Atto primo

 

Scena prima

Piazza di Messene con trono. Grand'ara nel mezzo con la statua d'Ercole coronata di pioppo. Tempio chiuso in lontananza. Tutta la scena è adornata di corone, e di rami di pioppo, consacrata ad Ercole.
Epitide.

 Q 

<- Epitide

 

 

Questa è Messene. Il patrio cielo è questo  

dell'infelice Epitide. Cresfonte,

mio illustre genitor, qui diede leggi.

Qui nacqui re. Questa è mia reggia, e questi

famosi abitatori,

questi fertili campi a me son servi.

O memorie, o grandezze

mal ricordate e mal vantate! Errante,

misero, solo, inerme io vi rivedo;

e di tanti vassalli

un sol non v'è, che re mi onori; un solo

che pur mi riconosca; un sol che dia

almeno un pianto alla miseria mia.

(si volta verso la statua di Ercole)

 

Padre, e nume, Alcide invitto,  

se gli umili onesti voti

d'un tuo germe a te son cari,

tu ben sai di qual delitto

son macchiati i patri lari.

Punitor di chi mi ha tolto

e fratelli, e padre, e regno,

qui mi tragge ardire e spene.

Ma l'idea del gran disegno

da te scende, e in me se n' viene.

 

Scena seconda

Trasimede, e coro di Messeni, che portano in mano rami, e corone di pioppo, e cingendo in ordinanza il trono, e la statua, si prostrano in atto di offerire i loro rami, e le loro corone. Epitide in disparte.

<- Trasimede, messeni

 

CORO

Su su, messeni,  

sospiri e prieghi.

 

EPITIDE

Quai genti son coteste? E con qual rito  

cingono il regal seggio e il sacro altare?

 

TRASIMEDE

Sperar ci giova

che il cielo irato

alfin placato

per noi si pieghi.

Su su, messeni,

sospiri e prieghi.

 

EPITIDE

Signor, che al ricco ammanto, al nobil volto  

ben mostri eccelso grado, e cor gentile,

ond'è che per Messene

suonan gemiti e strida? Ond'è che in atto

di supplici e dolenti offron costoro

que' verdi rami? E al cielo

fumo d'incensi, e di sospiri ascende?

TRASIMEDE

Garzon, che il quarto lustro

non compi ancor, se mal non credo al guardo,

qual sei dimmi, onde vieni? A che sì strane

spoglie vestir? Le delicate membra

perché d'ispida pelle,

e la tenera man perché si aggrava

di quel tronco nodoso?

EPITIDE

Tal è la sorte mia, che non mi lice

farne parte ad altrui, fuor che al re vostro.

TRASIMEDE

Il re dal tempio, ove adempiti egli abbia

i sacrifici, e i voti,

qui verrà in breve. Or ti compiaccio.

EPITIDE

Ascolto.

TRASIMEDE

Undici volte oggi rinato è l'anno

da che ucciso fu 'l nostro

buon re Cresfonte, e due

pargoletti suoi figli.

EPITIDE

Il caso acerbo

tutta d'orrore empié la Grecia, e d'ira;

ma dell'autor non è ben certo il grido.

TRASIMEDE

Anassandro egli fu.

EPITIDE

Costui m'è ignoto.

TRASIMEDE

Della regina Merope era servo.

EPITIDE

Può cader tal delitto in moglie, e madre?

TRASIMEDE

Per la credula plebe

fama rea se ne sparse;

ma il suo dolor, la sua virtù nel core

di chi meglio ragiona assai l'assolve.

EPITIDE

Perché dall'uccisor non trarne il vero?

TRASIMEDE

L'ombre il tolsero al guardo, e alla sua pena,

né di lui più s'intese.

EPITIDE

Altro germoglio

sopravvisse a Cresfonte?

TRASIMEDE

In Epitide vive

degli Eraclidi il sangue, e la speranza

dell'afflitta Messenia.

EPITIDE

Come a lui perdonò l'empio omicida?

TRASIMEDE

L'esser lungi in Etolia

ostaggio al re Tideo, fu sua salvezza.

EPITIDE

Perché al vedovo trono

non si chiamò l'erede?

TRASIMEDE

La sua tenera etade

ne fu cagione, e più 'l timor che anch'esso

di ferro, e di velen restasse ucciso.

EPITIDE

Ma de' pubblici affari il grave peso

cui si affidò?

