Atto terzo

 

Scena prima

Ruggiero, Bradamante.

Ruggiero, Bradamante

 

RUGGIERO

Per quel punto felice, in cui divenni  

di tue bellezze amante,

ti giuro, o Bradamante,

che pena altra maggiore mai non sostenni.

BRADAMANTE

Ruggiero, a me perdona,

e se t'offesi a torto,

l'ira all'amor condona.

RUGGIERO

Ira, che d'amor nacque, è mio conforto.

O dolce, e lieto giorno,

meta delle mie pene!

O propizio soggiorno,

che al fin mi rendi il desiato bene!

 

BRADAMANTE

Dopo l'ombra, ecco il sereno!  

Non più duol, non più sospiri!

Già il mio seno

più non sa, che sian martìri.

Amanti, godete,

credete, sì, sì,

ch'a render men dure

le vostre sventure,

se n' volano i dì.

BRADAMANTE E RUGGIERO

Se, spiegando amore i vanni,

fa del pianto il riso erede,

a gli affanni

dolce premio al fin succede.

Non merta la palma

un'alma, no, no,

se prima soffrire

con nobile ardire

gli assalti non può.

 

BRADAMANTE

Ma già non parmi a pieno esser sicura  

fin, che da queste mura

tu lunge non sarai.

Andiam, Ruggiero, omai,

s'altra voglia però qui non t'affrena.

Un estremo gioir si crede appena.

RUGGIERO

Andianne pure, e sia

conforme al cenno tuo la voglia mia.

 

Scena seconda

Ruggiero finto Atlante, Bradamante, Ruggiero.

<- Atlante

 

ATLANTE

Ove, o mia speme, ove rivolgi i passi?  

BRADAMANTE

Con Ruggiero me n' vo, dove a lui piace.

ATLANTE

Come vai con Ruggiero, se tu mi lassi?

BRADAMANTE

O Ruggiero! O Ruggiero! E questi, e quelli

sì conforme ha il sembiante,

che distinguer non so, qual sia verace.

RUGGIERO

Lasciamo pur, ch'invano altri favelli;

segui, o signora, il tuo fedele amante.

ATLANTE

Anzi, arresta le piante!

E chi sei tu? Come di lei t'appelli

fido amatore? E come

a me solo usurpi il nome?

RUGGIERO

Per me confuso ammiro

temerità sì folle!

BRADAMANTE

Or l'uno, or l'altro miro;

or a l'uno, ora all'altro i passi muovo,

e perché due ne trovo, ambi gli perdo,

nella copia d'amanti

fatta d'amor mendica.

RUGGIERO

Esser questa sol puote opra d'incanti.

A me credo a fatica,

e novello stupore

rende immobile il piè non men, che il core.

BRADAMANTE

Così dunque i miei mali,

amor, prendi a diletto,

e raddoppiando il desiato oggetto,

vieni, o crudele, a raddoppiar gli strali?

ATLANTE

Poiché tu dubbia stai,

deh, riguarda il mio volto, ove il cor siede,

e quivi scorgerai

al vivo la mia fede.

Vedrai negli occhi miei,

che dal centro del seno

fuori traspar non meno,

che per chiuso cristallo accolta face,

la mia fiamma verace.

RUGGIERO

Altro dir non saprei:

sai, ch'a me cara sei più, che la vita.

ATLANTE

Se non disgombra ogn'incertezza amore,

prendi a seguir colui,

a chi più il core inchina:

un oracolo è il core,

che il ver sempre indovina,

e ne' presagi sui

raro avviene, o non mai, ch'inganni altrui.

BRADAMANTE

Anche ciò provo invano:

all'uno inchina il cor, ma tosto cede

dell'altro alle quadrella;

io porgo a te la mano,

ma l'alma a lui se n' corre, a te se n' riede,

ma quei pur la rappella;

onde per non soffrir sì duro affanno,

rivolgendo alla sorte ogni consiglio,

da te prendo congedo, a lui m'appiglio.

RUGGIERO

La sua frode t'inganna in questi chiostri.

Chi mia sembianza ha finto,

se Ruggiero pur è, con l'opre il mostri.

