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Scena prima |
Cortile. Trasimede. |
Q 
<- Trasimede
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Dove, dove m'aggiro,
attonito a rimbombi
delle trombe d'Epiro?
Come entrò, come venne
qui l'audacia nemica? A nostri danni,
l'impennò forse invido cielo i vanni:
bella mia dove sei?
Ti perderò col sangue, e forse tolto
mi sarà di morir presso il tuo volto?
L'ultime mie preghiere
almeno accolga raddolcito il fato,
e facci, o cara, ch'io ti spiri a lato.
Una stilla di pianto
dalle tue luci uscita
sarebbe funerale
troppo insigne, e reale,
a vita agonizzante, o dolce vita?
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Scena seconda |
Diomeda, Trasimede. |
<- Diomeda
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DIOMEDA |
Infedele. Spergiuro,
incostante, sleale,
no, no, più, non ti vale
simular fiamme, ed adular mendace;
ardi per altra face,
e poi falso e bugiardo
giuri, ch'incenerisci ad un mio sguardo?
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TRASIMEDE |
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DIOMEDA |
Taci, chiudi quel labbro, o traditore.
Le perdite non curo
delle patrie fortune,
non m'atterrisce il mio destino oscuro,
l'acciar non mi sgomenta
che me cerca fervente, e minacciante;
troppo credula amante
d'esser stata delusa, ahi sol mi pesa.
Vendica Amor, che fai? la nostra offesa.
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TRASIMEDE |
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DIOMEDA |
Taci, chiudi quel labbro, o traditore.
Disperata, negletta,
a' ferri, alle catene
volontaria me n' vo. Rimanti e prendi
dell'adorato bene
la persa imago: in questo giro angusto
la tua perfidia ecco dipinta al vivo,
o delle mie speranze angue nocivo.
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TRASIMEDE |
Mia fiamma, io mentitore?
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DIOMEDA |
Taci, chiudi quel labbro, o mentitore.
| Diomeda ->
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Scena terza |
Trasimede. |
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Qual rabbia velenosa
t'arde l'interno anima mia gelosa?
Ma che ritratto è questo?
Qual effigie celeste
stupido il lume qui dipinta ammira?
Di quella dea, che gira
l'orbe amoroso, e pio,
certo, certo cred'io,
che sia questo il sembiante:
al suo guerriero amante
che da nubi sanguigne
rota l'armi maligne
dell'Epiro a favore
cade dal sen tra gl'empiti, e il furore.
Sovrumana pittura
da gigli, e dalle rose
dell'aurora, i colori
tolse destra immortale, e ti compose;
pieno più che di rai d'alti stupori,
chinando le palpebre
l'occhio, devoto il tuo divino adora,
il cor fa voti, e le tue grazie implora.
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Scena quarta |
Corinta, Trasimede. |
<- Corinta
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CORINTA |
Che fa qui neghittoso
sprezzator de' perigli, e della morte
l'infido mio consorte?
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TRASIMEDE |
La mia speme adirata
rendi, rendi placata.
Gelosa del tuo vago
illustre, eccelsa imago
reo di perfidia il suo pensier m'ha fatto.
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CORINTA |
Parla col mio ritratto?
Or che scorre baccando
per gl'acquisti il nemico,
signor, qui contemplando
alle sciagure immobile, che stai,
del tuo foco dipinto i finti rai.
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TRASIMEDE |
Di sembianze non conte
tra l'alte meraviglie
stupido i spirti, e i sensi ohimè perdei.
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CORINTA |
Fa' parte agl'occhi miei
dell'ammirando oggetto.
Li dissi, quasi, crudo mio diletto.
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TRASIMEDE |
Togli prendilo, e mira
epilogato, e accolto
dell'empireo il decoro entro quel volto.
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CORINTA |
È questa di Corinta
l'effigie.
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TRASIMEDE |
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CORINTA |
Oh Giove eterno
che rimiro, che scerno?
La tua Corinta è questa;
la sposa derelitta,
ch'abbandonata, e afflitta,
le perdite piangendo, e sospirando
del genitor, del regno,
ma più quelle del cor, vassene errando:
questo, questo è 'l ritratto,
ch'inviar ti volea con altri doni
pria ch'aversa procella
tempestasse la calma a' giorni sui:
ciò ti so dir, perché fidata ancella
nelle prosperità sempre le fui.
