Argomento

Volendo Aristotele nel 15º capo della sua Poetica dare un esempio della più perfetta riconoscenza nelle azioni tragiche, la quale avviene allorché le persone non conoscono l'atrocità dell'azione che son per commettere se non dopo averla commessa e dopo il pericolo in cui sono state di commetterla, ne reca l'esempio di Euripide, il quale nella sua tragedia intitolata Cresfonte fa che Merope riconosca il figliolo nel momento medesimo in cui ella sta per ucciderlo. Siccome questa tragedia di Euripide non ci è stata conservata dal tempo, così egli è difficile e l'indovinare l'artifizio con cui egli avesse condotta la favola, e 'l sapere tutto l'argomento su cui l'avesse distesa. Quanto all'artifizio, se ne ha un piccolo barlume in Plutarco, il quale nel suo trattato Dell'uso de' cibi riferisce che Merope, nell'atto di svenare il figliolo non conosciuto da lei se non come assassino del suo figliolo medesimo, vien trattenuta opportunamente dall'arrivo di un vecchio da cui le vien fatto conoscere che quegli era il suo proprio figliolo. Quanto poi all'argomento, io ho creduto di averne trovate tutte le possibili circostanze non meno appresso Pausania nel lib. 4 che appresso Apollodoro nel lib. 2 della sua Biblioteca. Ed ecco in ristretto quel tanto che ho giudicato più acconcio alla condotta del mio disegno.

Cresfonte, uno della famosa prosapia degli Eraclidi, cioè a dire dei discendenti da Ercole, fu re di Messenia e marito di Merope, figliuola di Cipselo re di Arcadia. Per suggestione di Polifonte, che pur era degli Eraclidi, egli proditoriamente fu ucciso da Anassandro, servo confidente della regina, insieme con due teneri figliolini che presso di lui si trovavano. Epito, che da me nel dramma vien nominato anche Epitide, suo terzo figliolo, non soggiacque alla stessa disavventura perché allora in età ancor tenera trovavasi in ostaggio appresso Tideo re di Etolia. Morto Cresfonte, non si poté venir in chiaro dell'autore di tal misfatto, perché Anassandro fu tenuto occulto gelosamente da Polifonte. Il sospetto cade sopra la regina per essere stato l'uccisore suo confidente e suo servo; e questa voce fu avvalorata con arte anche da Polifonte. Ciò la escluse dalla reggenza, e Polifonte fu dichiarato re con obbligo di dover render lo scettro ad Epitide ogni qual volta questi capitasse in Messenia e fosse in età da governar da sé stesso. Il tiranno in tal mentre, invaghitosi di Merope, procurò di averla in moglie; ma questa chiese dieci anni di tempo, sperando che in tal mentre o si scoprisse il vero autore del commesso misfatto, o che il figliuolo già fatto adulto venisse a prendere il possesso della sua eredità e del suo regno.

In tale stato di cose passarono i dieci anni. Il re Tideo guardò in Etolia Epitide con tal diligenza che, quantunque Polifonte tentasse più di una volta, per mezzo di Anassandro spedito occultamente in Etolia, di farlo perire, non poté mai venirne a capo. Simulando di voler restituire il regno al suo vero erede, più volte fe' ricercare Tideo che dovesse mandare alla Messenia il suo principe; ma non potendo né meno con quest'arte trarre quel re nell'insidie, gli fece violentemente rapire Argia sua figliuola amata e promessa ad Epitide, a fine di obbligarlo in tal guisa a dargli in mano quei principi; e ciò fu cagione che il re di Etolia gli mandasse per suo ambasciatore Licisco amico di Epitide, e che Epitide entrasse non conosciuto in Messenia per intendere se Polifonte o Merope fosse colpevole della morte del padre e de' fratelli. Vi giunse appunto in tempo che la Messenia era gravemente molestata da un mostruoso cinghiale. Spirava inoltre quel giorno prefisso da Merope per far le sue nozze con Polifonte. Il rimanente s'intende dal dramma, il cui vero fine si è che Epitide racquistò la corona, Merope fu conosciuta innocente, e Polifonte, per aver ciecamente e per divino giudizio commessa altrui la morte di Anassandro, quando egli stesso dovea farla eseguire alla sua presenza, perde la corona e la vita.

Per maggiore intelligenza si dovrà avvertire che Messene era la capitale del regno posto alle falde di un monte sopra la cui sommità era la fortezza d'Itome; e che non lontano da essa corre il fiume Pamiso.

La devastazione fatta dal cinghiale del regno non dée parere inverosimile, sapendosi che tal fu quello ucciso da Ercole e l'altro pure ucciso da Meleagro; e che il cavalier Guarini ne ha pur un altro introdotto con poco diverso fine nel suo incomparabile Pastor fido. Stimerei felice questo mio per altro imperfettissimo componimento s'egli non patisse altra opposizione che questa.

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