Atto secondo

 

Scena prima

Le cime del monte Liceo.
Endimione.

 Q 

Endimione

 

 

Erme, e solinghe cime,  

ch'al cerchio m'accostate

delle luci adorate,

in voi di novo imprime,

contemplator segreto

Endimione l'orme.

Le variate forme

della stella d'argento

lusingando, e baciando,

di chiare notti tra i sereni orrori,

sulla terra, e sui sassi i suoi splendori.

Lucidissima face

di Tessaglia le note

non sturbino i tuoi giri, e la tua pace.

Dagl'atlantici monti

traboccando le rote,

Febo, del carro ardente, omai tramonti.

Il mio lume nascente

illuminando il cielo

più bello a me si mostri, e risplendente.

Astro mio vago, e caro

a' tuoi raggi di gelo,

nel petto amante a nutrir fiamme imparo.

Qual sopor repentino

a' dolce oblio m'invita

su quest'erta romita?

Sonno cortese, sonno

s'alle lusinghe tue pronto mi rendo.

Deh fa' tu, che dormendo

amorosi fantasmi

mi felicitin l'anima svegliata.

Baciatrice baciata

mandan in sen la diva mia crudele,

e stringendo i tuoi lacci, in dolci inganni

fa' che morto in tal guisa io viva gl'anni.

 

Scena seconda

Diana, Endimione.

<- Diana

 

DIANA

Candidi corridori,  

cervi veloci, al vostro moto, al corso

sul vertice Liceo si ponga il morso.

 

 

Ascender qui ved'io  

il pastorello mio,

e qui solinga in solitario loco

per arder al mio foco,

non per scoprirmi amante

mi son condotta. Oh Cinzia fortunata,

il gemino Levante,

del tuo sole, che cerchi, ecco che dorme.

Ammirabili forme,

ignota adoratrice

vi potrò pur, felice

vagheggiar, contemplarvi,

senza rossor baciarvi.

Ma che parli de' baci

o casta Delia? Ah taci.

Ohimè, che mi procura amareggiare

il soave pensiero? Io vo' baciare.

Oh aliti odorati,

spiran d'Arabia i fiati

queste labbra di rose,

e aure preziose

m'invia, più, che m'accosto

il cinnammomo, il costo.

ENDIMIONE

Bella quanto crudele

non fuggirai più no dal tuo fedele.

DIANA

Sogna, e mi stringe al petto;

deh mai non si svegliasse,

e il mio divin restasse

incatenato sempre al suo diletto.

ENDIMIONE

Viso eterno ti bacio, e godo, e sento

nel baciarti, mia dèa, dolce il tormento.

DIANA

Non posso distaccarmi,

temo ch'egli si desti.

ENDIMIONE

Che prodigi son questi?  

DIANA

Ohimè, ch'ei s'è svegliato.

ENDIMIONE

Oh dio, che dormo ancora?

Del sonno supplicato

l'illusioni amabili anco abbraccio?

Tormentoso mio laccio

chi mi ti rende amorosetto, e pio?

Sacrilego son io

che le menti del cielo, e stringo e tocco,

ma di goder cotanta gloria parmi,

che prima di lasciarle io vo' dannarmi.

DIANA

Rallenta questi nodi

mio conforto.

ENDIMIONE

Mio che?

DIANA

Ardor, mio foco.

ENDIMIONE

Ohimè

m'uccide la dolcezza.

DIANA

Lasciami mia bellezza,

e già, che amor sagace

nel tuo seno mi pose

paleso la mia face,

ti confesso la piaga.

ENDIMIONE

Ah diva Artemia, e vaga,

formano le tue fiamme

il rogo alla mia vita,

moro alla tua ferita.

 

DIANA

Vivi, vivi, a' nostri amori.    

Rasserena

la tua pena

raddoppiando i nati ardori.

Vivi, vivi a' nostri amori.

S

ENDIMIONE

Moribondo, eccomi sano.

Tristo duolo

ratto a volo

da me fugge, e va lontano.

Moribondo eccomi sano.

 

DIANA

Partir devo. Addio rimanti.  

ENDIMIONE

Tu mi lasci? Io riedo a' pianti

DIANA

Così chiede il mio decoro.

