Atto primo

 

Scena prima

Selva arida.
Giove, Mercurio.

 Q 

Giove, Mercurio

 

GIOVE

Del foco fulminato,  

non stempraro le fiamme

delle sfere i zaffiri; ogn'orbe è intero.

Ben l'infimo emisfero

serba caldi vapori, ancora ardente,

già la terra languente

con mille bocche, e mille,

chiede, febbricitante, alti soccorsi,

abbandonati i corsi

nell'urne lor s'hanno racchiusi i fiumi.

Esalazioni, e fumi

mandano al cielo inariditi i prati,

e sfioriti, e schiomati

vivono a pena i boschi. Or tocca a noi

ch'avem del mondo, e provvidenza, e cura

ristorar gl'egri, e risarcir natura.

MERCURIO

Tu padre, e tu signore

delle cose composte, ed increate,

tu monarca del tutto,

all'arido, al distrutto.

Dalle cime beate

dell'Olimpo sublime

tornar le pompe prime,

e le sembianze belle

potevi pur senza lasciar le stelle.

Tem'io, che qui disceso,

invece d'apportare al mal ristoro

non uccidi il penante, e in modi novi

non distruggi, e rinnovi

la progenie de' sassi depravata.

Più che mai scellerata

l'umanità, tra vizi abominandi,

il folgore disprezza, e tu ch'il mandi.

GIOVE

Pria si renda il decoro alla gran madre,

che poscia con le squadre

de' ribelli, e nocenti

di Licaon rinnoverò gl'esempi.

Ma Mercurio, chi viene?

Qual ninfa arciera in queste parti arriva?

Oh, che luci serene,

più luminose non le vidi mai:

il caduto Fetonte,

e i saettati rai

ricoverò negl'occhi, e sulla fronte.

MERCURIO

Del re è cangiato in lupo,

di Licaone appunto.

Ch'ulula per le selve il suo misfatto

è costei prole illustre, e d'arco armata

segue la faretrata

Cinzia severa, e anch'ella,

rigida quanto bella,

non men del casto, e riverito nume,

della face amorosa aborre il lume.

GIOVE

Semplici giovanette

votarsi all'infecondia, e per le selve

disumanarsi in compagnia di belve.

 

Scena seconda

Calisto, Giove, Mercurio.

<- Calisto

 

CALISTO

Piante ombrose  

dove sono i vostri onori?

Vaghi fiori

dalla fiamma inceneriti,

colli, e liti

di smeraldi già coperti

or deserti

del bel verde, io vi sospiro:

dove giro,

calda, il piede, e sitibonda,

trovo l'onda

rifuggita entro la fonte,

nella fronte

bagnar posso, ho 'l labbro ardente.

Inclemente:

si chi tuona arde la terra?

Non più Giove, ah non più guerra.

 

MERCURIO

Dell'offese del foco  

la bella ti fa reo.

GIOVE

Cillenio, ahi che poteo

un raggio di quel bello

la mia divinità render trafitta.

Caramente rubello

al suo fattor, quel viso,

se potessi morir, m'avrebbe ucciso.

MERCURIO

Scendesti per sanare,

e fisico imperito

l'egra t'inferma: nel smorzar a pieno

il colpevole ardor, t'accendi il seno

con fiamme di Cocito.

CALISTO

Da questa scaturigine profusa

son l'acque anco perdute.

Refrigerio, e salute

alle viscere mie chi porgerà?

M'arde fiero calor,

e per me stilla di salubre umor

il torrente, la fonte, il rio non ha.

GIOVE

Scenderanno da cieli

per ricrearti, o bella

le menti eterne, e quasi serve a gara

t'arrecheran l'ambrosia, a dèi sì cara.

 

Vedi della sorgente  

in copia scaturir fredd'i cristalli.

Della tua dolce bocca amorosetta,

vaga mia languidetta,

nell'onda uscita immergi i bei coralli.

 

CALISTO

Chi sei tu, che comandi  

all'acque, o meraviglie alte, inudite,

e dai lor centri ad irrigar le mandi

le sponde incenerite?

