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La villa estense nell'isola del Po |
Per le sovrapposte logge del palagio appariscono le fanti e i garzoni ai telai, alle opere dell'ago, alle opere dei profumi, ai giochi, ai concerti, aggruppati e atteggiati come saran più tardi sotto il reggimento di Borso nei freschi di Schifanoia. Ciascuna piccola compagnia ha la sua foggia, il suo officio, la sua voce corale; e tutte per entro l'architettura aerea vivono quasi sciami in uno smisurato alveare. Nel barco estense - che si spande con i suoi vivai, con i suoi serbatoi, con le sue peschiere sino ai margini dell'isola - Ugo d'Este, il figlio del Marchese Nicolò III e di Stella de' Tolomei, si esercita al tiro della balestra insieme con uno stuolo di nobili suoi coetanei. Sovente egli sbaglia il segno e s'adira. La Verde, una delle soprastanti, nella loggia intona i cori con un suo strambotto lamentoso. Ciascuna compagnia risponde a contrasto, con una forza crescente, sì che di risposta in risposta la tenzone delle voci inasprendosi nell'urto della rima iterata assume una veemenza selvaggia. |
Ugo, Aldobrandino Rangone, La Verde, Compagni, Fanti, Garzoni
Q
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LA VERDE
Ohimè grido il mattino, ohimè la sera,
ohimè la notte, ohimè da mezzo giorno,
ohimè di verno, ohimè di primavera,
ohimè quando la state fa ritorno,
ohimè se il cor si strugge, ohimè se spera,
ohimè s'io poso, ohimè se vado a torno,
ohimè se dormo, ohimè da tutte l'ore,
ohimè pena, ohimè doglia, ohimè 'l mio core!
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LA PRIMA COMPAGNIA |
Gridate tutti, amanti, al foco al foco
al foco che mi strugge per amore,
correte tutti insieme al loco al loco
al loco dove brucia lo mio core.
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LA SECONDA COMPAGNIA |
La rocca ben fondata spacca spacca
con le bombarde se prender la vuoi;
il leone adirato stracca stracca,
ché in altro modo vincer non lo puoi.
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LA TERZA COMPAGNIA |
Amor grida al mio spirto: fora fora
fora da questo corpo, spazza spazza!
Amor grida più forte: mora mora!
Grida il crudel tiranno: ammazza ammazza!
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LA QUARTA COMPAGNIA |
Carne carne, ch'io sono a tradimento
d'amor ferito, correte correte!
Alla morte alla morte, ch'io son spento!
Arme arme, soccorrete soccorrete!
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TUTTO IL CORO
La morte grida e dice: Viene viene!
A sacco a sacco, vendetta vendetta!
Rispondo e dico: Or ecco le mie vene.
Grida ella: Falce falce! Aspetta aspetta!
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| Ugo anco una volta sbaglia il segno. Impazientito, getta a terra la balestra. Aspro, rimbrotta gli Uguali. Di parola in parola la sua concitazione sale sino al furore. | |
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UGO |
Per madonna Ferrara
ogni colpo mi falla!
Non tien la mira la balestra. Alcuno
di voi, ah certo, m'ha falsato l'arme
per tristizia. Io lo so.
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COMPAGNI |
~ Che dici mai?
Be', togli questa!
~ Questa
che fu provata da maestro Fiore
il friolano.
~ Prendi la mia. Riprovati con questa.
~ Se alcuno ti falsò arco o teniere
o corda, eleggi quale sia meglio
e riprova.
~ Non arco, non teniere,
non corda, ma sì l'occhio a mira certa
e le gomita ferme
e salde le calcagna;
ché non vale quadrello d'ariento
a far il buon balestratore.
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UGO |
Ma
di ferro mi valga, Azzo, a configgerti
la lingua lunga al mento
et il mento alla strozza,
se non l'allonghi.
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ALDOBRANDINO RANGONE |
O mio
Ugo, perché t'adiri?
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UGO |
Alcuno ghigna?
Volete or dunque ch'io riprovi? Stanco
io son di balestrare a segno morto.