TRASIMEDE

Divise

Merope, e Polifonte i nostri voti.

A lei nocque il sinistro

sparso rumor del parricidio. Eletto

Polifonte rimase,

degli Eraclidi anch'egli uom saggio e prode.

EPITIDE

(Sembianza di virtù spesso ha la frode.)

Né si pensò, che un giorno

richiamar si doveva il regal figlio?

TRASIMEDE

Sul crin di Polifonte è la corona

un deposito sacro.

All'erede ei la serba.

EPITIDE

Tanto modesta in Polifonte è l'alma?

TRASIMEDE

Gode Messenia in lui quel re, che ha pianto.

EPITIDE

Di che dunque si lagna ella, che il gode?

TRASIMEDE

Sente dell'altrui fallo in sé la pena.

EPITIDE

Per qual destin?

TRASIMEDE

Distrutti

da feroce cinghiai sono i suoi campi.

EPITIDE

E 'l messenio valor teme un sol mostro?

TRASIMEDE

Che può mai contra i numi il valor nostro?

Più volte armate schiere

dissipò il fiero dente. Altra speranza

non ci riman, che il cielo. A lui ricorso

fanno i pubblici voti.

EPITIDE

Sinché...

TRASIMEDE

Già s'apre il tempio.

(si apre la gran porta del tempio)
 

Il re, messeni, il re.  

All'armi pronti, all'armi

vi tenga amore e fé.

(Trasimede entra nel tempio incontro a Polifonte)

Trasimede ->

 

EPITIDE

Nella gran turba io mi nascondo. Intanto  

penso a gran cose e generoso e forte.

Epitide, ecco il giorno. O regno o morte.

 

Scena terza

Polifonte, e Trasimede uscendo dal tempio con Séguito.
Epitide in disparte. Polifonte va a sedere sul trono.

<- Polifonte, Trasimede, seguito di Polifonte, due guardie

 

POLIFONTE

Stanco, popoli, è 'l cielo  

delle lacrime nostre.

Le vittime ei gradì. Lieti ne diede

la vampa i segni, e fausti

l'esaminate viscere gli auspici.

Che più? Placato, il nume

chiaro parlò! Tu del voler celeste

leggi qui, Trasimede, il gran rescritto;

ed intanto respiri

dal passato spavento un regno afflitto.

(porge a Trasimede la risposta dell'oracolo, e Trasimede legge)

TRASIMEDE

«Ha Messenia due mostri. Oggi ambo estinti

cadranno, un per virtude, un per furore:

restino poscia in sacro nodo avvinti

l'illustre schiava, e 'l pio liberatore.»

POLIFONTE

Udiste? Or chi nell'alma

nutre spirti guerrieri, e chi nel braccio

tiene valor, vada, combatta, e vinca.

La sua virtù rinforzi

con la voce del nume, e col sicuro

piacer di un premio illustre.

Che se pur tra' messeni

non v'è core sì forte, alma sì ardita,

v'è Polifonte. Egli esporrà per voi,

(si leva in piedi)

non re, ma cittadino, e sangue, e vita.

(discende dal trono)

EPITIDE

(si avanza)

Nella sua vita espor non dée chi regna,

la salvezza comun. L'orride belve

affronti anima forte,

non regal braccio; e se a Messenia ardire

manca, e virtude, io, sire,

giovane, qual mi vedi, inerme, e solo,

tanto osar posso. Imponi,

ch'io là sia tratto, ove si pasce il fiero

cinghial di mille stragi.

L'abbatterò, non primo

trofeo della mia destra.

E se cadrò, Messenia

mi darà lode, e fia,

ch'ella di pochi fiori

a me sparga la tomba, e l'ossa onori.

POLIFONTE

Giovane, o sia che troppo

di te presumi, o che gli dèi tu segua

già impietositi, ai vili

fia stupore il tuo esempio, invidia ai forti.

Molto a te dée Messenia,

nulla tu a lei. Straniero

ai panni, al volto, al favellar tu sembri.

EPITIDE

Etolia, Argo, Micene e quanto è Grecia,

tutto è patria a chi è greco. Io greco sono,

né per lieve cagion qui trassi il piede.

Più dir non posso. All'ora

che dal cimento io vincitor ritorni,

saprai qual sia, perché ne venga e donde.