GIOVE

Chi sa cose maggiori

far con un cenno. Gl'astri, e gl'elementi,

struggendo, rinnovar posso in momenti.

Giove son io, che sceso

dal ciel per medicar la terra, ch'arde,

dal foco de' tuoi rai mi trovo acceso.

 

MERCURIO

Arciera vezzosa  

ricorri amorosa

di Giove nel sen.

L'Empireo seren

de' dolci tuoi baci

per premio darà.

Delizie veraci

tuo spirto godrà.

GIOVE E MERCURIO

Di Giove nel sen

arciera vezzosa

ricorri amorosa.

 

CALISTO

Dunque Giove immortale,  

che protegger dovrebbe,

santo nell'opre, il virginal costume,

acceso a mortal lume,

di deflorar procura

i corpi casti, e render vani i voti

di puri cori, a Cinzia sua devoti?

Tu sei qualche lascivo, e la natura

sforzi con carmi maghi ad ubbidirti.

Girlandata di mirti

Venere mai non mi vedrà feconda.

Torna, torna quell'onda

nello speco natio,

che bever non vogl'io

de' miracoli tuoi

libidinoso mago.

Resta co' tuoi stupori. Addio mio vago.

 

Verginella io morir vo'.  

Stanza, e nido

per Cupido

del mio petto mai farò.

Verginella io morir vo'.

Scocchi amor, scocchi se può

tutte l'armi

per piagarmi,

ch'alla fine il vincerò.

Verginella io morir vo'.

Calisto ->

 

Scena terza

Giove, Mercurio.

 

GIOVE

Come scherne acerbetta  

le lusinghe costei del dio sovrano,

e di ridurla amante

l'onnipotenza mia non è bastante,

che libero creai l'animo umano.

Tu Mercurio facondo,

che con detti melati

persuadi, ammorbidisci, or corri, or vola

dietro la fuggitiva

e rendendola priva

del casto orgoglio, il tuo signor consola.

MERCURIO

Altro, che parolette

vi vogliono a stemprare

di queste superbette

pertinace 'l rigor. Donna pregata

più si rende ostinata.

GIOVE

Dunque, che far degg'io

per dar ristoro all'amoroso affanno.

MERCURIO

Seguire il mio consiglio, usar l'inganno.

GIOVE

E come?

MERCURIO

Della figlia,

della silvestre dea prendi l'imago,

e sotto quel sembiante,

amatore ingegnoso,

godi l'amata ascoso

non fuggirà gl'amplessi

la rigida romita

della diva mentita.

GIOVE

Ben delle frodi sei

artefice sagace, inventor raro.

Potrà il rimedio tuo Mercurio caro,

felicitar gl'amori al re de' dèi.

MERCURIO

Non s'allontani dalla fonte il passo,

ch'ancora qui verrà questa ritrosa

la sete ardente ad ammorzare al sasso:

fa', ch'ogn'altr'onda, anco dimori ascosa.

GIOVE

Chiuso in forme mentite

Giuno non saprà già le mie dolcezze,

e se note le fian garrisca in lite,

che sì dolce contento

non lascerei per cento garre, e cento.

Mercurio, Giove ->

 

Scena quarta

Calisto.

<- Calisto

 

 

Sien mortali, o divini  

i lascivi partiro;

ed io, ch'indarno aggiro

sitibonda, anelante

il piè per il contorno

a ber qui l'acque scaturite: e or torno;

oh, come pochi sorsi

del dolce, e freddo umore,

m'estinse con l'ardore

quell'ingordo desio,

che volea diseccar l'onde d'un rio.

Di questo ghiaccio sciolto

fatto lavacro al volto,

e in lui le braccia immerse,

i bollori del sangue raffreddai.

Grazie alla fonte, ogni languor sanai.

 

Non è maggior piacere,  

che seguendo le fere

fuggir dell'uomo i lusinghieri inviti:

tirannie de' mariti

son troppo gravi, e troppo è il giogo amaro

viver in libertade è il dolce, il caro.

Di fiori ricamato

morbido letto ho il prato,

m'è grato cibo il mel, bevanda il fiume.

Dalle canore piume

a formar melodie tra i boschi imparo.