Senza tardanza il vero

si decida col ferro, e ceda il vinto.

BRADAMANTE

Approvo il tuo pensiero:

non è ragion, che schivi

ne' dubbi casi acerba prova, e fiera

un'amante guerriera.

RUGGIERO

Dunque, malvagio, ogni tua forza adopra.

ATLANTE

Non ricuso l'invito; anzi m'è caro,

che mostri il mio valore

non men prode la man, che fido il core.

RUGGIERO

A i lampi delle spade

via, ch'il ver si discopra.

ATLANTE

Pietate, ohimè, pietate

di queste membra inferme!

Io, ch'armato, e feroce apparvi pria,

son, come pur vedete,

misero veglio inerme;

e quella, ch'apparia

spada già folgorante,

solo è debol sostegno al piè tremante.

BRADAMANTE

Chi dimanda mercé trovi perdono.

RUGGIERO

Ma chi sei tu, di tanta frode autore?

 

ATLANTE

Deh, si plachi lo sdegno! Atlante io sono,  

che per serbare illeso il tuo valore

prima il castello, or il palagio elessi,

e in tanti modi, e tanti,

tua difesa, o Ruggiero, sol ebbi avanti.

RUGGIERO

Da sì confuse trame omai si cessi,

e di me si commetta al ciel la cura,

ché si difende invano,

se no 'l difende il ciel, l'ingegno umano.

ATLANTE

Deh, restate a goder tra queste mura,

ché quanto hanno di vago a voi s'appresta;

a voi lo lascio, e parto.

RUGGIERO

Anzi, pur noi partiamo, e tu qui resta.

BRADAMANTE

Esser deve rivolta

sempre a novella impresa alma costante,

ch'a pigrizia sepolta

la celata virtù poco è distante.

ATLANTE

Ah, ritenete il passo,

ch'alla vostra virtude,

benché altrove non varchi,

qui s'ergeranno, e le colonne, e gli archi.

BRADAMANTE

Così dunque l'infido ancor ne chiude?

RUGGIERO

Ahi, così ne delude?

BRADAMANTE

Paghi sue colpe il sangue,

e mi cada l'iniquo estinto al piede.

ATLANTE

Deh, ritrovi mercede,

a te prostrato innante,

inerme, e vecchio il vilipeso Atlante.

Se già qui v'allettai, se qui vi chiudo,

alla pietà si dia.

BRADAMANTE

Non ha folle pietà nome di pia.

ATLANTE

Né pietoso rigor titol di crudo.

RUGGIERO

Nelle dolci sue note inganno accoglie.

ATLANTE

Queste misere spoglie

sian pur in odio al mondo, in ira al cielo,

se ne' miei detti alcun inganno io celo.

Solo per evitar lo strazio amaro,

che ti sovrasta in così fresca etade,

desio, che qui dimori, ed è ben degno

della tua vita il fil, che si risparmi

da i perigli dell'armi.

BRADAMANTE

Se negli eterni annali

è l'avvenire all'altrui luci ascoso,

a che s'affanna invano,

di scoprir desioso

i decreti immortali, il core umano?

ATLANTE

Son chiaramente espressi,

a chi gli mira intento,

nel gran libro del ciel gli altrui successi.

RUGGIERO

Ovunque egli si stia,

con un cauto coraggio

sa dominar anche alle stelle il saggio.

Dunque a noi si disserri omai la via.

ATLANTE

Per breve spazio il piè s'arresti almeno.

BRADAMANTE

Aprine il calle, o pur, ch'io t'apro il seno!

ATLANTE

Me ferir dunque, in cui

altra fuor, che d'amor, colpa non fu?

BRADAMANTE E RUGGIERO

Non più indugio, non più!

ATLANTE

Colà, in mezzo al giardino, in chiuso loco

la seggia è dell'incanto.

Su le guardate soglie,

io dunque, sottraendo all'urne il foco,

poiché il chiedete, appagarò le voglie.

Colà n'andremo, e vi sia grato in tanto

udir non lieve cose,

a me solo scoperte, altrui nascose.