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TRASIMEDE |
O cieco ne' disprezzi,
scortese negl'affetti,
aspro, rozzo ne' vezzi,
barbaro negl'amori,
così gl'indegni errori
compiangi di colei
destinata al tuo letto, agl'imenei?
Ma scusa, o immaginetta
i deliri d'un core,
non vede il merto fatto talpa d'amore.
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CORINTA |
Consolata rimango
a queste tenerezze.
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TRASIMEDE |
Le dipinte fattezze
quanto simili sono al tuo sembiante:
se di spoglie reali
io ti vedessi Albinda adorna, e cinta
ti crederei Corinta.
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CORINTA |
Con piacevole frode abbiam festose
gl'ornamenti cangiati,
i genitori suoi spesso ingannati.
Ma che dimore inutili, e dannose
signor son queste? Fuggi
l'insanguinate, e vincitrici spade,
che fuggire il periglio
è prudenza, è consiglio, e non viltade.
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Scena quinta |
Oresde, Trasimede, Corinta. |
<- Oresde
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ORESDE |
Quella destra rapace
m'ha pur lasciato in pace.
O che fai qui padrone?
Fuggi, vola meschino,
che s'indugi un tantino
te n'anderai prigione.
Come un cane da caccia
il nemico di te vassene in traccia.
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TRASIMEDE |
Venga. Con piede immoto
sostenerò gl'incontri, e in fier conflitto
morirò sì, ma generoso, e invitto.
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CORINTA |
Principe, insano ardire
ti consiglia a perire
invendicato. Cedi a sorte acerba,
e la tua destra, alle vendette ah serba.
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TRASIMEDE |
Meglio è morir da forte,
che viver da codardo
è la fuga viltà, gloria la morte.
Pur se ceder volessi
come ceder potrei? L'armi son note,
conosciute l'insegne, e custodita
deve da mille armati esser l'uscita.
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CORINTA |
Disarmato, e vestito
di rozze spoglie, e vili,
egro finto, o ferito,
costui fuor, degl'agguati
ti condurrà di tracciator soldati.
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ORESDE |
No, no costui non vuole
sorella questi intrichi;
oh poverino me, se la milizia
scoprisse la malizia.
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CORINTA |
Timor d'esser scoperti
punto non ti sgomenti,
ben d'innalzar co' merti
il tuo povero stato, i tuoi tuguri
a grandezze di corte
speranza ti assicuri.
Se custodito il principe, e serbato
sarà dalla tua fede,
avrai d'oro, e di gemme ampia mercede.
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ORESDE |
Oresde che farai?
L'uomo senza ricchezza
è un cadavere al mondo,
morto al viver giocondo.
Vo' tentar la mia sorte,
e viver da povero, o aver la morte.
Ad eseguir l'impresa eccomi pronto.
Di condurti in sicuro
ti prometto, ti giuro.
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CORINTA |
Alma codarda, e timida, dispone,
signor, l'amico cielo
per tua salvezza a perigliose prove.
Vanne, e sieno tue scorte Amore e Giove.
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TRASIMEDE |
Dolcissimo mio foco
io ti chiedo perdono,
s'impotente al soccorso or t'abbandono:
attendi, attendi in breve
la vendetta de' torti: il regno armato
condurrò, per ritorti
alle funi nemiche idolo amato.
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ORESDE |
Al mio vicino albergo
a spogliarti quell'armi andiam veloci.
Or sì, che questa volta
un satrapo divento,
o appeso ad un troncon gioco del vento.
| Oresde, Trasimede ->
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Scena sesta |
Corinta. |
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Del mio crudel, lontana
seguirò l'orme, e in loco
remoto da sospetti,
con amorosi detti
gli farò noto il nome, il dardo, il foco.
Sperar degg'io. Commosso
da tenerezza a' casi miei si lagna:
la pietade è d'amor guida, e compagna.
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Speranza mi dice
che core costante
che fé di diamante
Amor mi tradì.
Verrà, verrà del mio tranquillo il dì.
L'Egeo di Cupido
da turbi agitato,
alfine placato
il porto ci dà.
