Atto terzo

 

La camera «a Ursi» in Belfiore.

La camera è profonda e ricca. Il gran letto è involto nelle cortine. I doppieri sono spenti. Sola arde una lanterna posta sul pavimento, di contro alla porta. Parisina è a giacere in un tappeto, presso la lanterna. Poggiati i gomiti, stretto fra le pugna chiuse il capo, inganna l'attesa leggendo il Romanzo di Tristano. Il lume rischiara la faccia intenta e il libro aperto sul corpo dell'arpa come su leggio. Il rimanente è nell'ombra. Sopra una scranna La Verde sembra sonnecchiare. La finestra è aperta alla notte bella e all'orezzo dei verzieri in fiore.
Credendo udire il passo furioso presso la soglia che il lume basso segna d'una riga indicatrice, Parisina sobbalza, si leva sui ginocchi, e ascolta palpitante. Giunge sul vento notturno alcun lembo di coro noto ma remoto:

 Q 

Parisina, La Verde

 

CORO

«Che foco è questo ch'arde e non consuma?  

Che piaga è questa che sangue non getta?»

 

PARISINA

Dormi? Verde, tu dormi?  

 
Ella si leva in piedi, va all'uscio, lo apre; guarda nell'andito buio. Si ritrae rabbrividendo; e si volge, con la faccia sbiancata dal terrore. L'uscio rimane socchiuso. La lanterna e il libro rischiarato sul corpo dell'arpa rimangono a terra.
 

 

Dormi?

LA VERDE

No, dama bella.

 
Ella si scuote e s'alza, mentre l'aspettante le si accosta, sconvolta.
 

PARISINA

Verde!

LA VERDE

Qual mai paura entrata v'è

addosso, dama?

PARISINA

Ancora là, nel buio,

nell'andito, davanti

la porta, traveduta

l'ho.

LA VERDE

La fantasima?

PARISINA

Ed ei tarda. Perché tarda stanotte?

L'andito è nero

per ove ei viene

con le mani tastando

come il cieco mendico.

Ma posta ho in terra

la lampada perché sotto la porta

segni il segnale di luce. Or qualcuno

è tra la lampada e la notte. Ancora

non s'ode il terzo grido delle scolte,

e tu dormi! Se taci, t'addormenti,

meschina; né pur sai dove noi siamo,

né pur sai chi s'attenda.

Ti prenderò per i capegli, e il capo

ti scoterò, come allora; perché

non pur sai che stanotte

fa l'anno, quando

ti volgesti sfacciata

a dire il bacio

d'Amore e di Vergogna.

 
Ella erra smaniosa intorno al lume basso e al libro aperto.
 

LA VERDE

Dama, dama,

voi non mi date mai posa, né dì

né notte. Or sempre nascono rampogna

e rimbrotti, doglienza e crucci. Almanco

io bene vi guardai, bene vi guardo,

che passo l'ore buie

contro l'uscio inchiodata

come serrame;

e la vita vi dono,

ché sento omai

questo mio capo debole in sul gambo

qual frutto mezzo che pur dée cadere.

 
Rapida la tormentata le si accosta, roca le parla.
 

PARISINA

Tu tremi il tradimento e la mannaia,

meschina? Hai tu sospetto

che taluno ne spii,

taluno a cui di me

incresca?

LA VERDE

Forse, dama.

PARISINA

Chi? La Chiara da Mantova?

LA VERDE

Sicura

di lei non sono; ma v'è altri...

PARISINA

Chi?

Zoese?

LA VERDE

Ei va braccando,

mi sembra, e mal sorride...

PARISINA

È certo, è certo!

Apparita non m'è senza cagione.

Pallida il viso

come la prima cenere che vela

la brace, in un camaglio

a liste brune e d'oro,

mi stava al capezzale.

Col peso della carne del mio cuore

pesava il mio peccato. E disse: «Io so.

Ma che paventi? Il ferro

non divide la fiamma,

non divide la fiamma che s'aderse.»

LA VERDE

Di chi parlate voi?