Ecco voti i miei voti,

ecco vane le prove,

di chi opporsi presume

a quei, che tutto regge, e tutto move.

Folle quanto ostinato,

chi al ciel resiste, e vuol pugnar col fato.

Atlante, Bradamante, Ruggiero ->

 

Scena terza

Fiordiligi.

<- Fiordiligi

 

 

In qual chiuso confine,  

Brandimarte, t'arresti?

E tu, con aspro affanno,

perché m'involi, o ciel, ciò, che mi desti?

Deh, come insieme vanno

coi doni le rapine?

D'acutissime spine,

priva di tua sembianza,

o mio sposo, e signor, l'alma è trafitta;

ma più, ch'altro mi doglio

del tuo proprio cordoglio.

Deh, se rende giammai tua mente afflitta

questa ria lontananza,

se mai pena t'assale

(ma il ciel non voglia) alla mia pena eguale,

che tua son, ti rammenta,

e la speme sicura

della mia salda fé tempri ogni cura.

A te se n' corre ogni mia voglia intenta;

in te, vie più, ch'entro me stessa, io vivo.

Dunque, se intender brami,

mentr'anche non mi vedi,

quali sian le mie fiamme, a te lo chiedi.

Fiordiligi ->

 

Scena quarta

Orlando, e Gradasso.

<- Orlando, Gradasso

 

ORLANDO

Là negli ampi giardini  

chiamai più d'una volta il suo bel nome,

ma in darno lo chiamai però, che solo

rispose Eco dolente al mio gran duolo.

GRADASSO

Ove n'andiamo, e come

partir potremo, Orlando?

Non pur chiuso è il sentiero,

né saprei con qual arte,

ma cambiato ha sembianza in ogni parte.

ORLANDO

Son finte larve, o pur contemplo il vero?

GRADASSO

Maledetto il pensiero, e la cagione,

che m'hanno oggi qua spinto!

O confusa magione!

O cieco labirinto!

ORLANDO

Di non credute insidie al fin m'avveggio,

ma tardo avvedimento a che mi giova?

Tentiam, Gradasso, a prova,

che di sì iniquo seggio

cada l'altera mole al fin disfatta.

Precipiti, s'abbatta,

e il diroccato muro

co' suoi laceri avanzi altrui dimostri,

che degli sdegni nostri,

qual fulmine di guerra,

l'impeto ardente ogni riparo atterra.

GRADASSO

È vano ogni desio, vana ogni prova;

quindi irritato il petto,

fa, ch'io fremo di rabbia, e di dispetto;

e ben odio a ragion quest'alte soglie,

poiché stima cangiarsi un cor gentile,

se libertà non toglie,

anche augusto palagio in carcer vile.

ORLANDO

Lasso! d'ogni conforto oggi mi priva

crudo amor, cruda sorte;

anzi mi spinge a morte.

Esser non può, che senza vita io viva.

GRADASSO

Dispietata prigione,

ove mi veggo ingiustamente avvolto,

quando n'andrò, quando n'andrò disciolto?

ORLANDO E GRADASSO

O fato, o stella acerba,

che a sventura cotanta oggi mi serba!

 

ORLANDO E GRADASSO

S'è inconsolabil pena  

perder la libertà,

come, ah, come n'affrena

dura necessità!

 

ORLANDO E GRADASSO

O doglia, o caso indegno,

trovar senza riparo aspro ritegno!

 

ORLANDO E GRADASSO

S'altrove il cor sospinge

desio d'alta beltà,

dove, ah dove il piè spinge

dura necessità?

 

ORLANDO

Ma pur l'oro lucente  

di quella bionda treccia, ond'io son cinto,

è laccio più possente

del carcer crudo, ove rimango avvinto.

GRADASSO

Come può mai quel nodo esser maggiore?

ORLANDO

Stringe questo la salma, e quello il core.

Orlando, Gradasso ->

 

Scena quinta

Olimpia, e Doralice.

<- Olimpia, Doralice

 

OLIMPIA

Come vuoi, Doralice,  

che l'inganni, e le frodi

io taccia di quest'empi,

s'a me pur tocca rinnovar gli esempi

d'Arianna infelice?

