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Merope

MEROPE

Dramma da rappresentarsi per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Apostolo ZENO.
Musica di Francesco GASPARINI.

Prima esecuzione: 26 dicembre 1711, Venezia.


Attori:

POLIFONTE tiranno di Messenia

tenore

MEROPE regina di Messenia vedova di Cresfonte

soprano

EPITIDE figliolo di Merope, creduto Cleone straniero

soprano

ARGIA principessa di Etolia

soprano

LICISCO ambasciator di Etolia

soprano

TRASIMEDE capo del consiglio di Messenia

contralto

ANASSANDRO confidente di Polifonte

contralto


Comparse di Soldati messeni per la real guardia di Polifonte, di Arcieri, di Soldati etoli con Licisco.



Altezza

La libertà, ch'io mi prendo di mettere il nome glorioso di v. a. in fronte a questo mio drammatico componimento, non nasce dal desiderio di offerirvi una cosa, ch'io giudico per più capi troppo inferiore al vostro merito, anzi al mio rispetto medesimo, ma dall'ambizione di vedermi pubblicamente onorato dal patrocinio di un principe così grande, che non solo è un ornamento del regno, dov'egli è nato, ma ancora di tutta l'Europa, dove la sua fama si è sparsa. In fatti che non debbo io sperare dall'autorità di un nome sì illustre, che in pochi anni è divenuto l'oggetto dell'amore di più monarchi, e della stima di più nazioni? La Polonia, la Germania, l'impero tutto vi riconoscono di comun consenso non solo erede della vostra nobilissima casa, ma ancora delle virtù de' vostri gloriosi antenati, e confessano, che come ne sostenete il decoro con la magnificenza del vivere, così ne mantennero la gloria anche con l'imitazione dell'opere: talché, se ora siete formato su l'idea di quelli che vi precedettero, un giorno ancora sarete l'esemplare di quelli, che da presso vi seguiranno. So bene, che il pubblico ora da me attenderebbe, ch'io divulgassi alcune di quelle eccellenti prerogative, che vi ha guadagnato l'universale venerazione: ma io altro non posso, se non rapportarmi a ciò che ne hanno detto, e che ne dicono di continuo e l'istorie, e le penne degli stranieri, cioè a dire le voci di coloro, che sono stati i testimoni dimestici delle vostre azioni, e che meglio di me conoscono l'eccellenze della vostr'anima, e quelle del vostro ingegno. In tal maniera io mi dispenso da un obbligo, il cui adempimento come per la vostra moderazione sarebbe poco soffribile, così per la mia insufficienza sarebbe troppo pericoloso, e dove la difficoltà dell'impegno né a voi gran piacere, né a me gran lode darebbe. Resta egli adunque, che io torni a ripetere, che non altro motivo mi ha spinto a dedicarvi il mio dramma, fuorché l'onore della vostra gloriosa protezione, dalla quale resti illustrato il mio componimento, e 'l mio nome, e che prevenga gli animi a mio vantaggio, talché pensino esser meno imperfetta la mia fatica, da che la veggono dal vostro gradimento sì ben difesa, e più difficilmente s'inducano a credere ch'io l'abbia malamente disegnata e distesa, da che ho saputo sì saviamente offerirla. Se in questo ho la temerità di aspirare alla vostra approvazione, sappiate, che come voi avete quella di tutti, così non v'ha persona, che non desideri di ottenere la vostra. Sono lontano da meritarla, ma comunque a me ne succeda, spero almeno, che dalla vostra bontà non mi sarà negata la grazia di potermi pubblicare al mondo per tutto il corso della mia vita, qual sono

di vostra altezza

umiliss.mo devotiss.mo osseq.mo servitore

N. N.

Argomento

Volendo Aristotele nel 15º capo della sua Poetica dare un esempio della più perfetta riconoscenza nelle azioni tragiche, la quale avviene allorché le persone non conoscono l'atrocità dell'azione che son per commettere se non dopo averla commessa e dopo il pericolo in cui sono state di commetterla, ne reca l'esempio di Euripide, il quale nella sua tragedia intitolata Cresfonte fa che Merope riconosca il figliolo nel momento medesimo in cui ella sta per ucciderlo. Siccome questa tragedia di Euripide non ci è stata conservata dal tempo, così egli è difficile e l'indovinare l'artifizio con cui egli avesse condotta la favola, e 'l sapere tutto l'argomento su cui l'avesse distesa. Quanto all'artifizio, se ne ha un piccolo barlume in Plutarco, il quale nel suo trattato Dell'uso de' cibi riferisce che Merope, nell'atto di svenare il figliolo non conosciuto da lei se non come assassino del suo figliolo medesimo, vien trattenuta opportunamente dall'arrivo di un vecchio da cui le vien fatto conoscere che quegli era il suo proprio figliolo. Quanto poi all'argomento, io ho creduto di averne trovate tutte le possibili circostanze non meno appresso Pausania nel lib. 4 che appresso Apollodoro nel lib. 2 della sua Biblioteca. Ed ecco in ristretto quel tanto che ho giudicato più acconcio alla condotta del mio disegno.

Cresfonte, uno della famosa prosapia degli Eraclidi, cioè a dire dei discendenti da Ercole, fu re di Messenia e marito di Merope, figliuola di Cipselo re di Arcadia. Per suggestione di Polifonte, che pur era degli Eraclidi, egli proditoriamente fu ucciso da Anassandro, servo confidente della regina, insieme con due teneri figliolini che presso di lui si trovavano. Epito, che da me nel dramma vien nominato anche Epitide, suo terzo figliolo, non soggiacque alla stessa disavventura perché allora in età ancor tenera trovavasi in ostaggio appresso Tideo re di Etolia. Morto Cresfonte, non si poté venir in chiaro dell'autore di tal misfatto, perché Anassandro fu tenuto occulto gelosamente da Polifonte. Il sospetto cade sopra la regina per essere stato l'uccisore suo confidente e suo servo; e questa voce fu avvalorata con arte anche da Polifonte. Ciò la escluse dalla reggenza, e Polifonte fu dichiarato re con obbligo di dover render lo scettro ad Epitide ogni qual volta questi capitasse in Messenia e fosse in età da governar da sé stesso. Il tiranno in tal mentre, invaghitosi di Merope, procurò di averla in moglie; ma questa chiese dieci anni di tempo, sperando che in tal mentre o si scoprisse il vero autore del commesso misfatto, o che il figliuolo già fatto adulto venisse a prendere il possesso della sua eredità e del suo regno.

In tale stato di cose passarono i dieci anni. Il re Tideo guardò in Etolia Epitide con tal diligenza che, quantunque Polifonte tentasse più di una volta, per mezzo di Anassandro spedito occultamente in Etolia, di farlo perire, non poté mai venirne a capo. Simulando di voler restituire il regno al suo vero erede, più volte fe' ricercare Tideo che dovesse mandare alla Messenia il suo principe; ma non potendo né meno con quest'arte trarre quel re nell'insidie, gli fece violentemente rapire Argia sua figliuola amata e promessa ad Epitide, a fine di obbligarlo in tal guisa a dargli in mano quei principi; e ciò fu cagione che il re di Etolia gli mandasse per suo ambasciatore Licisco amico di Epitide, e che Epitide entrasse non conosciuto in Messenia per intendere se Polifonte o Merope fosse colpevole della morte del padre e de' fratelli. Vi giunse appunto in tempo che la Messenia era gravemente molestata da un mostruoso cinghiale. Spirava inoltre quel giorno prefisso da Merope per far le sue nozze con Polifonte. Il rimanente s'intende dal dramma, il cui vero fine si è che Epitide racquistò la corona, Merope fu conosciuta innocente, e Polifonte, per aver ciecamente e per divino giudizio commessa altrui la morte di Anassandro, quando egli stesso dovea farla eseguire alla sua presenza, perde la corona e la vita.

Per maggiore intelligenza si dovrà avvertire che Messene era la capitale del regno posto alle falde di un monte sopra la cui sommità era la fortezza d'Itome; e che non lontano da essa corre il fiume Pamiso.

La devastazione fatta dal cinghiale del regno non dée parere inverosimile, sapendosi che tal fu quello ucciso da Ercole e l'altro pure ucciso da Meleagro; e che il cavalier Guarini ne ha pur un altro introdotto con poco diverso fine nel suo incomparabile Pastor fido. Stimerei felice questo mio per altro imperfettissimo componimento s'egli non patisse altra opposizione che questa.

Atto primo
Scena prima

Piazza di Messene con trono. Grand'ara nel mezzo con la statua d'Ercole coronata di pioppo. Tempio chiuso in lontananza. Tutta la scena è adornata di corone, e di rami di pioppo, consacrata ad Ercole.
Epitide.

Questa è Messene. Il patrio cielo è questo

dell'infelice Epitide. Cresfonte,

mio illustre genitor, qui diede leggi.

Qui nacqui re. Questa è mia reggia, e questi

famosi abitatori,

questi fertili campi a me son servi.

O memorie, o grandezze

mal ricordate e mal vantate! Errante,

misero, solo, inerme io vi rivedo;

e di tanti vassalli

un sol non v'è, che re mi onori; un solo

che pur mi riconosca; un sol che dia

almeno un pianto alla miseria mia.

(si volta verso la statua di Ercole)

Padre, e nume, Alcide invitto,

se gli umili onesti voti

d'un tuo germe a te son cari,

tu ben sai di qual delitto

son macchiati i patri lari.

Punitor di chi mi ha tolto

e fratelli, e padre, e regno,

qui mi tragge ardire e spene.

Ma l'idea del gran disegno

da te scende, e in me se n' viene.

Scena seconda

Trasimede, e coro di Messeni, che portano in mano rami, e corone di pioppo, e cingendo in ordinanza il trono, e la statua, si prostrano in atto di offerire i loro rami, e le loro corone. Epitide in disparte.

CORO

Su su, messeni,

sospiri e prieghi.

EPITIDE

Quai genti son coteste? E con qual rito

cingono il regal seggio e il sacro altare?

TRASIMEDE

Sperar ci giova

che il cielo irato

alfin placato

per noi si pieghi.

Su su, messeni,

sospiri e prieghi.

EPITIDE

Signor, che al ricco ammanto, al nobil volto

ben mostri eccelso grado, e cor gentile,

ond'è che per Messene

suonan gemiti e strida? Ond'è che in atto

di supplici e dolenti offron costoro

que' verdi rami? E al cielo

fumo d'incensi, e di sospiri ascende?

TRASIMEDE

Garzon, che il quarto lustro

non compi ancor, se mal non credo al guardo,

qual sei dimmi, onde vieni? A che sì strane

spoglie vestir? Le delicate membra

perché d'ispida pelle,

e la tenera man perché si aggrava

di quel tronco nodoso?

EPITIDE

Tal è la sorte mia, che non mi lice

farne parte ad altrui, fuor che al re vostro.

TRASIMEDE

Il re dal tempio, ove adempiti egli abbia

i sacrifici, e i voti,

qui verrà in breve. Or ti compiaccio.

EPITIDE

Ascolto.

TRASIMEDE

Undici volte oggi rinato è l'anno

da che ucciso fu 'l nostro

buon re Cresfonte, e due

pargoletti suoi figli.

EPITIDE

Il caso acerbo

tutta d'orrore empié la Grecia, e d'ira;

ma dell'autor non è ben certo il grido.

TRASIMEDE

Anassandro egli fu.

EPITIDE

Costui m'è ignoto.

TRASIMEDE

Della regina Merope era servo.

EPITIDE

Può cader tal delitto in moglie, e madre?

TRASIMEDE

Per la credula plebe

fama rea se ne sparse;

ma il suo dolor, la sua virtù nel core

di chi meglio ragiona assai l'assolve.

EPITIDE

Perché dall'uccisor non trarne il vero?

TRASIMEDE

L'ombre il tolsero al guardo, e alla sua pena,

né di lui più s'intese.

EPITIDE

Altro germoglio

sopravvisse a Cresfonte?

TRASIMEDE

In Epitide vive

degli Eraclidi il sangue, e la speranza

dell'afflitta Messenia.

EPITIDE

Come a lui perdonò l'empio omicida?

TRASIMEDE

L'esser lungi in Etolia

ostaggio al re Tideo, fu sua salvezza.

EPITIDE

Perché al vedovo trono

non si chiamò l'erede?

TRASIMEDE

La sua tenera etade

ne fu cagione, e più 'l timor che anch'esso

di ferro, e di velen restasse ucciso.

EPITIDE

Ma de' pubblici affari il grave peso

cui si affidò?

TRASIMEDE

Divise

Merope, e Polifonte i nostri voti.