POLIFONTE

Custodi, olà: si scorti

questo prode in Itome. Ivi, se al vanto

risponde l'opra, è tuo il trionfo, e tuo

il premio ne sarà.

EPITIDE

Premio non cerco.

Cerco un popolo salvo; e meco porto

le speranze d'un regno.

TRASIMEDE

Un dì tal vide

forse la Grecia il giovanetto Alcide.

 

EPITIDE

Furie superbe  

di mostro orrendo,

vi abbatterò.

E andar mordendo

i sassi e l'erbe

vi mirerò.

Furie superbe

di mostro orrendo,

vi abbatterò.

(parte con due guardie di Polifonte)

Epitide, due guardie ->

 

Scena quarta

Polifonte, e Trasimede.

 

POLIFONTE

Ver noi, se non m'inganno,  

parmi venir Licisco.

TRASIMEDE

È desso appunto.

Nunzio del re Tideo più volte il vide

la nostra reggia.

POLIFONTE

Io qui l'attendo. Intanto

tu mi precedi alla regina; e dille,

che il dì prefisso è giunto

di nostre nozze. Ella al mio amor dieci anni

di sofferenza impose.

La compiacqui, e soffersi. Oggi pur compie

la dura legge. All'imeneo promesso

oggi ella accenda le giurate faci.

TRASIMEDE

Ubbidirò. (Pena mio core, e taci.)

(parte)

Trasimede ->

 

Scena quinta

Polifonte, e Licisco con séguito di Etoli.

<- Licisco, seguito di Etoli

 

POLIFONTE
(alle guardie)

Custodite il re vostro.  

LICISCO

Re Polifonte, al cui voler sovrano

di Messenia ubbidisce il nobil regno,

il re Tideo, che glorioso impera

sull'Etolia possente,

m'invia suo nunzio. Ecco la carta, ed ecco

la tessera ospitale, e 'l noto segno.

(presenta a Polifonte le lettere credenziali)

Egli si duol, che contra il dritto, e i patti

di scambievole pace,

tu rapirgli abbia fatto Argia sua figlia.

La grave offesa è d'alta piaga impressa

in cor di re, e di padre. Al suo dolore

diasi compenso. O gli si renda Argia,

o coprirà della Messenia i campi

d'armati, e d'armi, e pagheran la pena

d'un atto ingiusto i popoli innocenti.

Tanto espone il mio re. Qual più ti piace,

scegli, amico, o nemico, o guerra, o pace.

POLIFONTE

Licisco, in brevi note ecco i miei sensi.

Vendicar si doveva

con la forza la forza.

Dall'etolico re, perché si niega

Epitide al suo regno?

Egli ce 'l renda, e noi daremo Argia.

LICISCO

Non è più in suo poter ciò che gli chiedi.

POLIFONTE

Vani pretesti. Il re Tideo, se pensa

o farci inganno, o intimorirci, egli erra.

Scelga qual più gli aggrada, o pace o guerra.

LICISCO

Come, o dio! Qui non giunse

l'infausto avviso? E come

ciò ch'a tutta la Grecia è già palese,

in Messenia si tace?

POLIFONTE

E che?

LICISCO

La morte

dell'infelice Epitide.

POLIFONTE

Che narri? Morto? Ma dove e come?

LICISCO

Nella Focide appunto,

colà dove il sentiero in due diviso

parte a Dauli conduce, e parte a Delfo.

POLIFONTE

Stelle! E chi mai versò sangue sì illustre?

LICISCO

Vario ne corre il grido,

e al nostro re, da grave doglia oppresso,

mesto ne giunse e replicato il messo.

POLIFONTE

Cieli! Avete più fulmini? Volete

altro pianto, altro sangue? Eccovi il mio.

O stirpe de gli Eraclidi infelice!

Misero regno! Prence sfortunato!

(Ma s'Epitide è morto, io son beato.)

LICISCO

Giusto dolor.

POLIFONTE

Sino a più certo avviso

tacciasi il fiero caso; e la mia reggia

sia tua dimora.

LICISCO

In tanto

che risolvi d'Argia?

 

POLIFONTE

Non ascolto che furori,  

non rispondo che vendette.

(Fingo dolore, e sdegno, e lieto io sono.)

Al tradito, all'innocente

de gl'infami traditori

cruda strage un re promette.

(Oggi ho sicuro il regno, e fermo il trono.)

Non ascolto che furori,

non rispondo che vendette.

