Atto primo

 

Scena prima

Villaggio di Colognole con la veduta di varie ville d'ogni intorno.
Isabella, Lisa.

 Q 

Isabella, Lisa

 

ISABELLA

Son le piume acuti strali  

ad un sen, nido d'amore.

Del riposo sotto l'ali

non ha quiete 'l suo dolore;

misera star non ponno

quest'occhi aperti al pianto, e chiusi al sonno.

LISA

Che stravaganza è questa?

pria che spunti l'aurora,

come vi siate desta?

Oh che strani capricci,

casca la guazza ancora,

torniamo a casa, che ci guasta i ricci.

ISABELLA

Messaggiera fedele

d'una carta amorosa,

che nel suo nero esprime

d'una candida fé note loquaci,

vanne a Leandro mio,

prendi, parti, ritorna; osserva, e taci.

 

LISA

Ben cento volte, e cento  

il vostro genitor tutto adirato

vietovvi amar costui; deh vi sovvenga

che beffarsi del padre è gran peccato.

Pigliate il foglio.

ISABELLA

Eh Lisa

non hai provato amore,

se le colpe in amor danni, e correggi;

tiranneggiando un core,

vuol soggetto ogn'impero alle sue leggi;

vanne a Leandro.

LISA

Appena

son tre giorni, che venni

(benché nata in paese)

da nov'anni finiti ad abitarlo;

che bambina mi prese

vostro padre, e con voi

(lo rimeriti il ciel) fece allevarmi;

Leandro io non conosco.

ISABELLA

Aurate chiome,

nere pupille porta il mio tesoro,

e nel ciel del suo volto

vibran soli notturni i raggi d'oro,

pendon vermiglie piume

da' crini suoi fregio d'alati arcieri,

onde volano accesi i miei pensieri.

Ivi l'attendi, e vedi

de' suoi be' lumi al gemino splendore,

che da più vaga sfera

partir non puote un amoroso ardore.

Isabella ->

 

Scena seconda

Lisa.

 

 

Ah pur troppo il conosco,  

lo vidi, ed in un tratto

arsi per lui; se crede

Isabella ch'io porti

questa carta, s'inganna; no alla fé;

dar non mi voglio la scure sul piè.

Se nacqui contadina,

ho genio a farmi nobile;

forse 'l ciel mi destina

a miglior sorte, ché fortuna è mobile;

nel scoprire a Leandro

il mio sincero affetto,

libera vo' parlar senza rispetto.

 

Se d'amor un cor legato  

è soggetto alla vergogna,

per morirsi disperato,

altro mal non gli bisogna.

Se Cupido cieco sta,

i rossori non apprezza;

la modestia fugge, e sprezza,

mentre sempre nudo va;

tenta in van chi presume

di far onesto un nume,

ché per dolce fallire al mondo è nato.

Se d'amor un cor legato

è soggetto alla vergogna,

per morirsi disperato,

altro mal non gli bisogna.

Lisa ->

 

Scena terza

Ciapo, Flavio.

<- Ciapo, Flavio

 

CIAPO

Padrone gli annual vanno sì magheri,  

ch'io son tutto sgomento.

Il grano è pretto golpe, e poi nell'orto

s'enno perso i carcioferi, e gli spagheri;

non mignola un ulivo,

chi non ha 'l cor di preta

non puote star giulivo.

FLAVIO

Lascia 'l dolerti, attendi

a ben servirmi, il cielo

per me non fassi avaro;

io bramo sovvenirti, e che paventi?

Ma dimmi, come suole

Isabella il mio sole

spesso vagar per questi prati?

CIAPO

Uh, uhi,

o sur'el ciuco, o a piede,

che, chene su quest'aia

da imo a sommo valicar si vede.

FLAVIO

Le parli?

CIAPO

O signor fine,

l'è dignevole, e brulla.

FLAVIO

Ed in che tempo

suol qui portarsi?

CIAPO

Fate,

fatevi conto la ci viene a ugni otta.

FLAVIO

Vanne, e sagace osserva

quando di casa parta; indi a me torna

con dirmi ove soggiorna.

