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La camera «a Ursi» in Belfiore. |
La camera è profonda e ricca. Il gran letto è involto nelle cortine. I doppieri sono spenti. Sola arde una lanterna posta sul pavimento, di contro alla porta. Parisina è a giacere in un tappeto, presso la lanterna. Poggiati i gomiti, stretto fra le pugna chiuse il capo, inganna l'attesa leggendo il Romanzo di Tristano. Il lume rischiara la faccia intenta e il libro aperto sul corpo dell'arpa come su leggio. Il rimanente è nell'ombra. Sopra una scranna La Verde sembra sonnecchiare. La finestra è aperta alla notte bella e all'orezzo dei verzieri in fiore. Credendo udire il passo furioso presso la soglia che il lume basso segna d'una riga indicatrice, Parisina sobbalza, si leva sui ginocchi, e ascolta palpitante. Giunge sul vento notturno alcun lembo di coro noto ma remoto: |
Q
Parisina, La Verde
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CORO
«Che foco è questo ch'arde e non consuma?
Che piaga è questa che sangue non getta?»
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PARISINA |
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| Ella si leva in piedi, va all'uscio, lo apre; guarda nell'andito buio. Si ritrae rabbrividendo; e si volge, con la faccia sbiancata dal terrore. L'uscio rimane socchiuso. La lanterna e il libro rischiarato sul corpo dell'arpa rimangono a terra. | |
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LA VERDE |
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| Ella si scuote e s'alza, mentre l'aspettante le si accosta, sconvolta. | |
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PARISINA |
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LA VERDE |
Qual mai paura entrata v'è
addosso, dama?
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PARISINA |
Ancora là, nel buio,
nell'andito, davanti
la porta, traveduta
l'ho.
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LA VERDE |
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PARISINA |
Ed ei tarda. Perché tarda stanotte?
L'andito è nero
per ove ei viene
con le mani tastando
come il cieco mendico.
Ma posta ho in terra
la lampada perché sotto la porta
segni il segnale di luce. Or qualcuno
è tra la lampada e la notte. Ancora
non s'ode il terzo grido delle scolte,
e tu dormi! Se taci, t'addormenti,
meschina; né pur sai dove noi siamo,
né pur sai chi s'attenda.
Ti prenderò per i capegli, e il capo
ti scoterò, come allora; perché
non pur sai che stanotte
fa l'anno, quando
ti volgesti sfacciata
a dire il bacio
d'Amore e di Vergogna.
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| Ella erra smaniosa intorno al lume basso e al libro aperto. | |
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LA VERDE |
Dama, dama,
voi non mi date mai posa, né dì
né notte. Or sempre nascono rampogna
e rimbrotti, doglienza e crucci. Almanco
io bene vi guardai, bene vi guardo,
che passo l'ore buie
contro l'uscio inchiodata
come serrame;
e la vita vi dono,
ché sento omai
questo mio capo debole in sul gambo
qual frutto mezzo che pur dée cadere.
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| Rapida la tormentata le si accosta, roca le parla. | |
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PARISINA |
Tu tremi il tradimento e la mannaia,
meschina? Hai tu sospetto
che taluno ne spii,
taluno a cui di me
incresca?
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LA VERDE |
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PARISINA |
Chi? La Chiara da Mantova?
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LA VERDE |
Sicura
di lei non sono; ma v'è altri...
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PARISINA |
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LA VERDE |
Ei va braccando,
mi sembra, e mal sorride...
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PARISINA |
È certo, è certo!
Apparita non m'è senza cagione.
Pallida il viso
come la prima cenere che vela
la brace, in un camaglio
a liste brune e d'oro,
mi stava al capezzale.
Col peso della carne del mio cuore
pesava il mio peccato. E disse: «Io so.
Ma che paventi? Il ferro
non divide la fiamma,
non divide la fiamma che s'aderse.»
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LA VERDE |
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PARISINA |
Ma guarda, guarda,
se l'animo ti basta. Ora non è
alzata tra la lampada e la notte?
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| Ella s'arresta con un gran fremito, come davanti a un pensiero vivente. | |
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LA VERDE |
Dama, dama, sognate voi movendo
e favellando, come
fa l'Isabetta? O la febbre maggese
di subito vi piglia?
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PARISINA |
Questa pena
di sudore ei sostenne,
perché da noi
si spiccasse la febbre del peccato...
Dici che sogno? Non so quando io chiusi
gli occhi, non so da qual mai lungo sonno
io mi svegli; non so,
non so di quale vita
io viva in verità. Tutto ritorna
dal profondo. Commessa
fu la mia colpa,
patito il mio dolore,
sofferto il mio spavento;
sospesa fu la mia sciagura, inflitta
la mia morte. Non sogno,
o meschina, non sogno: mi rimemoro.
