui.

IRCANO

Di questi affetti tuoi

così sanar ti puoi:

non rompe chi spera

i lacci d'amor,

allor che dispera

si libera un cor.

Scena dodicesima

Metilda, Errea, Almaro.

METILDA

S'eccessivo è 'l tormento

a cui mi condannate o stelle infide,

perché viver mi lascia, e non m'uccide?

ERREA

Risento al par di te l'acerbo colpo

ma non rimedia punto

a sì vivo martire

il disperarsi ed il voler morire.

ALMARO

Asciuga i tuoi begli occhi

e questa tenerezza

che piange un morto amore

s'impieghi a ravvivar chi per te more.

METILDA

E ti par tempo Almaro

di parlarmi d'amor?

ALMARO

In tempi a punto

perigliosi, e funesti

cercar marito, e difensor dovresti,

s'al desir de' vassalli,

s'a l'amor mio contrasti,

devi almen ubbidir chi tanto amasti.

ERREA

Te ne supplica Errea, lo stato, Almaro,

lo vuol Henrico stesso. A tanti preghi

meritata mercé più non si neghi.

METILDA

Ossa care illustri ceneri

sempre sempre io v'amerò:

e gli affetti miei più teneri

sol a voi consacrerò.

ALMARO

Vuoi dunque ch'anch'io mora?

ERREA

Consolalo signora.

METILDA

Almaro al tuo valor io devo assai,

de l'amor non mi curo:

s'a seguir le tue voglie

costringo il cor pudico,

lo faccio sol per ubbidir Henrico.

Scena tredicesima

Almaro ed Errea.

ALMARO

Che non ti devo Errea? se spiro, e vivo

al tuo favor l'ascrivo.

ERREA

Vivi, e godi signor son tutta tua.

ALMARO

L'ingrata si rende

e lascia il rigor;

in queste vicende

trionfa il mio cor.

Scena quattordicesima

Errea.

Ho contentato Almaro,

o se così mi contentasse Eurillo.

L'inquieto mio cor saria tranquillo.

Io consolo i cori amanti,

ma per me non v'è pietà;

per domar l'alme sprezzanti

han più forza degli incanti

le malie della beltà.

Scena quindicesima

Idalba.

Ne' stigi orrori

alma non v'è

che s'addolori

al par di me.

Ardo d'ira, e d'amore

odio Almaro, e me stessa;

che per amarlo troppo

ne' tradimenti suoi lo secondai.

Quante volte pensai

assalirlo, e svenarlo,

e quell'infido core,

che non posso co' gli occhi, aprir col ferro.

Pera (dicea tra me) quel mostro indegno

e di donna infiammata

se non cura l'amor provi lo sdegno;

se non conosce Idalba

ai vezzi, ai preghi, ai pianti,

che la conosca a le vendette almeno:

ma nel cor de gli amanti

quand'è sprone il furor, l'amor è freno.

Scena sedicesima

Ircano ed Idalba.

IRCANO

E porti ancor vano desio nel seno?

E non avranno fine i tuoi deliri?

Forse ti fe' nutrir l'invitto padre

fuor degli usi del sesso,

fra gli esercizi di guerriere squadre,

acciò poi si vedesse

arder d'un amor folle

la figlia sua degenerante, e molle?

IDALBA

Appunto ancor io penso a ciò che pensi:

voglio andar all'assalto;

mostrar in quel cimento

ch'ho petto ed ardimento,

che son figlia d'augusto, e che le stelle

non mi dier petto imbelle.

IRCANO

Io non approvo

impeto così strano.

IDALBA

V'anderò senza Ircano.

IRCANO

E sola crederai.

IDALBA

Tu non m'impedirai.

IRCANO

Una figlia nel campo, e senza scorta?

IDALBA

Quest'a me poco importa.

IRCANO

Farai tal disonor al sangue svevo?

IDALBA

Farò quel che mi piace.

IRCANO

Io quel che devo.

La sfrenata gioventù

quand'il senso la flagella

la ragion non ode più.

Scuote il giogo, e si ribella

a la gloria, a la virtù.

Scena diciassettesima

Monte Calcario.
Una nube porta Henrico col leone sopra quel monte.