Viver in libertade è il dolce, il caro.

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Scena quinta

Giove trasformato in Diana, Mercurio, Calisto.

<- Giove, Mercurio

 

MERCURIO

Chi non ti crederebbe  

agl'arnesi, alla forma al portamento,

la dèa del ciel d'argento.

GIOVE
(in Diana)

Ecco l'orgogliosetta

colta incauta ne' lacci.

MERCURIO

Rispettoso amator che non l'abbracci?

 

GIOVE
(in Diana)

O decoro  

del mio coro,

verginella

più, che bella,

tanto lungi alla tua diva?

Di te priva

perdo il lieto

delle prede, e mai m'accheto.

CALISTO

O Febea

mia gran dèa,

dèa, che impera

alla sfera,

che circonda al foco il giro,

mi partiro

dal tuo lato

belve rée, nume adorato.

GIOVE
(in Diana)

Or l'amarezza

della dimora,

bella, ristora

con la dolcezza

de' baci tuoi.

CALISTO

Quanti ne vuoi

te ne darà,

te n' porgerà,

devoto il labbro,

che d'invocare

ha per costume

sempre il tuo nume.

 

GIOVE
(in Diana)

In ricovro più ombroso,  

in loco più frondoso,

al mormorar, che fa l'umor cadente

di trovata sorgente

più limpida di questa, e più gelata,

a baciarsi le bocche

portiam, seguace amata.

 

CALISTO E GIOVE

A baciarsi andiam, sì, sì.  

Sien del dì

liete al core

tutte l'ore,

col goderle in dolci paci.

Non s'indugi, a' baci, a' baci.

Calisto, Giove ->

 

Scena sesta

Mercurio.

 

 

Va' pur, va' pur, va' seco,  

ch'altro, che suon de' casti baci, e puri

pubblicherà per la foresta l'eco.

Va' pur, va' pur, va' seco.

 

Se non giovano,  

se non trovano,

le preghiere, e i vostri pianti,

nelle ingrate

adorate

cortesia, sentite amanti,

ricorrete alla frode,

ch'ingannatore amante, è quel, che gode.

Le blandizie,

le delizie

di Cupido a ladro ingegno

più condite,

saporite,

son più grate, io ve l'insegno.

Ricorrete alla frode,

ch'ingannatore amante, è quel, che gode.

Mercurio ->

 
 

Scena settima

Foresta.
Endimione.

 Q 

Endimione

 

 

Improvvisi stupori;  

nascono a gara i fiori,

germina il verde, e veste

per l'aride foreste

ogni pianta di fronde ombrose manto.

Il Ladon, l'Erimanto

sgorgando i chiusi umori,

di novo van precipitosi al mare:

io nelle doglie amare

refrigerio non sento,

e di secche speranze

il verdeggiar dispero;

divorator severo,

mentre, che gode il mondo i suoi ristori,

mi moltiplica il foco in sen gl'ardori.

Solo al correr de' fiumi

corre il mio pianto, e sempre

ho le fiamme nel cor, l'acque ne' lumi.

Ma lasso me, che miro?

Se n' viene il mio sospiro.

 

Serenati o core,  

e quelle bellezze,

che spirano asprezze,

furtivo amatore,

contempla, e ristora

con qualche diletto

quel duol, che nel petto

ti cova la morte.

Divina mia sorte

al tuo bel sembiante

respira il penante.

 

Scena ottava

Diana, Linfea, Endimione.

<- Diana, Linfea

 

DIANA

Pavide, sbigottite  

dalle fiamme piovute

nelle caverne lor, seguaci arciere,

stanno ancora le fere;

onde senza speranza i passi nostri

traccian de' boschi i mostri.

LINFEA

Costrette dalla sete

verranno al rio corrente,

pria, che nell'occidente,

il luminoso tuo german tramonti.

Sui declivi de' monti,

sui sentieri della selva

attendiamole al varco:

scoccherem pria, ch'imbruni i strali, e l'arco.

DIANA

Ohimè, vedo il mio bene,

quel ben per cui beata io vivo in pene.