Polifonte, seguito di Polifonte, messeni ->

 

Scena sesta

Licisco.

 

 

Non si lasci sedur candida fede  

da un dolor menzognero, o almen sospetto.

Merope, Polifonte,

tutto si tema. Epitide si salvi

con la frode innocente, e giunga al regno.

Ma come amor qui no 'l riveggo? Ei pure

mi precedé. Qual fato

lo ritarda a Messene, e a' voti miei?

L'alma real voi proteggete, o dèi.

 

Se ogn'or con la virtù si unisse il fato,  

un innocente cor

saria senza timor

sempre beato.

Ma che? L'empio sovente

opprime l'innocente,

e con orgoglio il fa

falsa felicità.

Più scellerato

se ogn'or con la virtù si unisse il fato.

 
 

Scena settima

Stanze di Polifonte in villa con porta segreta.
Merope.

 Q 

Merope

 

 

Ecco pur giunto il giorno,  

che dir poss'io di mia sciagura estrema.

Era poco, o fortuna, avermi tolto

il regno non dirò, ma sposo, e figli,

da man crudel barbaramente uccisi.

Era poco in esilio

tenermi il caro Epitide, in cui solo

consolarmi potessi. Era anche poco pubblicarmi a Messenia

moglie iniqua, empia madre, e del mio sesso,

anzi del mondo il più esecrabil mostro.

Di Polifonte al letto

vuoi ch'io passi, e 'l consenta. Il decim'anno

giurato alle mie nozze oggi si compie.

O giorno! O legge! O giuramento! O nozze!

O Polifonte! O troppo avversi dèi!

O troppo acerbi mali,

che, per dirvi spietati, io dirò miei.

 

Vedrassi nel suo nido  

la casta tortorella

amar quel serpe infido,

che già l'avvelenò;

ma ch'io prometta amor

al mio tiranno, no,

non si vedrà.

Talor mostrar potrà

lo sdegno suo placato

a lui, che dispietato

i figli a lei rapì;

ma pace dal mio cor

l'empio, che mi tradì,

mai non avrà.

Vedrassi nel suo nido

la casta tortorella

amar quel serpe infido

che già l'avvelenò.

 

Scena ottava

Trasimede, e Merope.

<- Trasimede

 

TRASIMEDE

Con qual senso, o regina,  

di comando fatal nunzio a te venga,

lo sa il ciel, lo sa l'alma (e amor se 'l vede).

MEROPE

E nunzio di sponsali, e di grandezze

vieni sì mesto? Eh! più sereno in volto

dimmi regina, e sposa.

Precedimi più lieto

al soglio antico, alle novelle tede.

Già le attende la Grecia, e un re le chiede.

TRASIMEDE

Le chiede un re, ma pria da te promesse:

volute non dirò, che ben più volte

lessi ne' tuoi begli occhi

contro di Polifonte, odio, e disprezzo.

MEROPE

E quest'odio alla tomba

mi sarà scorta. Io sposerò il tiranno,

per poi svenarlo in alto sonno oppresso:

indi col ferro istesso

fumante ancor dell'odioso sangue

sulle vedove piume io cadrò esangue.

TRASIMEDE

Tolgan gli dèi sì barbaro disegno.

MEROPE

No, no: compiasi l'opra.

Sperai qualche rimedio

dal tempo, o dalla morte.

Quel mi tradì: mi riman questa, e questa

non può mancarmi. Merope una volta

o forte, o disperata

finisca di morir, ma vendicata.

TRASIMEDE

Regina, era mia pena, e pena atroce

il pensarti altrui sposa:

ma se all'aspra sciagura altro rimedio

non ti riman che morte,

vattene. Polifonte

ti accolga fortunato, e seco regna.

MEROPE

Regnar con Polifonte? E Trasimede

mi consiglia così? Questa è la fede

tante volte giurata?

TRASIMEDE

Ahi! Che far posso?

MEROPE

Se m'hai pietà, se la memoria illustre

del buon re nostro ucciso ancor ti è cara,

sull'orme di Anassandro

antri romiti, e foschi,

ciechi, e solinghi boschi,

monti, valli, dirupi,

tutto, tutto ricerca; e quell'infame

si arresti, s'incateni, a me si guidi.

Quest'è il sol mio rimedio. A te lo chiedo.

Vanne, e tua gloria sia

e la mia vita e l'innocenza mia.