HENRICO

Dopo tanti perigli

un genio tutelare

per insolite strade

mi rende al fin a le natie contrade;

negli estremi bisogni

giungo ancor opportuno

per assister lo stato

e consolar Metilda. Alfin placati

si cangeranno i fati, e men rubelle

gl'influssi lor mitigheran le stelle,

ma stanche ed aggravate

a gl'inviti del sonno

resister le mie luci omai non ponno.

(cominciando ad addormentarsi)

Dolce oblio de le sventure

che ristori

stanche membra, afflitti cori,

porgi pace a le mie cure:

vieni pure dolce oblio...

S'addormenta Henrico; appare un Demone con disegno di rapirlo dormendo.

Scena diciottesima

Demone, Henrico.

DEMONE

Il mio nemico a punto

è dove l'attendevo;

tanto lo seguitai ch'al fin l'ho giunto.

Qui non gli gioveranno i numi amici,

s'in Asia vigilò per farmi guerra,

lo coglierò dormendo

e passerà per le tartaree porte

da breve sonno ad una eterna morte.

Avvicinandosi il Demone il leone rugge, Henrico si sveglia, e salta in piedi.

HENRICO

Che veggo? ero sorpreso

s'il leon non ruggia!

Il Demone leva in aria il leone, e lo lascia cadere, e gli rompe una coscia. Henrico l'accarezza, e conduce seco.

DEMONE

Belva indiscreta

tu me la pagherai. Fiaccati il collo.

Che terribile tracollo!

HENRICO

Io porgerò soccorso

al mal, che per me soffri.

Vieni fido leone.

(voltandosi al Demone e partendo)

Tu non trionfi ancor spirto fellone.

DEMONE

Mi fuggirà la preda,

quando ne le mie reti io la credea?

E prenderan gli egri mortali a scherno

il poter de l'inferno?

S'armi per vendicar l'ingiurie mie

quant'ha d'ingiusto, e d'orrido la guerra;

si desoli la terra:

furori, e tirannie

con incendi, con morti, e con rapine

turbin le cose umane, e le divine.

Pigri spirti che fate là giù?

Si sconvolga, e getti il mondo

in discordia e servitù.

Furie, e vizi venite qua su,

fuor de l'erebo profondo

per far guerra a la virtù.

Escono di sotto terra vari Spirti che rappresentano le passioni con i vizi, e fanno un balletto, che finisce il second'atto.

Atto terzo
Scena prima

Sala reale con apparato di convito nuziale.
Eurillo, incaricato da Almaro della cura, e direzione della festa.

Servi, lacchè, trabanti,

fabri, operari oh là!

Questa gente dov'è?

Nulla senza di me

in corte non si fa,

qui non applica alcun a ciò che deve;

un gioca, l'altro beve.

Io solo penso a l'util del padrone:

grido, travaglio, sudo,

e poi tutti mi trattan da buffone!

Almaro mi conosce

fedele e diligente, e vuol ch'io sia

in casi d'allegria

supremo direttor ed intendente;

ma non arriva a' gradi del governo

chi la fatica teme,

il riposo, e 'l favor non vanno insieme.

Per aver fortuna in corte

convien esser animal:

vigilar al par d'un gallo,

favellar da pappagallo,

e trottar com'un caval.

Scena seconda

Henrico, Eurillo.

HENRICO

Che superbo apparecchio è questo amico?

EURILLO

Tu sei ben forastiero! ancor non sai

ch'essendo morto Henrico,

oggi si fan le nozze

di Metilda, e d'Almaro?

Io sol tutto preparo,

e vado ad ordinar machine, fuochi,

opere, serenate, ed altri giochi.

HENRICO

Su, che fate speranze ingannate?

Su, che dite mie glorie tradite?

Vendicate l'amor, e l'onor.

Nel mio petto s'estingua l'affetto,

più non v'arda che sdegno, e furor.

Dunque mi preservaste

ne l'onde, ne le guerre, e ne' deserti

da' perigli mortali

per riservarmi, o stelle, a più gran mali?

Che poteva di peggio

architettar l'inferno?

Così mi tratta il fato?

Così m'hanno ingannato

di Metilda la fé, d'Almaro il zelo?

E lo tolleri o cielo?

Ma sin che giunga il tempo

di scoprirmi, e sturbar questi imenei,

fia meglio moderar gl'impeti miei.

Scena terza

Metilda, Almaro, Idalba, Ircano. Henrico in disparte.

METILDA

Odiosi apparecchi,

pompe calamitose,

nozze precipitate

quanto mi contristate!