ENDIMIONE

Occhi non v'abbagliate

a quei raggi d'argento,

vi prego resistete,

ch'or mediche discrete

mi tolgon quelle luci ogni tormento.

DIANA

Pastorello gentile

errar per la foresta

fere veduto avresti?

ENDIMIONE

Colmo di casi mesti,

fisso ne' miei pensieri,

punto da interni morsi,

fatto cieco dal pianto,

belve, diva, non scorsi.

DIANA

Tu, che la gloria sei dell'Erimanto,

tu, che della mia sfera

i volubili moti

dotto investigatore osservi, e noti,

tu nel verde degl'anni,

nutrisci tanti affanni?

ENDIMIONE

Son martire felice,

e l'anima languendo

adora, e benedice

la cagion del suo male.

Sia la piaga immortale,

come nel petto mio nascer io sento

dalla doglia il contento.

DIANA

Agl'effetti, che narri

del soave dolore,

il tuo tiranno è Amore.

ENDIMIONE

Amor, né mi querelo

delle sue rigidezze, e del mio foco

l'origine divina ogn'ora invoco.

LINFEA

Da peste cos'impura

infetto questi il seno

sparisca in un baleno.

Di qua 'l piede allontana

servo d'affetto reo,

nemico di Diana.

DIANA

Come, come costei

interrompe importuna i piaceri miei.

Dura necessità,

rigorosa onestà

vuol, che rigida io sia

verso l'anima mia.

LINFEA

A partire anco tardi?

Ti scacceranno i dardi.

DIANA

Fuggi da casti oggetti

misero affascinato;

de' tuoi sospiri il fiato

non contamini, sozzo, i nostri petti.

Fuggi da casti oggetti.

ENDIMIONE

Parto, e porto partendo

tacito idolatrante, occulto vago,

fissa nel cor l'imago,

che delle mie fortune

l'orrido rasserena:

lieto nella mia pena

mi udran le piante, gli augelletti, i venti

a formar questi accenti

amante pellegrino

amerò benché fiero, il mio destino.

Endimione ->

 

Scena nona

Diana, Linfea.

 

DIANA

Non è crudel ben mio,  

chi da sé ti discaccia;

pari fiamma m'accende,

m'al mio destin contende

votata castità.

Va' pur mio foco, va'

che se tu adori il mio divin t'adoro,

e per te, nata eterna, ogn'or mi moro.

LINFEA

Come chiude nel petto

costui l'amaro, il dolce,

il tormento, il diletto,

e un strano misto fa d'allegria, e tristo.

Se ne viene Calisto.

 

Scena decima

Calisto, Diana, Linfea.

<- Calisto

 

CALISTO

Piacere  

maggiore

avere

non può

un core

s'in ciel

andasse

volasse,

di quel,

che l'alma mia gustò,

ma cosa sia, non so.

 

DIANA

Onde cotanto allegra  

regia mia verginella?

Ardita nella selva

in aspra, e fiera belva

insanguinasti il dardo, o la quadrella?

CALISTO

Giubilo immenso, e caro

le dolci labbra tue

nel petto mi stillaro.

Fur pure, o dio, soavi

quei baci, che mi desti o dea cortese,

ma la mia bocca il guiderdon ti rese.

DIANA

E quando ti baciai?

CALISTO

Quando? Lucidi rai

or, or lasciaste meco

nel primo orror lo speco,

e in spazio così breve

le dolcezze scordate

delle beltà baciate?

LINFEA

Impazzita è costei.

DIANA

Che parli tu di speco,

di dolcezze godute,

di baci dati, e resi?

Vergine più scorretta io non intesi.

CALISTO

Ohimè forse ti schivi

diletta, amata dèa,

ch'oda, e sappi Linfea

i fruiti piacer, perch'anc'a lei

partecipar tu déi

della tua bocca i favi

sì grati, e sì soavi.

Ti prego non stancare

quei celesti rubini

altre labbra in baciare:

a me serba indefessi i vezzi, i baci.

DIANA

Taci lasciva, taci.

Qual, delirio osceno

l'ingegno ti confonde?

Come immodesta, donde

profanasti quel seno

con introdur in lui sì sozze brame!