ENDIMIONE

Torna indietro, o mio martoro.

DIANA

Breve la lontananza

sarà, rasciuga gl'occhi o mia speranza.

ENDIMIONE

Quando più ti rivedrò?

DIANA

Presto, presto mio ben

lieto rimanti, io vo'.

ENDIMIONE

Teco l'anima vien.

DIANA

Mio sole.

ENDIMIONE

Cor mio.

DIANA E ENDIMIONE

Addio.

Diana ->

 

Scena terza

Endimione.

 

 

Dipartita crudele  

sulle dolcezze mie diluvi il fele.

Appena, qual avaro

che sogna aver del re di Lidia l'oro,

palpato, mi svanisce ogni tesoro.

Ditemi un poco amanti,

qual è maggior tormentoso

la sua donna crudel non goder mai.

O perderla, goduta, in un momento?

Dite, ditelo omai.

Provarla sempre acerba è più dolore.

Siete, siete in errore.

Avvezzo al mal sofferto

non sente tanto fiere

della nemica, il cor, le rigidezze.

Ma chi d'antico duol passa al piacere,

e perde le dolcezze,

no 'l può vessar martir più crudo, e novo.

Io ve 'l so dir, ch'il provo.

Endimione ->

 

Scena quarta

Il satirino.

<- Il satirino

 

 

Alfin la tanto rigida,  

quella, che delle vergini

imperatrice, e satrapa

è come l'altre femmine

soggette al senso fragile;

e che sempre s'appigliano

al male, al peggio, al pessimo.

Pane, ch'è un dio sì nobile

costei ripudia, e gettasi

nelle braccia d'un rustico.

Se gl'occhi lo spettacolo

veduto non avessero

mai non avrei credutolo.

Voglio avvisar il languido,

ei vi porrà rimedio.

 

Chi crede a femmina  

mai sempre instabile

nell'acque semina;

e prima svellere

potrà man tenera

antica rovere,

che mai commuovere

suo cor, che genera

fede mutabile.

Chi crede a femmina

mai sempre instabile

nell'acque semina.

Il satirino ->

 
 

Scena quinta

La pianura dell'Erimanto.
Giunone.

 Q 

Giunone

 

 

Dalle gelose mie cure incessanti  

lacera, stimolata, a questo suolo

de' miei pomposi augelli io piombo il volo,

fatti del mio furor compagni erranti.

Stupri novelli a sussurrare intesi.

Abbandonata la celeste corte,

ignoto qui dimora il mio consorte,

chiuso in stranieri, e indecenti arnesi.

Sempre per ingannar fanciulle belle,

novo Proteo, si cangia in forme nove,

aspetto un dì, che questo mio gran Giove

mi conduca le drude in sulle stelle.

 

Scena sesta

Calisto, Giunone.

<- Calisto

 

CALISTO

Sgorgate anco sgorgate  

fontane dolorose,

luci mie lagrimose

quell'umor,

che dal cor

ascendendo a voi se 'n vien.

M'è sparito in un balen

il conforto,

restò morto

quel piacer, che già gustò

da dèa pia

l'alma mia,

sin, che vivo io piangerò.

GIUNONE

Che lagrime son queste

o bella faretrata?

CALISTO

Piango mia sorte ingrata.

GIUNONE

Le tue noie funesti

a me scopri, che posso,

moglie del gran motore,

sanarti ogni dolore.

CALISTO

Oh reina del cielo

scusa l'irriverente io non conobbi

la tua divinità nel terreo velo,

Cinzia, che seguo, e onoro

mi scaccia dal suo coro.

GIUNONE

La cagion?

CALISTO

Mi condusse

in antro dilettoso,

e mi baciò più fiate

come se stato fosse il vago, il sposo.

Le mie labbra baciate

le sue baciavo a gara,

stretta dalle sue braccia.

Or ella nega il bacio, e me discaccia.

GIUNONE

Tocca la terra appena,

temo d'aver trovata

dell'adultero mio la nova amata.

Altro, che baci, di',

v'intervenne, vi fu

tra la tua Delia, e te?

CALISTO

Un certo dolce che,

che dir non te 'l saprei.

