Elogio d'Henrico Leone

Ritorna al mondo Henrico Leone per dilettare fra le placide armonie delle muse, non per atterrire fra gli orridi sconcerti dell'armi, e viene a dar co' le rappresentazioni de' suoi avvenimenti le prime prove al nuovo teatro d'Hannover, fortunato d'aprirsi per onorar la memoria di principe sì famoso.

Non ancor sazio di perseguitarlo il destino suscitando nell'impero moti inaspettati, e turbolenze improvvise minacciava di sconcertar questi tranquilli disegni. Ma egli avvezzo a non temer, a non cedere, ed a viaggiar con insolita celerità, non ha lasciato fra tanti ostacoli di comparir più presto che non s'era creduto, e di trionfar delle difficoltà, e dell'invidia, che predicava impossibile in sì angusto termine la perfezione dell'opera.

Nel testo purtroppo è noto nelle Historie de' guelfi, e nella ricordanza de' popoli chi egli si fosse. Non s'altera né per nubi, né per eclissi la bella luce del sole: le disgrazie se sminuirono la potenza, non estinsero la gloria d'Henrico, e il giro di cinque secoli non ha fatto scordare a' posteri ciò ch'entra nella sua memoria d'onorato, e d'acerbo.

Una cometa altrettanto più infausta quanto più luminosa, un fulmine, che dopo corso strepitoso, ed illustre suol terminar i suoi splendori in ruine, potriano servir di simbolo al merito sfortunato di questo eroe. S'avesse saputo, o voluto moderar l'altezza degli spirti, non avrebbe veduta ristretta l'ampiezza de' suoi stati, che negli antichi limiti della Sassonia e della Baviera da esso possedute si stendevano dall'Albi al Reno, e dall'Alpi all'oceano. Ma il suo cuore maggiore ancor del dominio con eccessi di gloria irritò la fortuna, e furono per esso così perniciose le virtù, come funesti per gli altri principi sogliono essere i vizi.

Infatti parve che la pietà, l'intrepidezza, la costanza, che d'ordinario sono le basi dell'umana felicità, fossero il principio delle sue fatali sventure. Zelo di religione lo staccò sott'Alessandria dal partito di Federico Barbarossa persecutor del pontefice, e dopo impegnandolo nelle guerre di terra santa diede adito a' vicini gelosi delle sue crescenti prosperità di prevalersi delle inique congiunture dell'odio di cesare, e della proscrizione, e lontananza d'Henrico per usurparne le spoglie, mentr'egli spogliava i barbari delle provincie usurpate ai fedeli.

Così cadde nell'estremità presagite da Demade a gli ateniesi, quando gli avvertì che si guardassero per difender il cielo di non perdere la terra, consiglio in altri tempi ancora mal osservato.

Resta però degli avanzi di sì gran naufragio a suoi serenissimi discendenti di che far nell'Europa considerabil figura, e di che imitar felicemente il zelo d'Henrico a danno degli infedeli.

E che non deve la cristianità a' validi soccorsi mandati, e guidati da questi principi nell'Ungheria, nella Grecia, ed al valore di quattro gloriosi fratelli, ch'in anni ancor acerbi fra le più memorabili imprese di questa guerra si sono segnalati con azioni eroiche, e degne dell'augusto lor sangue?

Se dalla mano d'un colosso d'Ercole rinversato, e distrutto gli scultori greci argomentavano qual ne fosse stata la grandezza, quand'era intiero, nel veder ciò che fanno di grande nelle mani di principi generosi le reliquie di sì usata fortuna, è facile congetturare qual fosse nel suo florido stato la potenza d'Henrico.

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