Solo in ciò differenti:

ch'a lei scala alle stelle

fur gli altrui tradimenti,

me perfido amatore,

prendendo (ah crudo!) i miei sospiri a scherno,

precipitò dentro a penoso inferno.

Potessi io pure almeno

de' passati accidenti

su la riva di Lete ogni memoria

cancellar dal mio seno!

DORALICE

Se provi aspri tormenti

per un solo infedele,

con ingiuste querele

volgi contro a ciascuno irati accenti.

Un petto disleale

a mill'altri costanti

toglier non dée d'alta virtude i vanti.

OLIMPIA

Ah, che son tutti a sé medesmi equali!

Non conoscon pietà, non serbon fede,

son de' nostri pensieri aspri tiranni,

sempre volti all'inganni

verso chi più lor crede.

Chiuder voglie superbe,

instabili, spietate, assai più fiere

delle selvagge fere,

ridere al nostro duolo,

celar sotto l'ambrosia empio veleno,

esser d'amor nemici, e portar solo

nella lingua le fiamme, il ghiaccio in seno:

questi sono i lor vanti, i lor trionfi

degni d'eterni carmi;

scrivasi queste imprese in saldi marmi.

DORALICE

Troppo trascorre omai senza ritegno,

Olimpia, un cieco sdegno:

già non son tutti infidi. Io per me godo

mentre, che scorgo in Mandricardo unita

lealtà con valore;

onde per me gradita

è la fiamma d'amore,

soave il dardo, e fortunato il nodo.

OLIMPIA

Se nel campione, il suon di cui rimbomba

famoso in ogni clima,

quanto il valor si stima,

s'ammira anco le fé,

sarà quasi tra i corvi una colomba.

Ma sempre ciò, che luce oro non è.

Or basta, io fui tradita:

chieggio però vendetta,

e se quel fraudolente

punir or non poss'io,

deh, tu vendica, o dio,

vendica con sua morte un'innocente.

 

OLIMPIA

Donzelle, all'or, che udite  

d'un amator le pene,

fuggite le dure catene.

Perché, se prega, o ride,

quelle lusinghe sue son tutte infide.

Insieme

DORALICE

Donzelle, all'or, che udite

d'un amator le pene,

seguite le dolci catene!

Perché, se prega, o ride,

quelle lusinghe sue tutte son fide.

 

OLIMPIA

Sol per noi prepara affanni.

DORALICE

Ah, t'inganni!

OLIMPIA

Come no?

DORALICE

Ah, t'inganni: anch'io lo so.

OLIMPIA

Se il mio core

ne' suoi danni lo provò.

Come no?

DORALICE

Ah, t'inganni: anch'io lo so.

OLIMPIA E DORALICE

Abbia il vero pur il suo loco:

negli amanti ogn'or si vede...

OLIMPIA

...estinta la pietà.

DORALICE

...viva la fede.

Olimpia, Doralice ->

 

Scena sesta

Alceste.

<- Alceste

 

 

Deh, ferma il piè fugace,  

ingratissima Lidia,

e poiché tanto piace

all'empia tua perfidia

il mio grave tormento,

arresta a rimirarlo un sol momento.

Ma invan prego, invan piango, invan mi doglio,

ché il suo fiero desire

si mostra ogn'or più crudo al mio cordoglio,

onde in sì gran martìre

sento morirmi, e pur non moro intanto.

Aspro dolor, ché non trabocchi in pianto?

Tu, che t'aggiri al suo bel viso intorno,

aura, dimmi, se 'l sai,

della pura mia fé sovvienle mai?

Sovvienle mai, che, se, d'amor rubella,

il mio servir disprezza

con immobil fermezza,

tanto stabil son io, quant'essa è bella;

ond'ella d'inumana,

io di fedele ho il vanto.

Aspro dolor, ché non trabocchi in pianto?

Quando, misero me, quando s'udio

di sventurato amor, d'indegna sorte

esempio eguale al mio?

Spenga il foco d'amor gelo di morte,

ché se il destin severo

ogni speme a me toglie,

della vita mortale

premer non curo più l'aspro sentiero.