 

TRASIMEDE

Quanto può zelo e fé,  

tutto farà per te

l'alma fedele.

Se ingiusto il ciel non è,

trarti legato al piè

spero il crudele.

Quanto può zelo e fé,

tutto farà per te

l'alma fedele.

Trasimede ->

 

Scena nona

Merope, e Argia.

<- Argia

 

MEROPE

Voi che sapete, o dèi, la mia innocenza,  

reggete i passi suoi.

ARGIA

Non più sola, o regina,

andrai costretta alle giurate nozze.

Gli dèi della Messenia

voglion le mie.

MEROPE

Qual fia lo sposo?

ARGIA

Al prode

uccisor del rio mostro

il decreto del ciel mi vuol consorte.

MEROPE

Fausto sarà ciò che comanda il nume.

ARGIA

Il nume o mal s'intende

o ubbidito mal fia.

Né consorte d'Argia

altri sarà che Epitide, né punto

a me cal la Messenia, onde il mio amore

sacrificar le debba, e 'l mio riposo.

 

Scena decima

Polifonte, e suddetti.

<- Polifonte, guardie

 

POLIFONTE

Dato dal ciel ricuserai lo sposo?  

ARGIA

Il mio sposo è già scelto. Amor v'applaude,

il genitor lo approva, e Argia l'adora.

POLIFONTE

Ma te 'l contrasta il fato.

ARGIA

E chi l'intende?

POLIFONTE

Chiaro ei parlò.

ARGIA

L'umano intendimento,

dove il ciel parli, è tenebroso, e cieco.

POLIFONTE

Più cieco egli è dove l'appanni amore.

MEROPE
(a Polifonte)

Pe 'l caro figlio ella piagato ha il core.

ARGIA

Sì: Epitide a te figlio, a te sovrano

a Merope e poi a Polifonte

è la face onde avvampo.

Non v'è re, non v'è nume

sopra la libertà del voler mio.

Dillo amor, dillo orgoglio.

Sono Argia. Son regina. Amo chi voglio.

 

Arder voglio a quella face,  

che mi strugge, e che mi piace:

e a mio gusto, a mio talento

amar posso e disamar.

Su quel libero volere,

che nell'alme il cielo imprime,

il destin non ha potere

che lo sforzi a non amar.

Arder voglio a quella face

che mi strugge, e che mi piace:

e a mio gusto, a mio talento

amar posso e disamar.

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Argia ->

 

Scena undicesima

Merope, e Polifonte.

 

POLIFONTE

Del cor d'Argia resti la cura a' numi.  

Del tuo, bella regina,

ragion ti chiedo. Ei per tua legge è mio,

pegno della tua fede a me giurata,

prezzo di mia costanza a te serbata.

MEROPE

Polifonte, a tuo merto

tu ascrivi un lungo, e sofferente amore;

tal no 'l cred'io. Chi può soffrir due lustri

che un lontano imeneo giunga, e maturi,

o nulla il brama, o poco.

POLIFONTE

Tutto può tollerar cor che ben ama.

MEROPE

E se ben ama il tuo, due lustri ancora

soffra d'indugio, e poi sarò tua sposa.

POLIFONTE

Che due ne soffra ancora?

MEROPE

E avrai più merto.

POLIFONTE

No: già son corsi i due. Tu gli hai prescritti,

la legge è ferma. Il giuramento è dato.

Né più negar, né differir più lice

a te per esser giusta, e a me felice.

MEROPE

Polifonte, ti parli

Merope più sincera.

T'odio, quant'odiar puossi

un carnefice, un mostro, un parricida.

POLIFONTE

Merope, odiarmi tanto?

Dell'amor mio tanto abusarti? E tanto

della mia sofferenza? E in che t'offesi?

MEROPE

In che mi chiedi? Il dica

il rimorso al tuo core:

e se pur giunto sei nelle tue colpe

a non sentir rimorso,

empio, te 'l dica il sangue

de' miei figli svenati,

del mio sposo tradito.

POLIFONTE

Sì tradito, e da chi? Già m'arrossisco

rinfacciarti una colpa

che d'obbrobrio fatal sparge il tuo nome;

ma il perfido Anassandro era tuo servo.

MEROPE

Dillo ministro infame

de' tuoi consigli, e di quel cieco orgoglio,

che ti spinse a salir sul non tuo soglio.