PARISINA

Ma guarda, guarda,

se l'animo ti basta. Ora non è

alzata tra la lampada e la notte?

 
Ella s'arresta con un gran fremito, come davanti a un pensiero vivente.
 

LA VERDE

Dama, dama, sognate voi movendo

e favellando, come

fa l'Isabetta? O la febbre maggese

di subito vi piglia?

PARISINA

Questa pena

di sudore ei sostenne,

perché da noi

si spiccasse la febbre del peccato...

Dici che sogno? Non so quando io chiusi

gli occhi, non so da qual mai lungo sonno

io mi svegli; non so,

non so di quale vita

io viva in verità. Tutto ritorna

dal profondo. Commessa

fu la mia colpa,

patito il mio dolore,

sofferto il mio spavento;

sospesa fu la mia sciagura, inflitta

la mia morte. Non sogno,

o meschina, non sogno: mi rimemoro.

Non vivo: di mia vita mi sovviene,

mi sovviene di me come discesa

nel mondo io sia pe' rami

d'un nero sangue.

A Rimino sposata fui, menata

a Ravenna il dì due d'aprile. Intendi?

Feci a ritroso la sua via. Rifeci

la via mala. Il suo pianto fu ripianto

entro me, senza lacrime...

LA VERDE

Chi, dama

chi vi tormenta?

PARISINA

Francesca! Francesca!

Or ell'è tra la lampada e la notte.

E mi guarda; e la guardo

come se me medesma

io mirassi in funesto

specchio; ché, com'io m'ebbi a mezzo il petto

quella macchia vermiglia,

a mezzo il petto una profonda polla

di sangue ell'ha; che fumiga e del tristo

vapore m'empie il mio respiro. Et anche

il mio peccato

scritto è in quel libro, come il suo nel libro

ch'ella lesse. Ma ella s'interruppe,

e convien ch'io lo legga sino in fondo...

Ascolta l'usignolo!

 
D'improvviso, per l'aperta finestra entrano le prime note della melodia notturna. Sospesa nell'ansia, l'amante ascolta. Trasognata, con le parole d'isotta accompagna sommessamente la passione del cantore solitario.
 

PARISINA

E disse in cuore Isotta:

«Or donde sale tanta melodia?»

E subito s'addiede:

«È Tristano! È Tristano,

qual già nella foresta

ei mi fingea le voci degli uccelli

per me rapire in gioia. Or parte, or parte!

Si lagna come l'usignolo quando

commiato prende ché la state muore.

Mio dolce amico, più non l'udirò!»

E in grande ardore il canto più saliva.

«Ah, che vuoi tu? Ch'io venga? No, sei folle.

Ricordati del giuro. Taci, taci,

ché la morte ci agguata...

E che mi cal di morte? Tu mi chiami.

Tu mi vuoi, tu mi vuoi. Ecco, ora vengo,

or teco vengo a morte, a eternità!»

 
Per l'uscio socchiuso entra Ugo anelante. Senza parola, egli si precipita e la stringe con la violenza di chi vuol soffocare e abbattere. Le quattro braccia si annodano intorno ai corpi con una fermezza che sembra infrangibile.

<- Ugo

 

PARISINA

Ah, serra ancora, serra  

così forte che i cuori

si frangano e che l'anime si fuggano!

Rotto dall'angoscia d'amore, egli rallenta la stretta.

Forza non hai. Son viva!

 
La Verde esce pianamente e chiude l'uscio dietro di sé.

La Verde ->

 

UGO

Parisina!

Parisina!

 

PARISINA

E pur, mentre  

tardavi, l'anima

furente di fuggirsi

reggevo con le mani disperate,

come il valletto chino

rattiene il veltro a piene braccia. O amico

mio bello, e mi parea

che, se lasciata io l'avessi, ripresa

io non l'avrei più mai.

S

UGO

Né io l'aveva in me, l'anima mia;

né il cuore aveva in petto,

né la pietà. M'ascolti? Combattuto

io ho combattimento più tremendo

che quello del mio voto,

intorno al carro atroce, quand'io l'ebbi.

PARISINA

Hai combattuto?