Per mia pace, e mia gloria

vorrei che si cangiasse in funerale

la festa maritale,

e fosser per unirmi al mio consorte

le faci d'Imeneo, faci di morte.

ALMARO

Vieni bella Metilda,

rasserena le ciglia,

né lugubre memoria

intorbidi quel viso,

ch'è de le mie delizie il paradiso.

Non si parli più di morti,

non si pensi ch'a goder;

troppo son rapidi e corti

i momenti del piacer.

(andando Metilda e Almaro a porsi a tavola)

IDALBA

Trionfa l'infedele.

IRCANO

Fuggi la vista sua.

IDALBA

Partir non posso.

IRCANO

L'onor te lo comanda.

IDALBA

Amor mi frena.

Insieme

IRCANO

Tiranna servitù!

IDALBA

Dura catena!

IRCANO

Tu dovresti sprezzar chi ti disprezza.

IDALBA

Vorrei sprezzarlo, e pur convien ch'io l'ami.

Insieme

IRCANO

Tiranna passion!

IDALBA

Duri legami!

(Henrico va a porsi dietro la sedia di Metilda)

ALMARO

Metilda in tua salute

vuoterò questa coppa.

Ma d'altra sete acceso

molto più bramerei

rinfrescar ne' tuoi baci i labri miei.

(mentre vuol bere Henrico lascia cadere un anello ne la tazza di Metilda)

METILDA

Al incontro io vorrei

per ritornar al mio marito in seno

che quant'assaggerò fosse veleno.

Ch'anello è quel che miro

in fondo de la tazza?

Lo riconosco o cieli,

è l'anello d'Henrico!

Gemma de la mia fede

sigillo, e rimembranza,

tu rimproveri a me quest'incostanza:

qual caso, qual mistero

qui lo fece cader? Ma più riguardo

quell'ignoto guerriero

a l'aria, al portamento

più sembra a gli occhi miei...

(levandosi impetuosamente da tavola correndo ad abbracciar Henrico)

No, no che non m'inganno, Henrico sei!

Insieme

METILDA

Sin or m'afflissi a torto.

Io ti riveggio al fine.

HENRICO

Sin or m'offesi a torto.

Adorato mio ben, dolce conforto.

ALMARO

E qual fantasma errante

le mie nozze funesta?

HENRICO

Almaro cessa

cessa di vaneggiar, e far l'amante;

io sono Henrico, e non fantasma errante.

ALMARO

Signor sorpreso, attonito, confuso

a l'improvviso fatal arrivo,

non so se sogno, o vivo.

Ti credei morto, e la duchessa amai

e tu scusar mi déi:

se conosci, ed adori i pregi suoi

saran discolpe mie gli esempi tuoi.

Ma posso assicurarti

ch'in questo cor mai non entrò disegno

di te, di me, di sì bell'alma indegno.

HENRICO

Basta Almaro; t'abbraccio,

e più che mai mi ti dichiaro amico.

ALMARO

A questo tratto io riconosco Henrico.

Ma tu perdona ancora

generosa Metilda,

perdona a questo cor, s'alzò l'affetto

a quanto ha fatto il ciel di più perfetto.

METILDA

Non voglio ricordarmi

che de' servigi illustri,

ch'hai resi a questo stato:

e potrà Bardevico

farne fede ad Henrico.

HENRICO

Al fin de l'opra

ch'hai sì ben cominciata

pria che finisca il dì corriamo Almaro.

(rivolto a Metilda)

Se parto a pena giunto

soffri caro mio ben, che per poch'ore

ceda al dover l'amore.

METILDA

Ite, vincete

acciò ch'onor richiede,

ch'ordina la ragione

un generoso amor mai non s'oppone.

D'un'anima grande

la gloria è l'amor;

più belle ghirlande

de' mirti han gli allor.

HENRICO E ALMARO

Non si pensi più ch'a la gloria

gli altri affetti son vanità:

sol in seno de la vittoria

sta la vera felicità.

Scena quarta

Idalba, Ircano.

IDALBA

Speranze già morte

fioritemi in sen.

Voi siete risorte

in men d'un balen;

mi mostra la sorte

il viso seren.

IDALBA

Il ritorno d'Henrico

m'ha fatto ritornare all'improvviso

nel cor la gioia, e su le labra il riso!

Vedesti Ircano mai

nascer dal fosco sen d'atra procella

serenità più bella?