A lei nocque il sinistro

sparso rumor del parricidio. Eletto

Polifonte rimase,

degli Eraclidi anch'egli uom saggio e prode.

EPITIDE

(Sembianza di virtù spesso ha la frode.)

Né si pensò, che un giorno

richiamar si doveva il regal figlio?

TRASIMEDE

Sul crin di Polifonte è la corona

un deposito sacro.

All'erede ei la serba.

EPITIDE

Tanto modesta in Polifonte è l'alma?

TRASIMEDE

Gode Messenia in lui quel re, che ha pianto.

EPITIDE

Di che dunque si lagna ella, che il gode?

TRASIMEDE

Sente dell'altrui fallo in sé la pena.

EPITIDE

Per qual destin?

TRASIMEDE

Distrutti

da feroce cinghiai sono i suoi campi.

EPITIDE

E 'l messenio valor teme un sol mostro?

TRASIMEDE

Che può mai contra i numi il valor nostro?

Più volte armate schiere

dissipò il fiero dente. Altra speranza

non ci riman, che il cielo. A lui ricorso

fanno i pubblici voti.

EPITIDE

Sinché...

TRASIMEDE

Già s'apre il tempio.

(si apre la gran porta del tempio)

Il re, messeni, il re.

All'armi pronti, all'armi

vi tenga amore e fé.

(Trasimede entra nel tempio incontro a Polifonte)

EPITIDE

Nella gran turba io mi nascondo. Intanto

penso a gran cose e generoso e forte.

Epitide, ecco il giorno. O regno o morte.

Scena terza

Polifonte, e Trasimede uscendo dal tempio con Séguito.
Epitide in disparte. Polifonte va a sedere sul trono.

POLIFONTE

Stanco, popoli, è 'l cielo

delle lacrime nostre.

Le vittime ei gradì. Lieti ne diede

la vampa i segni, e fausti

l'esaminate viscere gli auspici.

Che più? Placato, il nume

chiaro parlò! Tu del voler celeste

leggi qui, Trasimede, il gran rescritto;

ed intanto respiri

dal passato spavento un regno afflitto.

(porge a Trasimede la risposta dell'oracolo, e Trasimede legge)

TRASIMEDE

«Ha Messenia due mostri. Oggi ambo estinti

cadranno, un per virtude, un per furore:

restino poscia in sacro nodo avvinti

l'illustre schiava, e 'l pio liberatore.»

POLIFONTE

Udiste? Or chi nell'alma

nutre spirti guerrieri, e chi nel braccio

tiene valor, vada, combatta, e vinca.

La sua virtù rinforzi

con la voce del nume, e col sicuro

piacer di un premio illustre.

Che se pur tra' messeni

non v'è core sì forte, alma sì ardita,

v'è Polifonte. Egli esporrà per voi,

(si leva in piedi)

non re, ma cittadino, e sangue, e vita.

(discende dal trono)

EPITIDE

(si avanza)

Nella sua vita espor non dée chi regna,

la salvezza comun. L'orride belve

affronti anima forte,

non regal braccio; e se a Messenia ardire

manca, e virtude, io, sire,

giovane, qual mi vedi, inerme, e solo,

tanto osar posso. Imponi,

ch'io là sia tratto, ove si pasce il fiero

cinghial di mille stragi.

L'abbatterò, non primo

trofeo della mia destra.

E se cadrò, Messenia

mi darà lode, e fia,

ch'ella di pochi fiori

a me sparga la tomba, e l'ossa onori.

POLIFONTE

Giovane, o sia che troppo

di te presumi, o che gli dèi tu segua

già impietositi, ai vili

fia stupore il tuo esempio, invidia ai forti.

Molto a te dée Messenia,

nulla tu a lei. Straniero

ai panni, al volto, al favellar tu sembri.

EPITIDE

Etolia, Argo, Micene e quanto è Grecia,

tutto è patria a chi è greco. Io greco sono,

né per lieve cagion qui trassi il piede.

Più dir non posso. All'ora

che dal cimento io vincitor ritorni,

saprai qual sia, perché ne venga e donde.

POLIFONTE

Custodi, olà: si scorti

questo prode in Itome. Ivi, se al vanto

risponde l'opra, è tuo il trionfo, e tuo

il premio ne sarà.

EPITIDE

Premio non cerco.

Cerco un popolo salvo; e meco porto

le speranze d'un regno.

TRASIMEDE

Un dì tal vide

forse la Grecia il giovanetto Alcide.

EPITIDE

Furie superbe

di mostro orrendo,

vi abbatterò.

E andar mordendo

i sassi e l'erbe

vi mirerò.

Furie superbe

di mostro orrendo,

vi abbatterò.

(parte con due guardie di Polifonte)

Scena quarta

Polifonte, e Trasimede.

POLIFONTE

Ver noi, se non m'inganno,

parmi venir Licisco.

TRASIMEDE

È desso appunto.

Nunzio del re Tideo più volte il vide

la nostra reggia.

POLIFONTE

Io qui l'attendo. Intanto

tu mi precedi alla regina; e dille,

che il dì prefisso è giunto

di nostre nozze. Ella al mio amor dieci anni

di sofferenza impose.

La compiacqui, e soffersi. Oggi pur compie

la dura legge. All'imeneo promesso

oggi ella accenda le giurate faci.

TRASIMEDE

Ubbidirò. (Pena mio core, e taci.)

(parte)

Scena quinta

Polifonte, e Licisco con séguito di Etoli.

POLIFONTE

(alle guardie)

Custodite il re vostro.

LICISCO

Re Polifonte, al cui voler sovrano

di Messenia ubbidisce il nobil regno,

il re Tideo, che glorioso impera

sull'Etolia possente,

m'invia suo nunzio. Ecco la carta, ed ecco

la tessera ospitale, e 'l noto segno.

(presenta a Polifonte le lettere credenziali)

Egli si duol, che contra il dritto, e i patti

di scambievole pace,

tu rapirgli abbia fatto Argia sua figlia.

La grave offesa è d'alta piaga impressa

in cor di re, e di padre. Al suo dolore

diasi compenso. O gli si renda Argia,

o coprirà della Messenia i campi

d'armati, e d'armi, e pagheran la pena

d'un atto ingiusto i popoli innocenti.

Tanto espone il mio re. Qual più ti piace,

scegli, amico, o nemico, o guerra, o pace.

POLIFONTE

Licisco, in brevi note ecco i miei sensi.

Vendicar si doveva

con la forza la forza.

Dall'etolico re, perché si niega

Epitide al suo regno?

Egli ce 'l renda, e noi daremo Argia.

LICISCO

Non è più in suo poter ciò che gli chiedi.

POLIFONTE

Vani pretesti. Il re Tideo, se pensa

o farci inganno, o intimorirci, egli erra.

Scelga qual più gli aggrada, o pace o guerra.

LICISCO

Come, o dio! Qui non giunse

l'infausto avviso? E come

ciò ch'a tutta la Grecia è già palese,

in Messenia si tace?

POLIFONTE

E che?

LICISCO

La morte

dell'infelice Epitide.

POLIFONTE

Che narri? Morto? Ma dove e come?

LICISCO

Nella Focide appunto,

colà dove il sentiero in due diviso

parte a Dauli conduce, e parte a Delfo.

POLIFONTE

Stelle! E chi mai versò sangue sì illustre?

LICISCO

Vario ne corre il grido,

e al nostro re, da grave doglia oppresso,

mesto ne giunse e replicato il messo.

POLIFONTE

Cieli! Avete più fulmini? Volete

altro pianto, altro sangue? Eccovi il mio.

O stirpe de gli Eraclidi infelice!

Misero regno! Prence sfortunato!

(Ma s'Epitide è morto, io son beato.)

LICISCO

Giusto dolor.

POLIFONTE

Sino a più certo avviso

tacciasi il fiero caso; e la mia reggia

sia tua dimora.

LICISCO

In tanto

che risolvi d'Argia?

POLIFONTE

Non ascolto che furori,

non rispondo che vendette.

(Fingo dolore, e sdegno, e lieto io sono.)

Al tradito, all'innocente

de gl'infami traditori

cruda strage un re promette.

(Oggi ho sicuro il regno, e fermo il trono.)

Non ascolto che furori,

non rispondo che vendette.

Scena sesta

Licisco.

Non si lasci sedur candida fede

da un dolor menzognero, o almen sospetto.

Merope, Polifonte,

tutto si tema. Epitide si salvi

con la frode innocente, e giunga al regno.

Ma come amor qui no 'l riveggo? Ei pure

mi precedé. Qual fato

lo ritarda a Messene, e a' voti miei?

L'alma real voi proteggete, o dèi.

Se ogn'or con la virtù si unisse il fato,

un innocente cor

saria senza timor

sempre beato.

Ma che? L'empio sovente

opprime l'innocente,

e con orgoglio il fa

falsa felicità.

Più scellerato

se ogn'or con la virtù si unisse il fato.

Scena settima

Stanze di Polifonte in villa con porta segreta.
Merope.

Ecco pur giunto il giorno,

che dir poss'io di mia sciagura estrema.

Era poco, o fortuna, avermi tolto

il regno non dirò, ma sposo, e figli,

da man crudel barbaramente uccisi.

Era poco in esilio

tenermi il caro Epitide, in cui solo

consolarmi potessi. Era anche poco pubblicarmi a Messenia

moglie iniqua, empia madre, e del mio sesso,

anzi del mondo il più esecrabil mostro.

Di Polifonte al letto

vuoi ch'io passi, e 'l consenta. Il decim'anno

giurato alle mie nozze oggi si compie.

O giorno! O legge! O giuramento! O nozze!

O Polifonte! O troppo avversi dèi!

O troppo acerbi mali,

che, per dirvi spietati, io dirò miei.

Vedrassi nel suo nido

la casta tortorella

amar quel serpe infido,

che già l'avvelenò;

ma ch'io prometta amor

al mio tiranno, no,

non si vedrà.

Talor mostrar potrà

lo sdegno suo placato

a lui, che dispietato

i figli a lei rapì;

ma pace dal mio cor

l'empio, che mi tradì,

mai non avrà.

Vedrassi nel suo nido

la casta tortorella

amar quel serpe infido

che già l'avvelenò.

Scena ottava

Trasimede, e Merope.

TRASIMEDE

Con qual senso, o regina,

di comando fatal nunzio a te venga,

lo sa il ciel, lo sa l'alma (e amor se 'l vede).

MEROPE

E nunzio di sponsali, e di grandezze

vieni sì mesto? Eh! più sereno in volto

dimmi regina, e sposa.

Precedimi più lieto

al soglio antico, alle novelle tede.

Già le attende la Grecia, e un re le chiede.

TRASIMEDE

Le chiede un re, ma pria da te promesse:

volute non dirò, che ben più volte

lessi ne' tuoi begli occhi

contro di Polifonte, odio, e disprezzo.

MEROPE

E quest'odio alla tomba

mi sarà scorta. Io sposerò il tiranno,

per poi svenarlo in alto sonno oppresso:

indi col ferro istesso

fumante ancor dell'odioso sangue

sulle vedove piume io cadrò esangue.

TRASIMEDE

Tolgan gli dèi sì barbaro disegno.

MEROPE

No, no: compiasi l'opra.

Sperai qualche rimedio

dal tempo, o dalla morte.

Quel mi tradì: mi riman questa, e questa

non può mancarmi. Merope una volta

o forte, o disperata

finisca di morir, ma vendicata.

TRASIMEDE

Regina, era mia pena, e pena atroce

il pensarti altrui sposa:

ma se all'aspra sciagura altro rimedio

non ti riman che morte,

vattene. Polifonte

ti accolga fortunato, e seco regna.

MEROPE

Regnar con Polifonte? E Trasimede

mi consiglia così? Questa è la fede

tante volte giurata?

TRASIMEDE

Ahi! Che far posso?

MEROPE

Se m'hai pietà, se la memoria illustre

del buon re nostro ucciso ancor ti è cara,

sull'orme di Anassandro

antri romiti, e foschi,

ciechi, e solinghi boschi,

monti, valli, dirupi,

tutto, tutto ricerca; e quell'infame

si arresti, s'incateni, a me si guidi.

Quest'è il sol mio rimedio. A te lo chiedo.

Vanne, e tua gloria sia

e la mia vita e l'innocenza mia.

TRASIMEDE

Quanto può zelo e fé,

tutto farà per te

l'alma fedele.

Se ingiusto il ciel non è,

trarti legato al piè

spero il crudele.

Quanto può zelo e fé,

tutto farà per te

l'alma fedele.

Scena nona

Merope, e Argia.

MEROPE

Voi che sapete, o dèi, la mia innocenza,

reggete i passi suoi.

ARGIA

Non più sola, o regina,

andrai costretta alle giurate nozze.