Volete voi combattere? Raccolgo
l'arme che mi falsaste,
e pur con questa io dico
che solo valgo contra tutti voi.
Balestrerò senza pavese e senza
giaco, e col capo
scoperto, e a tutta gola
cantando lo strambotto del macello.
«Menatemi al macel se far volete
cosa che piaccia al mio dannato core.»
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ALDOBRANDINO RANGONE |
Ugo, o Ugo, che follia t'acceca?
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UGO |
Attutar la follia di primavera
mi bisogna. Mangiato ho il miel selvaggio,
Aldobrandino, e perso
ho l'anima nei venti.
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| Con un atto fraterno Aldobrandino lo prende fra le sue braccia; mentre già al suo cenno i compagni attoniti o accigliati si ritraggono, scompariscono fra gli alberi. Dalle logge discende la ripresa del coro, ma con suono più lontano. | |
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CORO DELLE FANTI E DEI GARZONI
Sapete perché grido guerra guerra?
Perché pace non trovo al mio languire.
Sapete perché grido serra serra?
Perché le porte non mi vole aprire...
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ALDOBRANDINO RANGONE |
Ugo, perché sei tanto corrucciato
senza cagione?
Quale angoscia ti stringe, che mi celi?
Di che male infermato
sei, che nascondi al fido fratel tuo?
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| Ora i giovani Balestratori cantano, verso il fiume, come a dispetto. | |
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CORO DEI COMPAGNI |
All'uomo d'arme trombetta trombetta
se vuoi che vada ben sotto la lancia.
Al saccomanno falcetta falcetta
se in campo non tien dritta la bilancia...
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UGO |
Sono infermo di gioia,
ti dico, fratel mio.
Odo il mio sangue
cantare come tutte le fontane
di Belfiore. Entro il petto
il cor vivo mi balza
come il cerbiatto che il mio padre insegue
nelle selve di Po.
Se di gioia si muore, lode a Dio,
io son prossimo a morte,
Aldobrandino.
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ALDOBRANDINO RANGONE |
Parli
come chi esca di senno o trasogni.
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UGO |
«Che foco è questo ch'arde e non consuma?
Che piaga è questa che sangue non getta?»
Mangiato ho il miel novello,
ti dico, Aldobrandino.
E voglia ho di cantare e di combattere.
«Chi m'ha dato quest'ale senza piuma?
Chi m'addimanda e chiama e non aspetta?»
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| Una Fante di Stella dell'Assassino appare furtiva tra la fronda. Cauta si accosta. | <- Fante
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LA FANTE |
O messer Ugo, messer Ugo, qui
presso è la vostra madre
madonna Stella.
Perdonato da voi mi sia. Condotta
io l'ho. Voi la vedete.
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Subitamente la Tolomei si mostra come chi esca dall'agguato. La favorita di Nicolò d'Este, non più giovine, è ancor bella e possente. Ella si slancia verso il figlio con un'ansia impetuosa, e lo stringe fra le sue braccia. Egli le si abbandona, quasi divenuto fragile a un tratto, ridivenuto fanciullo. | <- Stella dell'Assassino
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| Aldobrandino si ritrae, s'allontana. | |
| Aldobrandino Rangone ->
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STELLA DELL'ASSASSINO |
O tristo, tristo, che per rivederti
debba la madre tua mettere agguati
dove la viperetta di Cesena
ha preso il luogo!
Sei tu prigione? o viperato sei?
Ugo, figlio mio dolce,
gli occhi hai pieni di lacrime! Che pianto
è questo?
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UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Smagrato
mi sembri, e fatto pallido;
e intorno agli occhi il cerchio degli insonni
hai, su le gote scarne;
e troppo t'arde l'alito
come se febbricassi, o bello e dolce
figlio. Che hai? Che hai?
Ah, non mi sbigottire.
Di che soffri, o mio bello e dolce figlio?
Di che t'angosci? Dimmi.
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UGO |
Non so, madre, non so.
Il cor m'è cieco, e ondeggia per un mare
pien di fragore e d'ombra. E sotto il vento
lagni raccolgo e doglia,
e rimpianto di ciò che fu perduto
per me, se bene
non mi sovvenga.
