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MEROPE
Dramma da rappresentarsi per musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Apostolo ZENO.
Musica di Francesco GASPARINI.
Prima esecuzione: 26 dicembre 1711, Venezia.
Attori:
POLIFONTE tiranno di Messenia |
tenore |
MEROPE regina di Messenia vedova di Cresfonte |
soprano |
EPITIDE figliolo di Merope, creduto Cleone straniero |
soprano |
ARGIA principessa di Etolia |
soprano |
LICISCO ambasciator di Etolia |
soprano |
TRASIMEDE capo del consiglio di Messenia |
contralto |
ANASSANDRO confidente di Polifonte |
contralto |
Comparse di Soldati messeni per la real guardia di Polifonte, di Arcieri, di Soldati etoli con Licisco.
Altezza
La libertà, ch'io mi prendo di mettere il nome glorioso di v. a. in fronte a questo mio drammatico componimento, non nasce dal desiderio di offerirvi una cosa, ch'io giudico per più capi troppo inferiore al vostro merito, anzi al mio rispetto medesimo, ma dall'ambizione di vedermi pubblicamente onorato dal patrocinio di un principe così grande, che non solo è un ornamento del regno, dov'egli è nato, ma ancora di tutta l'Europa, dove la sua fama si è sparsa. In fatti che non debbo io sperare dall'autorità di un nome sì illustre, che in pochi anni è divenuto l'oggetto dell'amore di più monarchi, e della stima di più nazioni? La Polonia, la Germania, l'impero tutto vi riconoscono di comun consenso non solo erede della vostra nobilissima casa, ma ancora delle virtù de' vostri gloriosi antenati, e confessano, che come ne sostenete il decoro con la magnificenza del vivere, così ne mantennero la gloria anche con l'imitazione dell'opere: talché, se ora siete formato su l'idea di quelli che vi precedettero, un giorno ancora sarete l'esemplare di quelli, che da presso vi seguiranno. So bene, che il pubblico ora da me attenderebbe, ch'io divulgassi alcune di quelle eccellenti prerogative, che vi ha guadagnato l'universale venerazione: ma io altro non posso, se non rapportarmi a ciò che ne hanno detto, e che ne dicono di continuo e l'istorie, e le penne degli stranieri, cioè a dire le voci di coloro, che sono stati i testimoni dimestici delle vostre azioni, e che meglio di me conoscono l'eccellenze della vostr'anima, e quelle del vostro ingegno. In tal maniera io mi dispenso da un obbligo, il cui adempimento come per la vostra moderazione sarebbe poco soffribile, così per la mia insufficienza sarebbe troppo pericoloso, e dove la difficoltà dell'impegno né a voi gran piacere, né a me gran lode darebbe. Resta egli adunque, che io torni a ripetere, che non altro motivo mi ha spinto a dedicarvi il mio dramma, fuorché l'onore della vostra gloriosa protezione, dalla quale resti illustrato il mio componimento, e 'l mio nome, e che prevenga gli animi a mio vantaggio, talché pensino esser meno imperfetta la mia fatica, da che la veggono dal vostro gradimento sì ben difesa, e più difficilmente s'inducano a credere ch'io l'abbia malamente disegnata e distesa, da che ho saputo sì saviamente offerirla. Se in questo ho la temerità di aspirare alla vostra approvazione, sappiate, che come voi avete quella di tutti, così non v'ha persona, che non desideri di ottenere la vostra. Sono lontano da meritarla, ma comunque a me ne succeda, spero almeno, che dalla vostra bontà non mi sarà negata la grazia di potermi pubblicare al mondo per tutto il corso della mia vita, qual sono
di vostra altezza
umiliss.mo devotiss.mo osseq.mo servitore
N. N.
Argomento
Volendo Aristotele nel 15º capo della sua Poetica dare un esempio della più perfetta riconoscenza nelle azioni tragiche, la quale avviene allorché le persone non conoscono l'atrocità dell'azione che son per commettere se non dopo averla commessa e dopo il pericolo in cui sono state di commetterla, ne reca l'esempio di Euripide, il quale nella sua tragedia intitolata Cresfonte fa che Merope riconosca il figliolo nel momento medesimo in cui ella sta per ucciderlo. Siccome questa tragedia di Euripide non ci è stata conservata dal tempo, così egli è difficile e l'indovinare l'artifizio con cui egli avesse condotta la favola, e 'l sapere tutto l'argomento su cui l'avesse distesa. Quanto all'artifizio, se ne ha un piccolo barlume in Plutarco, il quale nel suo trattato Dell'uso de' cibi riferisce che Merope, nell'atto di svenare il figliolo non conosciuto da lei se non come assassino del suo figliolo medesimo, vien trattenuta opportunamente dall'arrivo di un vecchio da cui le vien fatto conoscere che quegli era il suo proprio figliolo. Quanto poi all'argomento, io ho creduto di averne trovate tutte le possibili circostanze non meno appresso Pausania nel lib. 4 che appresso Apollodoro nel lib. 2 della sua Biblioteca. Ed ecco in ristretto quel tanto che ho giudicato più acconcio alla condotta del mio disegno.
Cresfonte, uno della famosa prosapia degli Eraclidi, cioè a dire dei discendenti da Ercole, fu re di Messenia e marito di Merope, figliuola di Cipselo re di Arcadia. Per suggestione di Polifonte, che pur era degli Eraclidi, egli proditoriamente fu ucciso da Anassandro, servo confidente della regina, insieme con due teneri figliolini che presso di lui si trovavano. Epito, che da me nel dramma vien nominato anche Epitide, suo terzo figliolo, non soggiacque alla stessa disavventura perché allora in età ancor tenera trovavasi in ostaggio appresso Tideo re di Etolia. Morto Cresfonte, non si poté venir in chiaro dell'autore di tal misfatto, perché Anassandro fu tenuto occulto gelosamente da Polifonte. Il sospetto cade sopra la regina per essere stato l'uccisore suo confidente e suo servo; e questa voce fu avvalorata con arte anche da Polifonte. Ciò la escluse dalla reggenza, e Polifonte fu dichiarato re con obbligo di dover render lo scettro ad Epitide ogni qual volta questi capitasse in Messenia e fosse in età da governar da sé stesso. Il tiranno in tal mentre, invaghitosi di Merope, procurò di averla in moglie; ma questa chiese dieci anni di tempo, sperando che in tal mentre o si scoprisse il vero autore del commesso misfatto, o che il figliuolo già fatto adulto venisse a prendere il possesso della sua eredità e del suo regno.