Con affannose doglie,

deh, scocca, o morte, in me l'ultimo strale,

e trovi posa al fin il fragil manto.

Aspro dolor, ché non trabocchi in pianto?

 

Armatevi,  

lumi, ch'adoro,

di crudeltà.

Su, su, lasciatemi

mentre, ch'io moro.

Poiché sarà

nel ciel della beltà,

altrui vi chiamerà,

se m'ancidete,

stelle no, ma comete.

Ardetemi,

ché a tanto ardore

schermo non ho.

Via, trafiggetemi;

eccovi il core!

Ma poi, che pro?

Morendo griderò:

non s'armi Lidia, no,

ché son quei strali

vaghi sì, ma mortali.

Alceste ->

 

Scena settima

Dame, e Cavalieri.

<- dame, Doralice, Angelica, Fiordiligi, Olimpia, Fioralba, Marfisa, cavalieri, Orlando, Prasildo, Gradasso, Mandricardo, Iroldo, Ferraù, Brandimarte

 

DORALICE

Or fin qui basti.  

CINQUE CAVALIERI

Basti!

ORLANDO

Omai l'ingegno

volga ciascuno a racquistare il pegno.

Angelica, il mio cenno

schivare or non si puote.

ANGELICA

Ben è ragion, che accinto

sia d'obbedire al vincitore il vinto.

ORLANDO

Da te, che mostri ogni virtù palese,

udir bram'io di brevi carmi il suono.

ANGELICA

Se più di quel, ch'io sono,

la tua lingua cortese

m'esalta, o cavaliero,

apparirà ben presto

assai minor delle tue lodi il vero.

Dunque più non si tardi,

a cantar già m'appresto

se co' placidi sguardi.

Ma tu stesso, e Prasildo, or se v'aggrada,

su gli arguti istrumenti

meco spiegate armoniosi accenti.

 

ANGELICA, PRASILDO E ORLANDO

Se con placidi sguardi  

Filli mostra pietà,

io benedico i dardi,

ché saette più dolci amor non ha.

Ma non però mi pento

del mio lungo tormento,

se sdegnati gli gira,

ché son belli quei lumi anco nell'ira.

 

GRADASSO

O gentil Doralice,  

o Mandricardo ardito,

voi, che pur siete il fiore

di beltà, di valore,

con scambievol quesito

fate de' fiori il gioco,

e non prendete a sdegno

che frutto sia de' vostri fiori il pegno.

DORALICE

Un fior tu sei.

MANDRICARDO

Che fiore?

DORALICE

Un fior d'olivo:

solo un tuo sguardo è la cagion, ch'io vivo.

MANDRICARDO

Un fior tu sei.

DORALICE

Che fiore?

MANDRICARDO

Un fior d'alloro:

solo un tuo sguardo è la cagion, ch'io moro.

ORLANDO

Di riscuoter bramosa

la tua catena aurata, o Fiordiligi,

che cosa dovrai fare?

FIORDILIGI

A te sta il comandare.

ORLANDO

Con qual arte un cavaliere

nella grazia di sua dama,

che dagli èmoli si brama,

può sperar d'esser primiero?

Dinne il modo, e prendi il pegno.

FIORDILIGI

Studi d'esser il più degno.

ORLANDO

Per il tuo pegno, Iroldo,

comando, o pur dimando?

IROLDO

Il comandare

proprio è di te, che sai dar legge all'alme.

ORLANDO

Saranno al comandare uniti i preghi.

Or da te non si neghi

terminar brevi carmi in queste note.

 

IROLDO

Senza luce il sol risplende;  

cinta il crin d'aurate bende,

sorge in ciel l'alba novella;

e restando ivi ogni stella,

senza luce il sol risplende.

 

OLIMPIA

Fioralba, or, che a me tocca,  

un breve enigma a dichiarar l'invito,

e se t'aggrada, il proporrò col canto.

FIORALBA

Pendo dalla tua bocca.

OLIMPIA

Non sono augello, ed ho le penne, e volo,

sì che gli occhi in seguirmi anco son lenti;

son ministro di sdegno, autor di duolo;

con la lingua ferisco, e non ho denti;

ed all'or, che la mano

più vuol tirarmi a sé, più vo lontano.