Ancor del mio sereno il dì verrà.
| Corinta ->
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Scena settima |
Le Grazie. |
<- grazie
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Tre donzelle noi siamo,
ch'Amor cercando andiamo.
Amanti giovanetti,
leggiadre verginelle
dateci in cortesia di lui novelle.
Discortesi tacete,
sorde non rispondete?
Voi vecchi innamorati,
deh per le vostre belle
dateci in cortesia di lui novelle.
| S
(♦)
(♦)
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Scena ottava |
La Bellezza, Le Grazie. |
<- Bellezza
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BELLEZZA
La dolcezza in seno annido,
quando rido
fuochi accendo, e stempro geli,
sin ne' cieli
quel che tuona a me s'inchina.
Son de' cori io la reina.
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| |
GRAZIE |
È costei la Bellezza?
Or sì, ch'abbiam troncato
l'arcier tanto cercato.
Così d'Amor divisa
te n' vai pellegrinando?
Dove lasciato l'hai Venere avisa?
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BELLEZZA |
Anch'io cercando vo
questo spirito cieco, e non lo trovo.
Lo persi un giorno, or dove sia non so.
| Bellezza ->
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Scena nona |
Le Grazie. |
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Dove n'andò,
dove volò,
questo garzon?
Certo scendé
nella region
dove sol è
notte d'orror,
perché in ardor
del suo più fier
peni l'altier
che con severa
legge, regge gl'abissi, e all'alma impera.
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Scena decima |
La Virtù, Le Grazie. |
<- Virtù
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VIRTÙ
Calchi le vie d'Alcide
chi di viver desia vita immortale:
alla gloria non sale
chi del senso fellon segue le guide.
Calchi le vie d'Alcide,
chi di viver desia vita immortale.
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GRAZIE |
La Virtù, la Virtù. Vergine invitta
contro i colpi del fato,
veduto avresti il sagittario alato?
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VIRTÙ |
Solea negli anni primi
del mondo, venir meco il pargoletto,
ma quando il vidi infetto
da lascivi costumi,
e con osceni, e intemperati numi
conversar notte, e giorno,
li sgridai, lo scacciai dal mio soggiorno,
con la lascivia or ha comun la stanza,
e di star con il vizio ha per usanza.
| Virtù ->
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Scena undicesima |
Le Grazie. |
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Per trovar il fuggitivo
si prometta, e s'offerisca.
Grato premio si bandisca.
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Chi tiene Amore
nel sen, nel core,
per un momento
fuori lo scacci,
che cento, e cento
da tre divine,
e porporine
rose vivaci,
otterrà basi,
se n'assicuri,
dolci, ma puri:
e chi n'insegua
dove egli sta
lo stesso avrà.
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Scena dodicesima |
L'Interesse, le Grazie. |
<- Interesse
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INTERESSE |
Preparate pur belle il guiderdone:
il mio piede seguite
trovato avete il lusinghier garzone.
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GRAZIE |
Chi sei tu, che ti vanti
di saver dove alberga il nostro dio?
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INTERESSE |
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GRAZIE |
Temerario venale,
mendace vantatore,
tu vuoi saver dove si cela Amore?
Va', va'. False, e bugiarde
son le tue promesse
che non pratica Amor con l'interesse.
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INTERESSE |
La mia pratica è nova,
e Amor non è qual era. Il troverete
cangiato sì, ch'a pena
non lo conoscerete
non più a parole, no;
s'il volete trovar, venite, io vo.
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| Interesse ->
|
GRAZIE |
Chissà, forse, chissà,
Amor in questa età
costui conoscer deve. Or lo seguiamo.
Muta il tempo le cose; andiamo, andiamo.
| grazie ->
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Scena tredicesima |
Oristeo. |
<- Oristeo
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Core i tuoi moti affrena,
sangue gl'impeti acqueta,
sospendi anima lieta
le brame di scoprirti al dolce figlio,
deh cessa dal'impulsi, e dal consiglio,
morto aborrito dal suo vivo sole,
ahi ch'Oristeo riscusitar non vuole:
sarà sino che gira
propizio al suo rivale, ombra vagante,
cadavere insepolto, e spirto amante,
ma, ma, che miro? Affetto
non m'uccider oh dio con la dolcezza,
non m'affogar nel pianto, o tenerezza.
Figlio, figlio diletto,
del mio pellegrinaggio, adulto, e forte
dopo un lustro ti vedo, e glorioso,
del genitor vendicator pietoso.
Colei, che rea tu credi,
che tieni incatenata
trionfante, e vincente
deh lascia, ella è innocente.
Vivo son io, ma morto
al riso, ed al conforto.
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Scena quattordicesima |
Eurialo, Diomeda, Oristeo. |
<- Eurialo, Diomeda
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EURIALO |
Non difende la colpa
centro perduto al giorno, o rocca alpina.
Di nemesi divina
alla spada arrotata
non ha scampo il misfatto, o scellerata.
Sulle teste tiranne
piove il flagello, e chi dell'altrui sangue
ha sete ingiusta alfin nel proprio ei langue.
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DIOMEDA |
Così concludo anch'io
e so, che l'innocenza
non soggiace alla pena, e chi l'offende
dell'alta onnipotenza
l'arco, e 'l dardo immortal contro si stende.
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EURIALO |
Tu fabbra d'omicidi
dunque della vendetta
aspetta il dardo, aspetta,
che giusto venga a trapassarti il core.
Se del mio genitore
fosti l'Atropo, attendi
dal mio fiero dolor castighi orrendi.
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ORISTEO |
Dell'amata mia prole
l'amor comprendo. Oh qual letizia io provo
lagrime liete uscite pur di nuovo.
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DIOMEDA |
Oristeo destinato a' miei sponsali,
amai più, che me stessa,
ma poiché il padre egli m'estinse, oppressa
da duol quasi fatali
spensi le faci a' lagrimosi avvisi:
ei se n'andò vagando, io non l'uccisi.
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EURIALO |
So, che non l'uccidesti
il tuo drudo l'uccise,
l'ordine tu gli desti.
Ma s'ei di qua non vola
del vostro impuro amor sull'ali assiso,
s'il turbo non l'invola,
se no 'l rapisce alle catene, all'onte;
del profondo Acheronte
discenderete a tenebrosi liti
barbari spirti uniti.
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ORISTEO |
Non temer le minacce alta signore
di quel fanciullo altero,
non son le tue ruine in ciel prefisse.
Ignoto cavaliero
m'arrestò non è molto, e sì mi disse.
Alla tua Diomeda
dirai, ch'un suo nemico
difensor le sarà, che si conforti,
e che speri la vita aver da morti.
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EURIALO |
In sussurri secreti, e non uditi
di', che nove le arrechi
temerario villan? La morte irriti.
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ORISTEO |
Di pietà, riverente
il debito soddisfo, ed al suo duolo
lagrimo, servo antico, e la consolo.
Se l'incauto t'offese abbi il perdono;
reo di pietoso officio, o sire, io sono.
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EURIALO |
Ohimè, quai repentini
assalti, il cor mi move
l'aspetto di costui rustico, e oscuro.
Tante saette all'anima mi furo,
le voci sue. Che sarà questo, o Giove?
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DIOMEDA |
Di nemico guerrier folli speranze
infelici pur siete,
non mi lusingherete.
De' vostri morti anco tra nodi io rido.
In te santa innocenza ah sol confido.
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Scena quindicesima |
La reggia di Pluto. Amore, coro d'Amorini. |
Q 
Amore, amorini
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AMORE
Amor non è più cieco
non ha più l'arco, e i strali,
vedetelo mortali
carico di tesori
or chi argento non ha non s'innamori.
Di ricche spoglie adorno
non porta più la face,
sospir più non gli piace
vuol sacrifici d'ori.
Or chi argento non ha non s'innamori.
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| |
|
Fratelli, siamo pure
di povertade usciti:
Pluto, Pluto in un punto hacci arricchiti.
Vedete quanto vale, e quanto giova
servir signori prodighi, che ponno
affogar la miseria in aurea piova.
Altro che viver schiavi
d'una fallita dea, di genio ingrato,
ch'ha per marito, e vago,
un fabbro vile, ed un meschin soldato.
Chi è costretto a servir dal suo natale
ricco padron s'elegga, e liberale.
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Scena sedicesima |
L'Interesse, Le Grazie, Amore, Coro d'Amorini. |
<- Interesse, grazie
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INTERESSE |
Vedete là, vedete
il cercato donzello,
ravvisatelo pure Amore è quello.
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|
GRAZIE
Che miriam noi? Portenti?
Del volto i lineamenti,
del crin d'oro filato,
l'età, l'essere alato
ci 'l denotano Amor. Ma dove è l'arco?
Della faretra scarco
dov'ha la benda, e quale
barbarico ornamento
gli ricopre le membra?
Agl'occhi nostri un altro Amor rassembra.
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AMORE |
Oh dilette nutrici
da Venere fuggite,
forse a viver venite
con il vostro bambin liete e felici?
Se sacra fame di ricchezze avete,
chiedete omai chiedete;
farò, ch'a mille, a mille
qui le conche eritree mandino i parti,
e che dal salto sen, senza intervallo,
per voi cerulea man svelga il corallo.
Di Creso, e Mida vi darò le verghe,
e perché resti a pieno
ogni vostro desio satollo, e pago,
farò, che gl'Arimaspi, e 'l biondo Tago,
per voi svenino i monti, e d'or ripiena
l'altro v'arrechi la preziosa arena.
| |
GRAZIE |
Per posseder tesori,
Amor, te non cerchiamo.
Perché gl'antichi ardori,
l'ammorzata facella
riaccenda la bella
che regge la Caonia, e torni sposa
dell'amante Oristeo, de re d'Epiro,
la dea, che di rubin sparse la rosa,
che del gargaro Ideo sul fertil giro,
di beltà vinse il bello in paragone,
Venere, a te ci manda, e ciò t'impone.
| |
AMORE |
Sottrattosi da saggio,
Amor dal tuo servaggio,
ministro esser non deve
di ripudiata signoria. Pur vuole
per la memoria dell'impiego antico,
che l'acerbo nemico
rinnodati i suoi lacci
Diomeda raccolga, e in letto abbracci,
dite a Venere amiche
che delle mie fatiche
l'ultimo don sia questo, e più non speri
avermi esecutor de' suoi pensieri.
I miei novi decreti, o Grazie, udite,
e a lei li riferite.
Quelli amante, che vuole
uccidere i martiri
doni, ma non sospiri.
L'oro, non le parole
in questa avara età
sarà l'arco d'Amor, ch'impiagherà.
| Amore, amorini ->
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|
Scena diciassettesima |
Le Grazie, l'Interesse. |
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| |
GRAZIE |
Chi conversa con belve
apprende gl'ululati, ei che s'elesse
la compagnia venal dell'interesse
altro, che mercenario esser non può.
Il corruppe l'amico, e l'infettò.
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INTERESSE |
Fermatevi, ove andate?
Pria che partir baciate:
le promesse adempite. Ecco la bocca,
baci su su, chi baciar pria le tocca.
| |
GRAZIE |
Di servigio sì lieve
vuoi così vaste usure, o troppo avaro?
Non sai, ch'ogni usuraro
proibiscon le leggi. Ingiusto è il patto
illecito contratto
laceran spesso, spesso
tribunal incorrotto, e giusto foro,
e sovente da loro
castigato ne sei. Sta' sta' pur zitto,
che se ci quereliam tu sei spedito.
| grazie ->
|
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Scena diciottesima |
L'Interesse. |
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O schernitrici ingrate
così, così fuggite,
tornate qui; baciate; ove ne gite?
Ma, se le porta il vento, ed io deluso
da queste scaltre resto, e in un confuso.
Se gl'avessi donato
gemma splendia, o d'oro,
posto da parte il verginal decoro
m'avrebbero baciato, e ribaciato;
ma che donassi a queste avare, io no.
Voglio ch'il mio sia mio,
e per un van desio
comprar il pentimento a fé non vo'.
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Brama lasciva, brama
più dell'uom, scaltra donna il dolce invito,
ma l'ingordo appetito
copre con vel modesto al cor, che l'ama,
e insuperbita dall'altrui preghiere,
invece di comprar vende il piacere.
Siam troppo incontinenti,
troppo tenero senso è il vostro amanti,
vendereste a contanti,
più virili in amor grazie, e contenti,
vi verrebbero dietro in modo strano
le donne per le vie con l'oro in mano.
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