Non vivo: di mia vita mi sovviene,
mi sovviene di me come discesa
nel mondo io sia pe' rami
d'un nero sangue.
A Rimino sposata fui, menata
a Ravenna il dì due d'aprile. Intendi?
Feci a ritroso la sua via. Rifeci
la via mala. Il suo pianto fu ripianto
entro me, senza lacrime...
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LA VERDE |
Chi, dama
chi vi tormenta?
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PARISINA |
Francesca! Francesca!
Or ell'è tra la lampada e la notte.
E mi guarda; e la guardo
come se me medesma
io mirassi in funesto
specchio; ché, com'io m'ebbi a mezzo il petto
quella macchia vermiglia,
a mezzo il petto una profonda polla
di sangue ell'ha; che fumiga e del tristo
vapore m'empie il mio respiro. Et anche
il mio peccato
scritto è in quel libro, come il suo nel libro
ch'ella lesse. Ma ella s'interruppe,
e convien ch'io lo legga sino in fondo...
Ascolta l'usignolo!
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| D'improvviso, per l'aperta finestra entrano le prime note della melodia notturna. Sospesa nell'ansia, l'amante ascolta. Trasognata, con le parole d'isotta accompagna sommessamente la passione del cantore solitario. | |
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PARISINA |
E disse in cuore Isotta:
«Or donde sale tanta melodia?»
E subito s'addiede:
«È Tristano! È Tristano,
qual già nella foresta
ei mi fingea le voci degli uccelli
per me rapire in gioia. Or parte, or parte!
Si lagna come l'usignolo quando
commiato prende ché la state muore.
Mio dolce amico, più non l'udirò!»
E in grande ardore il canto più saliva.
«Ah, che vuoi tu? Ch'io venga? No, sei folle.
Ricordati del giuro. Taci, taci,
ché la morte ci agguata...
E che mi cal di morte? Tu mi chiami.
Tu mi vuoi, tu mi vuoi. Ecco, ora vengo,
or teco vengo a morte, a eternità!»
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| Per l'uscio socchiuso entra Ugo anelante. Senza parola, egli si precipita e la stringe con la violenza di chi vuol soffocare e abbattere. Le quattro braccia si annodano intorno ai corpi con una fermezza che sembra infrangibile. | <- Ugo
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PARISINA |
Ah, serra ancora, serra
così forte che i cuori
si frangano e che l'anime si fuggano!
Rotto dall'angoscia d'amore, egli rallenta la stretta.
Forza non hai. Son viva!
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| La Verde esce pianamente e chiude l'uscio dietro di sé. | La Verde ->
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UGO |
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PARISINA |
E pur, mentre
tardavi, l'anima
furente di fuggirsi
reggevo con le mani disperate,
come il valletto chino
rattiene il veltro a piene braccia. O amico
mio bello, e mi parea
che, se lasciata io l'avessi, ripresa
io non l'avrei più mai.
| S
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UGO |
Né io l'aveva in me, l'anima mia;
né il cuore aveva in petto,
né la pietà. M'ascolti? Combattuto
io ho combattimento più tremendo
che quello del mio voto,
intorno al carro atroce, quand'io l'ebbi.
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PARISINA |
Hai combattuto?
Ansiosa ella gli palpa le braccia, il petto, le ciocche dei capelli sugli omeri. Guarda se le dita le si tingano.
Oh dio!
Sei tutto molle. Ancora sangue?
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UGO |
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PARISINA |
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UGO |
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PARISINA |
Ma quale creatura
ha pianto sopra te così gran pianto?
Chi, dimmi, aver poteva tante lacrime?
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UGO |
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PARISINA |
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| Come colpita a dentro, ella indietreggia e vacilla. | |
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UGO |
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| Si ode il grido delle scolte. | |
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PARISINA |
Oh perdonami!
Cruccio non è. Dell'insensato oltraggio
non ti sovvenga più: sol ti sovvenga
de' miei singhiozzi
e del silenzio che si fece intorno
come quando dall'odio in su la nave
votato fu per due
la tazza dell'amore e della morte.
Ma parla, dimmi. Dove ti cercò
ella? Tornò dal bando?
E chi te la condusse?
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UGO |
Non so, non so.
Balzata è dalla notte
con uno schianto di dolore, sola,
indomita... Ah, non sai.
Volgevo il capo
per non guardar la sua faccia; ché,
s'io la guardava
non v'era in me più forza né coraggio
né soffio. Avviluppato in una nube
d'angoscia, profondato
ero in un'onda amara
e calda, con l'orrore
della sorte premuto
su tutto me. Parole
udivo escite
da non so qual potenza, nella notte
senza vie. La salvezza e il perdimento
eran senz'occhi entrambi.