Gli dèi della Messenia

voglion le mie.

MEROPE

Qual fia lo sposo?

ARGIA

Al prode

uccisor del rio mostro

il decreto del ciel mi vuol consorte.

MEROPE

Fausto sarà ciò che comanda il nume.

ARGIA

Il nume o mal s'intende

o ubbidito mal fia.

Né consorte d'Argia

altri sarà che Epitide, né punto

a me cal la Messenia, onde il mio amore

sacrificar le debba, e 'l mio riposo.

Scena decima

Polifonte, e suddetti.

POLIFONTE

Dato dal ciel ricuserai lo sposo?

ARGIA

Il mio sposo è già scelto. Amor v'applaude,

il genitor lo approva, e Argia l'adora.

POLIFONTE

Ma te 'l contrasta il fato.

ARGIA

E chi l'intende?

POLIFONTE

Chiaro ei parlò.

ARGIA

L'umano intendimento,

dove il ciel parli, è tenebroso, e cieco.

POLIFONTE

Più cieco egli è dove l'appanni amore.

MEROPE

(a Polifonte)

Pe 'l caro figlio ella piagato ha il core.

ARGIA

Sì: Epitide a te figlio, a te sovrano

a Merope e poi a Polifonte

è la face onde avvampo.

Non v'è re, non v'è nume

sopra la libertà del voler mio.

Dillo amor, dillo orgoglio.

Sono Argia. Son regina. Amo chi voglio.

Arder voglio a quella face,

che mi strugge, e che mi piace:

e a mio gusto, a mio talento

amar posso e disamar.

Su quel libero volere,

che nell'alme il cielo imprime,

il destin non ha potere

che lo sforzi a non amar.

Arder voglio a quella face

che mi strugge, e che mi piace:

e a mio gusto, a mio talento

amar posso e disamar.

Scena undicesima

Merope, e Polifonte.

POLIFONTE

Del cor d'Argia resti la cura a' numi.

Del tuo, bella regina,

ragion ti chiedo. Ei per tua legge è mio,

pegno della tua fede a me giurata,

prezzo di mia costanza a te serbata.

MEROPE

Polifonte, a tuo merto

tu ascrivi un lungo, e sofferente amore;

tal no 'l cred'io. Chi può soffrir due lustri

che un lontano imeneo giunga, e maturi,

o nulla il brama, o poco.

POLIFONTE

Tutto può tollerar cor che ben ama.

MEROPE

E se ben ama il tuo, due lustri ancora

soffra d'indugio, e poi sarò tua sposa.

POLIFONTE

Che due ne soffra ancora?

MEROPE

E avrai più merto.

POLIFONTE

No: già son corsi i due. Tu gli hai prescritti,

la legge è ferma. Il giuramento è dato.

Né più negar, né differir più lice

a te per esser giusta, e a me felice.

MEROPE

Polifonte, ti parli

Merope più sincera.

T'odio, quant'odiar puossi

un carnefice, un mostro, un parricida.

POLIFONTE

Merope, odiarmi tanto?

Dell'amor mio tanto abusarti? E tanto

della mia sofferenza? E in che t'offesi?

MEROPE

In che mi chiedi? Il dica

il rimorso al tuo core:

e se pur giunto sei nelle tue colpe

a non sentir rimorso,

empio, te 'l dica il sangue

de' miei figli svenati,

del mio sposo tradito.

POLIFONTE

Sì tradito, e da chi? Già m'arrossisco

rinfacciarti una colpa

che d'obbrobrio fatal sparge il tuo nome;

ma il perfido Anassandro era tuo servo.

MEROPE

Dillo ministro infame

de' tuoi consigli, e di quel cieco orgoglio,

che ti spinse a salir sul non tuo soglio.

POLIFONTE

T'intendo pur, t'intendo.

Polifonte qui regna, e perché regna,

con odio, e con orror Merope il fugge.

MEROPE

Non t'odio perché re. Mal mi conosci.

Più giusto è l'odio mio. Basta. Ancor vive

l'empio Anassandro. Ancor mi resta un figlio,

per me ancora v'è un Giove.

POLIFONTE

Ed al tuo Giove in faccia

al talamo verrai.

MEROPE

Dimmi al sepolcro,

e verrò più tranquilla.

POLIFONTE

No, no: dell''odio tuo sien la gran pena

gli sponsali giurati.

Strascinata all'altar verrai costretta,

più che dal mio comando,

dal sacro tuo solenne giuramento.

MEROPE

(O giuramento! O Merope infelice!)

Orsù verrò, tiranno;

ma senti qual verrò: senti qual devi

attendermi consorte.

Non il sacro imeneo, non la pudica

Giuno, né i casti coniugali numi

uniranno a quell'ara i nostri cori.

Voi, tremende d'abisso

implacabili furie, e tu funesta

sanguinosa discordia,

odio, morte, terror, tutti v'invoco

pronubi alle mie nozze. Ardan per voi

sul letto profanato

le sacrileghe faci,

e voi di fiori invece

spargetelo di serpi e di ceraste,

sinché pallido, esangue, e tronco busto

quel tiranno crudel per me si scerna

dormir l'ultimo sonno in notte eterna.

D'ira e di ferro armata,

nemica e dispietata

al regio talamo

ti seguirò.

L'odio, l'orror, lo scempio

saranno i primi vezzi

con cui l'iniquo ed empio

mio sposo incontrerò.

D'ira e di ferro armata,

nemica e dispietata

al regio talamo

ti seguirò.

Scena dodicesima

Polifonte, e poi Anassandro.

POLIFONTE

Lasciatemi, o custodi.

(le guardie partono)

Perdasi ogni misura

con chi perde ogni legge, e si prevenga

un insano furor.

(chiude l'uscio al di dentro)

L'uscio è già chiuso

ora ben t'avvedrai, femmina ingrata,

(presa una chiave, apre una porticella segreta)

quanto possa un'offesa in cor reale.

(affacciandosi all'uscio)

Olà, Anassandro. Epitide già estinto

Merope ancor si estingua.

Anassandro.

(esce Anassandro dal gabinetto)

ANASSANDRO

La voce

del mio signor pur giunge

a ferirmi l'udito.

POLIFONTE

E a trarti insieme

da quel muto soggiorno

alle braccia reali, e al chiaro giorno.

(lo abbraccia)

ANASSANDRO

A quale alto tuo cenno ubbidir deggio?

Tutto mi fia men grave

di quest'ozio profondo, in cui sepolto

tra rimorso e timor peno, e sospiro.

POLIFONTE

Non è pena men fiera a Polifonte

dover finger pietade, usar clemenza,

quando il genio feroce

non conosce altri dèi, che il suo potere,

e non ha per ragion che il suo volere.

ANASSANDRO

Con quest'arte tu regni.

POLIFONTE

Ed ecco il tempo

ch'io ti chiami a goderne.

Basta che tu vi assenta, e che tu dia,

fedele amico, il compimento all'opra.

ANASSANDRO

Eccomi. Vuoi ch'io torni

nella reggia di Etolia, e colà sveni

anche in braccio a Tideo

il mal guardato Epitide? Son pronto.

POLIFONTE

Morì già l'infelice, e senza nostra

colpa morì. Ciò che al tuo zelo io chiedo

è facile impresa. Esci in Itome.

Soffri, che tra catene

ti rivegga Messenia.

Della morte de' figli e del marito

accusa la regina, e attendi poi

dalla mano real di Polifonte

e grandezze, e tesori. Ancor del trono

vieni a parte, se vuoi. Tutto è tuo dono.

ANASSANDRO

La regina accusar?

POLIFONTE

Sì. Qual rimorso?

ANASSANDRO

Quello che più risente un'alma ingrata.

POLIFONTE

In Merope riguarda

la nemica comun.

ANASSANDRO

Ravviso in essa

anche la mia regina.

POLIFONTE

Se n'hai pietà, la nostra morte è certa.

ANASSANDRO

E se l'accuso, io sono

de' viventi il più indegno e 'l più perverso.

POLIFONTE

Dopo il commesso parricidio enorme

la colpa ti spaventa? Il tardo orrore.

ANASSANDRO

Mio re, non più. Si serva

alla nostra salvezza, e alla tua sorte.

Merope accuserò.

POLIFONTE

Caro Anassandro,

della grandezza mia fido sostegno,

per te dir posso: è mio lo scettro, e 'l regno.

Penso, e non ho mercede

né degna di tua fede,

né pari al mio voler.

Se in me trovi ingrato il core,

no 'l dir colpa dell'amore,

ma difetto del poter.

Penso, e non ho mercede

né degna di tua fede,

né pari al mio voler.

Scena tredicesima

Anassandro.

Non si cerchi, Anassandro, altro consiglio.

In un pelago siamo, onde n'è forza

uscirne, o naufragar. Fatta è la colpa

necessità per noi. Nei primi eccessi

anche gli ultimi a farsi abbiam commessi.

Partite dal mio sen, reliquie estreme

d'onore, e d'innocenza, e di pietà.

Non si turba, non geme, non teme,

chi del fallo rimorso non ha.

Partite dal mio sen, reliquie estreme

d'onore, e d'innocenza, e di pietà.

Varianti all'atto primo di D. Lalli

Dal libretto musicato nel 1734 da G. Giacomelli.

Aria alternativa fine scena III.

EPITIDE

Dono d'amica sorte

non cura il mio valore,

che quando il braccio è forte,

l'alma timor non ha.

Sarà quel mostro fiero,

trofeo del mio furore

e pace un regno intero

del mio coraggio avrà.

Dono d'amica sorte

non cura il mio valore,

che quando il braccio è forte,

l'alma timor non ha.

Aria aggiunta a fine scena IV.

TRASIMEDE

Del tuo sovran volere

porto la legge a lei.

(E ad essa affetti miei

parlate voi per me.)

E dal suo cenno istesso,

del suo bel core avrai,

il libero permesso,

la sospirata fé.

Del tuo sovran volere

porto la legge a lei.

Aria alternativa fine scena V.

POLIFONTE

Tutti i pensieri impegno

per vendicar l'oppresso.

Non penso più del regno,

non curo più me stesso,

non ho più pace al cor.

(Ma chi nel sen leggesse

il bel piacer ch'io sento

vedrebbe pur che mento

ch'è falso il mio dolor.)

Tutti i pensieri impegno

per vendicar l'oppresso.

Non penso più del regno,

non curo più me stesso,

non ho più pace al cor.

Aria alternativa fine scena VI.

LICISCO

Sin che il tiranno scendere

dal soglio non si vede,

e al trono stesso ascendere

il combattuto erede,

sento il mio core esanime,

più respirar non so.

Ma quanto tarda, oh dèi,

quel sospirato istante,

in cui sperar dovrei

quel che bramando io vo.

Sin che il tiranno scendere

dal soglio non si vede,

e al trono stesso ascendere

il combattuto erede,

sento il mio core esanime,

più respirar non so.

Aria alternativa fine scena VIII.

TRASIMEDE

Io già sento nel mio petto

tale affetto

tal valore,

che l'iniquo traditore

al tuo piede io porterò.

Sol che in me pietosa i rai

volga ormai

tutto fede,

tutto ardir per te sarò.

Io già sento nel mio petto

tale affetto

tal valore,

che l'iniquo traditore

al tuo piede io porterò.

Aria alternativa fine scena X.

ARGIA

A questa face, e a quella

vuol ardere il mio core,

e libero l'amore

voglio per me serbar.

Non v'è nemica stella,

non v'è potere umano,

che questo don sovrano

del ciel possa involar.

A questa face, e a quella

vuol ardere il mio core,

e libero l'amore

voglio per me serbar.

Aria alternativa fine scena XI.

MEROPE

Barbaro traditor

porta l'amor, la fé

lungi da questo cor,

amor tu chiedi a me?

Mira ne' danni miei

qual sono, qual tu sei

empio tiranno.

Odio, furor, velen,

per te sol nutro in sen,

premio al tuo inganno.

Barbaro traditor

porta l'amor, la fé

lungi da questo cor,

amor tu chiedi a me?

Finale alternativo a partire dalla fine della scena XII.

ANASSANDRO

Con inganno fortunato,

la costanza di mia fede

a te regno serberà.

E lagnandosi del fato

al tuo piè chiamar mercede

l'innocenza si vedrà.

Con inganno fortunato,

la costanza di mia fede

a te regno serberà.

Scena XIII.

Polifonte, poi Epitide.

POLIFONTE

Guardie, a me lo straniero.

Sulla fé d'Anassandro uopo è ch'io appoggi

le mie regie speranze. Il colpo è tratto.

EPITIDE

Impaziente attendo

il momento, signor, che mi conduca

a liberar dal comun danno il regno.