Qual meretrice infame

può dei tuoi, disonesta,

formar detti peggiori?

Esci dalla foresta,

né più tra i casti, e virginal miei cori

ardisci conversar putta sfrenata:

dal senso lusinghier contaminata;

va' fuggi, e nel fuggir del piede alato

t'accompagni il rossor del tuo peccato.

Diana ->

 

Scena undicesima

Calisto, Linfea.

 

CALISTO

Piangete, sospirate  

luci dolenti,

spirti innocenti:

allettatrici ingrate

le mie bellezze, ohimè,

mi son rubelle, ed io non so perché.

LINFEA

Calisto, qual pensiero

t'appanna il senno? Eh torna

della ragion smarrita in sul sentiero.

CALISTO

Nel vago seno accolta

abbracciata,

fui baciata

più d'una, e d'una volta.

Or la baciante, ohimè,

il bacio nega, ed io non so perché.

Calisto ->

 

Scena dodicesima

Linfea.

 

 

Interprete mal buona  

son di questa libidine,

che l'orme di cupidine

mi sono ancora ignote;

e se ben mi percote

lo stimolo d'amore

dolcemente talora,

l'inesperto mio core,

pure agl'impulsi suoi resisto ancora.

Mah, mah. Lo vorrei dire,

e temo di parlare. Eh chi mi sente?

Così non credo di voler morire.

 

L'uomo è una dolce cosa,  

che sol diletto apporta,

che l'anima conforta;

così mi disse la nutrice annosa.

In legittimo letto

forse provar lo vo'.

Un certo sì mi chiama, e sgrida un no.

Mi sento intenerire

quand'ho per oggetto

qualche bel giovanetto;

dunque, che volontaria ho da languire?

Voglio, voglio il marito,

che m'abbracci a mio pro.

Al sì m'appiglio, e do ripudio al no.

 

Scena tredicesima

Il satirino, Linfea.

<- Il satirino

 

IL SATIRINO

Ninfa bella, che mormora  

di marito il tuo genio?

S'il mio sembiante aggradati

in grembo, in braccio pigliami,

tutto, tutto mi t'offerò.

 

LINFEA

Sì ruvido consorte  

ch'avessi in letto mai, tolga la sorte.

 

IL SATIRINO

Molle come lanugine,  

e non pungenti setole

son questi peli teneri,

che da membri mi spuntano:

neppur anco m'adombrano

il mento lane morbide,

ma sulle guance candide

i ligustri mi ridono,

e sopra lor s'innestano

rose vive, e germogliano.

Questa mia bocca gravida

di favi soavissimi,

ti porgerà del nettare.

 

LINFEA

Selvaggetto lascivo  

ti vedo quel, che sei,

senza, che t'abbellisci, e ti descrivi,

certo di capra nato esser tu déi,

ama dunque le capre, e con lor vivi.

 

IL SATIRINO

Io son, io son d'origine  

quasi divina, e nobile,

ben tu villana, e rustica

nata esser déi tra gl'asini,

o da parenti simili.

So perché mi ripudia

l'ingorda tua libidine,

perché garzone semplice

mal buono agl'esercizi

di Cupido, e di Venere,

ancor crescente, e picciola

porto la coda tenera.

LINFEA

Nelle mandrie ad amar va'

aspetto ferino.

Fanciullo caprino.

Che Narciso,

che bel viso,

vuol goder la mia beltà,

nelle mandre ad amar va'.

Linfea ->

 

Scena quattordicesima

Il satirino.

 

Son pur superbe, e rigide  

queste ninfe di Trivia

nel conversar con gl'uomini;

e sebben, che le bramano,

le carezze disprezzano

più de cervi selvatiche,

o come state fosser

prodotte dalle selici.

Sforzate esser vorrebbero,

per discolpar il fomite

della lor lussuria

con la sofferta ingiuria.

S'avessi braccia indomite,

e nerborute, a un acero

vorrei legar l'Ipprocrita,

e rotto, e franco, e macero

con un ramo di sorbolo

l'orgoglio suo barbarico,

e trista farla, e flebile,

ovver snervata, e debile,

negl'assalti instancabile,

render la sua lascivia.