In tale stato di cose passarono i dieci anni. Il re Tideo guardò in Etolia Epitide con tal diligenza che, quantunque Polifonte tentasse più di una volta, per mezzo di Anassandro spedito occultamente in Etolia, di farlo perire, non poté mai venirne a capo. Simulando di voler restituire il regno al suo vero erede, più volte fe' ricercare Tideo che dovesse mandare alla Messenia il suo principe; ma non potendo né meno con quest'arte trarre quel re nell'insidie, gli fece violentemente rapire Argia sua figliuola amata e promessa ad Epitide, a fine di obbligarlo in tal guisa a dargli in mano quei principi; e ciò fu cagione che il re di Etolia gli mandasse per suo ambasciatore Licisco amico di Epitide, e che Epitide entrasse non conosciuto in Messenia per intendere se Polifonte o Merope fosse colpevole della morte del padre e de' fratelli. Vi giunse appunto in tempo che la Messenia era gravemente molestata da un mostruoso cinghiale. Spirava inoltre quel giorno prefisso da Merope per far le sue nozze con Polifonte. Il rimanente s'intende dal dramma, il cui vero fine si è che Epitide racquistò la corona, Merope fu conosciuta innocente, e Polifonte, per aver ciecamente e per divino giudizio commessa altrui la morte di Anassandro, quando egli stesso dovea farla eseguire alla sua presenza, perde la corona e la vita.
Per maggiore intelligenza si dovrà avvertire che Messene era la capitale del regno posto alle falde di un monte sopra la cui sommità era la fortezza d'Itome; e che non lontano da essa corre il fiume Pamiso.
La devastazione fatta dal cinghiale del regno non dée parere inverosimile, sapendosi che tal fu quello ucciso da Ercole e l'altro pure ucciso da Meleagro; e che il cavalier Guarini ne ha pur un altro introdotto con poco diverso fine nel suo incomparabile Pastor fido. Stimerei felice questo mio per altro imperfettissimo componimento s'egli non patisse altra opposizione che questa.
Piazza di Messene con trono. Grand'ara nel mezzo con la statua d'Ercole coronata di pioppo. Tempio chiuso in lontananza. Tutta la scena è adornata di corone, e di rami di pioppo, consacrata ad Ercole.
Epitide.
Questa è Messene. Il patrio cielo è questo
dell'infelice Epitide. Cresfonte,
mio illustre genitor, qui diede leggi.
Qui nacqui re. Questa è mia reggia, e questi
famosi abitatori,
questi fertili campi a me son servi.
O memorie, o grandezze
mal ricordate e mal vantate! Errante,
misero, solo, inerme io vi rivedo;
e di tanti vassalli
un sol non v'è, che re mi onori; un solo
che pur mi riconosca; un sol che dia
almeno un pianto alla miseria mia.
(si volta verso la statua di Ercole)
Padre, e nume, Alcide invitto,
se gli umili onesti voti
d'un tuo germe a te son cari,
tu ben sai di qual delitto
son macchiati i patri lari.
Punitor di chi mi ha tolto
e fratelli, e padre, e regno,
qui mi tragge ardire e spene.
Ma l'idea del gran disegno
da te scende, e in me se n' viene.
Trasimede, e coro di Messeni, che portano in mano rami, e corone di pioppo, e cingendo in ordinanza il trono, e la statua, si prostrano in atto di offerire i loro rami, e le loro corone. Epitide in disparte.
CORO
Su su, messeni,
sospiri e prieghi.
EPITIDE
Quai genti son coteste? E con qual rito
cingono il regal seggio e il sacro altare?
TRASIMEDE
Sperar ci giova
che il cielo irato
alfin placato
per noi si pieghi.
Su su, messeni,
sospiri e prieghi.
EPITIDE
Signor, che al ricco ammanto, al nobil volto
ben mostri eccelso grado, e cor gentile,
ond'è che per Messene
suonan gemiti e strida? Ond'è che in atto
di supplici e dolenti offron costoro
que' verdi rami? E al cielo
fumo d'incensi, e di sospiri ascende?
TRASIMEDE
Garzon, che il quarto lustro
non compi ancor, se mal non credo al guardo,
qual sei dimmi, onde vieni? A che sì strane
spoglie vestir? Le delicate membra
perché d'ispida pelle,
e la tenera man perché si aggrava
di quel tronco nodoso?
EPITIDE
Tal è la sorte mia, che non mi lice
farne parte ad altrui, fuor che al re vostro.
TRASIMEDE
Il re dal tempio, ove adempiti egli abbia
i sacrifici, e i voti,
qui verrà in breve. Or ti compiaccio.
EPITIDE
Ascolto.
TRASIMEDE
Undici volte oggi rinato è l'anno
da che ucciso fu 'l nostro
buon re Cresfonte, e due
pargoletti suoi figli.
EPITIDE
Il caso acerbo
tutta d'orrore empié la Grecia, e d'ira;
ma dell'autor non è ben certo il grido.
TRASIMEDE
Anassandro egli fu.
EPITIDE
Costui m'è ignoto.
TRASIMEDE
Della regina Merope era servo.
EPITIDE
Può cader tal delitto in moglie, e madre?
TRASIMEDE
Per la credula plebe
fama rea se ne sparse;
ma il suo dolor, la sua virtù nel core
di chi meglio ragiona assai l'assolve.