IRCANO

Tu t'ingolfi da nuovo

ne le Sirti, e nei scogli;

e rinovando vai,

se rinovi la speme, i tuoi cordogli.

IDALBA

Se sin or ondeggiò nel pianto assorto

quest'affannato core,

lascia che speri or che rimira il porto.

IRCANO

A torto spera, e si rallegra invano;

per lei sarebbe il disperar più sano.

La speranza è un falso ben,

che lusinga ed assassina;

par al senso medicina,

ed all'anima è velen.

Scena quinta

Errea.

Mori infelice Errea,

va' co' demoni tuoi

nel baratro profondo,

già che per le tue colpe

t'aborre il ciel, e ti detesta il mondo.

La corte ch'adulò la tua fortuna,

sincera a' tuoi delitti,

di mille morti ti dichiara rea.

Mori infelice Errea.

Tu tradisti Metilda

a cui porgesti il latte:

parricida nutrice, ingrata serva,

vendesti avaramente

padrona liberal, figlia innocente;

ne le lor crudeltà, ne' loro incanti

non fer peggio di te Circe, e Medea.

Maledetta sia l'avarizia,

del mio cor malia fatal;

rea cagion d'ogni ingiustizia,

instromento d'ogni mal.

Scena sesta

Metilda.

Più non ho da dolermi,

più non so che bramar numi pietosi.

Vi lodo, e benedico,

basta per me che sia ritornato Henrico,

è tempo di gustar delizie, e gioie.

Voglio dimenticarmi

timor, pianti, sospiri, affanni, e noie,

per riparar i mali,

che sin or machinò fato nemico,

basta ch'al fin sia ritornato Henrico.

Assai piansi, e m'afflissi,

or son contenta, e lieta

e d'ogni mio desir tocco la meta;

per tranquillar i moti,

per consolar i voti

d'un animo pudico,

basta ch'al fin sia ritornato Henrico.

Io respiro

al ritorno del mio ben:

la vita, e 'l giubilo mi torna in sen;

io respiro,

l'atre nubi al fin spariro;

al ritorno del mio ben

risplende a l'anima lieto seren.

Scena settima

Bardevico assediata.
Eurillo armato.

Le nozze di Metilda,

i sospiri d'Almaro,

i sudori d'Eurillo in fumo andaro.

Quante fatiche, e spese

son buttate via!

Così vanno l'imprese

di teste assai più sagge de la mia.

Un uomo sol che vien di Palestina

tutto ha posto in ruina.

Addio nozze, e conviti,

buffoni, e parassiti: in questa terra

sol si pensa a la guerra. Anch'io che fui

ruffian, scalco, intendente,

son guerrier al presente.

È la guerra un bel mestier

quando si ha tavola franca:

vada ben o vada mal,

sin che sto col general

non mi manca

né buon vin, né buon quartier.

Scena ottava

Idalba, Ircano.

IDALBA

Son risoluta

di vincer, o morir;

di vincer un ingrato

o nel morirgli a lato

dar fine al mio martir.

IRCANO

Signora ti scongiuro!

Per quanto devi al padre,

a la tua gloria, ed a l'inutil merto

del mio lungo servir, muta, deh muta...

IDALBA

Son risoluta

di vincer, o morir.

IRCANO

Se vedessi com'io

il precipizio ov'a cader tu vai

IDALBA

Predica quanto puoi, di' quanto sai,

tu non mi piegherai.

IRCANO

Ch'imperioso umor!

IDALBA

Indiscreto censor, genio severo!

IRCANO

Che dirà 'l padre, e che dirà l'impero?

IDALBA

Diran quel che vorranno.

IRCANO

Ti perderai.

IDALBA

Mio danno:

persa già son se non racquisto Almaro.

IRCANO

A femminil follia non v'è riparo.

Quanto son precipitose

ne' lor impeti le dame!

Si potria più facilmente

fermar fulmine, e torrente,

che dar legge a le lor brame.

Scena nona

Henrico, Almaro, ed i suddetti.

HENRICO

Chi rifiuta la clemenza

provi l'armi del rigor,

se l'irrita l'insolenza

la bontà divien furor.

ALMARO

D'ogni parte è ristretta,

e per sottrarsi a l'ultima ruina

la temeraria plebe in van s'ostina.

HENRICO

Si pentirà d'aver offeso Henrico,

e la posterità

a pena un dì saprà

che qui vi fu Bardevico.