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STELLA DELL'ASSASSINO |
O fiore di mia vita,
che mai non diedi perché tu fiorissi?
Ti diedi col mio petto
la speranza del mondo e il novel tempo
e tutte l'allegrezze ch'ei rimena.
Mi feci come l'alba e la rugiada
per addolcirti.
Or sei diviso da me, sei reciso
da me, o fiore
della mia carne; e sol rimasta è in me
una radice amara
che non si può divellere. Ah, non soffri
per questo? Dimmi, dimmi.
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UGO |
Così m'avessi tu, madre, tenuto
in te chiuso, m'avessi
tu suggellato in te,
m'avessi fatto tuo
per sempre nel tuo sangue e nel tuo soffio;
e prima le tue braccia dato avessi
al taglio crudo, che lentar la stretta,
o madre!
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Mio mio mio ti sento, o bello
e dolce figlio, mio
in me, risuggellato in me! Tu m'ami,
tu m'ami. Trista t'è la vita, dove
la mia nemica sul tuo viso spia
la mia vendetta...
(ansiosa, ella gli parla con l'alito nell'alito)
Dimmi,
ah dimmi: se tu m'ami, l'odi?
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| Smarrito, e tremante, il figlio muove le labbra quasi senza soffio. | |
UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
L'odi tu,
con tutte le tue vene?
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UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Parisina Malatesta.
Egli rovescia indietro il capo.
Come ti sbianchi! Come il cor ti balza!
Ah, mio figlio verace! Tanto dunque
tu l'odi? Lascia ch'io t'ascolti il cuore.
Figlio, che cuor terribile t'ho fatto!
Suona come il brocchiere
percosso dal martello d'arme.
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UGO |
Sì,
madre, sì, per la lupa
della tua Siena!
Una forza terribile mi gonfia
il cuore come quando
la spada è tratta, la balestra è carica,
e la polvere della prima schiera
s'alza con l'ansia
della battaglia, e vampa
d'allegranza è la fronte
del feritore,
e in qualche luogo, in un cammin selvaggio,
per una ripa verde,
entro una fresca valle,
in qualche luogo solo
è la morte, e sul capo della morte
la ghirlanda del sonno.
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Così combatterai
per la tua signoria
a che t'ho fatto, o figlio
di leonessa.
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UGO |
M'hai fatto per morire.
Se tu m'ascolti il petto,
odi il rombo rimoto.
Strano latte ti bevvi.
Quali erano i tuoi sogni
quando tu mi portavi?
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Sogni di leonessa,
se protesa è la branca
non per morire ma per dar la morte.
Tanto non sai? Se vivere non vuoi
come tu vivi,
non osi tu guardare la vergogna
nostra e l'ammenda?
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UGO |
Ah, che vuoi dunque? Di': ch'io mi ribelli
al mio padre? ch'io tagli il nodo?
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STELLA DELL'ASSASSINO |
No.
Sofferitore sei. Sei paziente.
Ti curvi al giogo ruminando l'odio
come il vitello rumina il suo strame.
Ugo bastardo.
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UGO |
Hai il pungolo crudele,
madre.
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Non hai più madre.
Hai la matrigna
che ti dà 'l pane e rigna.
E tu l'appaghi di menar la vita
del bastardello,
e i suoi cani di seguito tenerle
a guinzaglio, e portare al collo l'arpa;
ché maestro Domenico Calceda
per te le fece il cordoncin di seta...
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UGO |
Ah, leonessa, come mordi e strazi!
Forzi a follia
il folle. Brama
non ho se non di perdermi,
oggi. E meglio perire
m'è ch'esser a guinzaglio.
E sia laccio per laccio,
servaggio per servaggio,
peccato per peccato,
se mi bisogna abbeverar colei
che mi nudrì. Giungesti
in punto, in giorno propizio, giungesti.
Or ella è con le sue donne e la sua
arpa sul suo ginocchio
tien, forse; e canta.
E salgo, e le apparisco.
E, cacciatole in gola quella corda
di seta, onde m'irridi,
io te la traggo. Te la traggo ai piedi
ancora palpitante,
che tu la calchi, che le schiacci il capo...