GIUNONE

Non più, non più.

Le forme della figlia, uso alla frode,

prese il mio buon consorte

per appagar il perfido appetito,

grazioso marito.

CALISTO

Deh se mai non discenda

il tuo Giove del ciel per ingannare

le vergini innocenti,

raddolcite, e clementi

di Diana alterata

rendimi l'ire, e fa' ch'omai placata

giri ver me le luci sue serene.

Ecco appunto, che viene.

GIUNONE

Certa son dell'inganno,

in quelle forme è Giove.

A Mercurio il conosco,

al scaltro suo messaggio, al ladro accorto,

che fabbro del mio torto

ha per me sempre nella bocca il tosco.

 

Scena settima

Giove in Diana, Mercurio, Giunone, Calisto.

<- Giove, Mercurio

 

GIOVE
(in Diana)

Esprimerti non posso  

il goduto piacere.

Tal lassù nelle sfere,

e nelle glorie mie

no 'l finisco, no 'l provo.

Io, che regalo, e meno

i cerchi erranti, e che sostengo il mondo,

con diletto giocondo,

ben che nell'operar sempre indefesso,

con le fatture mie ricreo me stesso.

MERCURIO

Tu non dovevi o facitor sovrano,

già, che sì ti diletti

de' generati aspetti

indipendente far l'arbitrio umano.

Se fosse a te soggetto

chi vive in libertade,

senza tante mutanze, e tanti inganni,

di sembianze, e di panni,

godresti ogni beltade.

GIUNONE

Oh consiglio prudente,

esser non può costui più miscredente.

CALISTO

Alta regina, io voglio

pria, che per me la tua bontà s'impieghi

in suppliche, ed in preghi

provar s'è la mia diva anco di scoglio.

GIUNONE

Troverai placidetta,

va' pur, la tua diletta.

GIOVE
(in Diana)

Calisto anima mia?  

GIUNONE

O sferze, o gelosia.

 

CALISTO

Mio conforto, mia vita!  

GIOVE
(in Diana)

Mia dolcezza infinita!

CALISTO

Mio ristoro.

GIOVE
(in Diana)

Mio martoro.

CALISTO

Mio sospiro.

GIOVE
(in Diana)

Mio respiro.

CALISTO

Mio desio.

GIOVE
(in Diana)

Onde vieni?

CALISTO

A te ben mio.

 

MERCURIO

Di dolci parolette  

lasciva melodia.

GIUNONE

O sferze, o gelosia.

GIOVE
(in Diana)

Dove dall'urna sua

scaturisce il Ladone i suoi cristalli

vanne, vanne mia cara,

e di novo prepara

la bocca a guerreggiar co' miei coralli,

io tosto là verrò.

CALISTO

Rapida me ne vo.

Ma chi è costui, che ti risiede appresso?

GIOVE
(in Diana)

Del mio buon padre il messo.

CALISTO

Volea, poch'è, facondo

farmi preda di Giove,

ma resa sorda a lusinghieri inviti

furo lasciati ambo da me scherniti.

Eccelsa imperatrice,

la cagion non le chiesi

del procelloso nembo, e del tranquillo,

li sdegni ha la mia dèa placidi resi;

tutta fasto, in contento il cor distillo.

GIUNONE

Vo', che tu cangi presto

quel tuo lieto in funesto.

Calisto ->

 

Scena ottava

Giove in Diana, Mercurio, Giunone.

 

GIOVE
(in Diana)

Trar da quelle vaghezze  

bramo Cillenio mio dolcezze nove.

MERCURIO

Giunon, Giunone, o Giove.

 

GIUNONE

Mercurio? Ove lasciasti,  

teco quaggiù disceso

a consolar la terra, il mio marito?

MERCURIO

Il ristoro adempito

dell'egra madre accesa,

ritorno dell'Olimpo agl'alti nidi.

GIUNONE

Di là vengo, né 'l vidi.

Forse, ch'ei t'ha ingannato,

e deviando da già presi voli,

tra le selve celato,

amator fraudolente

deve, deve ingannar ninfa innocente.

GIOVE
(in Diana)

Qualche notizia ha certo

della mia dolce sorte

la gelosa consorte.