Ansiosa ella gli palpa le braccia, il petto, le ciocche dei capelli sugli omeri. Guarda se le dita le si tingano.

Oh dio!

Sei tutto molle. Ancora sangue?

UGO

Lacrime.

PARISINA

Lacrime! Hai pianto?

UGO

Non io, non io.

PARISINA

Ma quale creatura

ha pianto sopra te così gran pianto?

Chi, dimmi, aver poteva tante lacrime?

UGO

La madre mia.

PARISINA

Stella dell'Assassino!

 
Come colpita a dentro, ella indietreggia e vacilla.
 

UGO

La mia madre.

 
Si ode il grido delle scolte.
 

PARISINA

Oh perdonami!

Cruccio non è. Dell'insensato oltraggio

non ti sovvenga più: sol ti sovvenga

de' miei singhiozzi

e del silenzio che si fece intorno

come quando dall'odio in su la nave

votato fu per due

la tazza dell'amore e della morte.

Ma parla, dimmi. Dove ti cercò

ella? Tornò dal bando?

E chi te la condusse?

UGO

Non so, non so.

Balzata è dalla notte

con uno schianto di dolore, sola,

indomita... Ah, non sai.

Volgevo il capo

per non guardar la sua faccia; ché,

s'io la guardava

non v'era in me più forza né coraggio

né soffio. Avviluppato in una nube

d'angoscia, profondato

ero in un'onda amara

e calda, con l'orrore

della sorte premuto

su tutto me. Parole

udivo escite

da non so qual potenza, nella notte

senza vie. La salvezza e il perdimento

eran senz'occhi entrambi.

E tutto inevitabile

era. E non combattevo

se non per te

anche una volta, se non pe 'l mio voto,

non più nel sangue

ma nelle lacrime.

PARISINA

La notte ha la sua via,

ha la sua via la notte.

Guarda, per il tremore

spaventoso degli astri, la via bianca,

la via di latte:

galassia! Prendimi

su la tua spalla

come un fascio di foglie

legato con un vimine,

e portami lontano,

come Isotta la bionda,

tu con l'arco e la spada,

io con l'amor mio solo.

Ma forse nella landa d'oblianza

ritroverò la mia

arpa sospesa al ramo

dell'avellano involto

dal caprifoglio in fiore:

e, come l'usignolo

canta, io ti canterò.

«Amico mio bello,

così di noi è:

né tu senza me,

né io senza te.»

UGO

Ah come in te

dolce cosa a toccare

e dolce a respirare

è la vita!

 
Già colmo della voluttà primaverile, egli cingendola col braccio la trae lentamente verso il gran letto.
 

PARISINA

Vuoi vivere!

Come un fastello d'erbe

sulla tua spalla prendimi.

Ti sarò lieve.

Prendimi, portami,

ti sarò lieve...

 
Son già presso il letto; e la voce dell'amata illanguidisce, nell'alito dell'amante che verso lei si piega. D'improvviso La Verde spalanca la porta dando ad alta voce l'annunzio, quasi fosse in cerimonia.

<- La Verde

 

LA VERDE

Messere Nicolò venire degna

a visitare in camera madonna.

 
Ella s'addossa allo stipite restando inchinata, più bianca della sua gorgeretta. Con un atto pronto e forte Parisina spinge Ugo tra le cortine e lo nasconde; poi si volge, fa qualche passo verso il sopravvegnente, rafferma l'animo. Il chiarore delle torce sbattendo sul muro dell'andito precede l'uomo. Egli appare sulla soglia bieco, tenendo in pugno un verduco acutissimo. I Famigli, con cappucci calati sugli occhi, restano dietro di lui sollevando le torce.

<- Nicolò d'Este, famigli

 

PARISINA

Benvenuto, signore.  

Molto a notte, e con tante

fiaccole, e armato, la mercé di Dio!

NICOLÒ D'ESTE

Perdono chieggio, donna, io non credea

trovarvi un pezzo tra notte a vegliare.

PARISINA

Io leggeva il romanzo di Tristano,

e l'ore mi s'involano.