EPITIDE
Perché dall'uccisor non trarne il vero?
TRASIMEDE
L'ombre il tolsero al guardo, e alla sua pena,
né di lui più s'intese.
EPITIDE
Altro germoglio
sopravvisse a Cresfonte?
TRASIMEDE
In Epitide vive
degli Eraclidi il sangue, e la speranza
dell'afflitta Messenia.
EPITIDE
Come a lui perdonò l'empio omicida?
TRASIMEDE
L'esser lungi in Etolia
ostaggio al re Tideo, fu sua salvezza.
EPITIDE
Perché al vedovo trono
non si chiamò l'erede?
TRASIMEDE
La sua tenera etade
ne fu cagione, e più 'l timor che anch'esso
di ferro, e di velen restasse ucciso.
EPITIDE
Ma de' pubblici affari il grave peso
cui si affidò?
TRASIMEDE
Divise
Merope, e Polifonte i nostri voti.
A lei nocque il sinistro
sparso rumor del parricidio. Eletto
Polifonte rimase,
degli Eraclidi anch'egli uom saggio e prode.
EPITIDE
(Sembianza di virtù spesso ha la frode.)
Né si pensò, che un giorno
richiamar si doveva il regal figlio?
TRASIMEDE
Sul crin di Polifonte è la corona
un deposito sacro.
All'erede ei la serba.
EPITIDE
Tanto modesta in Polifonte è l'alma?
TRASIMEDE
Gode Messenia in lui quel re, che ha pianto.
EPITIDE
Di che dunque si lagna ella, che il gode?
TRASIMEDE
Sente dell'altrui fallo in sé la pena.
EPITIDE
Per qual destin?
TRASIMEDE
Distrutti
da feroce cinghiai sono i suoi campi.
EPITIDE
E 'l messenio valor teme un sol mostro?
TRASIMEDE
Che può mai contra i numi il valor nostro?
Più volte armate schiere
dissipò il fiero dente. Altra speranza
non ci riman, che il cielo. A lui ricorso
fanno i pubblici voti.
EPITIDE
Sinché...
TRASIMEDE
Già s'apre il tempio.
(si apre la gran porta del tempio)
Il re, messeni, il re.
All'armi pronti, all'armi
vi tenga amore e fé.
(Trasimede entra nel tempio incontro a Polifonte)
EPITIDE
Nella gran turba io mi nascondo. Intanto
penso a gran cose e generoso e forte.
Epitide, ecco il giorno. O regno o morte.
Polifonte, e Trasimede uscendo dal tempio con Séguito.
Epitide in disparte. Polifonte va a sedere sul trono.
POLIFONTE
Stanco, popoli, è 'l cielo
delle lacrime nostre.
Le vittime ei gradì. Lieti ne diede
la vampa i segni, e fausti
l'esaminate viscere gli auspici.
Che più? Placato, il nume
chiaro parlò! Tu del voler celeste
leggi qui, Trasimede, il gran rescritto;
ed intanto respiri
dal passato spavento un regno afflitto.
(porge a Trasimede la risposta dell'oracolo, e Trasimede legge)
TRASIMEDE
«Ha Messenia due mostri. Oggi ambo estinti
cadranno, un per virtude, un per furore:
restino poscia in sacro nodo avvinti
l'illustre schiava, e 'l pio liberatore.»
POLIFONTE
Udiste? Or chi nell'alma
nutre spirti guerrieri, e chi nel braccio
tiene valor, vada, combatta, e vinca.
La sua virtù rinforzi
con la voce del nume, e col sicuro
piacer di un premio illustre.
Che se pur tra' messeni
non v'è core sì forte, alma sì ardita,
v'è Polifonte. Egli esporrà per voi,
(si leva in piedi)
non re, ma cittadino, e sangue, e vita.
(discende dal trono)
EPITIDE
(si avanza)
Nella sua vita espor non dée chi regna,
la salvezza comun. L'orride belve
affronti anima forte,
non regal braccio; e se a Messenia ardire
manca, e virtude, io, sire,
giovane, qual mi vedi, inerme, e solo,
tanto osar posso. Imponi,
ch'io là sia tratto, ove si pasce il fiero
cinghial di mille stragi.
L'abbatterò, non primo
trofeo della mia destra.
E se cadrò, Messenia
mi darà lode, e fia,
ch'ella di pochi fiori
a me sparga la tomba, e l'ossa onori.
POLIFONTE
Giovane, o sia che troppo
di te presumi, o che gli dèi tu segua
già impietositi, ai vili
fia stupore il tuo esempio, invidia ai forti.
Molto a te dée Messenia,
nulla tu a lei. Straniero
ai panni, al volto, al favellar tu sembri.
EPITIDE
Etolia, Argo, Micene e quanto è Grecia,
tutto è patria a chi è greco. Io greco sono,
né per lieve cagion qui trassi il piede.
Più dir non posso. All'ora
che dal cimento io vincitor ritorni,
saprai qual sia, perché ne venga e donde.
POLIFONTE
Custodi, olà: si scorti
questo prode in Itome. Ivi, se al vanto
risponde l'opra, è tuo il trionfo, e tuo
il premio ne sarà.
EPITIDE
Premio non cerco.
Cerco un popolo salvo; e meco porto
le speranze d'un regno.
TRASIMEDE
Un dì tal vide
forse la Grecia il giovanetto Alcide.
EPITIDE
Furie superbe
di mostro orrendo,
vi abbatterò.
E andar mordendo
i sassi e l'erbe
vi mirerò.
Furie superbe
di mostro orrendo,
vi abbatterò.
(parte con due guardie di Polifonte)
Polifonte, e Trasimede.
POLIFONTE
Ver noi, se non m'inganno,
parmi venir Licisco.
TRASIMEDE
È desso appunto.
Nunzio del re Tideo più volte il vide
la nostra reggia.