MERCURIO

Sempre maligno, e gelido sospetto

ti tiranneggia il petto.

GIUNONE

Porge poca credenza

l'esperienza mia

al dio della bugia.

Ma voi celeste, o vergine matrona,

che fate qui con ladri, e con mezzani?

Accoppiamenti strani,

l'onestade vid'io con la lascivia.

E che volete trivia

che si dica di voi? Che lingua dotta,

con retorica rea v'abbia corrotta?

Lo discacci di qua

la vostra castità.

GIOVE
(in Diana)

Non può macchia, o sozzura

render nera mia fama, e farla impura.

Senza oscurarmi l'onorato grido

poss'io conversar l'ore

con Venere, e d'amore.

GIUNONE

E baciar le donzelle.

MERCURIO

È scoperta la frode,

e della frode il fabbro.

GIOVE
(in Diana)

Non è negato il bacio a casto labbro,

bocca pura, e pudica

può baciar senza biasmo,

la verginella amica.

GIUNONE

Sì, ma negl'antri lecito non gl'è

condur le semplicette, e farle poi

un certo dolce che,

come fatto gustar gl'avete voi.

MERCURIO

Lo diss'io.

GIOVE
(in Diana)

Giuno, Giuno ove trascorre

la lingua disonesta?

Esprimi più modesta

concetti degni dell'udito mio,

o la selva abbandona,

ove la selva abbandona.

GIUNONE

Non v'alterate no,

triforme lascivetta

i vostri vezzi io so;

e crederei, che Giove

sotto quelle sembianze,

scordato il firmamento,

errasse per le selve a lussi intento.

Ma fatto continente

più non segue, od apprezza

la caduca bellezza;

e poi d'averlo visto afferma, attesta

quel suo buon messaggero,

volar al trono del sublime impero.

Orsù voglio lasciarvi,

né importunarvi più. Dentro li spechi

nettare più soave amor v'arrechi.

Giunone ->

 

Scena nona

Giove in Diana, Mercurio.

 

GIOVE
(in Diana)

Chi condusse costei  

dal cielo a investigare i gusti miei?

MERCURIO

La gelosia, che vede

con cento lumi, e cento

ch'agile come il vento

penetra il chiuso, e il tutto osserva, e crede.

GIOVE
(in Diana)

Ululi, frema, e strida,

qual belva inferocita,

a gl'amorosi torti

la moglie ingelosita,

non farà mai, che lasci i miei conforti.

 

MERCURIO E GIOVE

È spedito  

quel marito,

che regolar le voglie

si lascia dalla moglie.

Con quello, che piace

si smorzi la face

del nostro appetito.

E poscia il rigore

accheti il rumore.

È spedito

quel marito,

che regolar le voglie

si lascia dalla moglie.

 

Scena decima

Endimione, Giove in Diana, Mercurio.

<- Endimione

 

ENDIMIONE

Cor mio, che vuoi tu?  

Che speri, che brami,

che chiedi di più?

Più lieto di te,

ch'il cielo baciasti

in terra non è.

S'amor m'impiagò,

fu d'oro lo strale,

ch'al sen mi scoccò.

Sfondo schermo () ()

 

GIOVE
(in Diana)

Mercurio, che disfoga  

in amorosi carmi il chiuso ardore?

MERCURIO

Delle pelasge selve

l'ornamento, l'onore.

Pastor, che non di belve

vago, o di pascolar gregge, ed armenti,

con lodevoli studi

vuol che l'ingegno sudi

in specolar del ciel gl'astri lucenti.

ENDIMIONE

O splendida mia dèa,

felicità dell'alma,

mia fortuna, mia calma.

Dal mio Liceo felice,

ove, mercede tua, lasciai la pena

ti trovo, sceso appena?

Il core amor ringrazia, e benedice.

Ma chi è colui, ch'è teco?

Ohimè fiero tormento

nato da gelosia nel petto io sento.

GIOVE
(in Diana)

Cinzia fa poi la casta,

e pur anch'ella ha di segreti amanti.

MERCURIO

Questi falsi sembianti,

con gl'arnesi mentiti

signor deponi, che di vaghe invece

troverai di mariti.