POLIFONTE

In Itome ei si scorti. Il suo sostegno

la Messenia in te mira.

Ti giuro un cor della tua fé condegno.

Scena XIV.

Epitide.

EPITIDE

Unitevi ad amore

miei pensieri di gloria, e di vendetta,

e poi tutto sperate dal mio core.

Argia dolce il mio bene, e dove sei?

Oh dio, chi ti nasconde agli occhi miei?

Che gran pena! Che tormento

nel mio core o dio risento.

Non m'avanza più costanza

tanta pena a tollerar.

Mi si asconde il caro bene,

mi tradisce la mia spene,

mi spaventa il mio penar.

Che gran pena! Che tormento

nel mio core o dio risento.

Non m'avanza più costanza

tanta pena a tollerar.

Atto secondo
Scena prima

Montuosa con rocca nell'alto, grotta nel mezzo, e palazzo delizioso nel basso.
Polifonte, Licisco.

POLIFONTE

Fu voler degli dèi ciò che rapina

parve forse alla Grecia.

Fatta è mercede al vincitore Argia.

LICISCO

Dal re suo padre il suo destin dipende.

POLIFONTE

E dipende dal ciel quel de' regnanti.

LICISCO

(Epitide, se perdi

la bella Argia, ben ne preveggo i pianti.)

Scena seconda

Merope, e detti.

MEROPE

Sull'orme di Licisco

vengo dolente madre. Infausto grido

sparso è d'intorno. E' morto il figlio, o vive.

LICISCO

Ciò che dirti può 'l re, taccia Licisco.

POLIFONTE

E a Merope, che 'l chiede un re no 'l dica.

MEROPE

Crudel! perché si niega

un sì giusto conforto ad una madre?

LICISCO

Chi più figli non ha, non è più madre.

MEROPE

Ah! Lo dicesti pur: morto è 'l mio figlio.

LICISCO

Alla madre morì, pria che alla vita.

MEROPE

È la vita, ch'ei spira, egli è pur sangue

delle viscere mie.

POLIFONTE

Tuo sangue ancora

era quel di due figli.

MEROPE

Ed io lo sparsi?

POLIFONTE

La Messenia lo sa: la fama il dice.

MEROPE

Basta che il cor mi assolva, e che gli dèi

veggan la mia innocenza e la mia fede.

LICISCO

Innocente esser puoi,

ma la Grecia lo niega.

POLIFONTE

E un re no 'l crede.

MEROPE

Empio, non sempre esulterai sul pianto

dell'oppressa innocenza.

POLIFONTE

Chi d'infamia ha rossor, fugga la colpa.

MEROPE

E chi di colpa è reo, tema la pena.

POLIFONTE

Ah! Merope del tuo, del tuo delitto

con qual fronte mi accusi? E con qual prova!

Dal pubblico giudizio eccomi pronto

a ricever la legge, e dal castigo

non mi esenti il diadema.

LICISCO

Ove il reo non è certo, ogn'un si tema.

POLIFONTE

Ma qual suono festivo odo dal monte?

Scena terza

Preceduto da festoso séguito di Messeni, Epitide esce dalla grotta e viene scendendo dal monte. I suddetti.

EPITIDE

Piagge amiche fortunate...

LICISCO

(D'Epitide è la voce.)

EPITIDE

Piagge amiche fortunate,

festeggiate. Il mostro è ucciso!

E con onde al mar turbate

più non corra il bel Pamiso.

Piagge amiche fortunate,

festeggiate. Il mostro è ucciso!

POLIFONTE

Lascia, che al seno, o generoso, o prode

del messenico regno

liberator... Perché t'arretri?

EPITIDE

Avvezze

con le fiere a lottar braccia selvagge

ricusano l'onor di regio amplesso.

MEROPE

(O dèi! Qual, se l'ascolto, e qual se 'l miro,

mi si desta nell'alma inusitato

non inteso tumulto?)

POLIFONTE

Libero è 'l regno; ogn'alma esulta; e sola

nel pubblico piacer Merope è mesta?

EPITIDE

Che? La regina... O dio! Merope è questa?

MEROPE

Merope sì, non la regina. Un'ombra

son di quella, che fui.

EPITIDE

Concedi, o donna eccelsa,

(ah! quasi dissi, o madre)

ch'io baci umil la nobil destra.

MEROPE

(O bacio,

onde in seno mi è corso e gelo e foco!)

POLIFONTE

Come? Di Polifonte

fuggir le amiche braccia? E imprimer poi

su colpevole man bacio divoto?

EPITIDE

Giurai di farlo, ed or ne adempio il voto.

POLIFONTE

Perché il giurasti? A chi?

MEROPE

Straniero, addio.

(Cresce in mirarlo il turbamento mio.)

EPITIDE

(trattenendo Merope)

Ciò ch'esporrò, regina,

la tua richiede, e la real presenza.

MEROPE

O ciel! La mia? Parla. Chi sei? Che rechi?

EPITIDE

Mi accingo ad ubbidirti.

Etolo io son. Ne' calidoni boschi

della saggia Ericlea nacqui ad Oleno.

Il mio nome è Cleon.

LICISCO

(Par vero il falso:

con tal arte l'adorna.)

MEROPE

Or d'Etolia a noi vieni?

EPITIDE

Vengo di Delfo. Ivi desio mi trasse

di saper la mia sorte. Ove si parte

la via tra Delfo e Dauli

trovai nobil garzon giacer trafitto.

POLIFONTE

Che? trafitto un garzon tra Dauli e Delfo?

LICISCO

Nella Focide?

EPITIDE

Appunto.

LICISCO

Quant'ha?

EPITIDE

Sei volte, e sei rinato è 'l giorno.

LICISCO

(a Polifonte)

Tutto s'accorda, e 'l tempo, e 'l loco.

POLIFONTE

Estinto!

Il ferito giacea?

EPITIDE

Tanto di vita

spirava ancor, che poté dirmi: «Amico,

moro. Di masnadieri

turba feroce, alle rapine intesa,

mi assassinò. Nel fior degli anni io moro.»

MEROPE

Misero!

EPITIDE

«Di Messene

nella reggia», soggiunse, «a Polifonte,

ed a Merope reca

quest'aureo cinto, e questa gemma illustre,

mie spoglie, e mio retaggio.

Bacia per me di Merope la destra;

la destra sì, che forse

mi chiuderebbe in mesto uffizio, e pio

le gravi luci.» Egli in ciò dir la mano,

ch'io stesa avea, strinse alla sua. Poi tacque,

gettò un sospiro, abbassò i lumi e giacque.

MEROPE

Qual funesta caligine m'ingombra?

Qual freddo orror m'empie le vene e l'ossa?

Sentì l'alma presaga

l'infausto annunzio. O desolato regno!

O sconsolata madre!

Epitide, il mio amore, il mio conforto,

l'unico figlio, il caro figlio è morto.

POLIFONTE

Tace ne' gravi mali un gran dolore.

(Sappi occultar l'interna gioia, o core.)

LICISCO

Freno al dolor. Non è la ria sciagura

ben certa ancor.

MEROPE

Sì: che più tardi? Il cinto

dov'è? Dove la gemma, antico dono

d'infelice regina?

EPITIDE

E quello, e questa

eccoti, o regal donna. (Al suo tormento,

del mio inganno crudel quasi mi pento.)

MEROPE

Spoglie del figlio ucciso,

del mio misero amor memorie infauste,

desse pur troppo siete.

Ben vi ravviso. Or che più cerco? Vieni

per questi ultimi baci,

per questi amari pianti,

vieni sul labbro, o cor; vieni sul ciglio:

è morto il caro figlio.

EPITIDE

(Resisto appena.)

LICISCO

(a Polifonte sottovoce)

Il grido

nulla mentì del caso acerbo, e fiero.

POLIFONTE

(a Licisco)

Ma di Merope il pianto è menzognero.

MEROPE

(Quietatevi, o singulti. Omai l'oggetto

si cerchi alla vendetta; e si risvegli,

qual dall'onda l'ardor, l'ira dal pianto.)

Dimmi, o Cleon: solo giacea l'estinto?

EPITIDE

Senza compagno al fianco.

LICISCO

E solo appunto

sortì d'Etolia, e sconosciuto il prence.

MEROPE

Turba di masnadieri

non lo assalì?

EPITIDE

Spoglie gli tolse e vita.

MEROPE

Di molte piaghe, o d'una sola?

EPITIDE

II sangue

di più vene gli uscia.

MEROPE

L'ora?

EPITIDE

Non molto

dopo il meriggio.

MEROPE

E come

semivivo restò? Come il furore

non finì di svenarlo?

EPITIDE

Forse estinto il credé.

MEROPE

No, traditore.

Di', che tu l'uccidesti.

EPITIDE

Io, regina, io l'uccisi?

MEROPE

Tu, infame. Erano spoglie

sì vili e questo cinto, e questa gemma?

Non le curò la predatrice turba?

Nel chiaro dì quel non gli vide al fianco?

Non questa al dito? Ah barbaro! Ah fellone!

Tu, tu l'assassinasti.

Scusa, se puoi, la tua perfidia. Il core

me 'l disse al primo sguardo. Or me 'l conferma

quel mentir, quel tremar, quel tuo pallore.

EPITIDE

Se colpevole... io sia...

MEROPE

Sei traditore.

Con il figlio sventurato

tu di madre, o scellerato,

il bel nome a me togliesti,

e seco la mia pace, ed il mio bene.

Ma di madre in questo core

resta il duol, resta l'amore

per far le mie vendette e le tue pene.

Con il figlio sventurato

tu di madre, o scellerato,

il bel nome a me togliesti,

e seco la mia pace, ed il mio bene.

Scena quarta

Polifonte, Epitide, e Licisco.

POLIFONTE

Di Merope dall'ira

la tua vittoria e il mio poter ti è scudo.

Ella matrigna ai vivi,

madre parer vuole a' suoi figli estinti.

EPITIDE

Se estinti li bramò, perché li piange?

POLIFONTE

Tutto è menzogna; o nulla costa, o poco

ad occhio femminil pianto bugiardo.

LICISCO

E mal giudichi un cor, se credi al guardo.

POLIFONTE

Pace all'ombra real. Giorno sì lieto,

in cui per tuo valor salva è Messene,

festeggi i tuoi sponsali.

EPITIDE

I miei?

POLIFONTE

Di quanto oprasti alta mercede

avrai nell'amorosa

regal vergine illustre,

scelta da' numi a te compagna e sposa.

Se vaga sia,

se sia vezzosa,

la dolce sposa

che il ciel gli diè

(a Licisco)

tu gli dirai per me,

(ad Epitide)

tu lo vedrai.

A quel bel viso ancelle

stanno le grazie e 'l riso,

e l'amorose stelle

scintillano in que' rai.

Se vaga sia,

se sia vezzosa,

la dolce sposa

che il ciel gli diè

(a Licisco)

tu gli dirai per me,

(ad Epitide)

tu lo vedrai.

Scena quinta

Epitide, e Licisco.

EPITIDE

A me nozze? A me sposa?

LICISCO

Il ciel decreta.

Epitide ubbidisca.

EPITIDE

E posso io farlo?

Consigliarlo Licisco?

LICISCO

Così servo al tuo cor, così al tuo amore.

EPITIDE

Il mio amore, il mio cor, l'anima mia,

non è, lo sai, che l'amorosa Argia.

LICISCO

E Argia sarà tua sposa:

Argia sarà tuo premio. Il ciel la volle

prigioniera in Messene,

perché seco tu regni amato amante.

EPITIDE

O me, se ciò fia vero,

fortunato amator, lieto regnante!

LICISCO

Segui il sentier ben cominciato, e spera.

Sposo sei, ma beltà non ti lusinghi.

Figlio sei, ma pietà non ti tradisca.

L'odio, l'amore, il sangue,

tutto dubbio ti sia. Temine e fingi.

EPITIDE

Ah ch'il duol della madre è mio spavento!

LICISCO

Dillo tua debolezza. A te i fratelli,

a te il padre sovvenga, e 'l tuo periglio.

EPITIDE

Sì: ma Merope è madre, ed io son figlio.

LICISCO

Mi piace, che ti accenda

con degni affetti

la dolce sposa,

la cara madre il cor.

Ma dal figlio il padre aspetta

la vendetta,

e la chiede alla tua fede,

e la vuol dal tuo valor.

Mi piace che ti accenda

con degni affetti

la dolce sposa,

la cara madre il cor.

Scena sesta

Epitide.

Merope, Polifonte, Argia, Messene,

gloria, regno, vendetta, odio ed amore,

tutti voi siete oggetto

di spavento, e d'invito a' miei pensieri.