POLIFONTE
Io qui l'attendo. Intanto
tu mi precedi alla regina; e dille,
che il dì prefisso è giunto
di nostre nozze. Ella al mio amor dieci anni
di sofferenza impose.
La compiacqui, e soffersi. Oggi pur compie
la dura legge. All'imeneo promesso
oggi ella accenda le giurate faci.
TRASIMEDE
Ubbidirò. (Pena mio core, e taci.)
(parte)
Polifonte, e Licisco con séguito di Etoli.
POLIFONTE
(alle guardie)
Custodite il re vostro.
LICISCO
Re Polifonte, al cui voler sovrano
di Messenia ubbidisce il nobil regno,
il re Tideo, che glorioso impera
sull'Etolia possente,
m'invia suo nunzio. Ecco la carta, ed ecco
la tessera ospitale, e 'l noto segno.
(presenta a Polifonte le lettere credenziali)
Egli si duol, che contra il dritto, e i patti
di scambievole pace,
tu rapirgli abbia fatto Argia sua figlia.
La grave offesa è d'alta piaga impressa
in cor di re, e di padre. Al suo dolore
diasi compenso. O gli si renda Argia,
o coprirà della Messenia i campi
d'armati, e d'armi, e pagheran la pena
d'un atto ingiusto i popoli innocenti.
Tanto espone il mio re. Qual più ti piace,
scegli, amico, o nemico, o guerra, o pace.
POLIFONTE
Licisco, in brevi note ecco i miei sensi.
Vendicar si doveva
con la forza la forza.
Dall'etolico re, perché si niega
Epitide al suo regno?
Egli ce 'l renda, e noi daremo Argia.
LICISCO
Non è più in suo poter ciò che gli chiedi.
POLIFONTE
Vani pretesti. Il re Tideo, se pensa
o farci inganno, o intimorirci, egli erra.
Scelga qual più gli aggrada, o pace o guerra.
LICISCO
Come, o dio! Qui non giunse
l'infausto avviso? E come
ciò ch'a tutta la Grecia è già palese,
in Messenia si tace?
POLIFONTE
E che?
LICISCO
La morte
dell'infelice Epitide.
POLIFONTE
Che narri? Morto? Ma dove e come?
LICISCO
Nella Focide appunto,
colà dove il sentiero in due diviso
parte a Dauli conduce, e parte a Delfo.
POLIFONTE
Stelle! E chi mai versò sangue sì illustre?
LICISCO
Vario ne corre il grido,
e al nostro re, da grave doglia oppresso,
mesto ne giunse e replicato il messo.
POLIFONTE
Cieli! Avete più fulmini? Volete
altro pianto, altro sangue? Eccovi il mio.
O stirpe de gli Eraclidi infelice!
Misero regno! Prence sfortunato!
(Ma s'Epitide è morto, io son beato.)
LICISCO
Giusto dolor.
POLIFONTE
Sino a più certo avviso
tacciasi il fiero caso; e la mia reggia
sia tua dimora.
LICISCO
In tanto
che risolvi d'Argia?
POLIFONTE
Non ascolto che furori,
non rispondo che vendette.
(Fingo dolore, e sdegno, e lieto io sono.)
Al tradito, all'innocente
de gl'infami traditori
cruda strage un re promette.
(Oggi ho sicuro il regno, e fermo il trono.)
Non ascolto che furori,
non rispondo che vendette.
Licisco.
Non si lasci sedur candida fede
da un dolor menzognero, o almen sospetto.
Merope, Polifonte,
tutto si tema. Epitide si salvi
con la frode innocente, e giunga al regno.
Ma come amor qui no 'l riveggo? Ei pure
mi precedé. Qual fato
lo ritarda a Messene, e a' voti miei?
L'alma real voi proteggete, o dèi.
Se ogn'or con la virtù si unisse il fato,
un innocente cor
saria senza timor
sempre beato.
Ma che? L'empio sovente
opprime l'innocente,
e con orgoglio il fa
falsa felicità.
Più scellerato
se ogn'or con la virtù si unisse il fato.
Stanze di Polifonte in villa con porta segreta.
Merope.
Ecco pur giunto il giorno,
che dir poss'io di mia sciagura estrema.
Era poco, o fortuna, avermi tolto
il regno non dirò, ma sposo, e figli,
da man crudel barbaramente uccisi.
Era poco in esilio
tenermi il caro Epitide, in cui solo
consolarmi potessi. Era anche poco pubblicarmi a Messenia
moglie iniqua, empia madre, e del mio sesso,
anzi del mondo il più esecrabil mostro.
Di Polifonte al letto
vuoi ch'io passi, e 'l consenta. Il decim'anno
giurato alle mie nozze oggi si compie.
O giorno! O legge! O giuramento! O nozze!
O Polifonte! O troppo avversi dèi!
O troppo acerbi mali,
che, per dirvi spietati, io dirò miei.
Vedrassi nel suo nido
la casta tortorella
amar quel serpe infido,
che già l'avvelenò;
ma ch'io prometta amor
al mio tiranno, no,
non si vedrà.
Talor mostrar potrà
lo sdegno suo placato
a lui, che dispietato
i figli a lei rapì;
ma pace dal mio cor
l'empio, che mi tradì,
mai non avrà.
Vedrassi nel suo nido
la casta tortorella
amar quel serpe infido
che già l'avvelenò.
Trasimede, e Merope.
TRASIMEDE
Con qual senso, o regina,
di comando fatal nunzio a te venga,
lo sa il ciel, lo sa l'alma (e amor se 'l vede).
MEROPE
E nunzio di sponsali, e di grandezze
vieni sì mesto? Eh! più sereno in volto
dimmi regina, e sposa.
Precedimi più lieto
al soglio antico, alle novelle tede.
Già le attende la Grecia, e un re le chiede.
TRASIMEDE
Le chiede un re, ma pria da te promesse:
volute non dirò, che ben più volte
lessi ne' tuoi begli occhi
contro di Polifonte, odio, e disprezzo.