NICOLÒ D'ESTE

Per certo,

donna, d'entrar non mi sarei ardito

se troppo frettolosa questa vostra

servente non m'avesse prevenuto,

come lesta ell'è,

e bene istrutta.

Io passavo per l'andito, co' miei

famigli. Io cerco

il leopardo

che mi donò l'imperadore greco.

Fuggito s'è di gabbia,

né so dove s'acquatti.

Voi l'avevate caro

pe 'l suo pelame costellato. Et egli

v'aveva in grazia. Forse rifugiato

egli s'è presso di voi, senza mordere?

 
Egli s'avanza nella camera guardingo. La donna è intrepida, quasi irridente.
 

PARISINA

Strano parlate, mio signore. Ma

altra fiera non è qui se non sono

io quella.

NICOLÒ D'ESTE

Maculata voi non siete,

donna. Neuna macula

è in voi; e in lui son cento.

Egli guata per ogni dove a scoprire l'indizio.

Fate lume! L'odor selvaggio fiuto.

I' son un bracco pratico.

PARISINA

Concio siete, messere, o divenuto

fuori di senno?

 
Egli cammina implacabile verso il letto. Da presso lo segue la donna e lo vigila.
 

NICOLÒ D'ESTE

E pure

ben vi piacquero un tempo le mie cacce

notturne con le fiaccole e le nacchere.

Ma non v'attendevate a questa. Fate

lume! Ecco. Bene, bene,

ch'io recuperi almen la gaia pelle

del leopardo

che mi donò

quel bon Paglialoco.

Giunto dinanzi al letto, così dicendo e un poco soffiando, si curva sulle gambe ercoline. Allungando il braccio vibra di sotto più colpi per assaggio.

A voto, a voto!

 
La donna è da presso immobile, tesa come una balestra, sospesa all'attimo dello scocco. L'uomo, come avvertito da alcun fremito della vita nascosta tra le pieghe della cortina, figge al giusto luogo lo sguardo sfavillante. Un poco si ritrae per misurare il colpo. Come già piega il gomito, l'adultera si getta innanzi perdutamente gridando.
 

PARISINA

No! No! È Ugo, Ugo

il vostro figlio!

 
Con un gesto rapido ella medesima lo discopre. Ugo resta immobile, senza parola, nel pallore e nel rigore del sasso. Il padre lascia cadere a terra l'arme e barcolla alquanto, come s'egli medesimo avesse ricevuto il colpo sviato. Le fiaccole vacillano a sommo della braccia che lo sgomento dirompe.
 

NICOLÒ D'ESTE

Cristo signore, perché tu mi fulmini?

 

 

Se raccattai la terra dal calvario    

con le mie pugna,

se il sepolcro toccai, Cristo signore,

tu fa' ch'io non mi perda,

ch'io non raccatti il ferro, che le mani

mie stesse io non insanguini

nel sangue mio!

O Zoese, Zoese, e tu non hai

se non un capo solo

al ceppo, ch'io te 'l prenda!

Tu lo sapevi, e non me l'hai svelato.

Cacciato m'hai

a patir questo istante

che contato mi sia

per mill'anni di rosso inferno. A viso

a viso mi volesti

col mio figlio che voltola nel mio

lenzuolo la sua foia. Fate lume!

Fate lume! Squassate

le fiaccole, che rendano più fiamma!

Portate ancora torce,

che la camera piena di splendore

sia, dov'è l'onta d'Este,

da ch'io lo veda

ch'io ben lo veda,

fatto di pietra contro la colonna

del mio letto infamato,

quel capo che ogni giorno inghirlandai,

quel viso ch'io mi tenni in mezzo al cuore!

S

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Quasi dementato dallo spasimo, egli afferra la lampada che tuttavia arde sul pavimento, presso il libro aperto; e, prendendo il figlio a' capelli e tenendolo fermo, con quella gli rischiara il viso mortale e lo scruta, più inumano verso sé che verso lui. Ma Parisina toglie un drappo e arditamente con quello acceca la lampada avviluppandola, sì che cessa il supplizio.
 