Il dibattuto cor qua e là si volve

qual da turbine spinta arena o polve.

Se pensar potessi ogn'ora

a quel ben che m'innamora,

quanto più lieta avrei

nel sen quest'alma!

Ma il pensier de' mali miei

toglie a me pace sì bella,

qual toglie la procella

al mar la calma.

Se pensar potessi ogn'ora

a quel ben che m'innamora,

quanto più lieta avrei

nel sen quest'alma!

Scena settima

Cortile.
Polifonte, e Merope.

POLIFONTE

Merope a Polifonte

sì cortese or favella?

MEROPE

A Polifonte

a te così tiranno, io sì nemica,

porto un mio voto, e un dono mio. Caduto

il mio figlio, il tuo re, mio re ti onoro;

ma sii giusto, e sii grato. Un figlio, o sire,

mi fu tu 'l sai, misera madre! ucciso.

Cleon n'è l'assassin. Di quell'iniquo

qui ti chieggo la pena, e 'l voto è questo.

Or vedi il dono. All'are sacre io stendo

la man che pria negai. Con questa legge,

se ti piace il regnar ti chiamo al trono,

se ti muove l'amor, tua sposa io sono.

POLIFONTE

Merope, ingiusto è 'l voto, e tardo è 'l dono.

In Cleon, che tu fingi un assassino,

la Messenia ha un eroe. Sdegno il tuo nodo,

e per te, ch'or mi prieghi, io più non ardo.

Il tuo voto, il tuo dono è ingiusto, è tardo.

MEROPE

Ben difendi Cleon. Ben mi rinfacci

con i prieghi l'offerte, e ben mi sdegni;

ma sappi, e mio nemico e mio tiranno,

sappi tutto il mio cor. Materno affetto,

non timor, non viltà fu mio consiglio.

Per vendicar un figlio io nella madre

la sposa ti promisi;

ma parlò solo il labbro, e questa mano

era pronta a svenarti, anzi che fosse

profanato il mio sen da' tuoi amplessi.

Tentai la sorte, e mi tradì. Bell'ombra

di Epitide infelice, il dolce, il caro

piacer di vendicarti ancor mi è tolto;

ma non già la speranza. Empio, paventa,

se, non me, gli alti dèi. Se tanto in terra

non puote il desir mio,

in cielo almeno, in ciel potran ben tanto

del figlio il sangue, e della madre il pianto.

POLIFONTE

Quel tuo pianto ingannar non può gli dèi.

Tu la rea, la crudel, l'empia tu sei.

Scena ottava

Merope, e Trasimede.

MEROPE

Troppo sinistro ho 'l fato.

TRASIMEDE

Dillo propizio. Avvinto

Anassandro è fra ceppi, alta regina.

MEROPE

Giusti dèi! Pur vi fece

pietà la mia innocenza!

Trasimede fedel, che non ti deggio?

(alle guardie)

A me tosto il fellon.

TRASIMEDE

Non lungi attende

la pena sua.

MEROPE

Qual l'hai sorpreso, e dove?

TRASIMEDE

Dove più folto il bosco

ricusa il giorno. Egli fuggir volea:

ma, da' miei pronti arcieri

cinto, temé la minacciata morte.

MEROPE

Già viene il traditor. Nel fosco volto

di perfidia, e timor spiega l'insegne.

Scena nona

Anassandro in catene fra Guardie, e detti.

ANASSANDRO

Voi mi tradiste, inique stelle indegne!

MEROPE

Qual colpa han di tua pena

gli astri innocenti? Al tuo fallir la devi.

ANASSANDRO

A me la debbo: è vero.

Già ne sento l'orror. Veggo i ministri,

s'arrotano le scuri, ardon le fiamme.

MEROPE

Ma fiamme, scuri, e orribili tormenti

degne pene non sien del tuo delitto.

ANASSANDRO

Né uguali al mio rimorso. Errai, regina.

MEROPE

E reo del mio dolore

perché farti? Perché? De' miei custodi

era duce Anassandro.

ANASSANDRO

Era tuo servo.

MEROPE

Da lei beneficato...

ANASSANDRO

E tra' più cari.

MEROPE

E tu ingrato...

ANASSANDRO

Sacrilego...

MEROPE

Tra l'ombre

trafiggesti il mio re.

ANASSANDRO

Cresfonte uccisi.

MEROPE

Né sazio di una morte e di una colpa,

svenasti i figli miei.

ANASSANDRO

Coppia innocente.

TRASIMEDE

(a Merope)

Confessa il fallo.

ANASSANDRO

(a Trasimede)

Il perfido non mente.

MEROPE

Or di': chi tal fierezza

ti consigliò.

ANASSANDRO

Molto a dir resta, e molto

resta a saper. Di pubblico delitto

pubblico sia il giudizio. Alla Messenia

io ne debbo ragion.

MEROPE

Va', Trasimede,

tosto raduna e popoli, e guerrieri;

e nella rocca eccelsa

costui ben custodisci, ond'ei non fugga.

La sua condegna capital sentenza

spavento della colpa

e trofeo diverrà dell'innocenza.

TRASIMEDE

Vanne alla pena, o perfido.

ANASSANDRO

Perfido, è ver, cadrò:

non cadrò solo.

Nel mio cader trarrò

qualche piacer almen

dall'altrui duolo.

TRASIMEDE

Vanne alla pena, o perfido.

(partono le guardie dietro ad Anassandro)

Scena decima

Merope, e Trasimede.

TRASIMEDE

Seguitelo, o miei fidi. Il suo castigo

ad affrettar io parto.

Solo, pria di partir...

MEROPE

Parla.

TRASIMEDE

Concedi,

che sul timido labbro esca un sospiro,

e ti dica per me.

MEROPE

Segui, ma prima

rifletti, o Trasimede,

che a Merope tu parli,

vedova di Cresfonte, e tua regina.

TRASIMEDE

Ahimè.

MEROPE

Perché ammutir?

TRASIMEDE

Basti così.

Quel sospiro che mi uscì

reo mi fa

partir da te.

Al tuo cuore egli dirà

ciò che tace il mio rispetto.

Serva, e peni il chiuso affetto,

e sol parli la mia fé.

Basti così.

Quel sospiro che mi uscì

reo mi fa

partir da te.

Scena undicesima

Merope.

Trasimede, t'intendo;

ma troppo del suo duol piena è quest'alma

perché al tuo donar possa un sol pensiero.

Un empio è già ne' lacci, e a te lo deggio.

Cadrà ne' suoi l'usurpator tiranno.

Resta Cleon. Diasi ad Averno, e all'ombra

di Epitide dolente

questa vittima ancor. Madre, e consorte,

debbo a me la vendetta, e poi la morte.

Lo sdegno placherò;

ma poi non lascerò

di piangere e lagnarmi.

Mancar mi può l'oggetto

dell'odio e del furor;

ma quello del dolor

non può mancarmi.

Scena dodicesima

Sala con trono, e sedili.
Argia, Licisco, e poi Epitide.

ARGIA

Dunque Epitide vive?

LICISCO

Col nome di Cleon vive in Messene,

e vincitor s'onora, e fia tuo sposo.

ARGIA

Soave prigionia, per cui qui godo

sorte sì bella.

EPITIDE

(È dessa.) Amata Argia.

(Licisco si scosta in atto di guardare per la scena)

ARGIA

Epitide adorato.

ARGIA E EPITIDE

Anima mia.

LICISCO

Mal guardinghi che siete! È luogo, e tempo

questo a trattar con libertà gli affetti?

(entra nel mezzo)

ARGIA

Licisco...

EPITIDE

Amico...

LICISCO

Un guardo basti. Andate,

e fra' nostri nemici

sia più saggio il tuo amor, più cauto il tuo.

ARGIA

Giusta è la tema. Addio.

EPITIDE

Che! Sì tosto partir?

ARGIA

Non si tradisca

per un cieco piacer quel gran disegno

che a te assicura e la vendetta e 'l regno.

Scena tredicesima

Licisco, ed Epitide.

LICISCO

Saria teco sospetto anche Licisco.

Io parto. Un gran timore in gran periglio

è il più sano consiglio.

(parte)

EPITIDE

L'ardir teme Licisco, Argia l'amore,

io temo la pietà. Quelle, ch'io vidi

cader lagrime amare

di Merope sul volto, ancor rammento.

Poi dico a me: «Quanto crudele, ahi quanto

fosti, o mio core, in provocar quel pianto.»

Scena quattordicesima

Merope, Trasimede, Licisco ed Epitide.
Séguito di Popoli e di Soldati.
Poi Polifonte.

MEROPE

Seguami pur Licisco.

Resti Cleon. Presente

all'alto formidabile giudizio,

tutto vorrei, non che la Grecia, il mondo.

TRASIMEDE

Sol manca il re.

EPITIDE E LICISCO

Che fia?

POLIFONTE

(Stabilirò sul trono

qui la vendetta, e la fortuna mia.)

E che? Senza il mio voto, e me lontano,

v'è chi raduna e popoli e soldati?

MEROPE

Mio ne fu 'l cenno; e questo,

dacché vedova son, fu 'l primo, e 'l solo.

Qui si dée, Polifonte,

l'innocenza svelare, e 'l tradimento,

qui decretar la vita, e qui la morte.

E qui veder se è rea

del sangue di Cresfonte, e de' suoi figli

un'empia madre, o un perfido vassallo.

POLIFONTE

Chi dar dovrà l'accusa? E chi punirla?

MEROPE

L'accusator sarà Anassandro, al fine

tratto ne' ceppi; e voi,

voi, messeni, custodi delle leggi,

difensori del regno,

(a Trasimede)

e tu, che sei

del consiglio sovran regola, e mente,

il giudice sarete.

EPITIDE

(piano a Licisco)

Ella è innocente.

LICISCO

(piano ad Epitide)

Tal sembra.

POLIFONTE

Opra è de' numi

l'arresto di Anassandro. Ei qui si tragga.

Saranno Trasimede, e la Messenia

il tuo giudice, e 'l mio.

TRASIMEDE

Facciasi. Ad Anassandro

diasi libero campo

di favellar. Licisco,

e Merope, e Cleon meco si assida;

e tu, signor, l'eccelso trono ascendi;

a cui da' nostri voti alzato fosti.

POLIFONTE

No, no: mi spoglio anch'io

del reale carattere, che in fronte

m'imprimeste, o messeni.

Reo Merope mi crede, e finché il vostro

memorabil giudizio

purghi il mio nome, e la mia gloria assolva,

eccovi Polifonte

non re, ma cittadino. Il re voi siete,

ed al vedovo trono io queste rendo

non mie, ma vostre alte reali insegne.

(depone sul trono la corona, e lo scettro)

Merope, or senti: in noi

v'è 'l reo, v'è l'innocente.

Tu accusi Polifonte:

te la Messenia. Orsù, la legge è questa.

Al giusto la corona. Al reo la testa.

(va a sedere con gli altri)

LICISCO

(ad Epitide)

Ei non errò.

EPITIDE

(Voi lo sapete, o dèi.)

TRASIMEDE

(Tutti sono in tumulto i pensier miei.)

MEROPE

Sommo nume increato,

cui sul lucido seggio, ove non sale,

non che l'occhio, il pensier, nulla si asconde;

geni voi tutelari

di questo regno; e voi,

del mio re, de' miei figli,

che d'intorno mi udite, anime belle...

Fate voi, che il ver s'intenda,

che risplenda

l'innocenza,

e sul collo all'empio cada

con giustissima sentenza

l'alta fatal vendicatrice spada.

(va a sedere al suo luogo)

Scena quindicesima

Anassandro incatenato fra Guardie, e detti.

ANASSANDRO

Ove sono le scuri? ove i ministri?

ove il palco di morte?

L'ho meritata vil: l'attendo forte.

TRASIMEDE

L'avrai, fellon, l'avrai; ma in più tormenti,

in più pene divisa.

Se la vuoi men crudel, qui t'apparecchia

nulla a tacer, nulla a mentir del grave

abominando eccesso,

consigliato da altrui, da te commesso.

ANASSANDRO

A che richieste? A che minacce? Io sono

l'uccisor di Cresfonte, e de' suoi figli.

(getta uno stilo nel mezzo)

Ecco il braccio. Ecco il ferro. In brevi accenti

ecco il delitto, il testimon, la prova.

TRASIMEDE

Non basta. Del misfatto

si cerca il seduttor, non il ministro:

non chi eseguì, ma chi ordinò la colpa.

ANASSANDRO

A quel duro cimento eccomi giunto

ch'io più temea. Spietato

fui per esser fedel. Deh! questo vanto

non mi si tolga in morte; e mi si lasci

portare a Radamanto

un mio solo delitto, e 'l sol mio pianto.