MEROPE
E quest'odio alla tomba
mi sarà scorta. Io sposerò il tiranno,
per poi svenarlo in alto sonno oppresso:
indi col ferro istesso
fumante ancor dell'odioso sangue
sulle vedove piume io cadrò esangue.
TRASIMEDE
Tolgan gli dèi sì barbaro disegno.
MEROPE
No, no: compiasi l'opra.
Sperai qualche rimedio
dal tempo, o dalla morte.
Quel mi tradì: mi riman questa, e questa
non può mancarmi. Merope una volta
o forte, o disperata
finisca di morir, ma vendicata.
TRASIMEDE
Regina, era mia pena, e pena atroce
il pensarti altrui sposa:
ma se all'aspra sciagura altro rimedio
non ti riman che morte,
vattene. Polifonte
ti accolga fortunato, e seco regna.
MEROPE
Regnar con Polifonte? E Trasimede
mi consiglia così? Questa è la fede
tante volte giurata?
TRASIMEDE
Ahi! Che far posso?
MEROPE
Se m'hai pietà, se la memoria illustre
del buon re nostro ucciso ancor ti è cara,
sull'orme di Anassandro
antri romiti, e foschi,
ciechi, e solinghi boschi,
monti, valli, dirupi,
tutto, tutto ricerca; e quell'infame
si arresti, s'incateni, a me si guidi.
Quest'è il sol mio rimedio. A te lo chiedo.
Vanne, e tua gloria sia
e la mia vita e l'innocenza mia.
TRASIMEDE
Quanto può zelo e fé,
tutto farà per te
l'alma fedele.
Se ingiusto il ciel non è,
trarti legato al piè
spero il crudele.
Quanto può zelo e fé,
tutto farà per te
l'alma fedele.
Merope, e Argia.
MEROPE
Voi che sapete, o dèi, la mia innocenza,
reggete i passi suoi.
ARGIA
Non più sola, o regina,
andrai costretta alle giurate nozze.
Gli dèi della Messenia
voglion le mie.
MEROPE
Qual fia lo sposo?
ARGIA
Al prode
uccisor del rio mostro
il decreto del ciel mi vuol consorte.
MEROPE
Fausto sarà ciò che comanda il nume.
ARGIA
Il nume o mal s'intende
o ubbidito mal fia.
Né consorte d'Argia
altri sarà che Epitide, né punto
a me cal la Messenia, onde il mio amore
sacrificar le debba, e 'l mio riposo.
Polifonte, e suddetti.
POLIFONTE
Dato dal ciel ricuserai lo sposo?
ARGIA
Il mio sposo è già scelto. Amor v'applaude,
il genitor lo approva, e Argia l'adora.
POLIFONTE
Ma te 'l contrasta il fato.
ARGIA
E chi l'intende?
POLIFONTE
Chiaro ei parlò.
ARGIA
L'umano intendimento,
dove il ciel parli, è tenebroso, e cieco.
POLIFONTE
Più cieco egli è dove l'appanni amore.
MEROPE
(a Polifonte)
Pe 'l caro figlio ella piagato ha il core.
ARGIA
Sì: Epitide a te figlio, a te sovrano
a Merope e poi a Polifonte
è la face onde avvampo.
Non v'è re, non v'è nume
sopra la libertà del voler mio.
Dillo amor, dillo orgoglio.
Sono Argia. Son regina. Amo chi voglio.
Arder voglio a quella face,
che mi strugge, e che mi piace:
e a mio gusto, a mio talento
amar posso e disamar.
Su quel libero volere,
che nell'alme il cielo imprime,
il destin non ha potere
che lo sforzi a non amar.
Arder voglio a quella face
che mi strugge, e che mi piace:
e a mio gusto, a mio talento
amar posso e disamar.
Merope, e Polifonte.
POLIFONTE
Del cor d'Argia resti la cura a' numi.
Del tuo, bella regina,
ragion ti chiedo. Ei per tua legge è mio,
pegno della tua fede a me giurata,
prezzo di mia costanza a te serbata.
MEROPE
Polifonte, a tuo merto
tu ascrivi un lungo, e sofferente amore;
tal no 'l cred'io. Chi può soffrir due lustri
che un lontano imeneo giunga, e maturi,
o nulla il brama, o poco.
POLIFONTE
Tutto può tollerar cor che ben ama.
MEROPE
E se ben ama il tuo, due lustri ancora
soffra d'indugio, e poi sarò tua sposa.
POLIFONTE
Che due ne soffra ancora?
MEROPE
E avrai più merto.
POLIFONTE
No: già son corsi i due. Tu gli hai prescritti,
la legge è ferma. Il giuramento è dato.
Né più negar, né differir più lice
a te per esser giusta, e a me felice.
MEROPE
Polifonte, ti parli
Merope più sincera.
T'odio, quant'odiar puossi
un carnefice, un mostro, un parricida.
POLIFONTE
Merope, odiarmi tanto?
Dell'amor mio tanto abusarti? E tanto
della mia sofferenza? E in che t'offesi?
MEROPE
In che mi chiedi? Il dica
il rimorso al tuo core:
e se pur giunto sei nelle tue colpe
a non sentir rimorso,
empio, te 'l dica il sangue
de' miei figli svenati,
del mio sposo tradito.
POLIFONTE
Sì tradito, e da chi? Già m'arrossisco
rinfacciarti una colpa
che d'obbrobrio fatal sparge il tuo nome;
ma il perfido Anassandro era tuo servo.
MEROPE
Dillo ministro infame
de' tuoi consigli, e di quel cieco orgoglio,
che ti spinse a salir sul non tuo soglio.
POLIFONTE
T'intendo pur, t'intendo.
Polifonte qui regna, e perché regna,
con odio, e con orror Merope il fugge.
MEROPE
Non t'odio perché re. Mal mi conosci.
Più giusto è l'odio mio. Basta. Ancor vive
l'empio Anassandro. Ancor mi resta un figlio,
per me ancora v'è un Giove.