E tutto inevitabile
era. E non combattevo
se non per te
anche una volta, se non pe 'l mio voto,
non più nel sangue
ma nelle lacrime.
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PARISINA |
La notte ha la sua via,
ha la sua via la notte.
Guarda, per il tremore
spaventoso degli astri, la via bianca,
la via di latte:
galassia! Prendimi
su la tua spalla
come un fascio di foglie
legato con un vimine,
e portami lontano,
come Isotta la bionda,
tu con l'arco e la spada,
io con l'amor mio solo.
Ma forse nella landa d'oblianza
ritroverò la mia
arpa sospesa al ramo
dell'avellano involto
dal caprifoglio in fiore:
e, come l'usignolo
canta, io ti canterò.
«Amico mio bello,
così di noi è:
né tu senza me,
né io senza te.»
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UGO |
Ah come in te
dolce cosa a toccare
e dolce a respirare
è la vita!
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| Già colmo della voluttà primaverile, egli cingendola col braccio la trae lentamente verso il gran letto. | |
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PARISINA |
Vuoi vivere!
Come un fastello d'erbe
sulla tua spalla prendimi.
Ti sarò lieve.
Prendimi, portami,
ti sarò lieve...
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| Son già presso il letto; e la voce dell'amata illanguidisce, nell'alito dell'amante che verso lei si piega. D'improvviso La Verde spalanca la porta dando ad alta voce l'annunzio, quasi fosse in cerimonia. | <- La Verde
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LA VERDE |
Messere Nicolò venire degna
a visitare in camera madonna.
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| Ella s'addossa allo stipite restando inchinata, più bianca della sua gorgeretta. Con un atto pronto e forte Parisina spinge Ugo tra le cortine e lo nasconde; poi si volge, fa qualche passo verso il sopravvegnente, rafferma l'animo. Il chiarore delle torce sbattendo sul muro dell'andito precede l'uomo. Egli appare sulla soglia bieco, tenendo in pugno un verduco acutissimo. I Famigli, con cappucci calati sugli occhi, restano dietro di lui sollevando le torce. | <- Nicolò d'Este, famigli
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PARISINA |
Benvenuto, signore.
Molto a notte, e con tante
fiaccole, e armato, la mercé di Dio!
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NICOLÒ D'ESTE |
Perdono chieggio, donna, io non credea
trovarvi un pezzo tra notte a vegliare.
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PARISINA |
Io leggeva il romanzo di Tristano,
e l'ore mi s'involano.
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NICOLÒ D'ESTE |
Per certo,
donna, d'entrar non mi sarei ardito
se troppo frettolosa questa vostra
servente non m'avesse prevenuto,
come lesta ell'è,
e bene istrutta.
Io passavo per l'andito, co' miei
famigli. Io cerco
il leopardo
che mi donò l'imperadore greco.
Fuggito s'è di gabbia,
né so dove s'acquatti.
Voi l'avevate caro
pe 'l suo pelame costellato. Et egli
v'aveva in grazia. Forse rifugiato
egli s'è presso di voi, senza mordere?
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| Egli s'avanza nella camera guardingo. La donna è intrepida, quasi irridente. | |
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PARISINA |
Strano parlate, mio signore. Ma
altra fiera non è qui se non sono
io quella.
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NICOLÒ D'ESTE |
Maculata voi non siete,
donna. Neuna macula
è in voi; e in lui son cento.
Egli guata per ogni dove a scoprire l'indizio.
Fate lume! L'odor selvaggio fiuto.
I' son un bracco pratico.
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PARISINA |
Concio siete, messere, o divenuto
fuori di senno?
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| Egli cammina implacabile verso il letto. Da presso lo segue la donna e lo vigila. | |
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NICOLÒ D'ESTE |
E pure
ben vi piacquero un tempo le mie cacce
notturne con le fiaccole e le nacchere.
Ma non v'attendevate a questa. Fate
lume! Ecco. Bene, bene,
ch'io recuperi almen la gaia pelle
del leopardo
che mi donò
quel bon Paglialoco.
Giunto dinanzi al letto, così dicendo e un poco soffiando, si curva sulle gambe ercoline. Allungando il braccio vibra di sotto più colpi per assaggio.
A voto, a voto!
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| La donna è da presso immobile, tesa come una balestra, sospesa all'attimo dello scocco. L'uomo, come avvertito da alcun fremito della vita nascosta tra le pieghe della cortina, figge al giusto luogo lo sguardo sfavillante. Un poco si ritrae per misurare il colpo. Come già piega il gomito, l'adultera si getta innanzi perdutamente gridando. | |
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PARISINA |
No! No! È Ugo, Ugo
il vostro figlio!