MEROPE

No, no: rompi cotesto

silenzio contumace.

ANASSANDRO

O dio!

POLIFONTE

Che tardi? A forza di tormenti

parlerai, se persisti.

ANASSANDRO

Su via: si parli. Un traditor non mente

quando in morir teme il rimorso, o 'l sente.

Cadde Cresfonte, e diede al colpo atroce

Merope...

MEROPE

Ferma, e prima

fissa in Merope un guardo; un ne ricevi,

e passi dal mio volto, e dal mio sguardo

entro l'anima tua, quantunque infame,

una voce, un'idea che ti sgomenti.

Riconoscimi, e poi

che colpevole io sia, dillo, se puoi.

ANASSANDRO

(Ahi voce! Ahi vista! Instupidita è l'alma.

Sudo, tremo vacillo, ardo ed agghiaccio.)

POLIFONTE

Merope, non si teme

da chi è innocente accusator che parli:

né al suo labbro s'insulta. E tu, Anassandro,

che più tacer? Del giudice l'aspetto

e non l'ira del reo sia tuo spavento.

EPITIDE

(Temo su quelle labbra il tradimento.)

ANASSANDRO

(Rimorsi, addio. Lice, se giova.) Io manco,

lo so, messeni, alla giurata fede.

Pur questo debbo al vero

sacrificio funesto

prima che del mio fral sia sciolto il laccio.

Cadde Cresfonte, e diede

Merope il cenno, ed Anassandro il braccio.

TRASIMEDE

Merope il cenno?

POLIFONTE

(Eccomi in porto.)

EPITIDE

O madre!

(vuol avanzarsi ed è trattenuto da Licisco)

LICISCO

Fermati, e attendi.

MEROPE

Io diedi

il comando sacrilego? Ove? quando?

come? perché?

ANASSANDRO

Regina, ah! Fossi stato

sordo a' tuoi prieghi! Io, servo

ubbidir ti dovea. Tu l'uscio apristi,

tu l'ora, il letto, il seno

segnasti, in cui le piaghe...

POLIFONTE

Non più. Già sei convinta,

perfida donna. La sentenza è data,

Trasimede la scriva,

la Messenia la segni.

Vattene. Alla tua pena oggi t'appresta.

Al giusto la corona. Al reo la testa.

(ripiglia la corona e lo scettro dal trono)

(le guardie vanno a circondare Merope)

MEROPE

Ah scellerato! Ah traditor! Messeni,

Licisco, Trasimede:

è impostor chi mi accusa,

è reo chi mi condanna. In me salvate

non la regina offesa,

non la sposa tradita,

non la madre dolente,

l'infelice salvate, e l'innocente.

Un labbro, un cor non v'è,

che parli, o sia per me:

e si lascia abbandonata

l'innocenza in braccio a morte.

Ma il morir non è il mio duolo:

duolmi solo

il vedermi condannata

empia madre, e rea consorte.

Un labbro, un cor non v'è,

che parli, o sia per me:

e si lascia abbandonata

l'innocenza in braccio a morte.

(parte seguita dalle guardie)

Scena sedicesima

Polifonte, Trasimede, Epitide, Licisco, ed Anassandro.

POLIFONTE

Non si perdan momenti. Oggi si affretti

a Merope la morte,

e dal peggior secondo mostro indegno

purghisi omai della Messenia il regno.

TRASIMEDE

Signore, il regal sangue

onde Merope uscì...

POLIFONTE

Vani riguardi.

Sia mia cura punir l'empio Anassandro,

e Merope, la tua. Va', scrivi, adempi

la capital sentenza; e se paventi

d'esser giudice suo, paventa ancora

il tuo giudice in me. Voglio che mora!

TRASIMEDE

Parto a ubbidir. (Regina sfortunata!)

(parte)

EPITIDE

Ella a morir? Messeni,

una moglie real mal si condanna

sull'accusa infedel di un traditore.

Nella morte di lei

voi siete ingiusti, e un traditor tu sei.

(parte)

LICISCO

(O amore! O ardir! Seguo i suoi passi.)

(parte)

ANASSANDRO

O dèi!

Che vidi? Egli è pur desso.)

POLIFONTE

Si perdoni a Cleon cotanto ardire.

ANASSANDRO

Cleone? Egli è deluso.

(Polifonte fa cenno alle guardie di Anassandro che si ritirino)

POLIFONTE

Soli ora siamo; e posso

dirti: Amico fedel, per te re sono.

ANASSANDRO

Ma sotto il piè non hai ben fermo il trono.

POLIFONTE

Merope estinta, onde temerne il crollo?

ANASSANDRO

D'Epitide dall'ira.

POLIFONTE

Può farmi guerra un nudo spirto? Un'ombra?

ANASSANDRO

Vive in Cleone il tuo maggior nemico.

Nell'etolica reggia, a l'or che occulto

vi passai per tuo cenno,

più volte il vidi, e impresso

restò quel volto entro l'idea.

POLIFONTE

T'inganni.

ANASSANDRO

No, non m'inganno. È desso.

POLIFONTE

Grandi insidie mi sveli, e grand'arcano.

A te il regno dovea: debbo or la vita.

Presto ne avrà tua fede,

te ne assicura un re, degna mercede.

ANASSANDRO

Tal dal tuo amor la spero.

POLIFONTE

Ancor per poco

soffri i tuoi ceppi. Olà, custodi.

(si avanzano le guardie)

In cieca

stanza si chiuda l'empio.

La sua pena ivi attenda, ivi il suo scempio.

ANASSANDRO

Morrò, ma di mie colpe

la memoria vivrà. Grande, e temuta

ombra sarò d'Averno;

e avrò da gran delitti un nome eterno.

(è condotto via dalle guardie)

POLIFONTE

Si liberi il mio cor da un gran sospetto:

poscia gli angui del crin scuota Megera

e del tosco peggior sparga il mio petto.

Nel mar così funesta

non freme la tempesta:

né piomba tanto irato

il fulmine dal ciel,

come sarà crudel

quanto sarà spietato

il mio furor.

Son tiranno; ma nel soglio

esser voglio

per politica un ingrato

per cautela un traditor.

Nel mar così funesta

non freme la tempesta,

né piomba tanto irato

il fulmine dal ciel,

come sarà crudel

quanto sarà spietato

il mio furor.

Varianti all'atto secondo di D. Lalli

Dal libretto musicato nel 1734 da G. Giacomelli.

Aria di Merope nella scena I.

MEROPE

Tu crudel tu vuoi ch'io sia

senza figlio, oppressa, e mesta.

Trema iniquo, ancor m i resta

cor di madre in questo petto;

v'è il mio affetto, e il mio dolor.

E scorgendo l'alma mia,

che il mio mal da te sol viene,

pensa stragi, e cerca pene

per punirti, o traditor.

Tu crudel tu vuoi ch'io sia

senza figlio, oppressa, e mesta.

Aria alternativa fine scena V (III).

LICISCO

Dimmi d'amar la madre

dimmi d'amar la sposa,

che in questa amor riposa,

in quella il tuo dover.

Ch'io ti dirò che il padre,

da te, suo sangue, aspetta

la sua vendetta aver.

Dimmi d'amar la madre

dimmi d'amar la sposa,

che in questa amor riposa,

in quella il tuo dover.

Aria alternativa fine scena VI (IV).

EPITIDE

Quell'usignolo

che innamorato,

se canta solo

tra fronda, e fronda,

spiega del fato

la crudeltà.

S'ode pietoso

nel bosco ombroso,

chi gli risponda,

con lieto core

di ramo in ramo

cantando va.

Quell'usignolo

che innamorato,

se canta solo

tra fronda, e fronda,

spiega del fato

la crudeltà.

Scena (VII).

Trasimede.

Ripensando al dover purtroppo o dio!

veggo che l'amor mio

d'un cieco ardire è reo, con franco volto

simulare conviene,

e in onta al cor non palesar sue pene.

Taci mio core amante,

frena i sospiri in te,

l'ossequio, o dio, la fé

scordar mi fa quel ben,

che tanto mando vo.

E a crescer le mie pene,

sfogarmi non conviene,

e simular non so.

Taci mio core amante,

frena i sospiri in te,

l'ossequio, o dio, la fé

scordar mi fa quel ben,

che tanto mando vo.

Finale scena XII (VIII).

ARGIA

O del mio amor belle vicende! Io trovo

la pace del mio cor quando men spero,

ma dubbia l'alma appena crede il vero.

ARGIA

Tu mi lusinghi

mia cara spene,

ma il cor amante

sperar non sa.

Fida quest'alma

nel caro bene,

bella fenice

si struggerà.

Tu mi lusinghi

mia cara spene,

ma il cor amante

sperar non sa.

Aria alternativa fine scena XV (X).

MEROPE

Un labbro, un cor non v'è,

che parli, o sia per me.

Tutto è nemico. O dio!

Che fier tormento è il mio!

Più tollerar no 'l so.

In così strana sorte

par, che infedel consorte,

par, ch'empia madre io sia:

e pur nell'alma mia

rimorso alcun non ho.

Un labbro, un cor non v'è,

che parli, o sia per me.

Scena (XI).

EPITIDE

Ella a morir? Messeni,

una moglie real mal si condanna

sull'accusa infedel d'un traditore.

Infelice regina! O dura legge

che uscì contro di te, né v'è fra voi

chi la difenda? Chi più certe prove

voglia indagar? Così perir si lascia

l'amor suo, la sua fé forse innocente?

Ed alcuno di voi pietà non sente?

Chi condanna il regio sangue,

chi sua sorte non compiange

viva sol tra monti, e selve

con le belve a conversar.

Ma chi sente di clemenza

qualche senso nel suo petto,

è costretto a sospirar.

Chi condanna il regio sangue,

chi sua sorte non compiange

viva sol tra monti, e selve

con le belve a conversar.

Aria scena (XII).

TRASIMEDE

Dal tuo comando

in me discende,

spirto che accende

l'alta costanza

del mio dover.

Penso che al trono

suddito sono.

E ciò pensando

debbo ubbidire.

Debbo tacer.

Dal tuo comando

in me discende,

spirto che accende

l'alta costanza

del mio dover.

Aria scena (XIV).

ANASSANDRO

Fiamma vorace

tutto così divora,

e vede sol lo scempio,

dopo di sé lasciar.

L'orribil ruina

al passegger non serba

che sassi, arena, ed erba,

al fin da rimirar.

Fiamma vorace

tutto così divora,

e vede sol lo scempio,

dopo di sé lasciar.

Atto terzo
Scena prima

Parte di giardino reale con un grand'albero isolato.
Polifonte, ed Argia.

POLIFONTE

Non arrossir. Cleon piacque al tuo core.

ARGIA

Eletto dagli dèi degno è d'amore.

POLIFONTE

E sì tosto obliasti il primo amante?

ARGIA

L'infelice è già morto,

e non ardon le fiamme in fredda polve.

POLIFONTE

Ardono, Argia; ma sia Cleon tuo sposo:

non turberan tue nozze

del tuo diletto Epitide il riposo.

ARGIA

(Qual favellar!)

POLIFONTE

Non è più tempo, Argia,

di negar, di tacer ciò ch'è già noto.

ARGIA

E che?

POLIFONTE

Troppo mi offende il tuo timore.

A Merope si taccia, iniqua madre,

e non a Polifonte, anima fida,

di Epitide il destin.

ARGIA

(Stelle!)

POLIFONTE

Egli vive,

lo so in Cleon. Licisco

(giova il mentir) me ne affidò l'arcano.

Viva egli lieto, e regni. A me sol basta,

che suo servo mi accetti, e suo vassallo;

servir dov'egli dia

leggi sovrane, è la fortuna mia.

ARGIA

Signor, che sul tuo cor regno hai più grande

di quello, che rifiuti,

perdona, se ti offese il mio timore.

POLIFONTE

Fu giusto, e 'l lodo, il tuo geloso amore;

e tal lo custodisci insinché spira

l'iniqua madre. A lei, se chiede il figlio,

vivo lo niega, e lo compiangi estinto.

Che se noto a lei fosse il suo destino,

spinta da quel furor, con cui trafisse

e la prole, e 'l consorte,

potria quella crudel dargli la morte.

ARGIA

Veggo la tua virtù nel tuo consiglio.

Tradir la madre è un preservare il figlio.

Scena seconda

Polifonte, poi Anassandro fra gli Arcieri.

POLIFONTE

Tratto a' miei cenni ecco Anassandro. È giusto

tradire il traditore.

ANASSANDRO

Eccomi, ma fra' ceppi, e tu nel soglio.

(si ritirano gli arcieri ad un cenno di Polifonte)

POLIFONTE

Son lubriche, Anassandro, e son gelose

le fortune dei re. La mia vacilla,

se tu non la sostieni.