CIAPO

Ecc'un sovvallo

per mezzo die mi sciopera,

e vammi sotto un'opera.

Ciapo ->

 

Scena quarta

Flavio.

 

Benché certo di morire,  

pur scoprire

voglio 'l duol sin'or celato:

bocca chiusa e cor piagato

son la morte del gioire.

S'io vi provo severe, o luci belle,

di me potrete dire,

aspirando alle stelle,

fortuna ti mancò, ma non ardire.

Benché certo di morire,

pur scoprire

voglio 'l duol fin'or celato;

bocca chiusa e cor piagato

son la morte del gioire.

 

Scena quinta

Lisa, Flavio.

<- Lisa

 

LISA

Ecco Leandro; ah no; ben l'assomiglia;  

bionde chiome, occhio nero,

penna rossa al cappello,

la fortuna m'aiuta,

dirò scambiato aver questo da quello.

Signor, pigliate.

FLAVIO

E chi la carta invia?

LISA

La signora Isabella.

FLAVIO

E che m'impone?

LISA

Legga vosignoria.

FLAVIO

Prendi.

(le dà un maniglio)

LISA

Troppo favore;

io me lo goderò per vostro amore.

Lisa ->

 

Scena sesta

Flavio.

 

 

Ad aprir questa carta,  

se fervido desio mie brame appresta

pavido gelo i miei pensieri arresta.

Leggasi, che più tardo? O fortunate

sparse lacrime mie,

se nel seno di lei pietà trovate.

Con amorosi accenti a sé mi chiama,

cor mio, che più si brama?

 

Scena settima

Flavio, Leandro.

<- Leandro

 

LEANDRO

Flavio, tanto veloce?  

FLAVIO

Leandro mio godete,

se di salda amicizia a voi mi stringe

indissolubil nodo,

godete, mentre io godo.

LEANDRO

Palesatemi, o caro,

onde gioia maggior tragga 'l mio petto,

la cagion del diletto.

FLAVIO

In fin pietosa

in dovuta mercede

alla mia pura fede

corrispondente amor dona Isabella;

con queste note a sé ratto mi chiama,

cor mio, che più si brama?

LEANDRO

Perfida lessi, e spiro?

Vivano i vostri affetti,

quali a voi gli desio.

FLAVIO

Godete a' miei diletti; amico, addio.

Flavio ->

 

Scena ottava

Leandro.

 

 

Così dunque, crudele,  

oltraggi chi t'adora?

O d'un'alma infedele

tropp'altero rigore,

se spergiura d'amore

vanti tua ferità ne' miei tormenti,

di soavi contenti

co' finti detti tuoi

a che bearmi 'l seno?

Bella tiranna, vuoi,

t'intendo sì, che sia

colma d'affanni ognor l'anima mia,

più dolente in soffrire

dopo un finto goder vero martire.

Sovra 'l banco di speranza

mentre fido i miei contenti,

con moneta di tormenti

cambia amor la mia costanza.

Deh guarda, mio cor,

nelle fiere d'amor poco scaltrito,

chi troppo crede, al fin resta fallito.

Leandro ->

 

Scena nona

Tancia.

<- Tancia

 

 

S'io miro il volto del mio bel Ciapino,    

parmi vedere il ciel d'amore in terra,

s'io non veggo, vonne a capo chino.

Dentro al mio cuore ho un trambustio di guerra,

egli ha filosomia di cittadino,

tante le cilimonie in sé rasserra.

Egli è un anno, e piue, che mi gaveggia,

e vuommi ben da vero, e non dileggia.

Ho pur la poca voglia

di lagorare, e s'io l'ho a dire schietta,

l'amor sì mi trascina,

che da sera a mattina

mi tiene scioperata;

da quella serenata,

che Ciapino m'ha fatto,

emmisi fitto a un tratto

il mal nemico addosso,

io ho più spine al petto, ch'un rosaio,

e più punture, che non ha un vespaio.

Ma la padrona viene,

voglio studiarmi un poco; io la vo' dire,

lagoro a mal'incorpo; il contadino,

perché 'n giolito viva il cittadino,

dura fatica per impoverire.

S

 

Scena decima

Isabella, Tancia.