Le saria questo un gran dispetto amabile.

 

Scena quindicesima

Pane, Silvano, Il satirino.

<- Pane, Silvano

 

PANE

Numi selvatici,  

custodi, e genii

di boschi mutoli,

sassose orcadi,

umide naiadi,

rozze amadriadi,

disperse, e lacere

le chiome all'aria,

in volti squallidi,

sopra il cadavere

del dio di Menalo

cantate flebili,

la mesta nenia:

amor, ch'è un aspide

con il suo tossico

ha morto il misero.

SILVANO

Risuscita

sconsolato, e scaccia il torbido.

La tua diva ha 'l petto morbido,

nella fé serpe pestifera

al tuo bene salutifera

la speranza ancor suscita.

IL SATIRINO E SILVANO

Risuscita

sconsolato, e scaccia il torbido.

PANE

Conforti deboli

sono i vostri, ch'implacabile,

e fiera vipera

a' miei prieghi è fatta Delia:

né rammentasi

del bel don di lane candide,

che la fe' scendere

dal suo giro argenteo, e lucido,

vezzosa, e fulgida

a baciarmi il labbro rigido,

io temo, e dubito,

che da gotte più piacevoli,

più vaghe, e morbide,

colga il mel delle delizie;

ed io, qui misero

tra singulti amari, e queruli

mi stempro l'anima.

SILVANO

S'esplori, s'investighi

di questa tua ruvida

l'amore, ch'immagini;

e il vago, che rubati

al core ogni giubilo,

in braccio alla perfida

squarciandolo uccidasi.

IL SATIRINO

Io per grotte ombrose, e gelide,

io per boschi ignoti, ed orridi,

io per monti ermi, ed altissimi

de' tuoi dubbi, accorto d'indole,

sarò spia, sempre instancabile.

PANE

Amore aitami,

soccorso chiedoti

e fa', ch'in braccio

torni al mio ghiaccio:

fallo deh pregoti.

SILVANO E IL SATIRINO

Pane consolati,

ch'in letto morbido

di fiori, il torbido

svanir vedremoti,

Pane coi fremiti

da' morte a' gemiti.

Pane, Silvano, Il satirino ->

 
Escono sei Orsi dalla foresta, e compongono il ballo.

<- sei orsi

 

Fine (Atto primo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Selva arida.

Giove, Mercurio
 

Del foco fulminato

Giove, Mercurio
<- Calisto

Dell'offese del foco

Chi sei tu, che comandi

Mercurio, Giove
Arciera vezzosa

Dunque Giove immortale

Giove, Mercurio
Calisto ->

Come scherne acerbetta

Mercurio, Giove ->
<- Calisto

Sien mortali, o divini

Calisto
<- Giove, Mercurio

(Giove trasformato in Diana)

Chi non ti crederebbe

Giove e Calisto
O decoro del mio coro

In ricovro più ombroso

Calisto e Giove (come Diana)
A baciarsi andiam, sì, sì
Mercurio
Calisto, Giove ->

Va' pur, va' pur, va' seco

Mercurio ->

Foresta.

Endimione
 

Improvvisi stupori

Endimione
<- Diana, Linfea

Pavide, sbigottite

Diana, Linfea
Endimione ->

Non è crudel ben mio

Diana, Linfea
<- Calisto

Onde cotanto allegra

Linfea, Calisto
Diana ->

Piangete, sospirate

Linfea
Calisto ->

Interprete mal buona

Linfea
<- Il satirino

Linfea|Sì ruvido consorte

Selvaggetto lascivo

Il satirino, Linfea
Io son, io son d'origine
Il satirino
Linfea ->
Il satirino
<- Pane, Silvano
Pane, Silvano
Numi selvatici
Pane, Silvano, Il satirino ->
<- sei orsi

(sei orsi compongono il ballo)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima
L'antro de L'eternità. Selva arida. Foresta. Le cime del monte Liceo. La pianura dell'Erimanto. Le fonti del Ladone. L'empireo.
Prologo Atto secondo Atto terzo

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