ANASSANDRO

E che più resta!

POLIFONTE

Il più resta, o mio fido.

ANASSANDRO

Sai qual cor, sai qual fede...

POLIFONTE

E fede, e core

temo, che al rio cimento inorridisca.

ANASSANDRO

Ho spirto, ho sangue, ho vita

da offrirti ancor. Per altri

esser vile poss'io: per te son forte.

POLIFONTE

E s'io chiedessi a te...

ANASSANDRO

Che?

POLIFONTE

La tua morte.

ANASSANDRO

La morte mia?

POLIFONTE

Sol questa

assicurar mi può la pace e 'l trono:

e questa a te richiedo, ultimo dono.

ANASSANDRO

O dio! Sì ria mercede a me tu rendi?

POLIFONTE

In servire al suo re premio ha 'l vassallo.

ANASSANDRO

Sei re, ma tal ti feci.

POLIFONTE

E questo è 'l grande

delitto da punirsi.

Reo sei del mio rossor, sinché tu vivi.

ANASSANDRO

Se mi temi vicin, dammi l'esilio.

POLIFONTE

E vicino, e lontan sei mio periglio.

Arcieri, olà.

(si avanzano gli arcieri)

POLIFONTE

A quel tronco

si consegni il fellon. Ne stringa il nodo

la sua stessa catena.

(vien legato all'albero)

Bersaglio a' vostri colpi

l'empio sia tosto. Intenda

il popolo da voi la sua vendetta.

Sacrificio più illustre a sé m'affretta.

De' vostri dardi

sia stabil segno,

poi de' miei sguardi

sia dolce oggetto

quel core indegno

del traditor.

Io parto, o misero,

e nel mio aspetto

risparmio alla tua morte un grande orror.

Scena terza

Anassandro legato per esser saettato dagli Arcieri, e Licisco.

LICISCO

Qui muor l'empio, e non dassi

a pubblico fallir pubblica pena?

ANASSANDRO

Delle mie scelleraggini ecco il frutto.

LICISCO

Ebben ne paghi il fio. Spinto dall'ire,

onde Messene il tuo castigo affretta,

per chiederlo, qual dessi, a Polifonte

qui trassi, o iniquo, il piè.

ANASSANDRO

Giusto, il confesso.

Duolmi che ancor non l'abbia

chi di me più perverso, or ne trionfa.

LICISCO

Merope ancor morrà.

ANASSANDRO

Merope, o dio!

Non morrà ch'innocente.

Morrà Epitide ancor: vivrà il tiranno.

Misera patria mia, tardi ti piango.

LICISCO

Da tronche note alti misteri appendo,

o almen li temo. Arcieri

che messeni pur siete,

giova al pubblico ben che sol per poco

l'irreparabil morte

si sospenda a costui.

(lo scioglie dall'albero)

Sciolgo i suoi lacci;

lo riconsegno a voi. Non si trascuri

ciò che il regno riguarda, e poco importa,

che o più presto, o più tardi un empio mora.

ANASSANDRO

No, non chiedo perdon: chiedo, che ancora

m'oda Messene, e poi morir mi faccia.

Ella, numi, il protesto,

ella è più rea di me se non mi ascolta.

LICISCO

Per le più occulte vie

guidatelo a' suoi giudici. Da lungi

vi seguirò.

ANASSANDRO

Con palesar l'inganno

farò ancora tremarti, o mio tiranno.

(parte)

Scena quarta

Licisco.

Che intesi mai? Qual torbido nell'alma

mi si svegliò? Muor Merope innocente.

Epitide è in periglio.

Mi fa pietà la madre, orrore il figlio.

Torbido nembo freme;

l'alma lo sente, e 'l teme.

E sta pensosa

perché non ben intende

ciò che temer la fa,

o riparar no 'l sa

o trascurar non l'osa.

Torbido nembo freme;

l'alma lo sente, e 'l teme.

Scena quinta

Stanze di Merope.
Merope, poi Trasimede.

MEROPE

Cor mio, chiedo a te sol la tua costanza.

Degl'immensi tuoi mali

pianger tutti non puoi, pochi non devi.

Grandezze, libertà, consorte, figli,

Epitide, che più? La mia vendetta,

la gloria mia: tutto è perduto. Io moro

non regina, non moglie, e non più madre;

ma condannata, invendicata, infame;

e pur moro fedel, moro innocente.

TRASIMEDE

Dal mio volto, o regina,

e ciò ch'io reco, e ciò ch'io soffro, intendi.

Dato è l'arresto. Invano

tentai l'indugio. Oggi... Mi manca il core.

MEROPE

Intendo, Trasimede.

L'impostura trionfa. Io morir deggio,

e morir condannata. Ombre dilette,

oggi sarò con voi. Vittima pronta

andrò in breve all'altare, e andrò tranquilla.

Tu con egual costanza

dillo ai giudici miei per lor rossore,

e per vendetta mia dillo al tiranno.

TRASIMEDE

Farò quanto m'imponi.

MEROPE

Tu piangi? Ah! se ti resta

senso de' mali miei, vendica, o prode,

di Epitide la morte.

Cleone, il più funesto

de' miei nemici, a Stige

mi preceda, o mi giunga. A Trasimede

quest'ultimo favor Merope chiede.

TRASIMEDE

E Merope l'avrà. (Scoppiar mi sento.)

MEROPE

Di più non chiedo. Assai per me tu oprasti,

io per te nulla posso.

Figlia, e moglie di re, vicina a morte,

son così sventurata

che ho un solo amico, e morir deggio ingrata.

TRASIMEDE

Amico no 'l diresti

se vedessi il mio cor. Reo tu no 'l sai:

è reo di grave colpa.

MEROPE

E di qual mai?

TRASIMEDE

Chiedilo alla mia stella, a' tuoi begli occhi,

al tuo merto, al mio core,

e allor saprai che la mia colpa è...

MEROPE

Taci.

Che se appieno t'ascolto,

perdonar più non posso.

TRASIMEDE

O perdono! O virtù!

(una guardia di Polifonte dà una lettera a Merope)

MEROPE

(l'apre subito)

Che fia? Qual foglio?

«Merope». A me il tiranno?

TRASIMEDE

Quegli è de' suoi custodi.

MEROPE

Ed ei qui scrisse.

(legge)

«Merope, alla tua morte

debbo qualche pietà. L'odio, ch'al rogo

sopravvive, ed all'urna, è troppo ingiusto.

D'Epitide tuo figlio

Cleon fu l'assassin. Prove sicure

n'ebbi da fido messo.» O scellerato!

«Al tuo giusto dolor farne vendetta

già ricusai, quand'era incerto il colpo,

or che l'autor n'è certo, a te lo dono.

Prendila, qual più vuoi. Verrà fra poco

Cleon nelle tue stanze. Ivi il tuo figlio

vendica, ivi il mio re. Così vedrai,

che non è Polifonte

quel tiranno, che pensi, e qual lo fai.»

TRASIMEDE

Gran conforto a' tuoi mali.

MEROPE

Doverlo a Polifonte assai mi duole.

Pur non si perda. Trasimede, io voglio

veder Cleon: fargli temer la morte

pria ch'e' la senta.

TRASIMEDE

E appieno

del suo misfatto assicurar te stessa.

MEROPE

Vanne. Seco mi lascia.

Poi, s'altro cenno mio non te 'l divieti,

fa' che in uscir da queste soglie, il fio

paghi del suo delitto,

dalla tua spada, e dall'altrui trafitto.

TRASIMEDE

Eseguirò l'alto comando.

MEROPE

Parti.

TRASIMEDE

Occhi amati, io partirò.

Per conforto del mio cor

vi dimando un guardo solo

vendicar allor potrò

con più forza e più valor

la mia pena, e 'l vostro duolo.

Occhi amati, io partirò.

Scena sesta

Merope, e poi Epitide.

MEROPE

Figlie di giusto sdegno, ire di madre,

è tempo di vendetta.

Lungi, o pietà. Cada l'iniquo esangue.

All'ucciso mio figlio... Eccolo. Ahi vista!

EPITIDE

Per comando real di Polifonte

a te vengo, o regina; anzi a te vengo

per impulso del cor, che in te compiange

l'innocenza tradita.

MEROPE

Di' che vieni, o crudel, perché il mio pianto

ti serva di trionfo. Armata d'ira

volea chiuder nel petto il mio dolore,

e non darti la gloria

di un barbaro piacer. Ma al primo sguardo

cede l'ira; e più forte

è al mio pensier l'idea del figlio ucciso,

che agli occhi miei dell'uccisor l'aspetto.

Godi, perfido, godi. Ecco il mio pianto

le gote inonda, e inumidisce il ciglio.

Inumano assassin! Povero figlio!

EPITIDE

L'odo? Non moro? E taccio?

Perdonami, o regina. È ver. Son reo,

ma non è la mia colpa

la morte del tuo figlio. Il duro avviso

io te ne diedi, e la mia colpa è questa.

Le lagrime, che spargi,

tu le spargi per me.

MEROPE

Per te, spietato,

vantane il bel trofeo, per te le spargo.

Ma poco ne godrai. Tremane, e senti.

Pochi, pochi momenti

ti restano di vita.

Sul primo uscir di queste soglie, al fianco

avrai la mia vendetta, e la tua morte.

EPITIDE

(Ah! non resisto più: tempo è ch'io parli.)

Quel figlio, che tu piangi...

MEROPE

Empio, tu l'uccidesti.

EPITIDE

Il tuo Epitide...

MEROPE

Mio? Tu me l'hai tolto.

EPITIDE

Madre...

MEROPE

Più tal non sono

dopo il tuo tradimento.

EPITIDE

Tornerai, se mi ascolti, ad esser madre.

MEROPE

Parla.

EPITIDE

Epitide vive.

MEROPE

Il so: tra l'ombre

del cieco regno.

EPITIDE

Ei vive

qual tu, qual io; questo è 'l suo cielo, e queste

sono l'aure ch'e' spira.

MEROPE

È vivo il figlio mio?

EPITIDE

Te 'l giuro, e 'l vedi e 'l senti, e quel son io.

MEROPE

Quello tu sei? Ah vile!

Tu sei Cleon! Del figlio

sei l'uccisor. La minacciata morte

si è fatta tuo spavento, e per fuggirla

mi vorresti ingannar. Ma questa volta

non ti varrà la frode.

EPITIDE

Ah madre!...

MEROPE

Taci.

Sol perché madre son, temer mi déi.

Non sei mio figlio. Il suo uccisor tu sei.

EPITIDE

Tacerò, morirò. Ma pria ch'io mora

ti parli Argia. Ti parli

la mia sposa fedel. Credi all'amante,

ciò ch'al figlio ricusi.

MEROPE

Olà, si faccia

venir qui Argia. Sospendo

sol per brevi momenti il tuo destino;

ma di Epitide sei l'empio assassino.

EPITIDE

Quando in me ritroverai

del tuo affetto

il dolce oggetto,

che farai?

MEROPE

Ti abbraccerò.

Ma se il perfido sarai,

per cui spento

è 'l mio contento,

che dirai?

Io morirò.

Scena settima

Argia, e li suddetti.

EPITIDE

Più non si nieghi il figlio ad una madre.

Parlò la mia pietade.

Ora parli il tuo amor. Dillo, alma mia,

cara adorata Argia.

ARGIA

A chi parli? Chi sei? Donde in te nasce

tanta o baldanza o frenesia d'amore?

Qual, regina, è costui? (Canti, o mio core.)

EPITIDE

Eh! Non finger, mio ben! L'arte non giova.

L'arcano è già svelato.

Tu lo conferma. Io son tuo sposo. Io quegli...

ARGIA

Intendo. Un mostro ucciso

ti dà qualche ragion sovra il mio core.

EPITIDE

No, no: di', che in me vedi

della Messenia il prence,

e di Merope il figlio.

Di' ch'Epitide io son.

ARGIA

No, tu no 'l sei.

MEROPE

Quello non sei. Già certa

è la perfidia tua. Parlò l'amante,

né s'ingannò la madre.

EPITIDE

O dio, te n' priego ancora!

MEROPE

Non più. Già ti abusasti

della mia sofferenza.

Dal più orribile oggetto

libera gli occhi miei.

EPITIDE

Argia...

ARGIA

Non ti conosco.

EPITIDE

I numi attesto.

ARGIA

(a Argia e poi ad Epitide)

Spergiuro è 'l traditor. Non ti do fede.

EPITIDE

Questo pianto ch'io verso...

MEROPE

Per te lo sparsi anch'io. Non t'ho pietade.

Parti. Ancor te 'l comando.

EPITIDE

Madre.