<- Isabella

 

ISABELLA

Verde prato, se fremente  

il rigor d'austro nemboso

ogni pompa a te rapì,

mentre april sparse ridente

d'erbe e fior nembo odoroso,

di smeraldo t'arricchì;

tra 'l gioir,

tra 'l languir natura è instabile,

sol il tormento mio non è mutabile.

TANCIA

Il ciel vi salvi, e guati.

ISABELLA

È tornata Lisetta?

TANCIA

Signora none; uh l'è pur ben'affetta!

ISABELLA

Che vai facendo?

TANCIA

Poco,

per aver manco; che gammurra! ell'ene

tutta tutta d'ariento; e quei capegli,

cappizzi, gli enno begli;

dio ve la dia a godere

questa vesta sfoggiata;

fan pur il bel vedere

que' cappi rossi, e gialli

messi per tutto uguali!

In fatti que' coralli

paion corbezzoloni madornali.

ISABELLA

Lunge da gemme, ed ori,

anelante 'l mio core

della tua povertà brama i tesori.

TANCIA

Non ve lo credo affene,

ché chi non ha, non ene.

ISABELLA

Mendicando ristoro

all'amoroso affanno,

povera di gioir, ricca di pene,

lagrimar mi conviene,

mentre del viver mio troncan lo stame

d'avaro genitor l'accese brame.

TANCIA

A dir v'avete lie

anco 'l damo rattratto?

Egli è desso maniato;

in così poco lato

bigna pur che stia scomido.

ISABELLA

A' miei veri dolori

porgon lieve conforto

questi finti colori.

TANCIA

Io mi strabilio; e come

ci s'egli fitto?

ISABELLA

Tancia,

dimmi, vorresti aver così Ciapino?

TANCIA

Il ciel me ne deliberi,

ch'arei a far d'un damo sì piccino?

Sentite: il popol vuole,

e buzzica gagliardo,

che questo vostro damo

(ma fiasi per non detto)

abbia grand'amistà con Macometto.

ISABELLA

Eh, che son bizzarrie.

TANCIA

Dico ell'enno malie.

Chi lo fa me' di mene,

di su le veglie per virtù d'ancanti

delle fanciulle fa sparir che chene;

la Tonia è viva, e verde,

la stiè un mese smarrita,

e per la gran pagura,

quand'a casa tornoe rimescolata,

la s'ebbe a medicar per uppilata.

Abbiateci avvertenzia,

acciò, che quest'amore

non faccia progiudizio alla scoscienzia.

ISABELLA

E non t'avvedi ancora,

che del mio ben nel volto

splende sotto uman velo

raggio divino accolto,

e non s'uniron mai l'inferno, e 'l cielo?

Isabella ->

 

Scena undicesima

Tancia.

 

 

Non c'è da ficcar chiodo,  

predica quanto vuoi,

la l'intende a suo modo;

se non fa ben, ch'io rucoli;

amor è cosa dolce quanto 'l mele,

ma se c'entran gli scrupoli,

doventa amaro più, che assenzio e fiele.

 

Scena dodicesima

Desso, Tancia.

<- Desso

 

DESSO

Sorte mia, se la natura  

mi stampò leggiadro, e snello,

di sì nobile fattura

ruppe subito il modello;

simile a mia beltà

non ci fu, né ci, ci, ci.

TANCIA

Adesso crepa.

DESSO

Né ci.

TANCIA

Il più scondito di costui.

DESSO

Né ci, ci.

TANCIA

A cercar ogni villa, ogni città,

non fu nel mondo mai.

DESSO

Né ci sarà.

TANCIA

O bene.

DESSO

E certo bene

parlai, ma se talora

ste, ste, stento un pochetto

esplicando il concetto,

è la facondia mia, che 'n un viluppo

mille parole scocca,

che poi tutte furiose

fanno agli urtoni nell'uscir di bocca.

TANCIA

Vo' dargli un po' di baia

con farlo cinguettare.

DESSO

Allora, o Tancia,

che volse la fortuna,

ch'io girassi a te, te,

TANCIA

Ho pur preso lo scrocchio.