POLIFONTE

T'intendo pur, t'intendo.

Polifonte qui regna, e perché regna,

con odio, e con orror Merope il fugge.

MEROPE

Non t'odio perché re. Mal mi conosci.

Più giusto è l'odio mio. Basta. Ancor vive

l'empio Anassandro. Ancor mi resta un figlio,

per me ancora v'è un Giove.

POLIFONTE

Ed al tuo Giove in faccia

al talamo verrai.

MEROPE

Dimmi al sepolcro,

e verrò più tranquilla.

POLIFONTE

No, no: dell''odio tuo sien la gran pena

gli sponsali giurati.

Strascinata all'altar verrai costretta,

più che dal mio comando,

dal sacro tuo solenne giuramento.

MEROPE

(O giuramento! O Merope infelice!)

Orsù verrò, tiranno;

ma senti qual verrò: senti qual devi

attendermi consorte.

Non il sacro imeneo, non la pudica

Giuno, né i casti coniugali numi

uniranno a quell'ara i nostri cori.

Voi, tremende d'abisso

implacabili furie, e tu funesta

sanguinosa discordia,

odio, morte, terror, tutti v'invoco

pronubi alle mie nozze. Ardan per voi

sul letto profanato

le sacrileghe faci,

e voi di fiori invece

spargetelo di serpi e di ceraste,

sinché pallido, esangue, e tronco busto

quel tiranno crudel per me si scerna

dormir l'ultimo sonno in notte eterna.

 

D'ira e di ferro armata,  

nemica e dispietata

al regio talamo

ti seguirò.

L'odio, l'orror, lo scempio

saranno i primi vezzi

con cui l'iniquo ed empio

mio sposo incontrerò.

D'ira e di ferro armata,

nemica e dispietata

al regio talamo

ti seguirò.

Merope ->

 

Scena dodicesima

Polifonte, e poi Anassandro.

 

POLIFONTE

Lasciatemi, o custodi.  

(le guardie partono)

guardie ->

 

 

Perdasi ogni misura

con chi perde ogni legge, e si prevenga

un insano furor.

(chiude l'uscio al di dentro)

L'uscio è già chiuso

ora ben t'avvedrai, femmina ingrata,

(presa una chiave, apre una porticella segreta)

quanto possa un'offesa in cor reale.

(affacciandosi all'uscio)

Olà, Anassandro. Epitide già estinto

Merope ancor si estingua.

Anassandro.

(esce Anassandro dal gabinetto)

<- Anassandro

ANASSANDRO

La voce

del mio signor pur giunge

a ferirmi l'udito.

POLIFONTE

E a trarti insieme

da quel muto soggiorno

alle braccia reali, e al chiaro giorno.

(lo abbraccia)

ANASSANDRO

A quale alto tuo cenno ubbidir deggio?

Tutto mi fia men grave

di quest'ozio profondo, in cui sepolto

tra rimorso e timor peno, e sospiro.

POLIFONTE

Non è pena men fiera a Polifonte

dover finger pietade, usar clemenza,

quando il genio feroce

non conosce altri dèi, che il suo potere,

e non ha per ragion che il suo volere.

ANASSANDRO

Con quest'arte tu regni.

POLIFONTE

Ed ecco il tempo

ch'io ti chiami a goderne.

Basta che tu vi assenta, e che tu dia,

fedele amico, il compimento all'opra.

ANASSANDRO

Eccomi. Vuoi ch'io torni

nella reggia di Etolia, e colà sveni

anche in braccio a Tideo

il mal guardato Epitide? Son pronto.

POLIFONTE

Morì già l'infelice, e senza nostra

colpa morì. Ciò che al tuo zelo io chiedo

è facile impresa. Esci in Itome.

Soffri, che tra catene

ti rivegga Messenia.

Della morte de' figli e del marito

accusa la regina, e attendi poi

dalla mano real di Polifonte

e grandezze, e tesori. Ancor del trono

vieni a parte, se vuoi. Tutto è tuo dono.

ANASSANDRO

La regina accusar?

POLIFONTE

Sì. Qual rimorso?

ANASSANDRO

Quello che più risente un'alma ingrata.

POLIFONTE

In Merope riguarda

la nemica comun.

ANASSANDRO

Ravviso in essa

anche la mia regina.

POLIFONTE

Se n'hai pietà, la nostra morte è certa.