FIORALBA

Ciò, che la lingua oscuramente accenna,

la destra a me palesa:

da te lo strale a denotar s'elesse.

MANDRICARDO

In sì placida schiera,

scioglier la lingua al canto

non sdegnar o guerriera,

di cui l'ardire, e il vanto

già nell'armi si stese

dall'uno all'altro polo.

MARFISA

Mi solleva dal suolo

il tuo favor cortese.

ANGELICA

Comincia omai, ché, già sospesi, i venti

dolcezza apprenderan da' lieti accenti.

 

MARFISA

Si tocchi tamburo,  

risuoni la tromba,

di strage, di guerra

già l'aria rimbomba.

L'assedio ha ristretto,

per prendere amore,

con dolce rigore

la rocca del petto;

ma mentre mi sfida

con vaga sembianza

bellezza omicida,

sua nuova possanza

io punto non curo.

Si tocchi tamburo,

risuoni la tromba,

di strage, di guerra

già l'aria rimbomba.

Le voglie costanti

già muovon l'assalto;

ma il cor, ch'è di smalto,

non teme i lor vanti.

Son rotti i sospiri,

lo stuolo vien meno;

d'accesi desiri

gioisce il mio seno,

di vincer sicuro.

Si tocchi tamburo,

risuoni la tromba,

di strage, di guerra

già l'aria rimbomba.

 

FERRAÙ

A sì lieta armonia succeda il ballo.  

Dunque Alinda, e Temesto

con Perilla, ed Armallo

muovin danza gentile,

e della nobil cetra al dolce invito

scorra in varie mutanze il piè spedito.

 

Scena ultima

Atlante, Bradamante, Ruggiero, e detti.

 

ATLANTE

Or, che più far poss'io,  

s'ha delle forze mie forza maggiore

lealtà con valore?

BRADAMANTE

Rendasi pago omai nostro desio.

RUGGIERO

Tutto il nobil drappello

con noi disciolto resti.

ATLANTE

Io già cancello

l'impresse note, onde in un sol momento

svanisca il tutto, e si dilegui al vento.

 

 Q 

CORO

Come libero il piè, sia lieto il core,    

or, che mostrano al mondo

lealtà con valore,

che prender sanno ogni contesa a scherno,

vincer gl'inganni, e trionfar d'Averno.

S

Sfondo schermo () ()

 

Fine (Atto terzo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo
Ruggiero, Bradamante
 

Per quel punto felice, in cui divenni

Bradamante e Ruggiero
Dopo l'ombra, ecco il sereno!

Ma già non parmi a pieno esser sicura

Ruggiero, Bradamante
<- Atlante

(Ruggiero finto Atlante)

Ove, o mia speme, ove rivolgi i passi?

(Atlante si smaschera)

Deh, si plachi lo sdegno! Atlante io sono

Atlante, Bradamante, Ruggiero ->
<- Fiordiligi

In qual chiuso confine

Fiordiligi ->
<- Orlando, Gradasso

Là negli ampi giardini

Orlando e Gradasso
S'è inconsolabil pena

 

Ma pur l'oro lucente

Orlando, Gradasso ->
<- Olimpia, Doralice

Come vuoi, Doralice

Olimpia e Doralice
Donzelle, all'or, che udite
Olimpia, Doralice ->
<- Alceste

Deh, ferma il piè fugace

Alceste ->
<- dame, Doralice, Angelica, Fiordiligi, Olimpia, Fioralba, Marfisa, cavalieri, Orlando, Prasildo, Gradasso, Mandricardo, Iroldo, Ferraù, Brandimarte

Or fin qui basti / Basti!

Angelica, Prasildo e Orlando
Se con placidi sguardi

O gentil Doralice

Fioralba, or, che a me tocca

A sì lieta armonia succeda il ballo

Or, che più far poss'io

Il palazzo incantato di Atlante svanisce.

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ultima
Il palazzo incantato di Atlante. Il palazzo incantato di Atlante svanisce.
Prologo Atto primo Atto secondo

• • •

Testo PDF Ridotto