POLIFONTE
Ed al tuo Giove in faccia
al talamo verrai.
MEROPE
Dimmi al sepolcro,
e verrò più tranquilla.
POLIFONTE
No, no: dell''odio tuo sien la gran pena
gli sponsali giurati.
Strascinata all'altar verrai costretta,
più che dal mio comando,
dal sacro tuo solenne giuramento.
MEROPE
(O giuramento! O Merope infelice!)
Orsù verrò, tiranno;
ma senti qual verrò: senti qual devi
attendermi consorte.
Non il sacro imeneo, non la pudica
Giuno, né i casti coniugali numi
uniranno a quell'ara i nostri cori.
Voi, tremende d'abisso
implacabili furie, e tu funesta
sanguinosa discordia,
odio, morte, terror, tutti v'invoco
pronubi alle mie nozze. Ardan per voi
sul letto profanato
le sacrileghe faci,
e voi di fiori invece
spargetelo di serpi e di ceraste,
sinché pallido, esangue, e tronco busto
quel tiranno crudel per me si scerna
dormir l'ultimo sonno in notte eterna.
D'ira e di ferro armata,
nemica e dispietata
al regio talamo
ti seguirò.
L'odio, l'orror, lo scempio
saranno i primi vezzi
con cui l'iniquo ed empio
mio sposo incontrerò.
D'ira e di ferro armata,
nemica e dispietata
al regio talamo
ti seguirò.
Polifonte, e poi Anassandro.
POLIFONTE
Lasciatemi, o custodi.
(le guardie partono)
Perdasi ogni misura
con chi perde ogni legge, e si prevenga
un insano furor.
(chiude l'uscio al di dentro)
L'uscio è già chiuso
ora ben t'avvedrai, femmina ingrata,
(presa una chiave, apre una porticella segreta)
quanto possa un'offesa in cor reale.
(affacciandosi all'uscio)
Olà, Anassandro. Epitide già estinto
Merope ancor si estingua.
Anassandro.
(esce Anassandro dal gabinetto)
ANASSANDRO
La voce
del mio signor pur giunge
a ferirmi l'udito.
POLIFONTE
E a trarti insieme
da quel muto soggiorno
alle braccia reali, e al chiaro giorno.
(lo abbraccia)
ANASSANDRO
A quale alto tuo cenno ubbidir deggio?
Tutto mi fia men grave
di quest'ozio profondo, in cui sepolto
tra rimorso e timor peno, e sospiro.
POLIFONTE
Non è pena men fiera a Polifonte
dover finger pietade, usar clemenza,
quando il genio feroce
non conosce altri dèi, che il suo potere,
e non ha per ragion che il suo volere.
ANASSANDRO
Con quest'arte tu regni.
POLIFONTE
Ed ecco il tempo
ch'io ti chiami a goderne.
Basta che tu vi assenta, e che tu dia,
fedele amico, il compimento all'opra.
ANASSANDRO
Eccomi. Vuoi ch'io torni
nella reggia di Etolia, e colà sveni
anche in braccio a Tideo
il mal guardato Epitide? Son pronto.
POLIFONTE
Morì già l'infelice, e senza nostra
colpa morì. Ciò che al tuo zelo io chiedo
è facile impresa. Esci in Itome.
Soffri, che tra catene
ti rivegga Messenia.
Della morte de' figli e del marito
accusa la regina, e attendi poi
dalla mano real di Polifonte
e grandezze, e tesori. Ancor del trono
vieni a parte, se vuoi. Tutto è tuo dono.
ANASSANDRO
La regina accusar?
POLIFONTE
Sì. Qual rimorso?
ANASSANDRO
Quello che più risente un'alma ingrata.
POLIFONTE
In Merope riguarda
la nemica comun.
ANASSANDRO
Ravviso in essa
anche la mia regina.
POLIFONTE
Se n'hai pietà, la nostra morte è certa.
ANASSANDRO
E se l'accuso, io sono
de' viventi il più indegno e 'l più perverso.
POLIFONTE
Dopo il commesso parricidio enorme
la colpa ti spaventa? Il tardo orrore.
ANASSANDRO
Mio re, non più. Si serva
alla nostra salvezza, e alla tua sorte.
Merope accuserò.
POLIFONTE
Caro Anassandro,
della grandezza mia fido sostegno,
per te dir posso: è mio lo scettro, e 'l regno.
Penso, e non ho mercede
né degna di tua fede,
né pari al mio voler.
Se in me trovi ingrato il core,
no 'l dir colpa dell'amore,
ma difetto del poter.
Penso, e non ho mercede
né degna di tua fede,
né pari al mio voler.
Anassandro.
Non si cerchi, Anassandro, altro consiglio.
In un pelago siamo, onde n'è forza
uscirne, o naufragar. Fatta è la colpa
necessità per noi. Nei primi eccessi
anche gli ultimi a farsi abbiam commessi.
Partite dal mio sen, reliquie estreme
d'onore, e d'innocenza, e di pietà.
Non si turba, non geme, non teme,
chi del fallo rimorso non ha.
Partite dal mio sen, reliquie estreme
d'onore, e d'innocenza, e di pietà.
Dal libretto musicato nel 1734 da G. Giacomelli.
Aria alternativa fine scena III.
EPITIDE
Dono d'amica sorte
non cura il mio valore,
che quando il braccio è forte,
l'alma timor non ha.
Sarà quel mostro fiero,
trofeo del mio furore
e pace un regno intero
del mio coraggio avrà.
Dono d'amica sorte
non cura il mio valore,
che quando il braccio è forte,
l'alma timor non ha.
Aria aggiunta a fine scena IV.
TRASIMEDE
Del tuo sovran volere
porto la legge a lei.
(E ad essa affetti miei
parlate voi per me.)
E dal suo cenno istesso,
del suo bel core avrai,
il libero permesso,
la sospirata fé.
Del tuo sovran volere
porto la legge a lei.