PARISINA

Hai tu veduto a dentro?

Sin nel profondo?

E che dirai? E che dirai di questo

dolce fanciullo?

Or guarda me, che sola son la fiera

a te dinanzi,

vedi, più maculata che la pelle

del leopardo,

corrotta sin nell'ossa

dal mio retaggio ontoso,

nata d'un sangue

di rubatori traditori e drude,

come gridò la madre del tuo figlio.

Stella dell'Assassino;

e ben l'udì questo fanciullo, e bene

da lui, da lui

quante volte tu stesso

udisti contra me

la parola dell'odio e del dispregio!

Non ti sovviene più

di che odio selvaggio ei m'odiasse?

Vendicata io mi sono,

come una Malatesta

vendicarsi usa,

in frode e in tradimento.

Io lo riarsi,

l'avviluppai,

di filtri infami

l'abbeverai,

lo dissennai

per ogni guisa,

l'avvelenai

d'ogni veleno,

questo fanciullo.

Io, io, lo persi,

io sola. Guardami.

Ho il viso nudo,

l'anima tesa.

Nulla in me trema.

L'onta è la luce

del mio peccato.

 
Rompe Ugo col grido la rigidità dell'orrore; e la delirante vita scoppia come la sorgente della roccia.
 

UGO

Ah com'è bella! La vedete voi?

La vedete? Le vostre

torce non fanno luce, né avete

pupille per la sua bellezza. Sola

ella fa luce. La vedete voi?

Io per l'iddio possente

che nominar non dubito con questa

bocca piena d'amore e d'agonia,

giuro ch'ella ha mentito;

e lo splendore della sua menzogna

m'è testimonianza. Non riarso,

e non avviluppato,

né beverato fui

di filtri o di veleni,

ma dall'anima mia

inebriato d'un divino sogno

che noi sognammo

in doglia e in gioia,

che sogneremo

fino al trapasso,

finché tutto il mio sangue

non balzi incontro al suo,

come segnale e pegno di vittoria.

 
Nicolò è rimasto intento come nel fascino d'una cosa mostruosa e inesplicabile. Ora la terribilità del punitore non arde se non nelle ciglia, ma la voce è pacata e grave.
 

NICOLÒ D'ESTE

Abbian l'istesso ceppo  

sotto l'istessa scure

i due capi, e i due sangui

faccian l'istessa pozza.

S

 
I morituri cadono in ginocchio, l'uno di contra all'altra, come stettero sotto il padiglione, nel luogo santo, innanzi il bacio del perdimento. Si affisano, l'una nell'altro assorti; e il mistero li cerchia.
 

NICOLÒ D'ESTE

Jacomo, prendili!

 
Si nomano essi con tal voce, trasumanata che tutta la forza ignara, per alcuni attimi, resta sospesa intorno.
 

PARISINA

Ugo!

UGO

Parisina!

 

Fine (Atto terzo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto

La camera «a Ursi» in Belfiore; la camera è profonda e ricca; il gran letto è involto nelle cortine; i doppieri sono spenti; sola arde una lanterna posta sul pavimento, di contro alla porta; la finestra è aperta alla notte bella e all'orezzo dei verzieri in fiore.

Parisina, La Verde
 

Dormi? Verde, tu dormi?

Parisina, La Verde
<- Ugo

Ah, serra ancora, serra

Parisina, Ugo
La Verde ->

Parisina, Ugo
<- La Verde

Parisina, Ugo, La Verde
<- Nicolò d'Este, famigli

Benvenuto, signore

Se raccattai la terra dal calvario

 
La camera «a Ursi» in Belfiore.
La villa estense nell'isola del Po; sovrapposte logge. La santa casa di Loreto; casa di Nazareth, la semplice casa di Gioachino e di Anna, costrutta di... La camera «a Ursi» in Belfiore; la camera è profonda e ricca; il gran letto è involto nelle cortine; i... La torre del leone; segrete in fondo di torre; un archivolto sopra due pilastri tozzi, aperto nella muraglia...
Atto primo Atto secondo Atto quarto

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