DESSO

a te, te, te, te, te, te,

TANCIA

Che ti caschi la lingua.

DESSO

a te, te, un occhio,

subito fece amore

nella galera sua schiavo il mio core.

 

Scena tredicesima

Ciapo, Tancia, Desso.

<- Ciapo

 

CIAPO

Di vetta a quel burrone  

io vidi pur, che gli erino.

TANCIA

Vo' dargli un po' di pasto.

CIAPO

Soppiatto nel macchione

vo' sentir ciò, che dichino.

TANCIA

Io non son vostra pari,

ed il mio cuor sta affritto,

al fin farae quel che nel cielo è scritto.

Per mene io v'amoroe,

affin che fiato avroe,

e la mia fede è schietta.

CIAPO

Deh, rozza malidetta.

DESSO

Labbri leggiadri,

occhiucci ladri,

non bramo più;

dal sen, che struggesi,

quest'alma fuggesi,

prendila tu.

TANCIA

Mi vuoi tu ben da vero?

DESSO

E ben ragione

cor mio, amando me,

che brami ancor'io sì,

io sì, sì, sì.

CIAPO

Non ci vo' più star sotto.

 

TANCIA

Meschina a mene, ecco Ciapino.  

DESSO

Sì, sì.

CIAPO

Io vo' fare una sciarra.

DESSO

Io sì, sì, sì.

CIAPO

Ti tengo per un furbo, intendi eh?

DESSO

Io sì, sì, sì, io similmente te.

CIAPO

Son galantuomo, sai?

DESSO

E con chi, chi, chi l'hai?

TANCIA

Gli ha preso pelo.

CIAPO

E che sì, ch'io lo sdruco;

i la mastuco male, i la mastuco;

é me', ch'io me la colga.

TANCIA

Addio signore.

DESSO

Che bisbiglia costui?

CIAPO

La nostra signoria

rest'è in palazzo per servir la vostra.

TANCIA

Mostra, Ciapino, mostra:

tu 'ngrugni eh costolone?

CIAPO

Non ho io l'accasione?

TANCIA

Signore con licenza:

odi, se ti sei sdegno,

perch'io parlavo seco,

fa' pur la pace meco,

perch'io brullavo.

CIAPO

O come,

come la sta cosine,

non c'enno più ruvine.

TANCIA

Desso, totela in pace,

sei vago e bello, è vero;

ma però più di te Ciapin mi piace.

CIAPO

Totene pur lo 'mpaccio,

che quest'è per mio piatto; addio, gobbaccio.

Tancia, Ciapo ->

 

Scena quattordicesima

Desso.

 

 

Tu me la pagherai;  

s'io son gobbo, e tu brutto, a tutti due

ha fatto la natura un grave oltraggio,

a me sopra le spalle, a te ne, ne, ne,

 

Scena quindicesima

Bruscolo, Desso.

<- Bruscolo

 

BRUSCOLO

Tolga a me l'oro e l'argento,  

DESSO

a te, ne, ne, ne,

BRUSCOLO

di fortuna 'l fiero sdegno,

DESSO

a te, ne, ne, ne,

BRUSCOLO

fin che 'n testa chiudo ingegno,

DESSO

a te, ne, ne, ne,

BRUSCOLO

non tem'io morir di stento,

DESSO

a te, ne, ne, ne,

BRUSCOLO

pazz'è ben chi non fa con modi scaltri,

DESSO

a te, ne, ne, ne,

BRUSCOLO

quando non ha del suo, tor di quel d'altri.

DESSO

a te, ne, ne, ne,

BRUSCOLO

Desso.

Che fai?

DESSO

ne, ne,

BRUSCOLO

Che stento!

Quanto mi muove a riso!

DESSO

a te, ne, ne, ne, ne, ne,

BRUSCOLO

Che ti venga la rabbia.

DESSO

A te nel viso.

Bruscolo, adess'è tempo d'aiutarmi.

BRUSCOLO

Bel modo di pregarmi!

che t'occorre?

DESSO

Poc'anzi

la Ta, Ta, Ta,

BRUSCOLO

Ta, Ta, Ta,

DESSO E BRUSCOLO

la Ta, Tarata, Ta, Ta,

(Bruscolo burlando sul Ta, Ta, suona la tromba)

BRUSCOLO

O che spasso.

DESSO

la Tancia

appunto in questo lato

m'ha ben co, co, co, co,

BRUSCOLO

Che dirai?

DESSO

con bel modo

tirato su, credendo,

che di me viva amante,

e poi ma ba, ba, ba, ba,

ba, ba, ba, ba,

BRUSCOLO

Che t'ha?

DESSO

ma ba, ba, ba,

BRUSCOLO

Baciato?

DESSO

oibò, ma ba, ba, ba, ba,

BRUSCOLO

Bastonato?

DESSO

né meno, ma ba, basta;

son qui per vendicarmi;

e poi con un villano

ridendo si partì presa per mano.

BRUSCOLO

O che semplicità!

Lasciar tanta beltà? Ma per tuo bene,

che far dev'io?

DESSO

Bisogna,

che tu con il demonio

spinga costei, che meco

faccia un indiavolato matrimonio.

BRUSCOLO

Sempre qualche merlotto

intoppa nella rete: oggi vedrai,

per gran virtù di magica fattura,

prodigi di natura.

Ma che robe son queste?

DESSO

Il mio padrone,

il potestà del luogo,

per un par di galline

che spe, spesso dà il torto a chi ha ragione,

dianzi mandommi in fretta

su pe, pe, pe, pe, pe, per questi colli,

dove pose sentenze a mieter polli.

BRUSCOLO

Affé, s'io non m'inganno

questi alle gotte sue mal non faranno.

Ma per formar l'incanto,

entriamo in casa.

DESSO

Aspetta.

BRUSCOLO

Che fai?

DESSO

Piglio la cesta.

BRUSCOLO

Di che temi?

Un folletto n'ha cura;

lo vuoi veder?

DESSO

No, no, mi fi, fi, fido,

e tremo di paura.

BRUSCOLO

Entra.

DESSO

Tu, tu,

BRUSCOLO

Passa.

DESSO

tu,

tu, tu, tu, tu,

BRUSCOLO

Va' dentro.

DESSO

tu, tu,

BRUSCOLO

Scoppia.

DESSO

Tu prima.

BRUSCOLO

Adesso vengo.

DESSO

E io ta, ta,

BRUSCOLO

O come

giunge a tempo il sovvallo! Un affamato

se ruba per campar, non fa peccato.

Desso ->

 

Scena sedicesima

Bruscolo.

 

L'uom, che per necessità  

di mangiar toglie al compagno,

l'elemosina si fa;

se del ciel fassi guadagno,

quando al prossimo si giova,

vedesi ben a prova il merto espresso,

non s'ha prossimo suo più che sé stesso;

mi perdoni 'l potestà,

s'io mi fo la carità.

L'uom, che per necessità

di campar toglie al compagno,

l'elemosina si fa.

 

Scena diciassettesima

Desso, Bruscolo.

<- Desso

 

DESSO

e io ta, ta, ta, ta, t'aspetto qua.

Desso, Bruscolo ->

 

Scena diciottesima

Leandro.

<- Leandro

 

In grembo a Dori,  

tremula l'onda,

d'austro a' rigori

mobile fronda

vantisi pur costante,

più che fermezza in sen di donna amante.

Del tempo alato

rapido piede,

d'Egeo sdegnato

volubil fede,

vantisi pur costante,

più che fermezza in sen di donna amante.

 

Scena diciannovesima

Isabella, Leandro.

<- Isabella

 

ISABELLA

Leandro?  

LEANDRO

Ingrata!

ISABELLA

E quali

avvelenati strali

vibra la vostra bocca?

LEANDRO

Perfida sempre scocca

da quei labbri mendaci,

sirena lusinghiera, accenti infidi;

se di novello affetto,

che vi s'annidi in petto,

scherzo la mia costanza, empia, pensate,

o quanto v'ingannate;

naufrago in mar d'amore

se ben langue 'l mio core,

mentre della ragion splendon le stelle,

sa schivar le procelle;

tra le sirti d'inganno

su su dunque cor mio non anco assorto

fuggi le scille, e ti ricovra in porto.

Leandro ->

 

Scena ventesima

Isabella.

 

 

Lassa, che fo? Che veggio?  

Sogno, veglio, o vaneggio?

Voi d'amoroso foco

accesi spirti miei,

dalla fede dell'alma,

onde morte trionfi, omai partite,

se mi fugge il mio ben, da me fuggite.

 

Lungi dall'idol mio  

sfortunati pensieri

che volete ch'io speri?

Con mentito gioir

il mio vero martir più non tradite;

se mi fugge 'l mio ben, da me fuggite.

Dal mio seno infelice

che bramate, affannati

amori disperati?

Consolando 'l mio cor,

fugati dal dolor, mesti languite;

se mi fugge 'l mio ben, da me fuggite.

 

Scena ventunesima

Flavio, Isabella.

<- Flavio

 

FLAVIO

E pur del vostro volto  

su l'amoroso cielo,

finora, o cara, a' miei pensier rubelle,

d'ogni più lieto aspetto

prodighe vengo a rimirar le stelle.

ISABELLA

Flavio, senza speranza

chi nudre amore in sen, di senno è privo.

FLAVIO

Perché spero, sol vivo.

ISABELLA

Cada nel vostro petto

dal mio sdegno immortal vinto l'affetto.

FLAVIO

Che 'ncostanza!

ISABELLA

È fermezza.

FLAVIO

Or mi brama, or mi sprezza.

ISABELLA

Sempre oggetto di morte

fummi il vostro sembiante.

FLAVIO

Sì, ma benigna sorte

di me vi fece palesare amante.

ISABELLA

Che temerario orgoglio!

Mente ch'il dice.

FLAVIO

È veritiero un foglio.

ISABELLA

Che dite?

FLAVIO

I vostri ardori

uniformi conferma a' miei desiri.

ISABELLA

Flavio, adesso v'intendo; i vostri amori

son cangiati in deliri.

Isabella ->

 

Scena ventiduesima

Flavio.

 

Pur tropp'è vero,  

per cruda beltà

il nudo arciero se penar ci fa,

dal nodo di ragione, alle sue voglie

mentre ci lega 'l seno, il senno scioglie.

Quel cor ch'adoro

con sincera fé,

sempre languendo, se non ha mercé,

fiero amor, se non fugge i propri mali,

posegli i dardi al seno, e al senno l'ali.

Sfondo schermo () ()

Flavio ->

 

Scena ventitreesima

Desso, Bruscolo.

<- Desso, Bruscolo

 

BRUSCOLO

Niente di più pretendo,  

mille grazie ti rendo.

Per dovunque tu voglia, in ogni lato

la Tancia troverai

pronta ad amarti, ora che sei incantato.

DESSO

Ma do, do, do, do, do, dov'è la cesta?

BRUSCOLO

Il folletto cortese,

per torti la fatica,

in mano al tuo signor l'ha consegnata.

DESSO

Oh che gente garbata!

BRUSCOLO

Fin qui cammina bene:

Desso, ti sono schiavo.

DESSO

In ricompensa

di quanto per me fa, la sua persona

è d'affronti sicura,

tutta, tutta, è per lui la mi, mi, mi, mi,

la mi, mi, mi, mi, mi, la mia bravura.

Desso, Bruscolo ->

 

Scena ventiquattresima

Gora.

<- Gora

 

Povertade e vecchiezza? O quest'è troppo.  

Crudo ciel pur sei contento

di rapirmi ogni tesoro;

delle chiome è perso l'oro,

nella borsa non ho argento;

se fuggita la bellezza,

senza scorta di ricchezza,

quest'età

per corso natural a cader va,

sol per precipitar trova ogn'intoppo.

Povertade, e vecchiezza? O quest'è troppo.

Non bastava empio destino,

del mio mal non mai satollo,

torre a' labri 'l bel rubino,

ch'i monil togliesti al collo,

se sparita la vaghezza,

senza scorta di ricchezza

quets'età

per corso naturale a cader va,

corre a precipitarsi di galoppo.

Povertade e vecchiezza? O quest'è troppo.

 

Scena venticinquesima

Bruscolo, Gora.

<- Bruscolo

 

BRUSCOLO

L'incontro è fortunato;  

Gora, che fate?

GORA

Piango

le mie sventure.

BRUSCOLO

Almeno,

perch'io possa giovarvi,

ditemi la cagione.

GORA

L'asin del mio padrone,

dopo una servitù

nella mia gioventù di ben trent'anni,

e la Tancia, e la Lisa

perch'io conduca a onore

non vuol prestarmi un soldo. O guarda affanni!

BRUSCOLO

Né vi manca ch'argento?

GORA

E ti par poco?

BRUSCOLO

Delle vaste miniere

dell'adusto Perù,

farò, che Belzebù

vi dia l'oro in potere.

GORA

Dio me ne guardi; l'ho per ricevuto,

come c'entra peccato, io lo rifiuto.

A chi vive con fede,

o tardi, o accio, so che 'l ciel provvede.

BRUSCOLO

Parlai per farvi bene;

se non ebbi fortuna,

pazienza, addio.

GORA

Deh senti;

ma dato, e non concesso,

ch'io ci volga il pensiero,

riuscirà poi vero?

BRUSCOLO

Il temerne è pazzia.

GORA

Sol per veder s'io ti trovo in bugia,

ma non già per errare,

ho voglia di provare.

BRUSCOLO

Per Macone vi giuro

che l'incanto è sicuro.

GORA

Quando avrai le monete?

BRUSCOLO

Pria, che 'l sol vadi a sotto; or che direte?

GORA

Comanda ancora a me.

BRUSCOLO

(Qui l'aspettavo.)

Vorrei così ad un tratto,

quando vi venga fatto,

che di Leandro agli amorosi affetti

voi piegassi Isabella.

GORA

Se a praticarti duro,

io mi danno sicuro.

Troppo innanzi sei corso,

ci ho un tantin di rimorso.

BRUSCOLO

È modesto l'amore,

la desidera sposa.

GORA

Eh, non può stare;

non ha pan da mangiare.

BRUSCOLO

Nella dote confida.

GORA

Bisogna pur ch'io rida: egli non sa

che quel che piglia donna per bisogno

di molesti pensieri

s'aggrava il capo per necessità.

BRUSCOLO

Non pensate tant'oltre.

GORA

Chi va per la via retta,

vuol la coscienza netta.

BRUSCOLO

Se l'intenzione è buona,

gli errori inavveduti il ciel perdona.

GORA

La ragione è potente.

BRUSCOLO

Che dite?

GORA

Io t'avrò a cuore;

addio.

BRUSCOLO

Resto contento.

GORA

Sarà moneta d'oro, o pur d'argento?

BRUSCOLO

Doppie nuove.

GORA

T'ho inteso.

BRUSCOLO

Grand'avarizia!

GORA

Ma saran di peso?

BRUSCOLO

Che pazienza! squisite.

GORA

Io mi ti raccomando.

BRUSCOLO

È pensier mio.

GORA

Non sian di contrabbando,

e di stampa corrente.

BRUSCOLO

A' nostri guai

corrono sì, che non s'arriva mai.

Gora, Bruscolo ->

 
 

Scena ventiseiesima

Notte.
Piazza del borgo di Colognole con la veduta della potesteria, prigione, e portici, e casa del Potestà.
Leandro, coro di Musici, truppa di Soldati e Contadini.

 Q 

Leandro, musici, soldati, contadini

 

LEANDRO E CORO

Sotto notturno cielo  

d'una fede tradita

al flebil suon d'armoniosi accenti

all'aure risonar fate i lamenti;

d'una bella infedele

rimproverate l'incostanza; e intanto

alle lagrime mie s'adegui 'l canto.

 
Qui suonano una sinfonia.
 

Scena ventisettesima

Anselmo a un finestrino, Leandro, coro di Musici, truppa di Soldati.

<- Anselmo

 

ANSELMO

Così mezzo tra 'l sonno  

m'è parso di sentir un bisbiglio;

voglio chiarirmi, e poi

gli aggiusterò ben io.

DUE DEL CORO

Di Nereo cerulee l'onde

tra le spume

fur feconde.

Di quel nume

di Citera sul lido,

che produsse 'l bel Cupido.

ANSELMO

Son chiaro; in fede mia,

quest'è una serenata;

né si rispetta la potesteria?

UNO DEL CORO

Delle rapide piume

di quell'alato arciero,

che 'n mezzo a' rai dell'una e l'altra stella

della vaga Isabella

vanta 'l suo vasto impero,

ha più mobil l'infida il suo pensiero.

ANSELMO

Canton per mia figliuola? O quest'è il caso,

furbacci, adesso, adesso

mi leverò le mosche intorno al naso.

(parte)

Anselmo ->

 

TRE DEL CORO

Placida Teti,

tra' suoi tesori

alletta i cori;

ma sovra i curvi abeti,

perché fede non ha,

ogni cor avido,

fattosi pavido,

fugge la sua beltà.

 

Scena ventottesima

Leandro, coro di Musici, truppa di Soldati, Contadini, Anselmo su la porta, truppa di Sbirri.

<- Anselmo, sbirri

 

ANSELMO

Olà, olà, famigli,  

correte su, correte,

ognun di lor si pigli,

si mettino in segrete.

 
Qui segue un abbattimento tra' Soldati e gli Sbirri, e finisce l'atto primo.
 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Villaggio di Colognole con la veduta di varie ville.

Isabella, Lisa
 

Ben cento volte, e cento

Lisa
Isabella ->

Ah pur troppo il conosco

Lisa ->
<- Ciapo, Flavio

Padrone gli annual vanno sì magheri

Flavio
Ciapo ->
Flavio
<- Lisa

Ecco Leandro; ah no

Flavio
Lisa ->

Ad aprir questa carta

Flavio
<- Leandro

Flavio, tanto veloce?

Leandro
Flavio ->

Così dunque, crudele

Leandro ->
<- Tancia

S'io miro il volto del mio bel Ciapino

Tancia
<- Isabella

Verde prato, se fremente

Tancia
Isabella ->

Non c'è da ficcar chiodo

Tancia
<- Desso

Sorte mia, se la natura

Tancia, Desso
<- Ciapo

(Ciapo rimane in disparte)

Di vetta a quel burrone

(Ciapo si rivela)

Meschina a mene, ecco Ciapino

Desso
Tancia, Ciapo ->

Tu me la pagherai

Desso
<- Bruscolo

Tolga a me l'oro e l'argento

Bruscolo
Desso ->
Bruscolo
<- Desso
Desso, Bruscolo ->
<- Leandro
Leandro
<- Isabella

Leandro? / Ingrata!

Isabella
Leandro ->

Lassa, che fo? Che veggio?

Isabella
<- Flavio

E pur del vostro volto

Flavio
Isabella ->
Flavio ->
<- Desso, Bruscolo

Niente di più pretendo

Desso, Bruscolo ->
<- Gora
Gora
<- Bruscolo

L'incontro è fortunato

Gora, Bruscolo ->

Notte; piazza nel borgo di Colognole con la veduta della potesteria, prigione, e portici e casa del podestà.

Leandro, musici, soldati, contadini
 
Leandro e Coro
Sotto notturno cielo

(qui suonano una sinfonia)

Leandro, musici, soldati, contadini
<- Anselmo

(Anselmo a un finestrino)

Leandro, musici, soldati, contadini
Anselmo ->
 
Leandro, musici, soldati, contadini
<- Anselmo, sbirri

(abbattimento tra soldati e sbirri)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Scena ventesima Scena ventunesima Scena ventiduesima Scena ventitreesima Scena ventiquattresima Scena venticinquesima Scena ventiseiesima Scena ventisettesima Scena ventottesima
Villaggio di Colognole con la veduta di varie ville. Notte; piazza nel borgo di Colognole con la veduta della potesteria, prigione, e portici e casa del podestà. Potesteria. Boschetto nel villaggio di Colognole. Prato d'intorno alla villa di Flavio. Campagna con veduta di fontane. Notte; pianura spaziosa con torre antica. Borgo con la potesteria. Fiera su per la piazza di Colognole con varie mercanzie.
Atto secondo Atto terzo

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