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Taci! Taci! Furor non giova, grido
non vale. Siimi cauto.
Non ti forzo a follia,
e non a perdimento.
Uopo non t'è di laccio, né di daga,
ma di silenzio
e di man lieve.
A sé lo trae, lo circonda. Egli chiude le palpebre sull'anima sua disperata.
Fatti più presso. Vieni sul mio petto.
Ti serro; in me ti chiudo; ti suggello
in me. T'ho nel mio sangue e nel mio soffio.
Ecco, ti porto ancora
io nell'amor mio solo,
che tu rinasca in me. Non tremare.
Dimmi: tu l'odi?
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UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Non per te, non per me
v'è salute, finché viva. Lo sai?
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UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Ma non tremare.
Far vuoi la mia vendetta?
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UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Ma non col ferro.
Vendetta cauta.
M'ascolti?
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UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Se ti sovviene della morte lenta
d'Azzolino, ho la fiala... hai tu compreso?
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UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
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UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
A stilla, a stilla,
accorto e cauto... Hai tu compreso?
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UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
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| Risorge ora nella loggia il coro femminile, e gli sciami sembrano agitarsi per le arcate aeree. | |
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CORO DELLE FANTI
Che foco è questo ch'arde e non consuma?
Che piaga è questa che sangue non getta?
Chi m'ha dato quest'ale senza piuma?
Chi m'addimanda e chiama e non aspetta?
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Parisina Malatesta appare in cima alla scala seguita da una schiera di giovani Sonatrici che portano strumenti e intavolature, come nel trionfo di Venere sulla parete di Schifanoia. | <- Parisina, sonatrici
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UGO |
È Parisina, è Parisina. Madre,
madre, odi. È Parisina.
Ecco viene. Ecco scende.
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STELLA DELL'ASSASSINO |
Ti dà terrore? Voce
hai di fuggiasco.
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UGO |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
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| Come le donne scorgono la senese, sbigottiscono; e in timore sussurrano intorno alla lor signora. | |
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SONATRICI |
~ O madonna, madonna,
scendere non vogliate!
~ Ritraetevi,
madonna, in grazia.
~ È la senese, quella
de' Tolomei, la madre di messere
Ugo.
~ N'avreste scorno.
Madonna.
~ Non vogliate seguitare!
~ È la senese. Ell'è.
Stella dell'Assassino,
bandita da messer Nicolò.
~ Agguatata e appostata v'ha, per certo.
~ Malvagia ell'è. Non iscendete, in grazia.
~ Meglio la spalla volgere, madonna.
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| Ma la madre di Ugo arditamete si fa a più della scala, e scaglia l'oltraggio. | |
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STELLA DELL'ASSASSINO |
O Parisina Malatesta, figlia
dell'Ordelassa, sangue
di rubatori, traditori e drude,
color di vita più non hai, né osi
fissar negli occhi miei gli occhi tuoi falsi;
ma non temere,
ché toccarti non degno.
Non io ti strapperò con le mie mani
alla soglia non tua
dove giungesti quando ti vendette
il tuo padre in Cesena
come schiavetta al giacitore d'Este;
e non nubile ancora
eri, troppo al mercato acerba! No,
l'anima perdere
non mi vale per sì vil sangue. Sopra
ti sta castigo più tremendo, più
che se tutte le spine della terra
io configgessi in te senza riposo.
E ti lascio il presagio nella bocca
come sete mortale
e polvere di fossa.
E t'impreco sul capo del mio figlio
che ti fa onta.
| S
(♦)
(♦)
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S'ode per il folto del parco il suono dei corni, il latrato delle mute, il grido dei canattieri. Nicolò d'Este ritorna dalla caccia d'oltre Po. Il clamore s'avvicina. Lanciata l'ultima imprecazione, la Tolomei si ritrae, scompare tra gli alberi con la Fante, per la via ond'è venuta. Fa l'atto di seguitarla il figlio, poi s'arresta, rimanendo in disparte; mentre Nicolò arriva col suo stuolo di Cacciatori che suonano e cantano. Bei cani accoppiati e bei cavalli bardati egli ha seco, come Borso sulla parete di Schifanoia sotto il segno dell'ariete. Sulla scala le donne sorreggono la figliuola di Lucrezia degli Ordelaffi, soffocata dalla vergogna e dal furore. La vede il marito e giocondamente la chiama. | <- Nicolò d'Este, cacciatori, canattieri
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CORO DEI CACCIATORI
Non dormite, o cacciatore,
ché la cerva s'è scoperta:
la ne vien qua tutta esperta
per mangiare erbette e fiore.