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| Con un gesto rapido ella medesima lo discopre. Ugo resta immobile, senza parola, nel pallore e nel rigore del sasso. Il padre lascia cadere a terra l'arme e barcolla alquanto, come s'egli medesimo avesse ricevuto il colpo sviato. Le fiaccole vacillano a sommo della braccia che lo sgomento dirompe. | |
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NICOLÒ D'ESTE |
Cristo signore, perché tu mi fulmini?
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Se raccattai la terra dal calvario
con le mie pugna,
se il sepolcro toccai, Cristo signore,
tu fa' ch'io non mi perda,
ch'io non raccatti il ferro, che le mani
mie stesse io non insanguini
nel sangue mio!
O Zoese, Zoese, e tu non hai
se non un capo solo
al ceppo, ch'io te 'l prenda!
Tu lo sapevi, e non me l'hai svelato.
Cacciato m'hai
a patir questo istante
che contato mi sia
per mill'anni di rosso inferno. A viso
a viso mi volesti
col mio figlio che voltola nel mio
lenzuolo la sua foia. Fate lume!
Fate lume! Squassate
le fiaccole, che rendano più fiamma!
Portate ancora torce,
che la camera piena di splendore
sia, dov'è l'onta d'Este,
da ch'io lo veda
ch'io ben lo veda,
fatto di pietra contro la colonna
del mio letto infamato,
quel capo che ogni giorno inghirlandai,
quel viso ch'io mi tenni in mezzo al cuore!
| S
(♦)
(♦)
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| Quasi dementato dallo spasimo, egli afferra la lampada che tuttavia arde sul pavimento, presso il libro aperto; e, prendendo il figlio a' capelli e tenendolo fermo, con quella gli rischiara il viso mortale e lo scruta, più inumano verso sé che verso lui. Ma Parisina toglie un drappo e arditamente con quello acceca la lampada avviluppandola, sì che cessa il supplizio. | |
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PARISINA |
Hai tu veduto a dentro?
Sin nel profondo?
E che dirai? E che dirai di questo
dolce fanciullo?
Or guarda me, che sola son la fiera
a te dinanzi,
vedi, più maculata che la pelle
del leopardo,
corrotta sin nell'ossa
dal mio retaggio ontoso,
nata d'un sangue
di rubatori traditori e drude,
come gridò la madre del tuo figlio.
Stella dell'Assassino;
e ben l'udì questo fanciullo, e bene
da lui, da lui
quante volte tu stesso
udisti contra me
la parola dell'odio e del dispregio!
Non ti sovviene più
di che odio selvaggio ei m'odiasse?
Vendicata io mi sono,
come una Malatesta
vendicarsi usa,
in frode e in tradimento.
Io lo riarsi,
l'avviluppai,
di filtri infami
l'abbeverai,
lo dissennai
per ogni guisa,
l'avvelenai
d'ogni veleno,
questo fanciullo.
Io, io, lo persi,
io sola. Guardami.
Ho il viso nudo,
l'anima tesa.
Nulla in me trema.
L'onta è la luce
del mio peccato.
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| Rompe Ugo col grido la rigidità dell'orrore; e la delirante vita scoppia come la sorgente della roccia. | |
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UGO |
Ah com'è bella! La vedete voi?
La vedete? Le vostre
torce non fanno luce, né avete
pupille per la sua bellezza. Sola
ella fa luce. La vedete voi?
Io per l'iddio possente
che nominar non dubito con questa
bocca piena d'amore e d'agonia,
giuro ch'ella ha mentito;
e lo splendore della sua menzogna
m'è testimonianza. Non riarso,
e non avviluppato,
né beverato fui
di filtri o di veleni,
ma dall'anima mia
inebriato d'un divino sogno
che noi sognammo
in doglia e in gioia,
che sogneremo
fino al trapasso,
finché tutto il mio sangue
non balzi incontro al suo,
come segnale e pegno di vittoria.
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| Nicolò è rimasto intento come nel fascino d'una cosa mostruosa e inesplicabile. Ora la terribilità del punitore non arde se non nelle ciglia, ma la voce è pacata e grave. | |
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NICOLÒ D'ESTE |
Abbian l'istesso ceppo
sotto l'istessa scure
i due capi, e i due sangui
faccian l'istessa pozza.
| S
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| I morituri cadono in ginocchio, l'uno di contra all'altra, come stettero sotto il padiglione, nel luogo santo, innanzi il bacio del perdimento. Si affisano, l'una nell'altro assorti; e il mistero li cerchia. | |
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NICOLÒ D'ESTE |
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| Si nomano essi con tal voce, trasumanata che tutta la forza ignara, per alcuni attimi, resta sospesa intorno. | |
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PARISINA |
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UGO |
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