ANASSANDRO

E se l'accuso, io sono

de' viventi il più indegno e 'l più perverso.

POLIFONTE

Dopo il commesso parricidio enorme

la colpa ti spaventa? Il tardo orrore.

ANASSANDRO

Mio re, non più. Si serva

alla nostra salvezza, e alla tua sorte.

Merope accuserò.

POLIFONTE

Caro Anassandro,

della grandezza mia fido sostegno,

per te dir posso: è mio lo scettro, e 'l regno.

 

Penso, e non ho mercede  

né degna di tua fede,

né pari al mio voler.

Se in me trovi ingrato il core,

no 'l dir colpa dell'amore,

ma difetto del poter.

Penso, e non ho mercede

né degna di tua fede,

né pari al mio voler.

Polifonte ->

 

Scena tredicesima

Anassandro.

 

 

Non si cerchi, Anassandro, altro consiglio.  

In un pelago siamo, onde n'è forza

uscirne, o naufragar. Fatta è la colpa

necessità per noi. Nei primi eccessi

anche gli ultimi a farsi abbiam commessi.

 

Partite dal mio sen, reliquie estreme  

d'onore, e d'innocenza, e di pietà.

Non si turba, non geme, non teme,

chi del fallo rimorso non ha.

Partite dal mio sen, reliquie estreme

d'onore, e d'innocenza, e di pietà.

 

Varianti all'atto primo di D. Lalli

Dal libretto musicato nel 1734 da G. Giacomelli.

 
Aria alternativa fine scena III.

Epitide

EPITIDE

Dono d'amica sorte  

non cura il mio valore,

che quando il braccio è forte,

l'alma timor non ha.

Sarà quel mostro fiero,

trofeo del mio furore

e pace un regno intero

del mio coraggio avrà.

Dono d'amica sorte

non cura il mio valore,

che quando il braccio è forte,

l'alma timor non ha.

 
Aria aggiunta a fine scena IV.

Trasimede

TRASIMEDE

Del tuo sovran volere  

porto la legge a lei.

(E ad essa affetti miei

parlate voi per me.)

E dal suo cenno istesso,

del suo bel core avrai,

il libero permesso,

la sospirata fé.

Del tuo sovran volere

porto la legge a lei.

 
Aria alternativa fine scena V.

Polifonte

POLIFONTE

Tutti i pensieri impegno  

per vendicar l'oppresso.

Non penso più del regno,

non curo più me stesso,

non ho più pace al cor.

(Ma chi nel sen leggesse

il bel piacer ch'io sento

vedrebbe pur che mento

ch'è falso il mio dolor.)

Tutti i pensieri impegno

per vendicar l'oppresso.

Non penso più del regno,

non curo più me stesso,

non ho più pace al cor.

 
Aria alternativa fine scena VI.

Licisco

LICISCO

Sin che il tiranno scendere  

dal soglio non si vede,

e al trono stesso ascendere

il combattuto erede,

sento il mio core esanime,

più respirar non so.

Ma quanto tarda, oh dèi,

quel sospirato istante,

in cui sperar dovrei

quel che bramando io vo.

Sin che il tiranno scendere

dal soglio non si vede,

e al trono stesso ascendere

il combattuto erede,

sento il mio core esanime,

più respirar non so.

 
Aria alternativa fine scena VIII.

Trasimede

TRASIMEDE

Io già sento nel mio petto  

tale affetto

tal valore,

che l'iniquo traditore

al tuo piede io porterò.

Sol che in me pietosa i rai

volga ormai

tutto fede,

tutto ardir per te sarò.

Io già sento nel mio petto

tale affetto

tal valore,

che l'iniquo traditore

al tuo piede io porterò.

 
Aria alternativa fine scena X.

Argia

ARGIA

A questa face, e a quella  

vuol ardere il mio core,

e libero l'amore

voglio per me serbar.

Non v'è nemica stella,

non v'è potere umano,

che questo don sovrano

del ciel possa involar.

A questa face, e a quella

vuol ardere il mio core,

e libero l'amore

voglio per me serbar.

 
Aria alternativa fine scena XI.

Merope

MEROPE

Barbaro traditor  

porta l'amor, la fé

lungi da questo cor,

amor tu chiedi a me?

Mira ne' danni miei

qual sono, qual tu sei

empio tiranno.

Odio, furor, velen,

per te sol nutro in sen,

premio al tuo inganno.