Non dormite, o cacciatore.
L'è sì pronta nel fuggire
che la pare un lionpardo:
non è veltro sì gagliardo
ch'a lei possa pervenire:
l'ha già fatto sbigottire
nelle selve più pastore.
Non dormite, o cacciatore.
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NICOLÒ D'ESTE |
Mia donna, quanta preda, quanta preda!
Di cervi e cavriuoli
noi caricammo un burchio a passar Po,
e pe 'l soverchio carico mettemmo
a rischio il legno che prendeva l'acqua
insino al tiemo;
e si vogava nel vermiglio. O Strozzo,
Braccio, recato sia
innanti il cervo di tredici palchi.
Dov'è Ugo?
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| Con tale aspetto il giovine s'avanza verso il padre, che questi a un tratto fiuta la bufera. | |
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NICOLÒ D'ESTE |
Or qual viso
fai tu figliuolo! E voi,
mia donna?
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| Lascia dietro di sé le Sonatrici Parisina, discendendo qualche grado. | |
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PARISINA |
Non io più
sono la donna vostra,
signore.
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NICOLÒ D'ESTE |
Or che v'accadde? Anco una volta
veniste a rissa? Chi la mosse prima?
Ditemi, donna.
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PARISINA |
Non più son la donna
vostra; ma son la schiava
di vil sangue venduta
da mio padre al piacer vostro, sicché
lecito è che qualsisia
delle passate vostre concubine
mi getti vituperio e mi minacci
di trascinarmi
per i capelli,
come schiava ch'io sono,
fuor delle vostre soglie...
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NICOLÒ D'ESTE |
Chi, chi mai
tanto s'ardì?
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PARISINA |
Stella de' Tolomei,
Stella dell'Assassino, la malvagia
femmina, la rabbiosa
lupa...
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| Irrompe Ugo a mozzarle sulle labbra l'ingiuria. | |
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UGO |
Ah serrate,
ah soffocate quella bocca, padre,
o io, se dio mi danna,
farò che taccia.
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NICOLÒ D'ESTE |
Me
dio danna, me percote,
che sempre mi travaglio
tra odio ed ira, tra rancura e furia
per careggiarti, per averti presso
il cor mio, per colmarti d'ogni dono
e d'ogni onore e d'ogni
carezza, mentre
ogni dì mi ti mostri più selvaggio...
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| La veemenza del giovine non ha più freno. | |
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UGO |
Ah, meglio in selva vivere che in questa
onta; meglio campar la vita in arme
alla ventura sotto una masnada
che in coppa d'oro tracannare il tossico;
e meglio anco morire a ghiado, in capo
di strada, stando a barre ed a serraglia
con la balestra
e con la stipa,
come bastardo ribelle...
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NICOLÒ D'ESTE |
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UGO |
La vita non mi vale
più che la pelle del cervo sbranato
dai tuoi cani. Mi parto
alla ventura; e solo
il cavallo ti prendo.
E ch'io m'imbatta nella morte, prima
che il sol novello fieda
gli occhi miei senza sonno!
Né più mi rivedrai vivo, né più
increscerò a quella che t'acconcia
il letto e figli
ti darà men selvaggi...
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| Subitamente Parisina scoppia in un gran pianto. Intorno al pianto si fa grave silenzio. S'ode nel silenzio venire dall'interno della loggia più lontana il canto attenuato. | |
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CORO DELLE FANTI
Sapete perché grido guerra guerra?
Perché pace non trovo al mio languire.
Sapete perché grido serra serra?
Perché le porte non mi vole aprire...
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