 

Scena undicesima

Il satirino, Pane, Silvano, Giove in Diana, Endimione, Mercurio.

<- Il satirino, Pane, Silvano

 

IL SATIRINO

Se tu no 'l credi, vedila  

di novo unita all'emulo,

quell'agreste, ch'accennoti

il drudo è di Trigemina.

PANE

Scellerato, dai vincoli

stretto di questi muscoli

non fuggirai le Eumenide

del doglioso rammarico,

ch'in sen per te mi pullula.

 

ENDIMIONE

Lasciami, chi t'offese?  

Ch'ingiuria t'ho fatt'io

o semicapro dio?

GIOVE
(in Diana)

Qual furia agita Pane?

PANE

Ecco il tuo vago o perfida,

incatenato, e fattomi

prigion da fato prospero

sugl'occhi tuoi, ch'aborrono

la figurata, e mistica

mia mostruosa immagine.

Quei livori, che vedonsi

nelle tue guance candide

sono pur le memorie

de' baci soavissimi,

ch'i labbri tuoi mi dierono.

Or perché sprezzi, e fuggimi

incostante, e contraria?

Ahi, che nota è l'origine

dell'amor tuo volubile.

Costui ch'in pianto stillasi

è del mio mal la causa;

ma far di lui spettacolo

funesto e miserabile

voglio a quei rai, che, fulmini

fatti per me, m'uccidono.

MERCURIO

Da questi intrichi usciamo,

partiam, Giove partiamo.

GIOVE
(in Diana)

Satiro dispettoso

uccidi pur, carnefice, a tua voglia,

non avrai mai salute all'aspra doglia.

ENDIMIONE

Dove vai diva? Aita.

Parti? Perdo la vita.

Giove, Mercurio ->

 

Scena dodicesima

Pane, Silvano, Il satirino, Endimione.

 

PANE E SILVANO

Fermati o mobile.  

A par del turbine,

così tu l'anima

lasci all'arbitrio

di cor, ch'infuria?

D'acerba ingiuria

feroci vendici

quel duol, ch'annidasi

nel petto lacero

si estirpi, e uccidasi,

con l'altrui strazio,

di vendetta il desio se n' resti sazio.

ENDIMIONE

Oh dio così abbandoni

sul margo del sepolcro il tuo fedele?

Oh dio così crudele

mi lasci agonizzante?

Mira almen la mia morte, amata amante.

 

PANE, SILVANO E IL SATIRINO

Miserabile,  

che credevi a donna instabile?

Variabile

è la tua fede, e detestabile.

Miserabile,

che credevi a donna instabile?

 

ENDIMIONE

Amor, se non m'ascolta  

la dispietata mia, qui drizza l'ali,

difendami i tuoi strali.

 

PANE, SILVANO E IL SATIRINO

Miserabile,

dunque speri in dio mutabile?

Egl'è inabile,

né ti sente, arcier vagabile.

Miserabile,

dunque speri in dio mutabile?

 

ENDIMIONE

Uccidetemi dunque  

dalle speranze mie

povero derelitto;

tolga il martir la morte ad un afflitto.

PANE

Poiché morir desideri

vo', che tu formi gl'aliti

per eternarti il flebile

privo di libertà.

ENDIMIONE

O dèi, che crudeltà.

 

PANE, SILVANO E ENDIMIONE

Pazzi quei, ch'in Amor credono.  

Son baleni che spariscono.

Le dolcezze e in fiel forniscono

suoi piaceri, o mai si vedono.

Pazzi quei, ch'in amor credono.

Pane, Silvano, Endimione ->

 

Scena tredicesima

Il satirino.

 

Pazzi quei, ch'in Amor credono?  

Son pazzi tutti gl'uomini.

Pazzo è il mondo, che l'illecito

suo gioir segue sollecito,

né v'è cor, che non lo nomini.

Pazzi sono tutti gl'uomini.

Pazzi, quei ch'in amor credono?

Pazze son tutte le femmine,

che con piante ancora tenere

lo ricevono con Venere

nelle luci, o stelle gemine.

Pazze son tutte le femmine.