Al sangue, al fuoco;

a le vendette, a l'armi.

Ne la perfida città

sesso, età non si risparmi.

Intanto con varie macchine si va scuotendo ed aprendo la muraglia, e quelli di dentro si difendono gettando pietre.

Venite anime audaci

sa punir questo ferro i contumaci.

Qui dopo varie ingiurie fanno gli assediati una sortita, e si comincia la mischia.

Almaro vien circondato, e quasi preso. Idalba lo soccorre, e lo libera.

IDALBA

Veggo Almaro in periglio,

voglio salvarlo.

IRCANO

Io ti secondo.

IDALBA

Mori

o lascia il mio signor.

ALMARO

Merina de la vita

io ti son debitor.

IDALBA

L'alma darei

per meritar d'esser da te gradita.

HENRICO

Respinta è la canaglia,

si sforzi la muraglia.

ALMARO

La breccia ancor...

HENRICO

Io m'aprirò la strada

e farò che tutt'arda, e tutto cada.

Qui vanno i Principi alle mura, e le sforzano: Henrico v'entra seguìto dall'esercito vittorioso.

Scena decima

Porta della città di Luneburgo ornata a guisa d'arco trionfale.
Errea.

Fuggo ma non so dove

da l'ira di Metilda:

l'offesa sua bontà, la colpa mia

mi sta nel cor impressa;

vorrei fuggir me stessa,

celarmi al ciel, al sol. Ma meco porto

furie persecutrici

ed i misfatti miei son miei supplici...

Per punir un grave eccesso

il rimorso de l'interno

ha 'l flagello sempre in man,

e nel mondo, e ne l'inferno,

ogni reo serve a sé stesso

di carnefice, e tiran.

Scena undicesima

Eurillo, Errea.

EURILLO

Vittoria, vittoria

è preso Bardevico:

devo avvisar Metilda, acciò che venga

ad incontrar il trionfante Henrico.

Così lieta novella ogn'un ricrea;

e tu sei mesta Errea?

In testa senza dubbio hai qualche amore?

ERREA

Altre cure ho nel cuore.

EURILLO

La faccia hai squallida

la guancia pallida

senza cinabro, e nei;

tu pati a punto, vecchia come sei.

ERREA

Serba li scherzi a miglior tempo Eurillo,

io persi ogni mio brillo al or che persi

la grazia di Metilda.

Prega in mio nome Almaro

che m'ottenga il perdono,

per ben servirlo in questa pena io sono.

EURILLO

Io ne terrò memoria.

Vittoria, vittoria.

Per aver parte a la gloria

io mi armai come guerrier

e tornai come corrier;

se restavo nel conflitto

da me mai

non saprebbe alcun di voi

il valor de gli altri eroi.

Venni, vidi, e mi salvai

per poterne far l'istoria.

Scena dodicesima

Ircano.

Idalba ne l'assalto

sparì da gl'occhi miei,

e la cerco sin ora inutilmente;

temo qualche accidente,

o dio quanti dolori

costano a me mal consigliata figlia

questi tuoi fissi, e pertinaci amori!

Se nel volubil sesso

si biasma l'incostanza,

biasmo in te la costanza,

e 'l mio maggior disgusto

è che t'ostini in un capriccio ingiusto.

Han le donne fantasie

frenesie,

che fan gli uomini impazzir;

esse fanno le follie

e poi tocca a noi soffrir.

Scena tredicesima

Idalba, ed Ircano.

IDALBA

Ne la mischia confusa io ti perdei,

e ti cercavo Ircano.

IRCANO

Al fin mi trovi, e ne ringrazio i dèi.

Stavo con gran timor.

IDALBA

Omai s'accheti

l'inquieto tuo zelo.

IRCANO

A te dia pace, a me riposo il cielo.

IDALBA

Con opportuna aita

permise ch'io salvassi

ad Almaro la vita;

così la mia speranza è stabilita.

Ei sciolto da Metilda

e per obligo novo a me legato,

quando gli scoprirò ch'io son Idalba,

non ardirà due volte esser ingrato.

IRCANO

Scoprirti in un paese

al tuo padre nemico?

IDALBA

Ciò non ti turbi; è generoso Henrico,

né corrompe la guerra alma cortese.

IRCANO

Quest'esempio non ha da Federico.

IDALBA

Deh non mi contradire.