Aria alternativa fine scena V.
POLIFONTE
Tutti i pensieri impegno
per vendicar l'oppresso.
Non penso più del regno,
non curo più me stesso,
non ho più pace al cor.
(Ma chi nel sen leggesse
il bel piacer ch'io sento
vedrebbe pur che mento
ch'è falso il mio dolor.)
Tutti i pensieri impegno
per vendicar l'oppresso.
Non penso più del regno,
non curo più me stesso,
non ho più pace al cor.
Aria alternativa fine scena VI.
LICISCO
Sin che il tiranno scendere
dal soglio non si vede,
e al trono stesso ascendere
il combattuto erede,
sento il mio core esanime,
più respirar non so.
Ma quanto tarda, oh dèi,
quel sospirato istante,
in cui sperar dovrei
quel che bramando io vo.
Sin che il tiranno scendere
dal soglio non si vede,
e al trono stesso ascendere
il combattuto erede,
sento il mio core esanime,
più respirar non so.
Aria alternativa fine scena VIII.
TRASIMEDE
Io già sento nel mio petto
tale affetto
tal valore,
che l'iniquo traditore
al tuo piede io porterò.
Sol che in me pietosa i rai
volga ormai
tutto fede,
tutto ardir per te sarò.
Io già sento nel mio petto
tale affetto
tal valore,
che l'iniquo traditore
al tuo piede io porterò.
Aria alternativa fine scena X.
ARGIA
A questa face, e a quella
vuol ardere il mio core,
e libero l'amore
voglio per me serbar.
Non v'è nemica stella,
non v'è potere umano,
che questo don sovrano
del ciel possa involar.
A questa face, e a quella
vuol ardere il mio core,
e libero l'amore
voglio per me serbar.
Aria alternativa fine scena XI.
MEROPE
Barbaro traditor
porta l'amor, la fé
lungi da questo cor,
amor tu chiedi a me?
Mira ne' danni miei
qual sono, qual tu sei
empio tiranno.
Odio, furor, velen,
per te sol nutro in sen,
premio al tuo inganno.
Barbaro traditor
porta l'amor, la fé
lungi da questo cor,
amor tu chiedi a me?
Finale alternativo a partire dalla fine della scena XII.
ANASSANDRO
Con inganno fortunato,
la costanza di mia fede
a te regno serberà.
E lagnandosi del fato
al tuo piè chiamar mercede
l'innocenza si vedrà.
Con inganno fortunato,
la costanza di mia fede
a te regno serberà.
Scena XIII.
Polifonte, poi Epitide.
POLIFONTE
Guardie, a me lo straniero.
Sulla fé d'Anassandro uopo è ch'io appoggi
le mie regie speranze. Il colpo è tratto.
EPITIDE
Impaziente attendo
il momento, signor, che mi conduca
a liberar dal comun danno il regno.
POLIFONTE
In Itome ei si scorti. Il suo sostegno
la Messenia in te mira.
Ti giuro un cor della tua fé condegno.
Scena XIV.
Epitide.
EPITIDE
Unitevi ad amore
miei pensieri di gloria, e di vendetta,
e poi tutto sperate dal mio core.
Argia dolce il mio bene, e dove sei?
Oh dio, chi ti nasconde agli occhi miei?
Che gran pena! Che tormento
nel mio core o dio risento.
Non m'avanza più costanza
tanta pena a tollerar.
Mi si asconde il caro bene,
mi tradisce la mia spene,
mi spaventa il mio penar.
Che gran pena! Che tormento
nel mio core o dio risento.
Non m'avanza più costanza
tanta pena a tollerar.
Montuosa con rocca nell'alto, grotta nel mezzo, e palazzo delizioso nel basso.
Polifonte, Licisco.
POLIFONTE
Fu voler degli dèi ciò che rapina
parve forse alla Grecia.
Fatta è mercede al vincitore Argia.
LICISCO
Dal re suo padre il suo destin dipende.
POLIFONTE
E dipende dal ciel quel de' regnanti.
LICISCO
(Epitide, se perdi
la bella Argia, ben ne preveggo i pianti.)
Merope, e detti.
MEROPE
Sull'orme di Licisco
vengo dolente madre. Infausto grido
sparso è d'intorno. E' morto il figlio, o vive.
LICISCO
Ciò che dirti può 'l re, taccia Licisco.
POLIFONTE
E a Merope, che 'l chiede un re no 'l dica.
MEROPE
Crudel! perché si niega
un sì giusto conforto ad una madre?
LICISCO
Chi più figli non ha, non è più madre.
MEROPE
Ah! Lo dicesti pur: morto è 'l mio figlio.
LICISCO
Alla madre morì, pria che alla vita.
MEROPE
È la vita, ch'ei spira, egli è pur sangue
delle viscere mie.
POLIFONTE
Tuo sangue ancora
era quel di due figli.
MEROPE
Ed io lo sparsi?
POLIFONTE
La Messenia lo sa: la fama il dice.
MEROPE
Basta che il cor mi assolva, e che gli dèi
veggan la mia innocenza e la mia fede.
LICISCO
Innocente esser puoi,
ma la Grecia lo niega.
POLIFONTE
E un re no 'l crede.
MEROPE
Empio, non sempre esulterai sul pianto
dell'oppressa innocenza.
POLIFONTE
Chi d'infamia ha rossor, fugga la colpa.
MEROPE
E chi di colpa è reo, tema la pena.
POLIFONTE
Ah! Merope del tuo, del tuo delitto
con qual fronte mi accusi? E con qual prova!
Dal pubblico giudizio eccomi pronto
a ricever la legge, e dal castigo
non mi esenti il diadema.
LICISCO
Ove il reo non è certo, ogn'un si tema.
POLIFONTE
Ma qual suono festivo odo dal monte?
Preceduto da festoso séguito di Messeni, Epitide esce dalla grotta e viene scendendo dal monte. I suddetti.
EPITIDE
Piagge amiche fortunate...