 

Scena quattordicesima

Linfea, Il satirino.

<- Linfea

 

LINFEA

D'aver un consorte  

io son risoluta

voglio esser goduta.

Non vo' isterilire

sul vago fiorire

degl'anni ridenti:

i dolci contenti,

che l'uomo sa dare

anch'io vo' provare.

D'aver un consorte

io son risoluta

voglio esser goduta.

 

IL SATIRINO

Ad impazzir principia  

la sprezzatrice rigida.

Vo' castigar l'ingiuria

con vendetta di zucchero.

 

LINFEA

Amor ti prego,

che vago, e gradito

mi trovi un marito.

Non vo' più tra selve

seguire belve

nemica a me stessa.

Il core confessa,

che più non può stare

anch'egli ad amare.

D'aver un consorte

io son risoluta

voglio esser goduta.

 

IL SATIRINO

Uscite amici satiri,  

questa fera prendetemi.

LINFEA

Compagne soccorretemi.

 
Alle voci del Satirino, escono dalla foresta due Satiri, ed a quelle di Linfea, quattro Ninfe armate di dardi, quali con attitudini di voler ferire le semibestie, e questi di schernirsi da ferri minacciosi, figurano un ballo, il cui fine è la ritirata de' Satiri.

<- due satiri, quattro ninfe

Il satirino, Linfea ->

due satiri ->

 

Scene inserite nella favola dopo la scena quarta dell'atto secondo

Un Bifolco d'Ermione.

(nessuno)

<- bifolco

 

BIFOLCO

Al lupo, dalli, dalli al lupo, al lupo:  

un'agna ci rubò

il ladrone vorace,

sugl'occhi l'involò

del can custode, audace,

pria che s'imboschi, e vada al nido cupo

se li tolga la preda; al lupo, al lupo.

 

 

Ma non v'è, l'ho smarrito:  

uscì dalla pianura. Ei ristorato

sarà dal furto grato,

ed io qui stanco resto, e in un schernito.

Io così non la voglio

io così non la sento.

Vo' attendere all'armento

né aver di gregge cura, a Pan lo giuro.

Vo' con Endimione

intendermi al sicuro.

Oh quest'è un grand'imbroglio,

io così non la voglio.

Ma, dal corso lasso,

tolto in mano chi serba il mio ristoro,

m'affido sovra il sasso.

Dolcissimo Lieo

bevendoti ogni spirto in me ricreo.

 

Chi beve  

riceve

nel core, nel petto

soave diletto.

Oh vino

rubino

da Bacco stillato,

per te spiro il fiato.

Quel piè,

che spremé

licore sì eletto

sia pur benedetto.

Ah poverino me.

 

 

Più non getta il bottaccio, ohimè, ohimè  

goccia goccia sì, sì:

gustoso libamento. Ei si smarrì.

Voto è rimasto il vaso,

s'il palato ti perde

prezioso amor mio, ti gode il naso:

nell'odorar le tue reliquie, io sento

delle perdite tue dolce il tormento.

Ma qual pigrizia è questa?

S'entri nella foresta,

si torni alle capanne. Oh, oh oh, oh,

forza nel piè non ho.

Ma che, ma che, ma che?

Non mi vacilla il piè.

Ho pur la cesta scema,

è la terra che trema.

Di più, di più, di più,

il sol dal carro suo cade all'ingiù.

Stravaganze novelle

cadono con il sole anco le stelle.

 
Linfea, il Bifolco.

<- Linfea

 

LINFEA

Soave pensier  

principio d'amor,

comincia il mio cor

quel dolce a sentir,

ch'arreca il gioir.

Con voi, vaghe piante,

vo' vivere amante.

 

BIFOLCO

Ve', ve', ve', ve', ve', ve';  

di Pan la luna accesa

in terra, in terra è scesa.

LINFEA

Ecco d'Endimione, ecco il Bifolco:

voglio con lui scherzare.

Addio vago pastore

vo cercando amatore,

mi vorresti tu amare?

 

BIFOLCO

Amare non vo',  

amor cosa sia

ancora non so.

Quest'urna mi dà,

mi versa, mi piove

dolcezze, che Giove

in cielo non ha.

Amare non vo',

amor cosa sia

ancora non so.

 

LINFEA

Se vuoi sentir diletto  

ricevilo nel petto.

BIFOLCO

Ch'egli m'entri nel seno?

Taci sorella cara,

ho inteso a dir, ch'egli è una cosa amara.

Vo', che per questa canna

solo mi vada a rallegrare il core

del mio Bacco il licore,

la purpurina, e distillata manna.

Ma che dimoro teco umida luna?

Ci separi e divida un colle alpino,

tu sei dell'acqua amica, ed io del vino.

 

Bottaccio, che vuoto,  

ti sento d'umor,

deposito il cor

in te, che mi spiri

graditi sospiri:

tra i balsami tuoi,

starasene ei teco

infin, che di greco

ricolmo verrai.

Ah lento, che fai?

A empirti me n' vo.

Ma terra, ma, ma

raffrena i tuoi moti;

ancora ti scuoti?

Il piede cadrà.

Ma terra, ma, ma.

bifolco ->

 

LINFEA

Pane l'aiti. Quasi  

nell'entrar della selva il capo franse;

al tugurio lontano

certo costui non giunge, ed ebbro, e sano,

né porta alle sue paglie i membri interi.

Torno a voi, torno a voi dolci pensieri.

 

Se bene nel sen  

non chiudo l'arcier,

ch'è fiamma, è calor,

pensando al su' ardor

principio a goder

con voi, vaghe piante,

vo' vivere amante.

 

Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Le cime del monte Liceo.

Endimione
 

Erme, e solinghe cime

(Endimione si addormenta)

Endimione
<- Diana

Ascender qui ved'io

(Endimione si sveglia)

Che prodigi son questi?

Partir devo. Addio rimanti

Endimione
Diana ->

Dipartita crudele

Endimione ->
<- Il satirino

Alfin la tanto rigida

Il satirino ->

La pianura dell'Erimanto.

Giunone
 

Dalle gelose mie cure incessanti

Giunone
<- Calisto

Sgorgate anco sgorgate

(Giunone e Calisto si nascondono)

Giunone, Calisto
<- Giove, Mercurio

(Giove in Diana)

Esprimerti non posso

(Calisto si rivela)

Calisto anima mia?

Calisto e Giove come Diana
Mio conforto, mia vita!

Di dolci parolette

Giunone, Giove, Mercurio
Calisto ->

Trar da quelle vaghezze

(Giunone si rivela)

Mercurio? Ove lasciasti

Giove, Mercurio
Giunone ->

Chi condusse costei

Mercurio e Giove (come Diana)
È spedito quel marito
Giove, Mercurio
<- Endimione

Mercurio, che disfoga

Giove, Mercurio, Endimione
<- Il satirino, Pane, Silvano
Il satirino e Pane
Se tu no 'l credi, vedila

Lasciami, chi t'offese?

Endimione, Il satirino, Pane, Silvano
Giove, Mercurio ->

Fermati o mobile

Pane, Silvano e Il satirino
Miserabile, che credevi

Amor, se non m'ascolta

 

Uccidetemi dunque

Pane, Silvano e Endimione
Pazzi quei, ch'in Amor credono
Il satirino
Pane, Silvano, Endimione ->
Il satirino
<- Linfea

Ad impazzir principia

 

Uscite amici satiri

Il satirino, Linfea
<- due satiri, quattro ninfe
due satiri, quattro ninfe
Il satirino, Linfea ->

(i satiri, e le ninfe figurano un ballo)

quattro ninfe
due satiri ->
 
<- bifolco

Ma non v'è, l'ho smarrito

Più non getta il bottaccio, ohimè, ohimè

bifolco
<- Linfea

Ve', ve', ve', ve', ve', ve'

Se vuoi sentir diletto

Linfea
bifolco ->

Pane l'aiti. Quasi

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scene inserite nella favola dopo la scena quarta dell'atto secondo
L'antro de L'eternità. Selva arida. Foresta. Le cime del monte Liceo. La pianura dell'Erimanto. Le fonti del Ladone. L'empireo.
Prologo Atto primo Atto terzo

• • •

Testo PDF Ridotto