Barbaro traditor

porta l'amor, la fé

lungi da questo cor,

amor tu chiedi a me?

 
Finale alternativo a partire dalla fine della scena XII.

Anassandro

ANASSANDRO

Con inganno fortunato,  

la costanza di mia fede

a te regno serberà.

E lagnandosi del fato

al tuo piè chiamar mercede

l'innocenza si vedrà.

Con inganno fortunato,

la costanza di mia fede

a te regno serberà.

 
Scena XIII.
Polifonte, poi Epitide.

Polifonte, Epitide

 

POLIFONTE

Guardie, a me lo straniero.  

Sulla fé d'Anassandro uopo è ch'io appoggi

le mie regie speranze. Il colpo è tratto.

EPITIDE

Impaziente attendo

il momento, signor, che mi conduca

a liberar dal comun danno il regno.

POLIFONTE

In Itome ei si scorti. Il suo sostegno

la Messenia in te mira.

Ti giuro un cor della tua fé condegno.

 
Scena XIV.
Epitide.

Epitide

 

EPITIDE

Unitevi ad amore  

miei pensieri di gloria, e di vendetta,

e poi tutto sperate dal mio core.

Argia dolce il mio bene, e dove sei?

Oh dio, chi ti nasconde agli occhi miei?

 

Che gran pena! Che tormento  

nel mio core o dio risento.

Non m'avanza più costanza

tanta pena a tollerar.

Mi si asconde il caro bene,

mi tradisce la mia spene,

mi spaventa il mio penar.

Che gran pena! Che tormento

nel mio core o dio risento.

Non m'avanza più costanza

tanta pena a tollerar.

 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Piazza di Messene con trono; grand'ara nel mezzo con la statua d'Ercole coronata di pioppo; tempio chiuso in lontananza; tutta la scena è adornata di corone, e di rami di pioppo, consacrata ad Ercole.

<- Epitide

Questa è Messene. Il patrio cielo è questo

Epitide
<- Trasimede, messeni
Coro, poi Trasimede
Su su, messeni

Quai genti son coteste?

 

Signor, che al ricco ammanto, al nobil volto

(si apre la gran porta del tempio)

Epitide, messeni
Trasimede ->

Nella gran turba io mi nascondo

Epitide, messeni
<- Polifonte, Trasimede, seguito di Polifonte, due guardie

Stanco, popoli, è 'l cielo

messeni, Polifonte, Trasimede, seguito di Polifonte
Epitide, due guardie ->

Ver noi, se non m'inganno

messeni, Polifonte, seguito di Polifonte
Trasimede ->
messeni, Polifonte, seguito di Polifonte
<- Licisco, seguito di Etoli

Custodite il re vostro

Licisco, seguito di Etoli
Polifonte, seguito di Polifonte, messeni ->

Non si lasci sedur candida fede

Stanze di Polifonte in villa con porta segreta.

Merope
 

Ecco pur giunto il giorno

Merope
<- Trasimede

Con qual senso, o regina

Merope
Trasimede ->
Merope
<- Argia

Voi che sapete, o dèi, la mia innocenza

Merope, Argia
<- Polifonte, guardie

Dato dal ciel ricuserai lo sposo?

Merope, Polifonte, guardie
Argia ->

Del cor d'Argia resti la cura a' numi

Polifonte, guardie
Merope ->

Lasciatemi, o custodi

Polifonte
guardie ->

Polifonte
<- Anassandro

Anassandro
Polifonte ->

Non si cerchi, Anassandro, altro consiglio

Epitide
 
Trasimede
 
Polifonte
 
Licisco
 
Trasimede
 
Argia
 
Merope
 
Anassandro
 
Polifonte, Epitide
 

Guardie, a me lo straniero

Epitide
 

Unitevi ad amore

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Varianti all'atto primo di D. Lalli
Piazza di Messene con trono; grand'ara nel mezzo con la statua d'Ercole coronata di pioppo; tempio chiuso in... Stanze di Polifonte in villa con porta segreta. Montuosa con rocca nell'alto, grotta nel mezzo, e palazzo delizioso nel basso. Cortile. Sala con trono, e sedili. Parte di giardino reale con un grand'albero isolato. Stanze di Merope. Salone reale chiuso nel mezzo da cortine che pendono dal soffitto.
Atto secondo Atto terzo

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