Aiuterà fortuna un giusto ardire.

Animosa tolleranza

sforza, e vince aspro destin.

Cor che s'arma di costanza

ai rigor del dio bambin

sa trovar un lieto fin.

Scena quattordicesima

Henrico, Almaro, Metilda in carro trionfale e i sopradetti.

ALMARO

Se giace Bardevico

fra le ceneri, e 'l sangue

la colpa è de' ribelli, e non d'Henrico.

HENRICO

Le stragi de' vassalli

altro non sono al fine

che perdite, e ruine,

sfortunati trofei, palme funeste,

e non convien farne trionfi, e feste.

METILDA

Del giubilo che vedi,

degli applausi ch'ascolti è sol motivo

il tuo felice arrivo.

HENRICO

Metilda il rivederti

è mia delizia, e gloria:

basta sol che ti parli, e che ti miri,

diventano trionfi i miei martiri.

(qui smontano dal carro)

ALMARO

In così lieto giorno

deh soffri ch'anco Errea si racconsoli.

Per lei perdon ti chiedo,

io, che l'autore de le sue colpe sono.

METILDA

Che venga; in tuo riguardo io le perdono.

ERREA

Signora il pianto mio

ti mostra assai...

METILDA

Ciò basti.

Spero che a l'avvenir fida sarai.

ALMARO

Ecco la bella schiava

a cui devo la vita.

Tu liberato m'hai

e libera sarai.

IDALBA

Amo le mie catene;

non cerco libertà.

(a parte)

Tu mi devi pietà per altre pene.

ALMARO

Lidauro a me la vendi,

n'avrai quanto pretendi.

IRCANO

Signor prezzo non ha.

ALMARO

Per ogni via

vorrei che fosse mia.

IDALBA

Scoprimi Ircano, è tempo.

IRCANO

È più tua che non credi,

sotto spoglie servili Idalba vedi.

ALMARO

La principessa Idalba?

METILDA

Ch'ascolto!

HENRICO

O caso strano!

IDALBA

Io son Idalba, e quest'è 'l saggio Ircano,

che dal padre per ajo a me fu dato.

EURILLO

E questo mai non me l'avrei sognato.

ALMARO

Io non so che pensar.

IDALBA

Pensa incostante

ch'Idalba se non era a te promessa

non saria schiava, e peregrina errante:

se Metilda ingannò, tradì sé stessa,

lo fece per amor d'un falso amante.

Questa man per punir la rotta fede

ti doveva tor la vita, e te la diede.

METILDA

Raro esempio d'amore!

HENRICO

Mi commove a pietà.

ERREA

Mi fende il core.

EURILLO

Così fiera è costei, che fa spavento.

ALMARO

Ti feci torto Idalba, e me ne pento;

permetti ch'in emenda

la mia fé ti rinnovi, e 'l cor ti renda.

IDALBA

Io son contenta Almaro:

altro non posso dirti.

Eccesso di piacer m'occupa i spirti.

ALMARO

Per sigillar quest'amorose paci

serviran più de le parole i baci.

METILDA

Tra le felicità ch'il ciel comparte

in sì prospero giorno, anco a la gloria

di conoscer Idalba,

e di vederla lieta io prendo parte.

HENRICO

Augusta principessa

quanto devo a la sorte

ch'ordinò le tue nozze in questa corte!

IDALBA

L'onor che qui ricevo

de l'aspre mie vicende

più dolce, e glorioso il fin mi rende.

Per eternar de l'amicizia il nodo

con cui gli animi nostri il ciel qui stringe

vorrei poter un giorno esser capace

di stabilir col genitor la pace.

ALMARO

D'uno a pena ero sciolto

che m'ha l'amor in altro laccio involto.

IRCANO

Meglio che la prudenza

regge il nostro destin la provvidenza.

ERREA

Ogn'un qui s'accompagna a noi siam soli.

EURILLO

Cerca pur compagnia che ti consoli.

Si dia fine ad ogni pena.

HENRICO

Giunta è l'ora del gioir.

METILDA

Stella lieta, aura serena

sgombra i nembi de' sospir.

ALMARO E IDALBA

L'imeneo che c'incatena

in due cor spira un desir.

TUTTI

Amor ch'apre un'altra scena

in piacer cangia i martir.

Qui col ballo delle Amazzoni e degli Eroi si termina la festa e l'opera.

Fine del libretto.

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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima