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IL POTESTÀ DI COLOGNOLE
Dramma civile rusticale.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Giovanni Andrea MONIGLIA.
Musica di Jacopo MELANI.
Prima esecuzione: 5 febbraio 1657, Firenze.
Personaggi:
ANSELMO potestà di Colognole, padre di Isabella |
contralto |
ISABELLA |
soprano |
CREZIA bambina tenuta in casa di Anselmo |
altro |
GORA vecchia nutrice d'Isabella, madre della Tancia |
altro |
TANCIA |
soprano |
Leonora, sotto nome di LISA creduta sorella della Tancia e figliuola della Gora, ma veramente figliuola di Odoardo |
contralto |
ODOARDO giudice del potestà |
tenore |
DESSO tartaglia gobbo servitore d'Anselmo |
tenore |
LEANDRO |
tenore |
BRUSCOLO servitore di Leandro |
tenore |
FLAVIO |
basso |
CIAPO contadino di Flavio |
altro |
MORO monello |
altro |
Coro di Musici.
Truppe di Sbirri. - Truppa di Contadini soldati del paese.
Truppe di più Personaggi nella fiera.
Truppe di Contadini sul prato della villa di Flavio.
Ballo di Contadini, e Contadine.
Il dramma si rappresenta nel villaggio di Colognole.
Prefazione
Questo dramma civile rusticale fu il primo componimento giocoso, che uscisse dalla penna del suo autore, e lo compose per comandamento del serenissimo principe cardinale Giovanni Carlo de' Medici suo signore. Ebbe la fortuna d'esser rappresentato nell'apertura del sontuosissimo Teatro de' signori accademici Immobili sotto la protezione della medesima a. rev.; egli sortì tanto aggradimento, che gli restò per sempre il nome del Famoso potestà di Colognole; e non si recita commedia in qualunque genere in Firenze, che non se ne rinnovi la memoria, come del più giocondo, e più dilettevole dramma che udito vi si sia. Lo mise in musica il signor Jacopo Melani, del quale parla gloriosamente la fama; fu accompagnato da vaghi e ricchi adornamenti, balletti, abbattimenti, varietà di scene, con la veduta rappresentativa d'una fiera così numerosa di popolo, di botteghe d'ogni sorte di mercanzie, che rapiva gli occhi, e l'animo de' circostanti; le recite furono molte, e molte con un concorso pienissimo più una volta che l'altra, non solamente di persone della città e dello stato tutto, ma eziandio di paesi lontani, contribuendo molto all'applauso la somma virtù, e grazia de i recitanti. Ma perché in qualsisia genere di rappresentazione, l'osservare il costume del personaggio che s'introduce tanto nel parlare, che nell'operazioni, è 'l maggiore obbligo che sia imposto dalle buone regole della poetica a quei tali, che di ben comporre s'industriano, onde loro la più difficile fatica risulta, incontrerannosi nel leggere questo dramma molte voci proprie a i contadini delle nostre ville, le quali non saranno intese da chi non è nativo di Firenze, però si è stimato molto a proposito per facilitarne l'intelligenza, porre nel fine del dramma la dichiarazione non solamente de i vocaboli ma de i proverbi ancora, e dettati rusticali.
Il presente componimento scenico è stato rappresentato in diversi luoghi. Fu replicato in Firenze alla venuta del serenissimo arciduca Ferdinando Carlo d'Austria nel Teatro de' signori accademici Infuocati, in Bologna, in Pisa, ed in altre città della Toscana.
Argomento
Anselmo Giannozzi cittadino fiorentino, essendo potestà in Colognole, aveva seco condotto Isabella sua figliuola unica, della quale invaghitosi Leandro, giovane d'onesta nascita, ardentemente desiderava le di lei nozze, ma per esser'egli povero, Anselmo non v'acconsentì fin tanto, che per le bizzarre invenzioni di Bruscolo, servo di Leandro, non si dette a credere (essendo vecchio, e semplice, e avaro) che Leandro fosse oltre misura facoltoso sopra ogni altro gentiluomo della sua patria.
Villaggio di Colognole con la veduta di varie ville d'ogni intorno.
Isabella, Lisa.
ISABELLA
Son le piume acuti strali
ad un sen, nido d'amore.
Del riposo sotto l'ali
non ha quiete 'l suo dolore;
misera star non ponno
quest'occhi aperti al pianto, e chiusi al sonno.
LISA
Che stravaganza è questa?
pria che spunti l'aurora,
come vi siate desta?
Oh che strani capricci,
casca la guazza ancora,
torniamo a casa, che ci guasta i ricci.
ISABELLA
Messaggiera fedele
d'una carta amorosa,
che nel suo nero esprime
d'una candida fé note loquaci,
vanne a Leandro mio,
prendi, parti, ritorna; osserva, e taci.
LISA
Ben cento volte, e cento
il vostro genitor tutto adirato
vietovvi amar costui; deh vi sovvenga
che beffarsi del padre è gran peccato.
Pigliate il foglio.
ISABELLA
Eh Lisa
non hai provato amore,
se le colpe in amor danni, e correggi;
tiranneggiando un core,
vuol soggetto ogn'impero alle sue leggi;
vanne a Leandro.
LISA
Appena
son tre giorni, che venni
(benché nata in paese)
da nov'anni finiti ad abitarlo;
che bambina mi prese
vostro padre, e con voi
(lo rimeriti il ciel) fece allevarmi;
Leandro io non conosco.
ISABELLA
Aurate chiome,
nere pupille porta il mio tesoro,
e nel ciel del suo volto
vibran soli notturni i raggi d'oro,
pendon vermiglie piume
da' crini suoi fregio d'alati arcieri,
onde volano accesi i miei pensieri.
Ivi l'attendi, e vedi
de' suoi be' lumi al gemino splendore,
che da più vaga sfera
partir non puote un amoroso ardore.
Lisa.
Ah pur troppo il conosco,
lo vidi, ed in un tratto
arsi per lui; se crede
Isabella ch'io porti
questa carta, s'inganna; no alla fé;
dar non mi voglio la scure sul piè.
Se nacqui contadina,
ho genio a farmi nobile;
forse 'l ciel mi destina
a miglior sorte, ché fortuna è mobile;
nel scoprire a Leandro
il mio sincero affetto,
libera vo' parlar senza rispetto.
Se d'amor un cor legato
è soggetto alla vergogna,
per morirsi disperato,
altro mal non gli bisogna.
Se Cupido cieco sta,
i rossori non apprezza;
la modestia fugge, e sprezza,
mentre sempre nudo va;
tenta in van chi presume
di far onesto un nume,
ché per dolce fallire al mondo è nato.
Se d'amor un cor legato
è soggetto alla vergogna,
per morirsi disperato,
altro mal non gli bisogna.
Ciapo, Flavio.
CIAPO
Padrone gli annual vanno sì magheri,
ch'io son tutto sgomento.
Il grano è pretto golpe, e poi nell'orto
s'enno perso i carcioferi, e gli spagheri;
non mignola un ulivo,
chi non ha 'l cor di preta
non puote star giulivo.
FLAVIO
Lascia 'l dolerti, attendi
a ben servirmi, il cielo
per me non fassi avaro;
io bramo sovvenirti, e che paventi?
Ma dimmi, come suole
Isabella il mio sole
spesso vagar per questi prati?
CIAPO
Uh, uhi,
o sur'el ciuco, o a piede,
che, chene su quest'aia
da imo a sommo valicar si vede.
FLAVIO
Le parli?
CIAPO
O signor fine,
l'è dignevole, e brulla.
FLAVIO
Ed in che tempo
suol qui portarsi?
CIAPO
Fate,
fatevi conto la ci viene a ugni otta.
FLAVIO
Vanne, e sagace osserva
quando di casa parta; indi a me torna
con dirmi ove soggiorna.
CIAPO
Ecc'un sovvallo
per mezzo die mi sciopera,
e vammi sotto un'opera.
Flavio.
Benché certo di morire,
pur scoprire
voglio 'l duol sin'or celato:
bocca chiusa e cor piagato
son la morte del gioire.
S'io vi provo severe, o luci belle,
di me potrete dire,
aspirando alle stelle,
fortuna ti mancò, ma non ardire.
Benché certo di morire,
pur scoprire
voglio 'l duol fin'or celato;
bocca chiusa e cor piagato
son la morte del gioire.
Lisa, Flavio.
LISA
Ecco Leandro; ah no; ben l'assomiglia;
bionde chiome, occhio nero,
penna rossa al cappello,
la fortuna m'aiuta,
dirò scambiato aver questo da quello.
Signor, pigliate.
FLAVIO
E chi la carta invia?
LISA
La signora Isabella.
FLAVIO
E che m'impone?
LISA
Legga vosignoria.
FLAVIO
Prendi.
(le dà un maniglio)
LISA
Troppo favore;
io me lo goderò per vostro amore.
Flavio.
Ad aprir questa carta,
se fervido desio mie brame appresta
pavido gelo i miei pensieri arresta.
Leggasi, che più tardo? O fortunate
sparse lacrime mie,
se nel seno di lei pietà trovate.
Con amorosi accenti a sé mi chiama,
cor mio, che più si brama?
Flavio, Leandro.
LEANDRO
Flavio, tanto veloce?
FLAVIO
Leandro mio godete,
se di salda amicizia a voi mi stringe
indissolubil nodo,
godete, mentre io godo.
LEANDRO
Palesatemi, o caro,
onde gioia maggior tragga 'l mio petto,
la cagion del diletto.
FLAVIO
In fin pietosa
in dovuta mercede
alla mia pura fede
corrispondente amor dona Isabella;
con queste note a sé ratto mi chiama,
cor mio, che più si brama?
LEANDRO
Perfida lessi, e spiro?
Vivano i vostri affetti,
quali a voi gli desio.
FLAVIO
Godete a' miei diletti; amico, addio.
Leandro.
Così dunque, crudele,
oltraggi chi t'adora?
O d'un'alma infedele
tropp'altero rigore,
se spergiura d'amore
vanti tua ferità ne' miei tormenti,
di soavi contenti
co' finti detti tuoi
a che bearmi 'l seno?
Bella tiranna, vuoi,
t'intendo sì, che sia
colma d'affanni ognor l'anima mia,
più dolente in soffrire
dopo un finto goder vero martire.
Sovra 'l banco di speranza
mentre fido i miei contenti,
con moneta di tormenti
cambia amor la mia costanza.
Deh guarda, mio cor,
nelle fiere d'amor poco scaltrito,
chi troppo crede, al fin resta fallito.
Tancia.
S'io miro il volto del mio bel Ciapino,
parmi vedere il ciel d'amore in terra,
s'io non veggo, vonne a capo chino.
Dentro al mio cuore ho un trambustio di guerra,
egli ha filosomia di cittadino,
tante le cilimonie in sé rasserra.
Egli è un anno, e piue, che mi gaveggia,
e vuommi ben da vero, e non dileggia.
Ho pur la poca voglia
di lagorare, e s'io l'ho a dire schietta,
l'amor sì mi trascina,
che da sera a mattina
mi tiene scioperata;
da quella serenata,
che Ciapino m'ha fatto,
emmisi fitto a un tratto
il mal nemico addosso,
io ho più spine al petto, ch'un rosaio,
e più punture, che non ha un vespaio.
Ma la padrona viene,
voglio studiarmi un poco; io la vo' dire,
lagoro a mal'incorpo; il contadino,
perché 'n giolito viva il cittadino,
dura fatica per impoverire.
Isabella, Tancia.
ISABELLA
Verde prato, se fremente
il rigor d'austro nemboso
ogni pompa a te rapì,
mentre april sparse ridente
d'erbe e fior nembo odoroso,
di smeraldo t'arricchì;
tra 'l gioir,
tra 'l languir natura è instabile,
sol il tormento mio non è mutabile.
TANCIA
Il ciel vi salvi, e guati.
ISABELLA
È tornata Lisetta?
TANCIA
Signora none; uh l'è pur ben'affetta!
ISABELLA
Che vai facendo?
TANCIA
Poco,
per aver manco; che gammurra! ell'ene
tutta tutta d'ariento; e quei capegli,
cappizzi, gli enno begli;
dio ve la dia a godere
questa vesta sfoggiata;
fan pur il bel vedere
que' cappi rossi, e gialli
messi per tutto uguali!
In fatti que' coralli
paion corbezzoloni madornali.
ISABELLA
Lunge da gemme, ed ori,
anelante 'l mio core
della tua povertà brama i tesori.
TANCIA
Non ve lo credo affene,
ché chi non ha, non ene.
ISABELLA
Mendicando ristoro
all'amoroso affanno,
povera di gioir, ricca di pene,
lagrimar mi conviene,
mentre del viver mio troncan lo stame
d'avaro genitor l'accese brame.
TANCIA
A dir v'avete lie
anco 'l damo rattratto?
Egli è desso maniato;
in così poco lato
bigna pur che stia scomido.
ISABELLA
A' miei veri dolori
porgon lieve conforto
questi finti colori.
TANCIA
Io mi strabilio; e come
ci s'egli fitto?
ISABELLA
Tancia,
dimmi, vorresti aver così Ciapino?
TANCIA
Il ciel me ne deliberi,
ch'arei a far d'un damo sì piccino?
Sentite: il popol vuole,
e buzzica gagliardo,
che questo vostro damo
(ma fiasi per non detto)
abbia grand'amistà con Macometto.
ISABELLA
Eh, che son bizzarrie.
TANCIA
Dico ell'enno malie.
Chi lo fa me' di mene,
di su le veglie per virtù d'ancanti
delle fanciulle fa sparir che chene;
la Tonia è viva, e verde,
la stiè un mese smarrita,
e per la gran pagura,
quand'a casa tornoe rimescolata,
la s'ebbe a medicar per uppilata.
Abbiateci avvertenzia,
acciò, che quest'amore
non faccia progiudizio alla scoscienzia.
ISABELLA
E non t'avvedi ancora,
che del mio ben nel volto
splende sotto uman velo
raggio divino accolto,
e non s'uniron mai l'inferno, e 'l cielo?
Tancia.
Non c'è da ficcar chiodo,
predica quanto vuoi,
la l'intende a suo modo;
se non fa ben, ch'io rucoli;
amor è cosa dolce quanto 'l mele,
ma se c'entran gli scrupoli,
doventa amaro più, che assenzio e fiele.
Desso, Tancia.
DESSO
Sorte mia, se la natura
mi stampò leggiadro, e snello,
di sì nobile fattura
ruppe subito il modello;
simile a mia beltà
non ci fu, né ci, ci, ci.
TANCIA
Adesso crepa.
DESSO
Né ci.
TANCIA
Il più scondito di costui.
DESSO
Né ci, ci.
TANCIA
A cercar ogni villa, ogni città,
non fu nel mondo mai.
DESSO
Né ci sarà.
TANCIA
O bene.
DESSO
E certo bene
parlai, ma se talora
ste, ste, stento un pochetto
esplicando il concetto,
è la facondia mia, che 'n un viluppo
mille parole scocca,
che poi tutte furiose
fanno agli urtoni nell'uscir di bocca.
TANCIA
Vo' dargli un po' di baia
con farlo cinguettare.
DESSO
Allora, o Tancia,
che volse la fortuna,
ch'io girassi a te, te,
TANCIA
Ho pur preso lo scrocchio.
DESSO
a te, te, te, te, te, te,
TANCIA
Che ti caschi la lingua.
DESSO
a te, te, un occhio,
subito fece amore
nella galera sua schiavo il mio core.
Ciapo, Tancia, Desso.
CIAPO
Di vetta a quel burrone
io vidi pur, che gli erino.
TANCIA
Vo' dargli un po' di pasto.
CIAPO
Soppiatto nel macchione
vo' sentir ciò, che dichino.
TANCIA
Io non son vostra pari,
ed il mio cuor sta affritto,
al fin farae quel che nel cielo è scritto.
Per mene io v'amoroe,
affin che fiato avroe,
e la mia fede è schietta.
CIAPO
Deh, rozza malidetta.
DESSO
Labbri leggiadri,
occhiucci ladri,
non bramo più;
dal sen, che struggesi,
quest'alma fuggesi,
prendila tu.
TANCIA
Mi vuoi tu ben da vero?
DESSO
E ben ragione
cor mio, amando me,
che brami ancor'io sì,
io sì, sì, sì.
CIAPO
Non ci vo' più star sotto.
TANCIA
Meschina a mene, ecco Ciapino.
DESSO
Sì, sì.
CIAPO
Io vo' fare una sciarra.
DESSO
Io sì, sì, sì.
CIAPO
Ti tengo per un furbo, intendi eh?
DESSO
Io sì, sì, sì, io similmente te.
CIAPO
Son galantuomo, sai?
DESSO
E con chi, chi, chi l'hai?
TANCIA
Gli ha preso pelo.
CIAPO
E che sì, ch'io lo sdruco;
i la mastuco male, i la mastuco;
é me', ch'io me la colga.
TANCIA
Addio signore.
DESSO
Che bisbiglia costui?
CIAPO
La nostra signoria
rest'è in palazzo per servir la vostra.
TANCIA
Mostra, Ciapino, mostra:
tu 'ngrugni eh costolone?
CIAPO
Non ho io l'accasione?
TANCIA
Signore con licenza:
odi, se ti sei sdegno,
perch'io parlavo seco,
fa' pur la pace meco,
perch'io brullavo.
CIAPO
O come,
come la sta cosine,
non c'enno più ruvine.
TANCIA
Desso, totela in pace,
sei vago e bello, è vero;
ma però più di te Ciapin mi piace.
CIAPO
Totene pur lo 'mpaccio,
che quest'è per mio piatto; addio, gobbaccio.
Desso.
Tu me la pagherai;
s'io son gobbo, e tu brutto, a tutti due
ha fatto la natura un grave oltraggio,
a me sopra le spalle, a te ne, ne, ne,
Bruscolo, Desso.
BRUSCOLO
Tolga a me l'oro e l'argento,
DESSO
a te, ne, ne, ne,
BRUSCOLO
di fortuna 'l fiero sdegno,
DESSO
a te, ne, ne, ne,
BRUSCOLO
fin che 'n testa chiudo ingegno,
DESSO
a te, ne, ne, ne,
BRUSCOLO
non tem'io morir di stento,
DESSO
a te, ne, ne, ne,
BRUSCOLO
pazz'è ben chi non fa con modi scaltri,
DESSO
a te, ne, ne, ne,
BRUSCOLO
quando non ha del suo, tor di quel d'altri.
DESSO
a te, ne, ne, ne,
BRUSCOLO
Desso.
Che fai?
DESSO
ne, ne,
BRUSCOLO
Che stento!
Quanto mi muove a riso!
DESSO
a te, ne, ne, ne, ne, ne,
BRUSCOLO
Che ti venga la rabbia.
DESSO
A te nel viso.
Bruscolo, adess'è tempo d'aiutarmi.
BRUSCOLO
Bel modo di pregarmi!
che t'occorre?
DESSO
Poc'anzi
la Ta, Ta, Ta,
BRUSCOLO
Ta, Ta, Ta,
DESSO E BRUSCOLO
la Ta, Tarata, Ta, Ta,
(Bruscolo burlando sul Ta, Ta, suona la tromba)
BRUSCOLO
O che spasso.
DESSO
la Tancia
appunto in questo lato
m'ha ben co, co, co, co,
BRUSCOLO
Che dirai?
DESSO
con bel modo
tirato su, credendo,
che di me viva amante,
e poi ma ba, ba, ba, ba,
ba, ba, ba, ba,
BRUSCOLO
Che t'ha?
DESSO
ma ba, ba, ba,
BRUSCOLO
Baciato?
DESSO
oibò, ma ba, ba, ba, ba,
BRUSCOLO
Bastonato?
DESSO
né meno, ma ba, basta;
son qui per vendicarmi;
e poi con un villano
ridendo si partì presa per mano.
BRUSCOLO
O che semplicità!
Lasciar tanta beltà? Ma per tuo bene,
che far dev'io?
DESSO
Bisogna,
che tu con il demonio
spinga costei, che meco
faccia un indiavolato matrimonio.
BRUSCOLO
Sempre qualche merlotto
intoppa nella rete: oggi vedrai,
per gran virtù di magica fattura,
prodigi di natura.
Ma che robe son queste?
DESSO
Il mio padrone,
il potestà del luogo,
per un par di galline
che spe, spesso dà il torto a chi ha ragione,
dianzi mandommi in fretta
su pe, pe, pe, pe, pe, per questi colli,
dove pose sentenze a mieter polli.
BRUSCOLO
Affé, s'io non m'inganno
questi alle gotte sue mal non faranno.
Ma per formar l'incanto,
entriamo in casa.
DESSO
Aspetta.
BRUSCOLO
Che fai?
DESSO
Piglio la cesta.
BRUSCOLO
Di che temi?
Un folletto n'ha cura;
lo vuoi veder?
DESSO
No, no, mi fi, fi, fido,
e tremo di paura.
BRUSCOLO
Entra.
DESSO
Tu, tu,
BRUSCOLO
Passa.
DESSO
tu,
tu, tu, tu, tu,
BRUSCOLO
Va' dentro.
DESSO
tu, tu,
BRUSCOLO
Scoppia.
DESSO
Tu prima.
BRUSCOLO
Adesso vengo.
DESSO
E io ta, ta,
BRUSCOLO
O come
giunge a tempo il sovvallo! Un affamato
se ruba per campar, non fa peccato.
Bruscolo.
L'uom, che per necessità
di mangiar toglie al compagno,
l'elemosina si fa;
se del ciel fassi guadagno,
quando al prossimo si giova,
vedesi ben a prova il merto espresso,
non s'ha prossimo suo più che sé stesso;
mi perdoni 'l potestà,
s'io mi fo la carità.
L'uom, che per necessità
di campar toglie al compagno,
l'elemosina si fa.
Desso, Bruscolo.
DESSO
e io ta, ta, ta, ta, t'aspetto qua.
Leandro.
In grembo a Dori,
tremula l'onda,
d'austro a' rigori
mobile fronda
vantisi pur costante,
più che fermezza in sen di donna amante.
Del tempo alato
rapido piede,
d'Egeo sdegnato
volubil fede,
vantisi pur costante,
più che fermezza in sen di donna amante.
Isabella, Leandro.
ISABELLA
Leandro?
LEANDRO
Ingrata!
ISABELLA
E quali
avvelenati strali
vibra la vostra bocca?
LEANDRO
Perfida sempre scocca
da quei labbri mendaci,
sirena lusinghiera, accenti infidi;
se di novello affetto,
che vi s'annidi in petto,
scherzo la mia costanza, empia, pensate,
o quanto v'ingannate;
naufrago in mar d'amore
se ben langue 'l mio core,
mentre della ragion splendon le stelle,
sa schivar le procelle;
tra le sirti d'inganno
su su dunque cor mio non anco assorto
fuggi le scille, e ti ricovra in porto.
Isabella.
Lassa, che fo? Che veggio?
Sogno, veglio, o vaneggio?
Voi d'amoroso foco
accesi spirti miei,
dalla fede dell'alma,
onde morte trionfi, omai partite,
se mi fugge il mio ben, da me fuggite.
Lungi dall'idol mio
sfortunati pensieri
che volete ch'io speri?
Con mentito gioir
il mio vero martir più non tradite;
se mi fugge 'l mio ben, da me fuggite.
Dal mio seno infelice
che bramate, affannati
amori disperati?
Consolando 'l mio cor,
fugati dal dolor, mesti languite;
se mi fugge 'l mio ben, da me fuggite.
Flavio, Isabella.
FLAVIO
E pur del vostro volto
su l'amoroso cielo,
finora, o cara, a' miei pensier rubelle,
d'ogni più lieto aspetto
prodighe vengo a rimirar le stelle.
ISABELLA
Flavio, senza speranza
chi nudre amore in sen, di senno è privo.
FLAVIO
Perché spero, sol vivo.
ISABELLA
Cada nel vostro petto
dal mio sdegno immortal vinto l'affetto.
FLAVIO
Che 'ncostanza!
ISABELLA
È fermezza.
FLAVIO
Or mi brama, or mi sprezza.
ISABELLA
Sempre oggetto di morte
fummi il vostro sembiante.
FLAVIO
Sì, ma benigna sorte
di me vi fece palesare amante.
ISABELLA
Che temerario orgoglio!
Mente ch'il dice.
FLAVIO
È veritiero un foglio.
ISABELLA
Che dite?
FLAVIO
I vostri ardori
uniformi conferma a' miei desiri.
ISABELLA
Flavio, adesso v'intendo; i vostri amori
son cangiati in deliri.
Flavio.
Pur tropp'è vero,
per cruda beltà
il nudo arciero se penar ci fa,
dal nodo di ragione, alle sue voglie
mentre ci lega 'l seno, il senno scioglie.
Quel cor ch'adoro
con sincera fé,
sempre languendo, se non ha mercé,
fiero amor, se non fugge i propri mali,
posegli i dardi al seno, e al senno l'ali.
Desso, Bruscolo.
BRUSCOLO
Niente di più pretendo,
mille grazie ti rendo.
Per dovunque tu voglia, in ogni lato
la Tancia troverai
pronta ad amarti, ora che sei incantato.
DESSO
Ma do, do, do, do, do, dov'è la cesta?
BRUSCOLO
Il folletto cortese,
per torti la fatica,
in mano al tuo signor l'ha consegnata.
DESSO
Oh che gente garbata!
BRUSCOLO
Fin qui cammina bene:
Desso, ti sono schiavo.
DESSO
In ricompensa
di quanto per me fa, la sua persona
è d'affronti sicura,
tutta, tutta, è per lui la mi, mi, mi, mi,
la mi, mi, mi, mi, mi, la mia bravura.
Gora.
Povertade e vecchiezza? O quest'è troppo.
Crudo ciel pur sei contento
di rapirmi ogni tesoro;
delle chiome è perso l'oro,
nella borsa non ho argento;
se fuggita la bellezza,
senza scorta di ricchezza,
quest'età
per corso natural a cader va,
sol per precipitar trova ogn'intoppo.
Povertade, e vecchiezza? O quest'è troppo.
Non bastava empio destino,
del mio mal non mai satollo,
torre a' labri 'l bel rubino,
ch'i monil togliesti al collo,
se sparita la vaghezza,
senza scorta di ricchezza
quets'età
per corso naturale a cader va,
corre a precipitarsi di galoppo.
Povertade e vecchiezza? O quest'è troppo.
Bruscolo, Gora.
BRUSCOLO
L'incontro è fortunato;
Gora, che fate?
GORA
Piango
le mie sventure.
BRUSCOLO
Almeno,
perch'io possa giovarvi,
ditemi la cagione.
GORA
L'asin del mio padrone,
dopo una servitù
nella mia gioventù di ben trent'anni,
e la Tancia, e la Lisa
perch'io conduca a onore
non vuol prestarmi un soldo. O guarda affanni!
BRUSCOLO
Né vi manca ch'argento?
GORA
E ti par poco?
BRUSCOLO
Delle vaste miniere
dell'adusto Perù,
farò, che Belzebù
vi dia l'oro in potere.
GORA
Dio me ne guardi; l'ho per ricevuto,
come c'entra peccato, io lo rifiuto.
A chi vive con fede,
o tardi, o accio, so che 'l ciel provvede.
BRUSCOLO
Parlai per farvi bene;
se non ebbi fortuna,
pazienza, addio.
GORA
Deh senti;
ma dato, e non concesso,
ch'io ci volga il pensiero,
riuscirà poi vero?
BRUSCOLO
Il temerne è pazzia.
GORA
Sol per veder s'io ti trovo in bugia,
ma non già per errare,
ho voglia di provare.
BRUSCOLO
Per Macone vi giuro
che l'incanto è sicuro.
GORA
Quando avrai le monete?
BRUSCOLO
Pria, che 'l sol vadi a sotto; or che direte?
GORA
Comanda ancora a me.
BRUSCOLO
(Qui l'aspettavo.)
Vorrei così ad un tratto,
quando vi venga fatto,
che di Leandro agli amorosi affetti
voi piegassi Isabella.
GORA
Se a praticarti duro,
io mi danno sicuro.
Troppo innanzi sei corso,
ci ho un tantin di rimorso.
BRUSCOLO
È modesto l'amore,
la desidera sposa.
GORA
Eh, non può stare;
non ha pan da mangiare.
BRUSCOLO
Nella dote confida.
GORA
Bisogna pur ch'io rida: egli non sa
che quel che piglia donna per bisogno
di molesti pensieri
s'aggrava il capo per necessità.
BRUSCOLO
Non pensate tant'oltre.
GORA
Chi va per la via retta,
vuol la coscienza netta.
BRUSCOLO
Se l'intenzione è buona,
gli errori inavveduti il ciel perdona.
GORA
La ragione è potente.
BRUSCOLO
Che dite?
GORA
Io t'avrò a cuore;
addio.
BRUSCOLO
Resto contento.
GORA
Sarà moneta d'oro, o pur d'argento?
BRUSCOLO
Doppie nuove.
GORA
T'ho inteso.
BRUSCOLO
Grand'avarizia!
GORA
Ma saran di peso?
BRUSCOLO
Che pazienza! squisite.
GORA
Io mi ti raccomando.
BRUSCOLO
È pensier mio.
GORA
Non sian di contrabbando,
e di stampa corrente.
BRUSCOLO
A' nostri guai
corrono sì, che non s'arriva mai.
Notte.
Piazza del borgo di Colognole con la veduta della potesteria, prigione, e portici, e casa del Potestà.
Leandro, coro di Musici, truppa di Soldati e Contadini.
LEANDRO E CORO
Sotto notturno cielo
d'una fede tradita
al flebil suon d'armoniosi accenti
all'aure risonar fate i lamenti;
d'una bella infedele
rimproverate l'incostanza; e intanto
alle lagrime mie s'adegui 'l canto.
Qui suonano una sinfonia.
Anselmo a un finestrino, Leandro, coro di Musici, truppa di Soldati.
ANSELMO
Così mezzo tra 'l sonno
m'è parso di sentir un bisbiglio;
voglio chiarirmi, e poi
gli aggiusterò ben io.
DUE DEL CORO
Di Nereo cerulee l'onde
tra le spume
fur feconde.
Di quel nume
di Citera sul lido,
che produsse 'l bel Cupido.
ANSELMO
Son chiaro; in fede mia,
quest'è una serenata;
né si rispetta la potesteria?
UNO DEL CORO
Delle rapide piume
di quell'alato arciero,
che 'n mezzo a' rai dell'una e l'altra stella
della vaga Isabella
vanta 'l suo vasto impero,
ha più mobil l'infida il suo pensiero.
ANSELMO
Canton per mia figliuola? O quest'è il caso,
furbacci, adesso, adesso
mi leverò le mosche intorno al naso.
(parte)
TRE DEL CORO
Placida Teti,
tra' suoi tesori
alletta i cori;
ma sovra i curvi abeti,
perché fede non ha,
ogni cor avido,
fattosi pavido,
fugge la sua beltà.
Leandro, coro di Musici, truppa di Soldati, Contadini, Anselmo su la porta, truppa di Sbirri.
ANSELMO
Olà, olà, famigli,
correte su, correte,
ognun di lor si pigli,
si mettino in segrete.
Qui segue un abbattimento tra' Soldati e gli Sbirri, e finisce l'atto primo.
Anselmo, Odoardo.
ANSELMO
Dovresti avermi inteso,
vo' formarne processo.
ODOARDO
Contro chi?
ANSELMO
Contro loro,
contro i musici.
ODOARDO
E come,
se non c'è noto il nome?
Non l'ammette 'l digesto,
lo proibisce 'l testo.
ANSELMO
Il potestà son io,
la voglio a modo mio, o quest'è bella;
non m'importa né testo, né scodella.
S'hanno a impiccar sicuro.
ODOARDO
Chi?
ANSELMO
Musici in malora.
ODOARDO
I musici chi sono?
ANSELMO
E s'addottora
gente tanto balorda?
I musici son musici.
ODOARDO
Ma dove
posson trovarsi?
ANSELMO
Al luogo
dove i musici stanno.
ODOARDO
Ch'ignoranza inaudita!
ANSELMO
Mandategli a citare.
ODOARDO
Allor, ch'io veda
apparir qualch'indizio,
gli chiamerò in giudizio.
ANSELMO
Questa in vero è garbata;
è dottore, e non sa chi questa notte
fece la serenata.
ODOARDO
Che personaggio egregio
da mandare in governo!
ANSELMO
Parente, voi, e 'l vostro privilegio
siate do buoi, e se nun fusse ch'io
rimedio a vostri errori,
non correrebbe una sentenza retta.
ODOARDO
Così appunto va detta.
ANSELMO
Di castigarli intendo.
ODOARDO
Gli conosceste?
ANSELMO
O buono.
ODOARDO
Dite dunque chi sono?
ANSELMO
Musici, e cento.
ODOARDO
O capo da sassate.
ANSELMO
Quanto v'insegno più, manco imparate.
Oggi di dargli bando
certo mi vo' sgarire.
ODOARDO
In sì crassa ignoranza mi confondo;
bisognerà bandire
la musica dal mondo.
ANSELMO
E né manco l'intende.
ODOARDO
O che pazzia!
Vuol castigare un reo, né sa chi sia.
ANSELMO
Nella sua balordaggine sta sodo.
ODOARDO
È un perdere 'l cervello;
oprate a vostro modo.
Anselmo.
Per tutto questo giorno
non mi venite intorno;
in cambio darmi aiuto, mi dà noia;
so essere a un bisogno
potestà, messo, spia, famiglio e boia.
Ciapo, Anselmo.
CIAPO
Messer 'l ciel vi guati
la vostra signoria,
e la mantenga gaia;
emmi stato qui mando un cavalletto,
che mi dice, ch'io appaia;
io son bell'e apparuto.
ANSELMO
Voi siete il ben venuto;
quest'è in causa de' musici.
CIAPO
L'è fiaba
ch'io fussi questa notte
con certi musichieri qui vicino
a strimpellar a zonzo il citarrino.
ANSELMO
Per non istar più a bada
voglio anco esaminarlo nella strada,
tiralo su.
CIAPO
Fa' piano,
ti pappi la rovella;
messere, e' m'arrandella;
ohi, ohi, e' mi si sbarbica
un braccio, e' mi si tribbia 'l nerbo, e l'osso;
i' non ci posso stare, i' non ci posso.
ANSELMO
Di' su; chi son coloro
ch'han fatto 'l bell'umore?
CIAPO
Che mi fori l'assillo,
se 'n pretta veritane i posso dillo;
ohi, ohi, messere abbiate compassione,
mi si fiacca 'l codione.
ANSELMO
Se tu v'eri presente?
CIAPO
Ohi, ohi, voi ne mentite per la gola,
perch'io ingollai a merenda
un bricin di pulenda,
e sotto il sol m'appollicai in tul letto.
ANSELMO
Morirai sul tormento,
se non confessi 'l vero;
qui si tratta l'onor di casa mia,
vanne di sotto la potesteria.
CIAPO
Se qualch'un non mi scioglia,
oimene, io moio, fatemi calare.
Bucegli mia, chi brucherà la foglia?
Capponi mia, chi vi darà beccare?
ANSELMO
Dove sono i capponi?
CIAPO
A casa mia.
ANSELMO
Son buoni?
CIAPO
Scusiti rari.
ANSELMO
Grassi?
CIAPO
Tutti sugna, messere.
ANSELMO
A farvi sopra
o vermicelli o riso
sarebbe un bocconcin da paradiso.
Scendilo.
CIAPO
Ohi, ohi, i son divinculato.
ANSELMO
Senti; di que' capponi,
per quietare il notaio,
portane più d'un paio.
CIAPO
Guato con me' disgusto,
che spesso ser Donato
rompe il capo a ser Giusto.
Anselmo.
Finalmente in paese,
per farsi ben volere,
bisogn'esser cortese.
Desso, Anselmo.
DESSO
Or ch'io son incantato,
vi giuro alla fé
d'amor disperato,
belle donne per me ben proverete
che tutte cre, cre, cre, cre,
ANSELMO
Il mio bel manigoldo,
DESSO
cre, cre, cre, cre,
ANSELMO
se modo di servir non muterete,
DESSO
cre, cre, cre,
ANSELMO
tra poco...
DESSO
Cre, creperete.
ANSELMO
Creperai tu, furfante; io ben tra poco
ti manderò in galera;
dove sono i regali
che dovevi portar fino iersera?
DESSO
Eh, padroncino diletto,
so ben che 'n propria mano
ve gli ha dati 'l folletto.
ANSELMO
Che 'mbroglio è questo?
DESSO
È un co, co,
ANSELMO
Dimmi, che pensi?
DESSO
Co, co,
ANSELMO
ora ficcarmi 'n testa?
DESSO
Un co, un corno.
ANSELMO
O questa
ci calza.
DESSO
Io so, ch'i polli
vi son venuti in mano.
ANSELMO
Adesso, adesso,
o tu gli troverai,
o in prigione anderai.
Desso.
A questo vecchio avaro,
ch'ognun tratta da pollo,
mentre chi gli va intorno sempre pela,
la vo' far veder io ben in ca, ca, ca,
ca, ca, ca, ca, ca, ca, ben in candela.
Tancia.
Un disgusto in amor è un boccon aghero;
senza colpa, né peccato,
han carpato
il mio Ciapo, e fitto là,
sallo il ciel quando uscirà;
che genia vitiperosa!
Ogni mosca alfin si posa
sul groppone al caval maghero;
un disgusto in amor è un boccon aghero.
Lisa, Tancia.
LISA
Tancia, Tancia.
TANCIA
Sorella,
la Tancia c'è per poco,
se non ci pon riparo,
e del certo e del chiaro
il batticuor l'ammazza.
LISA
Eh, povera ragazza,
come pianger ti veggio?
TANCIA
La non mi può ir peggio.
Il mio damo è in prigione.
Tu, che sai di crianza, e di ladrino
favella col padrone,
che me lo metta fuora il poverino.
LISA
Lasciane a me 'l pensiero: io ti prometto.
TANCIA
A far l'erba t'aspetto.
Lisa.
Che bisbetico male è 'l mal d'amore!
chi ci perde la sanità,
ogni giorno peggio sta,
e mai non muore;
che bisbetico male è 'l mal d'amore!
Odoardo, Lisa.
ODOARDO
Pur troppo vedo verità espressa,
che da fortuna è la virtude oppressa!
LISA
Signore io vi domando,
per grazia, e per giustizia,
mentre però, che 'n lui non sia malizia,
la libertà di Ciapo.
ODOARDO
In sì vaga fattura,
quanto scherzò natura!
LISA
S'ho usato impertinenza,
mi scusi dell'ardire;
risponda in carità vostr'eccellenza.
ODOARDO
Che brio! Che maestà! Tanto splendore
vibra in un punto solo
all'occhio 'l lampo, e le sue fiamme al core.
Quanto chiedi otterrai;
quanto vuol, tutto può beltà sì rara.
LISA
Al bisogno, signor, son bella poco.
ODOARDO
Che ti manca?
LISA
La dote;
ed usa in questi tempi manigoldi
un po' manco bellezza, e un po' più soldi.
ODOARDO
Puote bensì senza bramare argento
ogni avaro cuore,
delle gioie d'amore,
sol possedendo te, viver contento.
LISA
L'oro, che su' capelli
(e sian pur biondi e belli) lustra e splende,
tropp'è scarso, signor, se non si spende.
ODOARDO
Che prontezza sagace!
O che spirto vivace!
Lisa, 'l tuo vago aspetto,
che in sé tutte d'amor le pompe aduna,
tributario si fé nobile affetto;
augure ti son io d'alta fortuna.
Lisa.
La fortuna per me
non si trova, e più non c'è:
l'è d'accordo con Cupido,
perch'io peni notte, e dì;
dal mio pianto, e dal mio grido
l'uno, e l'altro si fuggì;
mio core or ti consola,
va' seguendo chi vola.
Quando gli giungerai?
Rispondi: mai, mai;
mai eh?
La fortuna per me
non si trova, e più non c'è.
Isabella, Lisa.
ISABELLA
Lisa, come opportuna
ti incontro a' miei desiri!
LISA
Che m'imponete?
ISABELLA
Quando
a Leandro porgesti
la mia carta, che disse?
Si turbò? Venne lieto?
LISA
Amor soccorri,
se di fraude prodotto al mondo sei,
tu pur gli inganni miei.
Signora, alfin bisogna
dar bando alla vergogna,
e ch'io le dica schietta;
quella carta fu letta,
ma subito strappata in mille pezzi;
e poi con ghigni, e vezzi,
con dolci paroline,
con scherzi e con muine,
con promesse, minacce, il vostro amato
di me scoprissi (ohimè mi sento 'l viso
diventare una fiamma) innamorato.
ISABELLA
Che parli?
LISA
Il vero; e poi
volse per forza ancora
darmi questo maniglio; ma signora
tenetelo segreto.
E ch'importa, ch'ei v'ami?
Pronti potete a seguir vostre voglie
aver più dami voi, che maggio foglie.
ISABELLA
Parti, Lisa, e mi lascia
per breve tempo quel maniglio.
LISA
E bene,
e volentieri; addio, signora. Vedo
a quel ch'io so, e a quel che gli altri fanno,
che van sempre congiunti amore, e inganno.
Isabella.
Se non giova esser fedele,
alma mia lascia l'amare;
il bell'idolo crudele,
se la costanza tua non sa placare,
fuggi, deh fuggi, amore,
se non brami immortale il mio dolore.
Lascia omai sincero affetto
desiar vaghezza infida,
delle gioie del mio petto
adorare è destin l'empio omicida.
Segui, deh segui amore,
e si brami immortale 'l mio dolore.
Leandro, Isabella.
LEANDRO
Misero, per dovunque il passo giro,
oggetti sol di pianto
il mio tormento consolar rimiro.
ISABELLA
La suave cagione
de' vostri amati affetti
per me questo v'invia;
sciolta da' vostri amori,
le catene vi rende; or le prendete;
quant'io godo per voi, per lei godete.
Leandro.
Ferma 'l passo, ove vai
bella sfinge d'amore?
All'incauto mio core
enigmi troppo ascosi a scioglier dai.
Ma, lasso, ove s'aggira
il mio folle pensiero?
Troppo comprendo 'l vero;
fu di Flavio il maniglio, e dal suo braccio
pender il veddi cento volte e cento;
per accrescer tormento al mio cordoglio,
come soave laccio
del suo petto l'infida a me lo porge;
quindi, aperto si scorge
da queste gemme, o dio,
quanto faccia 'l suo cuor, tra gli ori avvezzo,
della mia povertà fiero disprezzo.
Gran tormento è povertà.
D'avara bellezza
s'un cor mendico un dì schiavo diviene,
se l'oro non spezza
le dure catene,
non speri mai goder la libertà;
gran tormento è povertà.
Tra barbari impacci
l'infelice mio cor stretto si vede.
Per torlo da' lacci,
tesoro di fede
nel regno d'amore possanza non ha;
gran tormento è povertà.
Boschetto nel villaggio di Colognole.
Desso.
Nel giuoco di fortuna
per cercar mia ventura
vo' mescolar le carte,
son be, be, bello, e bravo di natura,
e mi son fatto ri, ricco per arte.
Bruscolo, Desso.
BRUSCOLO
Fin che la non si scopre
ogn'uno è galantuomo.
DESSO
Amico, appunto
frettoloso ti cerco.
BRUSCOLO
È scoperto l'imbroglio;
hai veduto la Tancia?
DESSO
No.
BRUSCOLO
Respiro:
la dolente ragazza
chiama per ogni strada 'l tuo bel nome,
ratta ti cerca, e per trovarti impazza.
DESSO
Oh che gusto! ma senti;
a negozio maggiore,
ch'alle burle d'amore,
il mio sublime ingegno fa passaggio.
BRUSCOLO
L'abito in che ti vedo
richiede il buon viaggio.
DESSO
Bruscolo, se tu vuoi,
adess'è 'l tempo, ed aiutarmi puoi.
BRUSCOLO
Comanda pure, et ad un cenno solo
muovo tutto per te l'inferno a volo.
DESSO
Ci bisogna prestezza.
BRUSCOLO
Parla.
DESSO
Ora mi spedisco, e questa volta
vuol giovarmi d'aver la li, li, li, li,
BRUSCOLO
La che?
DESSO
la li, li, li, li,
BRUSCOLO
Per isbrigarti presto,
che linguaggio squisito!
DESSO
la li, li,
BRUSCOLO
La che?
DESSO
la li, li, li, li,
li, li.
BRUSCOLO
Che gente stolta!
DESSO
Gioverammi d'aver la lingua sciolta.
BRUSCOLO
Né manco un Cicerone.
DESSO
Sappi ch'al mio padrone
in ta, ta, tanto argento
rubai scudi trecento.
BRUSCOLO
Oh che burla leggiadra!
Ma dove gli hai riposti?
DESSO
In quel fardello;
e portar gli vorrei
in Alemagna, dove è un mio fratello,
che mi somiglia tutto
nel viso, e nelle rene,
ma non pa, pa, pa, parla tanto bene.
BRUSCOLO
Il viaggio è lontano,
perigliosi i confini.
DESSO
Però con un incanto
liberar mi vorrei dagli assassini.
BRUSCOLO
Come ci casca bene! in men d'un giorno,
e per strada sicura,
arriverai senza pagar vettura.
DESSO
E co, co, co, co, come?
BRUSCOLO
Sopra un cavallo alato.
DESSO
Per aria?
BRUSCOLO
A mezzo cielo.
DESSO
Ma quando?
BRUSCOLO
In questo punto.
DESSO
Non più dunque si tardi.
BRUSCOLO
Fa di mestiere solo,
perch'a' raggi del sole
non resti acciecato,
tener l'occhio bendato:
per non guastar l'incanto,
se chiamato per nome tu sarai,
non gli risponder mai;
quivi giunto, il destriero
ti posa 'n terra, e prima, ch'ei si muova,
smonta, apri gli occhi, e 'l tuo fratel ritrova.
DESSO
Venga 'l cavallo.
BRUSCOLO
Prima
bendati gli occhi.
DESSO
Sono in tuo potere.
(Bruscolo benda gli occhi a Desso)
BRUSCOLO
Piango la tua partenza.
DESSO
Non anderò.
BRUSCOLO
Va' pur; se per tuo bene
io ti devo lasciar, avrò pazienza:
or conduco 'l cavallo.
DESSO
O quante, o quante
nel vedermi così,
con la Tancia per me che tanto ardea,
direbber ecco lì
il bendato fanciul di Citerea.
BRUSCOLO
Eccomi Desso.
DESSO
Ed io son pro, pro, pronto.
BRUSCOLO
Già ti tengo la staffa.
DESSO
Ed io mo, monto.
BRUSCOLO
La valigia qui lego: ora sta bene;
adesso muove l'ali: addio.
DESSO
Ti resto
obbligato per sempre.
(Bruscolo tira in aria Desso)
BRUSCOLO
Quanto più sferzerai,
più presto arriverai.
DESSO
Scrivimi qualche volta,
che nu, nu, nu, nu, nu, nulla ti costa:
per risponderti solo,
ti giu, giuro imparar leggere apposta.
BRUSCOLO
Sei già lontano un miglio; Desso, addio.
DESSO
Vo più forte del vento;
a pe, pena lo sento.
BRUSCOLO
Non mentisce 'l dettato,
rubò per altri, ed egli sta impiccato.
Desso.
Che ventura,
se la dura,
senza pagar mai l'oste,
andar in Alemagna per le poste.
Ciapo, Desso.
CIAPO
Talor la granocchiella nel pantano
per allegrezza canta qua, quarà,
tribbia il grillo tre, tre, tre,
l'agnellino be, be, be,
l'assiuolo uhu, uhu, uhu,
ed il gal cucchericu;
ogni bestia sta gaia. Io sempre carico
di guidaleschi, a ugni otta mi rammarico.
DESSO
Che viaggiar felice
senza punto straccarsi!
CIAPO
Guata, guata,
l'è ben ridiculosa:
che stormenti enno quegli? Gobbo; gobbo,
rispondi, che t'arrapoli?
DESSO
Sto saldo
per non guastar l'incanto.
CIAPO
Almanco parla,
che ti pappi 'l rabbione.
DESSO
Che te, tentazione!
CIAPO
Io non son Ciapo,
s'io non ti svigno la pazzia dal capo.
(taglia corda, e Desso cade)
Desso.
Come son giunto presto!
Bruscolo, Desso.
BRUSCOLO
E che fracasso è questo?
Desso è caduto.
DESSO
Or è ben ch'io mi sciogli.
Leverò quest'imbrogli,
il ciel provveda al resto.
Desso.
O bel luogo, ch'è questo!
Affé, che be, be, be, che ben l'intese,
chi disse tutto 'l mondo è un paese:
Alemagna (o che gusto!)
par Colognole giusto.
Tancia, Desso.
TANCIA
Il me povero Ciapo
per sbucar di prigione...
DESSO
La Tancia in Alemagna?
TANCIA
...è bisognato
che lampanti do scudi al sere snoccioli,
che lo carpi un corbello di gavoccioli.
DESSO
Gran virtù dell'incanto!
Sol per venirmi dietro,
io giurerei, che Bruscolo ha pregato,
d'andare anch'ella sul cavallo alato.
Tancia, come sei giunta
in Alemagna a un tratto?
TANCIA
Manca i rulli, ecco il matto.
DESSO
Il viaggio è pur lungo.
TANCIA
Ora t'ho colto;
cacciator di Cupido, i bracchi hai sciolto.
Che cianci di Lamagna?
so ch'io sono in Colognole,
e or ora dal podere
ho colto un cesto di perecotognole.
DESSO
Bugia non ti direi,
noi siamo in Ale, le, le,
TANCIA
Dove?
DESSO
in Ale, le, le, le,
TANCIA
A perder questo tempo.
DESSO
in Ale, le, le,
TANCIA
Son più pazza di te.
DESSO
in Ale, le, le...
Bruscolo, Desso.
BRUSCOLO
Gran fortuna è la mia
DESSO
In Ale, le, le, le,
BRUSCOLO
se non si scopre
oggi questa magagna.
DESSO
Noi siamo in Ale, le, le, in Alemagna.
Bru, bru, Bruscolo?
BRUSCOLO
Incontro maledetto!
DESSO
In que, que, queste parti?
BRUSCOLO
M'appiglierò al partito.
DESSO
E che fa, fai,
Bruscolo?
BRUSCOLO
Che pruschelle,
e che linquasce è quelle?
DESSO
Quest'è un alemagnese,
che Bruscolo somiglia;
ma non è maraviglia,
che sian gli uomini uguali,
se qua, qua, quasi simile è 'l paese.
BRUSCOLO
Spionasce di guerre,
jezzunder, jezzunder,
le votre teste in terre.
DESSO
Signor, per quel pochino
ch'io v'inte, te, te, tendo,
voi mi scambiate; io son un poverino
venuto in Alemagna
a cercar mio fratello Bernabò.
BRUSCOLO
Iò, iò, iò, iò; non scelme
amiche pernepò.
Iò, iò, iò, iò.
DESSO
Se la Tancia sentisse,
d'es, essere in Colognole del certo
gli uscirebbe la fre, fre, frenesia.
BRUSCOLO
Votre sincularia
venir, e lanzemain; io la riceper,
schilth mecher, e pefer.
DESSO
Compito forestiero!
Mi condurrete voi da Bernabò?
BRUSCOLO
Iò, iò, iò, iò, iò.
DESSO
Ed io
volentier il favor riceverò.
BRUSCOLO
Iò, iò, iò, iò, iò. Al certo
l'aggiusto; in una stanza
or or lo serro, e pane, e acqua un mese
gli hanno da far le spese.
Gora.
Mi va peggio un dì che l'altro;
al partir di gioventù
il diletto fuggì,
il bel tempo sparì,
per non tornar mai più;
la memoria del bel passato
è un tormento del mal presente;
contro forza d'avverso fato
nulla giovami ingegno scaltro;
mi va peggio un dì che l'altro.
Flavio, Gora.
FLAVIO
Come benigna sorte
a voi mi scorge!
GORA
Almeno
fuss'io buona a servirvi; al tempo già
la giovanile età se a chieder venne
quanto bramò, dal mio potere ottenne.
FLAVIO
Chiedo sol, che da voi
la cagion mi si sveli,
onde gli affetti miei portano sdegno
d'Isabella nel seno.
GORA
Or vi contento appieno;
per Leandro costei tanto rimiro
avvolta tra durissimi legami,
ch'avverrà ben un dì, che più non viva,
ma non mai che non l'ami, e a quel ch'io veggio
una sta male sì, ma l'altra peggio;
Flavio, se il vostro sen per questa avvampa
con nuovo ardor spegnete 'l primo fuoco;
son le donne tutt'una, e tutte in giuoco
natura fe' su la medesma stampa.
Se di pasta inzuccherata
formi un serpe spaventoso,
o vezzoso un vago augello,
la figura è ben variata
nella foggia e nel colore,
ma il sapore
tant'è questo, quant'è quello;
così, figlio, le donne o belle, o brutte,
hanno vario 'l sembiante,
ma nel restante sono a un modo tutte.
Flavio.
Corrispondenti amori
godon Leandro ed Isabella! O quanto
inavveduto errai,
se di turbar tentai
d'un amico sì fido i dolci ardori!
Lungi da questo petto,
o mal nudrito affetto.
Amare e non amare,
è nostra volontà,
e non forza invincibile;
donne non è impossibile,
che deggia la perduta libertà
anco tra' vostri lacci un cor trovare.
Amare, e non amare,
è nostra volontà,
e non forza invincibile.
Flavio, Lisa.
LISA
Piango, ma con le lagrime nel core
le fiamme mai non spengo;
por termine al mio amore
tento assai, molto spero, e nulla ottengo.
FLAVIO
Quant'è vago quel volto!
Lisa, che fai?
LISA
Vo' dando
le spese al mio cervello.
FLAVIO
Passa per lo suo bello
un suave diletto
dall'occhio al seno. Dimmi,
come ti tratt'amore?
LISA
Amor fa meco
da quel gli è, mi tira
bastonate da cieco.
FLAVIO
Che delizioso incanto
formano i detti suoi dentro al mio petto!
Chi possiede 'l tuo affetto?
LISA
O questo non si dice.
FLAVIO
È Nencio? Pino? Mone?
Coccheri, o Parri?
LISA
Parla
un mio pensier, né di ragione è privo;
Lisa, se non ti tocca
un buon boccon, lascia stare il cattivo.
FLAVIO
Alle forze d'amore
forz'è, che 'l cor si renda;
fa' che meglio t'intenda.
LISA
Com'io non abbia un po' a rincivilire,
signore, a dirla a voi,
me ne vo' star fanciulla: è meglio dire
povera a me, che poverini a noi.
FLAVIO
Quand'io dunque t'amassi,
ti sarebbe gradito?
LISA
A bell'agio a' ma' passi;
non vi s'aguzzi tanto l'appetito.
FLAVIO
Sdegnerai l'amore mio?
LISA
Avrem tempo a parlarci.
FLAVIO
Ferma.
LISA
Addio.
Flavio.
Un bel guardo lusinghiero
tese 'l laccio; io preda sono,
più m'avvolgo, e m'imprigiono,
s'a fuggir volgo 'l pensiero.
Raddoppiatevi, catene,
più non chiedo libertà,
per tanta beltà
son gioie le pene,
cara la servitù;
non scioglier più
nodi sì fortunati, o nudo arciero.
Un bel guardo lusinghiero
tese il laccio, io preda sono;
più m'avvolgo, e m'imprigiono,
s'a fuggir volgo 'l pensiero.
Bruscolo, Flavio.
BRUSCOLO
Affé, che l'ho aggiustato,
in cantina è serrato.
FLAVIO
La sorte a me t'invia.
BRUSCOLO
Che mi comanda?
FLAVIO
Amore
vuol dalla tua grand'arte
che sol tragga ristoro 'l mio dolore.
BRUSCOLO
Che pollastrone! Scopra
i sui desiri, ed io m'accingo all'opra.
FLAVIO
Al possesso di Lisa
ogni mio spirto aspira.
BRUSCOLO
Oggi nel vostro prato, ove cortese
fra scherzi, e giuochi un delizioso giorno
preparaste agli amanti del paese,
verrà Lisa; vi giuro
con incanto rapirla, e questa notte
darla in vostro potere.
FLAVIO
Parto, e nel tuo sapere
de' miei diletti le speranze affido.
Bruscolo.
O quanto me ne rido!
Ma con la più ingegnosa
delle mie furberie,
pria che tramonti 'l die,
vo' votargli 'l pollaio,
la cantina, la stalla, ed il granaio.
Leandro.
È risoluto 'l mio core
in amore
di provar, se più dura
la sua costanza, o pur la mia sventura;
l'onde frementi
di fiero orgoglio,
rigido scoglio
divenuto 'l mio sen franger saprà;
di strali ardenti
d'altero sdegno,
immobil segno
l'infelice mio cor sempre sarà:
occhi tiranni
ferite sì,
cederà forse un dì
al suo lungo soffrir vostro rigore.
È risoluto 'l mio core
in amore
di provar, se più dura
la sua costanza, o pur la mia sventura.
Isabella, Leandro.
ISABELLA
Dolor lascia, ch'io parli, e poi m'uccidi;
sdegno per entro al seno,
onde non siano al cor saette ardenti,
non riserrar gli accenti,
l'infedeltate almeno
fin che del mio crudel da me si sgridi;
dolor lascia, ch'io parli, e poi m'uccidi.
LEANDRO
Bell'idolo severo,
una tradita fede
oggi pietà vi chiede;
Icaro sventurato,
a' rai di tanto sole
del vostro amor, se m'innalzaro i vanni,
misero perché vuole
che mi sommerga (o dio) flutto d'affanni?
ISABELLA
Tradir la mia costanza,
e con mentiti accenti
indi schernirmi? Altero
di vostra infedeltade,
per rustica beltade
gite, che 'n fin si deve a' vostri ardori
rozzo sen, duro cor, villani amori;
gite, ma vi sovvenga
che mi lasciate offesa.
LEANDRO
Agli occhi miei si spenga
del sol la bella face,
se volontaria colpa anco 'l pensiero
commise contro voi; sempre severo
inumano destino
neghi al mio cor la sospirata pace,
se dall'anima mia detto verace
candida veritade a voi non scioglie.
ISABELLA
Quante in una il crudel menzogne accoglie!
Ingrato, allor che Lisa
la mia carta vi diede,
con sprezzevole orgoglio
il lacerar quel foglio,
ditemi, non è oltraggio alla mia fede?
LEANDRO
Quando a me compartite
furon grazie sì rare?
Isabella, che dite?
ISABELLA
Quando a Lisa donaste,
firma del vostro amore,
il maniglio, ch'a voi da me si rese;
ah pur troppo son noti
i vostri tradimenti e le mie offese.
LEANDRO
Che maniglio? Che Lisa?
Che lettera? Chimere
inventate a' miei danni: a voi ben diede
(pegno della sua fede)
Flavio questo maniglio; ed io, che stretto
al suo braccio 'l mirai,
ah purtroppo 'l conosco, e a me diventò
nell'altrui infedeltade
testimonio fedel del mio tormento.
ISABELLA
Da Lisa a me fu dato,
a lei da voi donato.
LEANDRO
Da me non se le diede;
gemma sì ricca da fortuna avara
alla mia povertà non si concede.
A Lisa non parlai.
ISABELLA
E la mia carta?
LEANDRO
Non mi pervenne in mano.
ISABELLA
Io fui tradita.
LEANDRO
Io non commessi errore.
ISABELLA
Costante è la mia fé.
LEANDRO
Sald'è il mio amore.
ISABELLA
Odio Flavio.
LEANDRO
Aborrisco
Lisa a par della morte.
ISABELLA E LEANDRO
Con la medesma sorte.
LEANDRO
Cade estinto il mio tormento.
ISABELLA
Già rinasce 'l mio contento.
ISABELLA E LEANDRO
Di gelosi sospetti
ombre moleste
sparite sì:
dopo fiere tempeste
sorge da' miei diletti
nel mar d'amor più luminoso il dì;
ombre moleste,
sparite sì:
da' lacci di gelosia
alma mia se sciolta godi,
tra catene di fede il cor s'annodi.
Anselmo, Leandro, Isabella.
ANSELMO
Scusin, s'io le disturbo,
la mia poca creanza;
ascolti (con licenza) una parola:
dicami, quando venne quest'usanza
di brancicar le mani a mia figliuola?
Risponda. E tu, civetta,
aspetta pure, aspetta.
LEANDRO
O nemica fortuna!
ISABELLA
Che venuta importuna!
LEANDRO
Il finger è prudenza.
ANSELMO
Guarda, che grugni acerbi!
LEANDRO
Signor, qui giunsi a caso.
ANSELMO
Non vo' saper di casi, né di verbi.
ISABELLA
Deh, non alzi la voce,
siamo in pubblica strada.
LEANDRO
Si quiet 'n cortesia.
ANSELMO
O, questa è atroce!
Gli è me', ch'io me ne vada;
vedere, ch'un garzone
tenga presa per mano una fanciulla,
e non voler, che il padre dica nulla?
Canchero, l'è una poca discrezione.
ISABELLA
Giuro, che non ho errato.
LEANDRO
I sospetti son vani.
ANSELMO
Dite 'l ver, voi facevi a scaldamani?
LEANDRO
Mente chi dirà mai, ch'io v'abbia offeso.
ANSELMO
Adesso sì v'ho inteso;
per non far una lite,
bisognerà star cheto: io sono Anselmo
del sangue de' Giannozzi buono, e vero,
e so mettermi l'elmo,
per cavarmi il cimiero.
M'intendete, canaglia?
La rabbia m'indemonia.
LEANDRO
Faccia grazia a sentirmi.
ISABELLA
Non gli neghi 'l favore.
ANSELMO
Voglion disonorarmi in cirimonia;
dite, ma presto.
LEANDRO
È noto ad Isabella
unica mia signora...
ANSELMO
Con tanti complimenti
finitela in malora.
ISABELLA
Lasciate, ch'a suo comodo favelli.
ANSELMO
O s'io non ti smostaccio, ch'io arrovelli.
LEANDRO
Sa Isabella, che meco
dimora un mio fedele,
che con guardo di lince
passa dell'etra a' più remoti regni;
e ne' celesti segni
intende, e sa quanto s'asconde, e serra,
onde predice a noi gli eventi 'n terra;
curiosa da me volle
saper se pur anch'io
appresi sì bell'arte;
a cui soggiunsi, in parte
saper, legger sul volto, e nella mano
la sorte, ch'a' mortali 'l ciel prefisse,
e a carattere ignoto in quelle scrisse;
d'impaziente desio
non potendo soffrir fervido moto,
la destra aperse, ed io
al primo incontro vidi
per lo suo genitore
di benefica stella influssi d'oro,
potendo tra poch'ore
trovare opulentissimo tesoro.
ISABELLA
(Che bizzarra invenzione!)
ANSELMO
Son pur il bel minchione,
la fortuna mi cerca, ed io la fuggo.
LEANDRO
Voi giungeste, sdegnato
minacciate; io vi narro
la pura verità; se troppo osai,
condonate, vi prego,
d'obbedir vostra figlia
a modesto desio.
ANSELMO
Di grazia padron mio
non vi partite ancora,
questa vostra virtù la m'innamora.
Tanto, che d'Isabella su la mano
vi si conosce la fortuna mia?
LEANDRO
Chi ne teme, dal ver tropp'è lontano.
ANSELMO
Riguardate un po' meglio in cortesia.
LEANDRO
Il servirvi è mio pregio.
ANSELMO
Mostra.
ISABELLA
Ma non vorrei,
(dissimular conviene),
che la curiosità recasse oltraggio
al mio nobil decoro.
ANSELMO
Qui non c'entra vergogna;
fin che trovi il tesoro,
vo' che tu mostri quanto gli bisogna.
ISABELLA
Obbedisco.
ANSELMO
Signore,
guardate 'l fatto vostro.
LEANDRO
Veda, che qui gli mostro
Venere a noi benigna;
che più dunque pretendo?
ANSELMO
Io non lo so, perché non me n'intendo.
ISABELLA
Quanto sete sagace!
LEANDRO
Amor mi rese scaltro.
ISABELLA
La fortuna è trovata.
ANSELMO
Ti darò una ceffata,
lascia toccar dell'altro;
toccate pure.
LEANDRO
Appieno
soddisfeci al mio intento.
ANSELMO
Troveremo il tesoro?
LEANDRO
In tanto argento.
ANSELMO
E quando?
LEANDRO
In questa notte.
ANSELMO
In che modo?
LEANDRO
Nel prato
di Flavio oggi v'attendo,
ove con vaghi scherzi
vuol render lieto il giorno. Ivi distinto
il modo, il tempo, il luogo,
da me vi sarà detto.
ANSELMO
Quivi dunque v'aspetto.
ISABELLA
Serva al signor Leandro.
LEANDRO
Reverente m'inchino.
ANSELMO
Per non avere a errare,
volete riguardare?
LEANDRO
No mio signore.
ANSELMO
O quanti
padri per l'avvenir con queste scuole
arricchiran per man delle figliuole.
Leandro.
Mio disperato amore,
per scherzo del tuo sdegno
di qual larve, o crudel, mi rendi autore?
Bruscolo, Leandro.
BRUSCOLO
Padrone, ho da narrarvi
burle di maraviglia.
LEANDRO
A tempo, o caro,
giungi per consolarmi. In questo luogo,
mentr'io tenea per mano
la mia vaga Isabella,
venne Anselmo, e adirato
ambi ne minacciò; io per quietarlo
dissi, che della figlia entro la destra
leggea le sue fortune, e in questa notte
dissigli, ch'un tesoro
dovea trovar; frenai l'avaro sdegno:
pregommi a dirgli 'l luogo; io gli soggiunsi,
che di Flavio nel prato
oggi gli avrei svelato
distintamente quant'occorre; or vedi,
Bruscolo, in qual confuso labirinto
di noiosi pensieri io resti avvinto.
BRUSCOLO
Per far la conclusione,
signor dei vostri amori
il cielo v'ispirò quest'invenzione;
tranquillate la mente,
lasciatene a me 'l peso;
con voi sarò nel prato,
ov'anco a Flavio ho ordito
una burla solenne;
conseguirem l'intento,
sarà 'l vecchio gabbato,
vostra Isabella, io lieto, e voi contento.
Leandro.
In amor l'usar inganni
sempre fu laudabil cosa,
e per trarre un sen d'affanni
lice oprar fraude ingegnosa.
Nacque amor, ma non invano
nacque pur l'inganno seco;
se ferisce da lontano,
tutti inganna a parer cieco.
Tra gli scherzi per trastullo
copre sol modi tiranni;
sempre inganna, se fanciullo
sembra al mondo, e carco è d'anni.
In amor usar inganni
sempre fu laudabil cosa,
e per trarre un sen d'affanni,
lice oprar fraude ingegnosa.
Prato d'intorno alla villa di Flavio.
Tancia, Ciapo.
TANCIA
Accomida i sedili;
senti, Ciapo, a 'nvitare
se non mi fai la prima,
non ti vagheggio piue.
CIAPO
Egli è dovere;
io son ben crianzuto,
anco vo' dar rifiuto,
se la Tina, o la Nencia meco canta.
TANCIA
Vo' tribbiar cariole dell'ottanta.
CIAPO
Ecco i padroni.
TANCIA
Non mi far vergogna,
io mi rinfido in tene.
CIAPO
Già t'ho inteso;
e poi nel mezzo al cuore,
su le fiere d'Amore,
ho scritto per la Tancia: «LATO PRESO».
Ciapo, Tancia, Flavio, Leandro, Isabella, Lisa, Anselmo, Bruscolo, truppa di Ballerini.
FLAVIO
Compatischin: signori:
sono scherzi da villa.
LEANDRO
Graditi i suoi favori
ricevo in ogni tempo.
ANSELMO
Ovvia, fanciulle,
ponetevi a sedere.
BRUSCOLO
Qui da parte
concertiamo 'l negozio.
ANSELMO
E bene?
BRUSCOLO
E meglio,
se mi sortisce 'l giuoco,
riuscirà tra poco.
ISABELLA
Tancia, canta un rispetto.
TANCIA
Io non vorrei
parere impronta.
LISA
Allora,
che ti viene comandato,
ogni errore è scusato.
FLAVIO
Non ti mostrar villana.
TANCIA
Ubbidiroe per non parer provana.
FLAVIO
Cominciate a ballare.
TANCIA
Ciapo a tene.
Qui ballano la calata.
TANCIA
Le vostre signorie mi dicon canta,
e non mi dicon: saperai tu dire;
il cuor mi trema e la voce mi manca,
e la timenza non mi lascia dire;
ma io non vo' guatare alla timenza,
i' vo' cantare e far l'ubbidienza;
questo rispetto l'ho imparato a golo,
lo raccomando a te fior di fagiolo.
CIAPO
Giunsi alla tromba, ch'al suo spirto vilio
una doglia 'n prigione 'l ciel gli messe,
pallesco, fresco, e ammutillo inquilio,
d'un momento negli occhi un sasso strinse,
e sgroliando un gralimoso ulivo,
con un languirio me toppe, e affrisse;
e per la Tancia, che dell'altre ha 'l vanto,
dovento un acquidocciolo di pianto.
FLAVIO
Garbato; ma fermate,
ed il ballo mutate.
Qui si fa il ballo concertato, e dopo escono con fiamme quattro Diavoli volando per aria.
BRUSCOLO
Adesso è 'l tempo.
FLAVIO, ISABELLA, TANCIA E CIAPO
Ohimè.
(fuggono)
LEANDRO E BRUSCOLO
Chi può si salvi.
ANSELMO E LISA
Aiuto.
LEANDRO
Ferma.
BRUSCOLO
Lascia.
Così vano timore;
quest'è la tua fortuna.
LISA
Ah traditore.
Qui Bruscolo porta via Lisa, e finisce l'atto secondo.
Leandro, Bruscolo.
LEANDRO
Con sì belle apparenze,
ad imitare 'l vero,
come facesti?
BRUSCOLO
Posi
polvere, pece, e zolfo
in quel pozzo senz'acqua, e dentro ascosi
quell'amico, ch'a tempo il fuoco accese;
tirati da più corde,
sotto forma diabolica, onde usciro
quattro fanciulli, in aria
che fer volando spaventoso giro.
LEANDRO
Ma ch'avvenne di Lisa?
BRUSCOLO
Allor che meco
tremante io conducea la vaga preda,
gridò; a quella voce
corse turba veloce
di sbirri; lascio Lisa, ed il mio scampo
raccomando alle suola.
Mi seguiron, ma invano.
Chi corre, corre, ma chi fugge vola.
LEANDRO
D'Anselmo il giusto sdegno
come placar potrai?
BRUSCOLO
Anco questo aggiustai;
poc'anzi, che d'accordo
restammo in questa notte
di cavare il tesoro,
lo pregai di soccorso; il vecchio ingordo
disse, non metterò nero sul bianco.
Anderà la querela sotto banco.
Noia mi dà, che 'l gobbo,
dop'essersi ben bene imbriacato,
di cantina è scappato
né so dove trovarlo.
LEANDRO
Il tutto scoprirà.
BRUSCOLO
Il ciel m'aiuterà.
LEANDRO
Ma del tesoro
che seguir deve? In fine
prevedo irreparabili ruine.
BRUSCOLO
A questa torre intorno
Anselmo porterassi
quattr'ore dopo, che sia spento 'l giorno;
io qui tutte fingendo
adunare a suo pro le furie inferne,
gli vo' far apparire
lucciole per lanterne.
LEANDRO
In te dunque m'acquieto; in te la sorte
rispose a' miei diletti, o vita, o morte.
Bruscolo.
Di così grande impresa
per non m'abbandonare 'n sul più bello,
deh, care furberie, state 'n cervello.
Moro, Bruscolo.
MORO
Più durar io non la posso;
donde l'è,
per ficcarsi intorno a me,
la disgrazia veloce ognor galoppa,
ma poi diventa zoppa
nel partirmisi da dosso;
più durar io non la posso.
BRUSCOLO
Bizzarro figurino!
l'ho per modello fino.
MORO
Quanto può e quanto sa,
alla vostra carità
si raccomanda un povero compagno.
BRUSCOLO
Tentare 'l voglio. Buon lustro calcagno.
MORO
È di calca anco questo;
buono specchio, e buon drago.
BRUSCOLO
Risponde a touno; adesso sì son pago;
ha vostrigi smorfito?
MORO
Sol per mettere in susto
con la smorfia gridavo.
BRUSCOLO
Per trappolare è bravo; tien lugagni?
MORO
Del giannicolo è in berta.
BRUSCOLO
Te la vo' dire aperta,
hai trovato riscontro; io son ruffante.
MORO
Io ti sarò costante.
BRUSCOLO
A me sei caro;
per i miei finti incanti
quest'è squisito raro;
seguimi dunque, e senti:
la prima lezioncina
insegna solo il viver di rapina.
MORO
Non te ne dar pensiero,
chiudo un'anima bigia in corpo nero.
Campagna con veduta di fontane.
Tancia.
Questo mondo
è un ballo tondo;
girando ognun sgambetta,
quando s'è chinavalle, e quando in vetta;
a quest'usanza
più d'una danza
farò ben volentieri,
ma sopra il suon dello scacciapensieri.
Venga l'assillo, venga,
a chi vuol brighe, e chi l'ha, se le tenga.
So, che 'l diascolo è un gran furbo,
donde barbica un impaccio
sol lo miete il crudelaccio
con la falce del disturbo:
venga l'assillo, venga
a chi vuol brighe, e chi l'ha, se le tenga.
Se la Lisa è in prigione,
non ci posso far altro,
non so, che mi ci dire;
non voglio intisichire:
ecco qua il sermollino,
vo' sentir ciò che parla.
Crezia, Tancia.
CREZIA
Mala cosa è servitù.
Lo star sotto a quest'e quello,
è un bordello,
ch'io non lo posso durar più;
mala cosa è servitù.
Zitti pur, che s'io ci cresco,
vo' goder la libertà,
se d'impacci un giorno i' esco,
alla fé non c'entro più.
Mala cosa è servitù.
TANCIA
La parla da saccente.
CREZIA
Tancia appunto
io ti cerco a distesa.
TANCIA
Che vuoi?
CREZIA
La mia padrona
al giardino t'aspetta.
TANCIA
Che vuol da me? Rispondi.
CREZIA
E che vuoi ch'io sappia:
delle donne i secreti son profondi.
TANCIA
Ragazza, chi t'arriva,
può dir nel valicar d'essere snello,
sei come lo stornello,
poca carne, e cattiva.
Isabella.
Perché ratto 'l mio pensiero
giunga al termin de' suoi mali,
della speme nel sentiero
anco amor gli presta l'ali.
Su dunque, che fate?
Pensieri volate,
ma se non vi sostiene amica sorte,
termina la caduta in grembo a morte.
Leandro, Isabella.
LEANDRO
Fin che non giunga a voi quest'alma amante,
son gli strali del cor sproni alle piante.
ISABELLA
Dolci labbri vezzosi,
che tra gli ostri d'amor fiamme chiudete,
voci tanto bramate,
sciogliete pur sciogliete, e 'l cor legate.
LEANDRO
Chiari lumi amorosi,
che le pompe più belle al sol rapite,
se col guardo piagate,
mirate pur mirate, e 'l cor ferite.
Insieme
ISABELLA
Dolci nodi io v'adoro,
un sen legato
prendete o caro, e sia
lieta tra' lacci sol l'anima mia.
LEANDRO
Dolci strali io v'adoro,
un sen piagato
prendete o cara, e sia
lieta tra' dardi sol l'anima mia.
ISABELLA
Da sì dolce dimora
il paterno comando omai m'invola.
LEANDRO
Ratto con voi se n' vola,
idolatra d'amor, lo spirto mio.
Isabella...
ISABELLA
Leandro...
ISABELLA E LEANDRO
Io parto, addio.
Desso.
Il medico mi dice:
be, be, bevete poco,
e molto ca, ca, ca, ca, camperete,
io bevo sol per non morir di sete.
(beve)
Piano vo, vo, vo, vo, vostra eccellenza
non gridi, s'io fo brindisi
per la mia sanità,
(beve)
male non mi farà; l'è scortesia.
Dunque non si può bere,
e né ma, ma, ma, ma, manco un bicchiere?
Galeno non lo dice, e se l'ha detto,
io voglio imbriacarmi, al suo dispetto.
(beve)
Vinus sensos amplificat,
et brillando laeti, ti, ti, ti, ti, ti
fi, fi, laeti fi, fi, fi, fi, ho tanto
i labbri asciutti, che no 'l posso dire;
(beve)
ora il proferirò; laeti fi, fi,
fi, fi, ah lingua, lingua,
con esser tanto secca
t'intendo, tu vorresti
sca, sca, scaponir me,
(beve)
scaponirò io te.
Adesso lo dirai, laeti, fi fi fi,
Desso, Tancia.
DESSO
laeti, fi, fi,
TANCIA
E dove
s'è fitto Ciapo?
DESSO
fi, fi,
TANCIA
Desso,
DESSO
fi, fi,
TANCIA
hai veduto Ciapino?
DESSO
laeti, fi, fi laetificat.
TANCIA
Garbata
risposta da par tuo.
DESSO
Io ti conosco,
tu sei briaca.
TANCIA
Buona sera nonna
t'ha carpato la monna.
DESSO
Povera Tancia, vedi
tu non puoi stare in piedi:
va, va, vattene a letto,
tu caschi.
TANCIA
O che diletto!
DESSO
Il be, bere un pochino,
come fo io per assaggiare il vino,
è ge, ge, gentilezza;
ma imbriacarsi poi, come fai tu,
è vituperio, sai? No 'l far mai più.
TANCIA
Se fussi più buon'otta,
vorrei pigliarmi gusto.
DESSO
Va', va' a casa,
e non sta, star più a bada,
che tu non vomitassi nella strada.
TANCIA
O se gli è cotto davvero!
DESSO
Se tu sei
co, co, cotta, tuo danno,
bisognava ber manco; in tutto il giorno
quest'è la prima volta, ch'io be, bevo.
(beve)
TANCIA
Zufola pura.
DESSO
Adesso
voglio ri, riposarmi;
Tancia t'hai sonno; io no, perché non sono
briaco come te; ma do, do, dormi,
briacuzza; il vin t'affanna,
fa la ninna fa la nanna,
fa la ninna.
TANCIA
Già russa,
il temporale è brusco,
viene una scroscia d'acqua,
e certo nella zucca il vin gli annacqua.
Gli è già sera, e il ciel s'annugola,
in ventavolo m'assidera,
il demonio il cuor mi frugola
di scaldarsi a quel fuoco, che desidera;
cieli, pietà, pietà,
darmi un po' di marito è carità.
Per fuggir la tramontana
si rintuzza nel contado
ogni golpe nella tana;
meschina in questi tempi io sol m'agghiado;
cieli, pietà, pietà,
darmi un po' di marito è carità.
Per non stare a freddo cielo
si rimpiatta infin la chiocciola,
poveruccia, questo gielo
fa sempre il naso mio star con la gocciola;
cieli, pietà, pietà,
darmi un po' di marito è carità.
Notte.
Pianura spaziosa con torre antica.
Bruscolo, Leandro, Desso dormendo, Moro, due Zappatori.
BRUSCOLO
L'ora è quasi vicina
il ciel senz'una stella
favorisce l'intento.
LEANDRO
Aspra contesa
tra speranza e timore
racchiudo in mezzo al core.
BRUSCOLO
Non guastate il concerto;
quanto vi dissi sol ponete in opra;
sì ben tramai l'inganno,
che non pavento, che già mai si scopra:
voi lì zappate. Moro
monta in cima alla torre; ivi t'ascondi,
e come t'insegnai,
al chiamar Bradagù, tosto rispondi.
LEANDRO
Quant'è scaltro costui!
MORO
Certo prevedo
pria, che finisca 'l giuoco,
che 'l vostro bell'ingegno,
con questo far da spiriti, tra poco
vuol che siam scongiurati con un legno.
BRUSCOLO
Ma viene Anselmo.
LEANDRO
Mi si gela il sangue.
BRUSCOLO
State a bottega.
LEANDRO
Ogni mio spirto langue.
BRUSCOLO
Andate ad incontrarlo.
LEANDRO
In te m'affido.
BRUSCOLO
A che tanta paura?
LEANDRO
Periglioso è 'l cimento.
BRUSCOLO
Io me ne rido.
Bruscolo, Leandro, Desso dormendo, Moro, Zappatori, Anselmo con lanterna.
ANSELMO
O che gran buio scuro!
qui devo trovar Bruscolo,
tra la nebbia e 'l crepuscolo
io piglio un'imbeccata del sicuro.
LEANDRO
Servo al signor Anselmo.
ANSELMO
O la mi scusi,
se l'ho fatta aspettar; son poco avvezzo
a ir di notte: o questa sì ch'è bella,
venga la rabbia, ho perso una pianella.
BRUSCOLO
Signor, non più discorsi.
ANSELMO
Ch'ho io da far?
BRUSCOLO
Vedete
il circolo che segno?
ANSELMO
Io guardo.
BRUSCOLO
Dentro
per l'appunto nel centro,
ove zappan coloro,
sta celato 'l tesoro.
Spirti terribili,
movete ratto il piè,
da Cocito spiegate orrido 'l vol
sovra la terra ad oscurare 'l sol;
invocato di Stige
l'orrido nume.
ANSELMO
Senti,
o tu muti discorso,
o lasc'ire 'l tesoro.
BRUSCOLO
O voi d'abisso
potenze formidabili.
ANSELMO
Sta' cheto,
zitto per carità.
BRUSCOLO
Tartaree deità,
con spaventosa mostra
che tardate a venir?
ANSELMO
Eh lasciatelo dire,
statevi a casa vostra.
BRUSCOLO
Bradagutto t'aspetto,
e in van mie voci spargo?
Vieni ad Anselmo vieni, e lo consola,
che dei suoi voti al tuo gran nome è largo.
ANSELMO
Che largo? tu ne menti per la gola;
acciò non m'entri addosso,
sto più stretto che posso.
(rovina la torre)
BRUSCOLO
Ohimè.
LEANDRO
Cieli, soccorso.
MORO
Ohi, ohi.
ANSELMO
Son morto.
BRUSCOLO
Mai più parlo d'incanti.
DESSO
E che fracasso?
MORO
Ohimè son tutto frollo.
ANSELMO
Vo' tornarmene a casa a rompicollo.
Desso, Moro.
DESSO
Ma do, dove son io?
MORO
Vedessi almanco lume.
DESSO
Quest'è un albero.
MORO
Sent'un calpestio.
DESSO
Son del certo in campagna.
MORO
Io vo' far cuore.
DESSO
Intorno a queste cose
ci fusse almen un os, os,
MORO
Chi sei?
DESSO
os, os,
MORO
Consola
un affannato cuor con tue risposte.
Parla, chi sei?
DESSO
Un oste.
MORO
Un oste?
DESSO
un oste.
MORO
O bene.
DESSO
Finiran le mie pene.
MORO
Come ci hai tu buon vino?
DESSO
È briaco alla fé.
Domanda l'oste, s'ho buon vino a me.
Come sta la cucina?
MORO
S'intorbida il negozio.
DESSO
Oste.
MORO
Oste.
MORO E DESSO
Oste.
DESSO
Porta un lume.
MORO
Per certo
facciamo a non c'intendere.
Per il vero comprendere,
rispondi chi è l'oste, tu, o io?
DESSO
I, i, i, io.
MORO
Se dunque
l'oste tu sei, perché
domandi un lume a me?
DESSO
Io non son oste.
MORO
E né men io.
DESSO
Ma vedi una lanterna,
lascia, che io ti discerna.
(piglia la lanterna lasciata da Anselmo)
MORO
Guarda pur quanto vuoi.
DESSO
Ma tu chi sei?
MORO
Il diavolo.
DESSO
Il diavolo?
MORO
Sicuro.
DESSO
O, o, o, o,
MORO
Per la mia vita rendere,
gambe mie voi sappiatemi difendere.
Desso.
o, o, ohimè, per da, darmi conforto,
chi pa, passa di qua,
mi dica in carità
s'io son vivo, o s'io son morto.
Desso, Bruscolo.
BRUSCOLO
In fin voglio chiarirmi.
DESSO
A saperlo non arrivo,
viver parmi, e parlar posso;
ma l'odor, che sento addosso,
non mi par punto da vivo.
BRUSCOLO
Troppo l'hanno scalzata,
per quest'è rovinata.
DESSO
Ecco iò, iò.
Perché non mi riserri
in ca, ca, ca, cantina, io fuggirò.
BRUSCOLO
Desso, ove vai? Per qual cagion ti parti
da chi lungi da te viver non può?
DESSO
Perché non m'hai condotto
a trovar Bernabò.
BRUSCOLO
Or or l'imbroglio;
e non conosci ancora,
Bruscolo, il tuo fedele?
DESSO
E dove sono?
BRUSCOLO
In Colognole, o caro.
DESSO
Io mi confondo,
son diventato il co, corrier del mondo.
Non ero in Alemagna?
BRUSCOLO
Io t'ho mandato
sopra il cavallo alato.
DESSO
Come sono in Colognole?
BRUSCOLO
M'è noto
per magica dottrina, appena giunto
che fusti in Alemagna,
t'incontrasti in un ladro, che fingendo
condurti al tuo fratello,
ti chiuse in una stanza,
i denari ti tolse, e con pensiero
di poi farti morire.
DESSO
Tu, tutto è vero.
BRUSCOLO
Io, ch'a par di me stesso
amo 'l mio caro Desso,
un demone spedii
dalle tartaree grotte,
e qui feci condurti in questa notte.
DESSO
Ti rimeriti 'l cielo. Adess'adesso
s'è partito di qui;
o che brutt'uomo!
BRUSCOLO
Chi?
DESSO
Quello che m'ha portato.
BRUSCOLO
Tu burli.
DESSO
Io l'ho veduto
nero come un carbone.
BRUSCOLO
Quanto fa l'apprensione. Vanne in casa,
che già spunta l'aurora.
DESSO
Ma de' trecento scudi
come la salderò?
Sia maledetto quel iò, iò, iò, iò.
BRUSCOLO
Da me Anselmo incantato,
del furto s'è scordato.
DESSO
Prego 'l ciel, che ti mandi
qualche gra, gra, gra, gra, grave bisogno,
per farti noto l'amor mio, qual sia.
BRUSCOLO
È troppa cortesia.
Bruscolo.
Per anco la fortuna
sua rota ferma tiene,
se la dura, la va bene;
io l'intendo così,
senza pensieri i dì passo giocondi,
non vo' tanti finimondi,
e pigliarla come viene;
se la dura, la va bene.
Borgo con la potesteria.
Odoardo, Flavio.
ODOARDO
Qual potente cagione
a desiar vi forza
con tant'ardor la libertà di Lisa?
FLAVIO
Io tentai di rapirla; a me s'aspetta
sottrarla d'ogni danno.
ODOARDO
In queste forme
l'onestade s'offende?
FLAVIO
Alle sue nozze aspiro.
Gora, Odoardo, Flavio.
GORA
Per trovar Odoardo, in van m'aggiro.
ODOARDO
Toglietene 'l pensiero.
FLAVIO
E come?
ODOARDO
A dirvi 'l vero
sarà Lisa mia sposa.
FLAVIO
O che tormento.
GORA
Infelice, che sento?
FLAVIO
Mi propone la sorte
ottener Lisa, o l'incontrar la morte.
ODOARDO
Qual indiscreto ardire
la vostra lingua in questi detti scioglie?
FLAVIO
Bramo Lisa.
ODOARDO
È mia moglie.
GORA
Piano signor, statemi un po' a sentire;
quale statuto vuole
il poter dar marito alle figliuole,
senza dir nulla anco alla madre?
ODOARDO
Dove
non averan possanza
i prieghi miei, vi giungerà la forza.
FLAVIO
Perché non vi sortisca,
spargerò sangue, ed oro.
ODOARDO
È Lisa in mio potere,
Flavio indarno sperate.
GORA
Per certo v'ingannate,
non può Lisa esser vostra.
ODOARDO
E chi me 'l nega?
GORA
Il mio giusto volere.
FLAVIO
La mia destra, il mio ferro.
ODOARDO
Son gentil uomo anch'io, e 'n petto serro
ardor, e ardir.
GORA
Prostrata
eccomi al vostro piede
con la scorta del cielo,
dal mio fallir guidata.
Da voi già mi si diede
(son ormai quindici anni) in fasce avvolta
una figlia a nudrirsi; io che mirai
esser in quella ogni vaghezza accolta,
con la mia la cambiai.
ODOARDO
Gora, che dite voi?
FLAVIO
Son portenti d'amor i detti suoi.
GORA
Parlo purtroppo 'l vero;
la figlia, che vi resi,
morì di trenta mesi;
Lisa, Lisa non è, ma Leonora.
ODOARDO
Sarà dunque mia figlia.
GORA
Certa non son, se voi le siate padre,
so ben che vostra moglie era sua madre.
Per sincerarvi appieno,
guardate, che nel seno
una macchia di vino
troverete scolpita,
al bel fonte d'amore
ch'ogni assetato a inebriarsi invita.
ODOARDO
Se fia ver, quant'hai detto,
infinito diletto
portasti nel mio core.
FLAVIO
Voi, che provaste amore,
soccorrete pietoso alle mie pene.
ODOARDO
Se mia figlia diviene
vostra serva, e consorte,
sarà mio nobil pregio.
GORA
È pura verità, quanto v'ho detto.
FLAVIO
Ove potrò vedervi?
ODOARDO
In sul mercato
desioso v'aspetto.
GORA
Signor chiedo perdono.
ODOARDO
T'ho perdonato.
GORA
Scarica dal peccato
tutta lieta mi rendo:
la coscienza macchiata è peso orrendo.
Flavio.
Soffra chi vuol gioire;
del nudo arciero
a placar lo sdegno altero
lagrime invan si gettano,
l'armi sol di pazienza amor soggettano.
Tra le torbide procelle,
che in amor sommergon l'alma,
fa Cupido in lieta calma
scintillar amiche stelle.
Mio core a prova 'l sai,
quando meno sperai,
ha ristoro 'l tuo martire.
Soffra chi vuol gioire;
del nudo arciero
a placar lo sdegno altero
lagrime invan si gettano,
l'armi sol di pazienza amor soggettano.
Anselmo.
Per dove 'l passo muovo
ogni ombra mi spaventa,
più non so s'io mi sono o carne, o pesce.
Bruscolo, Anselmo.
BRUSCOLO
A tempo Anselmo trovo;
sono a caval, se l'inganno riesce;
vi feliciti 'l cielo.
ANSELMO
Io n'ho bisogno.
Sei tu buona limosina? Per sempre
renunzio la tua pratica.
BRUSCOLO
Signore,
senta.
ANSELMO
Predichi invano.
BRUSCOLO
Vi sono amico.
ANSELMO
Sì, ma da lontano.
BRUSCOLO
Volle la mia sventura,
che la torre cadesse,
perché troppo scalzaro i fondamenti;
in così breve tempo
poco operò nostr'arte;
seicento scudi solo
cavar potei; quest'è la vostra parte.
ANSELMO
Che persone onorate!
BRUSCOLO
Ascose sono
masse d'oro in quel luogo.
ANSELMO
E quando 'l resto
(la paura svanisce)
cavar potremo?
BRUSCOLO
O questo
dir non vi posso.
ANSELMO
Pure appresso a poco.
BRUSCOLO
Vuol Leandro partir da questo loco;
e per svelarvi il vero,
egli, non io, sa far sì bel mestiero.
ANSELMO
Né vi sarebbe modo
di trattenerlo?
BRUSCOLO
O bene,
io zimbello, e lui viene.
Languìa per vostra figlia
in amoroso ardore
Leandro un pezzo fa: ma non so poi,
s'ancor ei sia di quell'istesso umore;
di dargliela per moglie
muovete la pedina;
proponete 'l partito,
e s'accetta l'invito
stringete 'l parentado.
Se così non sortisce,
non ci vedo altro modo.
ANSELMO
In quanto a dote
come pretende assai?
BRUSCOLO
Non cura d'oro,
chi ad ogni suo piacer trova un tesoro.
ANSELMO
Bruscolo, così a un tratto
che non paia tuo fatto,
lodagli 'l parentado.
BRUSCOLO
In su la fiera
oggi di punto in bianco
diteglielo da voi; non è vergogna;
so che le volse bene, e se d'amore
guarisce un dì la rogna,
dura per lungo tempo 'l pizzicore.
ANSELMO
Vo' far come tu dici.
BRUSCOLO
Sortischin pur i miei pensier felici.
Anselmo.
Chi vuol meglio? In un giorno
trovar trecento scudi, e senza dote
levarsi dalle spalle una figliuola?
O quanto godo;
con questo modo
per arricchirmi
la fortuna si sbraca in favorirmi.
Fiera su per la piazza di Colognole con varie mercanzie.
Ciapo, Flavio.
CIAPO
Quel bucello, padrone,
egli è una buona tolta,
e paia bene, al certo questa volta
il mercato mi frutta:
ma in quanto poi con Mone
non vo' far a combutta.
FLAVIO
Risolvi a tuo piacere.
CIAPO
Tengo grasso el podere;
di sovesci, e litame
gli è zeppo quanto possa,
e lo divelgo né trasine fossa.
Flavio, Leandro, Ciapo.
FLAVIO
Servo al signor Leandro.
LEANDRO
In fin si vede
che chi è carco d'argento
per tempo in su le fiere
viene a mercar quant'è di bello, e vago.
FLAVIO
Se conseguir potesse 'l mio desire
le merci a me gradite,
dir mi potrei d'ogni dolcezza pago.
LEANDRO
V'intendo amico: a gran prezzo
ogni gemma più ricca amor concede.
FLAVIO
Con sì nobil tesoro
cerco a gli affanni miei comprar ristoro.
LEANDRO
Ma viene Anselmo.
FLAVIO
Et Odoardo 'l segue.
LEANDRO
Se Bruscol disse 'l vero...
FLAVIO
Se Gora non mentì...
LEANDRO E FLAVIO
Gioire spero.
Anselmo, Odoardo, Leandro, Flavio, Ciapo.
ANSELMO
Già ch'è vostra figliuola,
io vi lodo 'l partito;
come si muta 'l mondo! Poco dianzi
volevi moglie, or cercate marito.
ODOARDO
Oltre a quel contrassegno
che sapete, ritrassi
anco dalla comare
sicurezze più chiare.
ANSELMO
Il suo spirto, il suo volto a chi ha giudizio,
che non sia una villana è certo indizio.
ODOARDO
Signor Flavio, son chiaro,
che Lisa è Leonora
unica mia figliuola.
Son qui per mantenervi la parola;
che dite?
FLAVIO
I vostri accenti
portano i miei contenti.
ANSELMO
È negozio aggiustato;
in tanto, che discorro
con il signor Leandro,
passeggin sul mercato;
e con i patti chiari
della dote, e del resto
aggiustin tutti i lor particolari.
LEANDRO
Signor, che si compiace
comandarmi?
ANSELMO
Mi piace,
come dice 'l proverbio, presto giugnere,
ed in un colpo pugnere;
poche parole, e buone,
perch'io non son, come certe persone,
che fanno una lunghiera
durante dal mattin fino alla sera,
senza concluder nulla,
cosa, che poi stordisce
chi sentendo gli sta.
LEANDRO
Loda la brevità,
e mai non la finisce.
ANSELMO
Se non è ver, ch'i moia,
questi cicalonacci
o io gli ho pure a noia;
non sanno uscir d'impacci,
imbrogliano 'l discorso,
gettan le ciance al vento.
LEANDRO
E né meno conclude; o che tormento!
ANSELMO
Non accade, ch'io dica
d'esser buon cittadino,
e di famiglia antica,
e di sangue cortese.
LEANDRO
Il tutto m'è palese.
ANSELMO
Ho della terra al sole,
il mio qualcosa vale;
con tutti uomo reale,
e di poche parole.
LEANDRO
Lo confermo.
ANSELMO
Or vi ristringerò
tutt 'l discorso mio n'una parola;
so che portasti affetto a mia figliuola,
la volete per moglie sì, o no?
LEANDRO
Come Bruscol m'impose
risponder voglio: appunto
volea partir da questo luogo.
ANSELMO
E dove
or volete cercando andar lontano
meglio pan, che di grano?
Là vicino alla torre
sapete pur quel che sotterra giace;
godiamlo, figliuol mio, in santa pace.
LEANDRO
Ad ogni vostro cenno
fu il mio voler soggetto.
ANSELMO
Siate voi benedetto.
S'hanno da far le nozze in questo giorno.
ODOARDO
Ecco appunto Isabella, e Leonora.
ANSELMO
Venghin pure in buon'ora.
Ciapo, Tancia, Flavio, Leandro, Isabella, Lisa, Anselmo, Odoardo, Gora.
LISA
Signor padre, mi paghi un po' la fiera.
ODOARDO
Flavio.
FLAVIO
Che mi comanda?
ODOARDO
S'appressi.
FLAVIO
Eccomi pronto.
ODOARDO
Quest'è roba a tuo conto.
LISA
Non v'intendo.
ODOARDO
È tuo sposo.
LISA
O cara sorte!
ODOARDO
Porgi la mano.
LISA E FLAVIO
In bel nodo d'amore,
mentre stringo la destra, io lego il core.
Bruscolo, Desso e gl'istessi.
BRUSCOLO
A tempo giungo.
DESSO
Temo.
BRUSCOLO
Non dubitar.
DESSO
Muovo tremante 'l piede.
BRUSCOLO
Stiamo osservando; di scamparti giuro.
DESSO
Se 'l potestà mi vede,
mi fa impiccar sicuro.
ISABELLA
Signor padre, e per me?
ANSELMO
Sta' pur sicura;
di questa mercanzia,
cara figluola mia,
te n'ho provvista affé buona misura.
ISABELLA
Parlatemi più chiaro.
ANSELMO
Questo bel pollastrone è tuo marito;
dagli la fé.
ISABELLA
Obbedisco.
ISABELLA E LEANDRO
Così
il mio cor, che soffrì
quanti la servitù tormenti accoglie,
stretto in questi lacci insin si scioglie.
BRUSCOLO
Fin qui non può ir meglio.
TANCIA
Et io me mae
ho da restar cosine?
GORA
A tempo, e luogo
verrà la tua sorte ancora.
CIAPO
Messere, se gli è in vostro piacimento,
mi paierà con essa.
FLAVIO
Che dite Gora?
GORA
Io gliel'ho già promessa,
ma il non aver l'intero del corredo,
ritarda 'l matrimonio.
FLAVIO
Quanto manca
voglio donarvi.
CIAPO
Io la carpirò ora.
GORA
La limosina è grande.
TANCIA
Il bisogno è maggiore.
FLAVIO
Porgetevi la mano.
CIAPO E TANCIA
In amor così si giuoca,
ecco fatto il becco all'oca.
BRUSCOLO
Complimenti garbati!
Adesso, che legati
son nodi maritali, che da morte
posson solo esser sciolti,
signori, mi protesto,
che 'n quanto alla magia
non ne so straccio, e tutt'è furberia;
con astute invenzioni
tolsi al gobbo i capponi,
che portar vi dovea;
Flavio con vostro danno,
per darvi in preda la creduta Lisa,
ricopersi l'inganno.
ANSELMO
La cosa del tesoro è però vera.
BRUSCOLO
Non ho mentito in questo.
ANSELMO
Poch'importanza è 'l resto.
BRUSCOLO
Dissivi, che Leandro
sapea cavar tesori,
per terminar gli amori,
possedendo Isabella
erede del vostro oro,
ha ben saputo trovar un tesoro.
ANSELMO
O poveraccio me! Ma que' trecento
scudi?
BRUSCOLO
Quel vostro servo,
Desso, accostati.
DESSO
Vengo.
BRUSCOLO
Questo a voi gli rubò.
ANSELMO
O roba mia.
Tira innanzi!
BRUSCOLO
Io fingendo
mandarlo in Alemagna
sopra un cavallo alato,
il furto gli ho rubato;
quant'oprai, tutto feci
per sovvenire al mio padron; se degno
son di perdon da voi, sarà mia sorte;
eccomi ai vostri piedi,
è in vostra libertà mia vita o morte.
ODOARDO
O che 'ngegno elevato!
FLAVIO
Lo stupor mi sommerge.
ANSELMO
In questo stato
bisogna, ch'io ci stia, se già ci sono:
per amor, o per rabbia ti perdono.
DESSO
E di me, che sarà?
BRUSCOLO
Grazia vi rendo.
LEANDRO
Per lo povero Desso
caldamente vi prego.
ANSELMO
Non vo' pensar più a niente,
vi dichiaro padrone,
disponete del tutto: io vo' provare
quanto campa un poltrone.
ODOARDO
Venite Anselmo a preparare intanto
quanto richiede un sì felice giorno.
ANSELMO
Tancia, Bruscolo, Ciapo,
Desso, Gora, venite
ad assettar la casa.
TANCIA, CIAPO, GORA, BRUSCOLO E DESSO
Or ch'è placata
la fortuna contraria,
andran le botti con le gambe all'aria.
Lisa, Isabella, Leandro, Flavio.
LISA
Ma poi, che 'n questo giorno
ogni inganno vien noto,
tra Leandro, e Isabella,
incentivi d'amor gli sdegni occorsi
per cagion del maniglio,
fur colpa mia, se dissi,
che Leandro a me 'l diede,
mentre l'ebbi da Flavio, e menzognera,
come a voi palesai,
amante l'accusai.
ISABELLA, LISA, LEANDRO E FLAVIO
Così mio ben nel petto,
ove di puro affetto arde la face,
son le guerre d'amor nunzie di pace.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)
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