MEROPE

Se più resisti,

vedrò dopo il tuo pianto anche il tuo sangue.

ARGIA

(Son crudel per pietà.) Parti, o infelice.

EPITIDE

Argia. Merope. O cieli!

Deh! Per l'ultima volta...

MEROPE

Ancor t'arresti?

EPITIDE

Il tuo sposo son io.

ARGIA

Più non t'ascolto.

EPITIDE

Io sono il figlio tuo.

MEROPE

Tu me l'hai tolto.

EPITIDE

Sposa... non mi conosci.

Madre... tu non mi ascolti.

Eppur sono il tuo amor. Sono il tuo figlio.

(ad Argia)

Parla... ma sei infedel.

(a Merope)

Credi... ma sei crudel.

O dio! Scampo non ho, non ho consiglio.

Sposa... non mi conosci.

Madre... tu non mi ascolti.

Scena ottava

Merope, ed Argia.

MEROPE

Quasi m'intenerì. Quasi sedotta

il suo pianto mi avea.

ARGIA

Tutto è bugia.

MEROPE

Ne pagherà le pene.

Anzi in questo momento

quel cor fellon cade svenato all'ara

dell'infelice Epitide tradito.

ARGIA

Come? Svenato?

MEROPE

Sì. Dato era il cenno;

e fuor di quelle soglie

al varco l'attendea la mia vendetta.

ARGIA

Ah! va'. Corri. Sospendi...

MEROPE

Qual pallor? Qual pietà? Tardo è 'l consiglio.

Perì l'empio Cleone.

ARGIA

E nell'empio Cleon perì il tuo figlio.

MEROPE

Che sento? O dèi! Cleone,

Cleone è il figlio mio? Perché tacerlo?

Perché negarlo? Amici,

numi, soccorso. Ah! s'io non giungo a tempo,

son misera del pari, e scellerata.

Scena nona

Polifonte, e le suddette.

POLIFONTE

Fermati, arresta il piè, madre spietata.

MEROPE

O furia! O traditori!

POLIFONTE

Ti affligge il colpo?

Perché darne il comando?

MEROPE

Da te ingannata, iniquo mostro, e rio.

POLIFONTE

Per te Epitide è morto;

e furia, e mostro, e traditor son io?

Scena decima

Trasimede, e li suddetti.

TRASIMEDE

Regina...

MEROPE

La mia morte

compisci, Trasimede. Il cenno... Il figlio...

Di'. Parla. A che ammutir?

TRASIMEDE

Quanto dovea

fido eseguii.

MEROPE

Barbara fede! Iniquo

cenno! Crudel ministro!

Misera madre!

ARGIA

(a Trasimede)

Che? Tu l'amor mio?

Tu Epitide uccidesti?

TRASIMEDE

Di qual furor?...

MEROPE

Carnefice del figlio,

su, svena ancor la madre.

Un ferro per pietà. Chi mi dà morte?

POLIFONTE

Te la darà fra poco,

qual la merti, una scure.

Argia, duce, si lasci

costei con le sue furie,

e con l'idea de' suoi misfatti enormi.

Andiamo ad affrettarle il suo castigo.

MEROPE

Argia, gli ultimi pianti

teco anch'io verserò sul figlio amato.

ARGIA

Me il tiranno tradì: te l'empio fato.

(parte)

MEROPE

Già reo del sangue mio nel figlio ucciso,

me, Trasimede, ancor passi il tuo brando.

TRASIMEDE

Io reo? La mia gran colpa è tuo comando.

(parte)

MEROPE

Empio, va' pur. Non sempre

ti lasceran gli déi

lieto fissar sulle mie pene il ciglio.

POLIFONTE

L'empia sei tu, che trucidasti il figlio.

(parte)

Scena undicesima

Merope.

Sei dolor, sei furor ciò che m'ingombri?

Dove, dove mi guidi?

Mostri, spettri, chi siete? A che venite?

Polifonte. Ah tiranno!

Anassandro. Ah spergiuro!

Che turba è quella? Intendo.

Ecco il velo funebre. Ecco i ministri.

Ecco la morte mia. Su: che si tarda?

Il colpo che attendo,

crudeli, affrettate.

Piego il capo. Ferite, troncate.

Sposo, figli, messeni,

moro, e moro innocente.

Innocente! Un'empia sei,

tu che il figlio hai trucidato.

Perdona, o caro figlio.

Io credea vendicarti, e t'ho svenato.

Escimi tutto in lagrime,

sangue, che ancor dai vita al mio dolor.

Toglietevi, o mie luci, al fiero oggetto

più di morte crudel. Qual ferro è quello?

In qual seno e' si vibra? Trasimede,

ferma. Quegli è mio figlio.

Caro Epitide, o tanto

già sospirato, e pianto,

mio dolce amor: pur salvo

e ti trovo, e ti abbraccio.

Figlio, figlio... non rispondi?

Vieni, vieni, ond'io ti baci.

Perché fuggi? Perché taci?

O dio! Qual mi lusingo?

Apro al figlio le braccia, e l'aure stringo.

Ombra amorosa, anch'io

tosto ti seguirò

là ne gli Elisi,

solo per abbracciarti,

o figlio amato.

Allor col pianto mio

a te mostrar potrò

ch'io non ti uccisi,

ma sol poté svenarti

il crudo fato.

Scena dodicesima

Salone reale chiuso nel mezzo da cortine che pendono dal soffitto di esso.
Polifonte, Licisco, e poi Trasimede.

POLIFONTE

Mal fece il tuo signor, mal tu facesti

tacendo il vero.

LICISCO

Epitide...

POLIFONTE

In Cleone,

lo so, vivea nascosto.

Ma perì l'infelice

dall'empia madre ucciso.

La colpa, e la vendetta

qui ne vedrai. Poi tosto

esci dal regno mio.

Quel grado, che sostieni, e ch'io rispetto,

ti toglie al regio sdegno.

LICISCO

Ubbidirò. (Ma prima

ne' tuoi lacci cadrai, tiranno indegno.)

TRASIMEDE

Signor, tutto è già pronto. Un'alma iniqua

qui avrà la pena sua: qui un re la pace.

POLIFONTE

Merope ancor non giunge?

TRASIMEDE

Il reo va sempre

con lento passo a morte.

POLIFONTE

Strascinata ella venga,

se volontaria il niega, e collo e mani

di funi avvinta, traggasi l'indegna

al sanguinoso altar della vendetta.

Scena tredicesima

Merope fra Guardie, e li suddetti.

MEROPE

Merope non aspetta

d'esser tratta a morir. Libera viene;

né vuol la regal mano

l'oltraggio sofferir di tue catene.

Su, dov'è la mia morte?

Da chi l'avrò? Da scure? Io stendo il capo.

Da ferro? Io porgo il seno.

Sia tosco, fiamma sia, laccio, ruina,

qualunque sia, messeni,

morirò sì, ma morirò regina.

POLIFONTE

Tu ostenti per virtù la tua fierezza.

Ma farò, ch'ella tremi.

Vedi. Colà svenato,

e svenato da te, giace il tuo figlio.

Apri l'infausta scena, e fissa un guardo

su quelle, che pur sono

trofeo di tua barbarie, orride piaghe.

Se poi tarda pietà ti chiama ai baci,

baciale pur, ma con qual legge, or senti.

Sul freddo busto esangue

mano a man, seno a seno, e bocca a bocca

ti leghino, o crudel, ferree ritorte;

e tal vivi sin tanto

che il cadavere istesso a te dia morte.

LICISCO

Sacrilego!

TRASIMEDE

Inumano!

MEROPE

Ch'ascolto? Ahimè! Nell'alma

per qual via non usata entra l'orrore?

Averno non l'avea: l'ha Polifonte.

POLIFONTE

E per Merope l'abbia.

Via: che più tardi?

MEROPE

Al tuo furor si serva.

Chissà che al primo sguardo, al primo bacio

io non mora su voi, viscere amate.

(va per aprir le cortine, e poi si ritira)

O dio! Trema la mano. Il piè si arretra.

Si offusca il guardo. Io non ho cor.

POLIFONTE

Non l'hai,

e sì fiera il vantasti?

Orsù: già t'apro io stesso

l'apparato letal. Da voi, messeni,

sia il mio cenno ubbidito.

Mira. Epitide è quegli...

(al cenno di Polifonte s'alzano le cortine e danno luogo alla vista del rimanente della sala)

Ahi! son tradito!

Scena ultima

Epitide, Argia, Anassandro, e detti.
Séguito di Messeni, e di Soldati.

EPITIDE

Sì. Epitide son io.

MEROPE

Deh figlio!

EPITIDE

(a Merope)

Or non è tempo.

(a Polifonte)

Son tuo re: tuo punitor, tua pena;

(accennando Anassandro)

questi delle tue colpe

è 'l testimon. Lo raffiguri?

POLIFONTE

O stelle!

Vive Anassandro ancor?

ANASSANDRO

Vivo, e spergiuro,

per tuo rossor, per tuo tormento, o iniquo.

POLIFONTE

Trasimede, messeni, all'armi, all'armi.

Al vostro re s'insulta. Ira, ed inganno

s'armano a' danni miei.

TUTTI

Mori, o tiranno.

POLIFONTE

Mori? Chi mi difende?

LICISCO

O vile!

POLIFONTE

Aita.

ARGIA

O traditor!

POLIFONTE

Soccorso.

TRASIMEDE

O scellerato!

POLIFONTE

Pietade.

MEROPE

O Polifonte,

il tuo nome sol basta a dirti il mostro.

L'obbrobrio della terra.

POLIFONTE

È ver. Pietade.

MEROPE

Di Cresfonte l'avesti, e de' miei figli.

POLIFONTE

Gli uccisi, è ver. Pietade.

EPITIDE

L'avrai, ma sol da morte. Entro il più chiuso

della reggia e' sia tratto, e là si uccida.

POLIFONTE

Crudel, se così giusta è tua vendetta,

perché qui non l'adempi?

EPITIDE

Ove il padre uccidesti, ove i fratelli,

tu déi morir. Più orribile a' tuoi sguardi,

dove peccasti, apparirà la morte.

POLIFONTE

Andiam. Con qualche pace

morrò da voi lontano.

Felice me, se meco

trarr'io potessi al baratro profondo

Merope, Epite, e la Messenia, e 'l mondo.

(parte)

MEROPE

Vada con le sue furie. Impaziente

già corro ad abbracciarti,

o figlio.

EPITIDE

O madre.

MEROPE E EPITIDE

O gioia! O amore! O vita!

MEROPE

Qual dio ti preservò? Chi a me ti rese?

EPITIDE

Licisco fu. La morte egli sospese

che Trasimede a me vibrava in seno.

LICISCO

D'Anassandro il rimorso

fu la comun salvezza.

MEROPE

Perché a me lo tacesti?

TRASIMEDE

E potea dirlo,

presente il tuo tiranno?

ANASSANDRO

Or che gran parte

riparai di que' mali, onde reo sono,

supplice a' piedi tuoi chiedo la morte.

EPITIDE

L'esilio ti punisca, e ti perdono.

Trasimede, Licisco, a voi la vita

debbo, e lo scettro: a te, mia sposa, il core:

a te, madre, quant'ho: cor, scettro e vita.

ARGIA

O sposo!

MEROPE

O figlio!

TRASIMEDE

O generoso!

LICISCO

O degno!

MEROPE

Tal da due mostri è per te salvo il regno.

CORO

Dopo l'orribile

fiero timor,

di pace, e giubilo

si empia ogni cor.

Vinto è l'orgoglio,

spento è 'l terror,

ove ha la gloria

fede, e valor.

Dopo l'orribile

fiero timor,

di pace, e giubilo

si empia ogni cor.

Varianti all'atto terzo di D. Lalli

Dal libretto musicato nel 1734 da G. Giacomelli.

Aria scena I.

ARGIA

A chi dar morte? A chi?

Al bel che m'invaghì;

all'idol mio diletto

scudo sarà il mio petto,

e questo core.

A chi riparar lo sdegno

d'ingrata madre irata,

mi darà forza, e ingegno

un forte amore.

A chi dar morte? A chi?

Aria alternativa fine scena XI.

MEROPE

Là sul torbido Acheronte

vedo il figlio in nero aspetto.

Partì, o dio, dagli occhi miei,

ah! Che oggetto tu mi sei

di rimorso, e di terror.

No t'arresta, anch'io dolente

tua tiranna, ma innocente,

vo' abbracciarti o mio tesor.

Là sul torbido Acheronte

vedo il figlio in nero aspetto.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Varianti all'atto primo di D. Lalli Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Varianti all'atto secondo di D. Lalli Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena ultima Varianti all'atto terzo di D. Lalli