LICISCO
(D'Epitide è la voce.)
EPITIDE
Piagge amiche fortunate,
festeggiate. Il mostro è ucciso!
E con onde al mar turbate
più non corra il bel Pamiso.
Piagge amiche fortunate,
festeggiate. Il mostro è ucciso!
POLIFONTE
Lascia, che al seno, o generoso, o prode
del messenico regno
liberator... Perché t'arretri?
EPITIDE
Avvezze
con le fiere a lottar braccia selvagge
ricusano l'onor di regio amplesso.
MEROPE
(O dèi! Qual, se l'ascolto, e qual se 'l miro,
mi si desta nell'alma inusitato
non inteso tumulto?)
POLIFONTE
Libero è 'l regno; ogn'alma esulta; e sola
nel pubblico piacer Merope è mesta?
EPITIDE
Che? La regina... O dio! Merope è questa?
MEROPE
Merope sì, non la regina. Un'ombra
son di quella, che fui.
EPITIDE
Concedi, o donna eccelsa,
(ah! quasi dissi, o madre)
ch'io baci umil la nobil destra.
MEROPE
(O bacio,
onde in seno mi è corso e gelo e foco!)
POLIFONTE
Come? Di Polifonte
fuggir le amiche braccia? E imprimer poi
su colpevole man bacio divoto?
EPITIDE
Giurai di farlo, ed or ne adempio il voto.
POLIFONTE
Perché il giurasti? A chi?
MEROPE
Straniero, addio.
(Cresce in mirarlo il turbamento mio.)
EPITIDE
(trattenendo Merope)
Ciò ch'esporrò, regina,
la tua richiede, e la real presenza.
MEROPE
O ciel! La mia? Parla. Chi sei? Che rechi?
EPITIDE
Mi accingo ad ubbidirti.
Etolo io son. Ne' calidoni boschi
della saggia Ericlea nacqui ad Oleno.
Il mio nome è Cleon.
LICISCO
(Par vero il falso:
con tal arte l'adorna.)
MEROPE
Or d'Etolia a noi vieni?
EPITIDE
Vengo di Delfo. Ivi desio mi trasse
di saper la mia sorte. Ove si parte
la via tra Delfo e Dauli
trovai nobil garzon giacer trafitto.
POLIFONTE
Che? trafitto un garzon tra Dauli e Delfo?
LICISCO
Nella Focide?
EPITIDE
Appunto.
LICISCO
Quant'ha?
EPITIDE
Sei volte, e sei rinato è 'l giorno.
LICISCO
(a Polifonte)
Tutto s'accorda, e 'l tempo, e 'l loco.
POLIFONTE
Estinto!
Il ferito giacea?
EPITIDE
Tanto di vita
spirava ancor, che poté dirmi: «Amico,
moro. Di masnadieri
turba feroce, alle rapine intesa,
mi assassinò. Nel fior degli anni io moro.»
MEROPE
Misero!
EPITIDE
«Di Messene
nella reggia», soggiunse, «a Polifonte,
ed a Merope reca
quest'aureo cinto, e questa gemma illustre,
mie spoglie, e mio retaggio.
Bacia per me di Merope la destra;
la destra sì, che forse
mi chiuderebbe in mesto uffizio, e pio
le gravi luci.» Egli in ciò dir la mano,
ch'io stesa avea, strinse alla sua. Poi tacque,
gettò un sospiro, abbassò i lumi e giacque.
MEROPE
Qual funesta caligine m'ingombra?
Qual freddo orror m'empie le vene e l'ossa?
Sentì l'alma presaga
l'infausto annunzio. O desolato regno!
O sconsolata madre!
Epitide, il mio amore, il mio conforto,
l'unico figlio, il caro figlio è morto.
POLIFONTE
Tace ne' gravi mali un gran dolore.
(Sappi occultar l'interna gioia, o core.)
LICISCO
Freno al dolor. Non è la ria sciagura
ben certa ancor.
MEROPE
Sì: che più tardi? Il cinto
dov'è? Dove la gemma, antico dono
d'infelice regina?
EPITIDE
E quello, e questa
eccoti, o regal donna. (Al suo tormento,
del mio inganno crudel quasi mi pento.)
MEROPE
Spoglie del figlio ucciso,
del mio misero amor memorie infauste,
desse pur troppo siete.
Ben vi ravviso. Or che più cerco? Vieni
per questi ultimi baci,
per questi amari pianti,
vieni sul labbro, o cor; vieni sul ciglio:
è morto il caro figlio.
EPITIDE
(Resisto appena.)
LICISCO
(a Polifonte sottovoce)
Il grido
nulla mentì del caso acerbo, e fiero.
POLIFONTE
(a Licisco)
Ma di Merope il pianto è menzognero.
MEROPE
(Quietatevi, o singulti. Omai l'oggetto
si cerchi alla vendetta; e si risvegli,
qual dall'onda l'ardor, l'ira dal pianto.)
Dimmi, o Cleon: solo giacea l'estinto?
EPITIDE
Senza compagno al fianco.
LICISCO
E solo appunto
sortì d'Etolia, e sconosciuto il prence.
MEROPE
Turba di masnadieri
non lo assalì?
EPITIDE
Spoglie gli tolse e vita.
MEROPE
Di molte piaghe, o d'una sola?
EPITIDE
II sangue
di più vene gli uscia.
MEROPE
L'ora?
EPITIDE
Non molto
dopo il meriggio.
MEROPE
E come
semivivo restò? Come il furore
non finì di svenarlo?
EPITIDE
Forse estinto il credé.
MEROPE
No, traditore.
Di', che tu l'uccidesti.
EPITIDE
Io, regina, io l'uccisi?
MEROPE
Tu, infame. Erano spoglie
sì vili e questo cinto, e questa gemma?
Non le curò la predatrice turba?
Nel chiaro dì quel non gli vide al fianco?
Non questa al dito? Ah barbaro! Ah fellone!
Tu, tu l'assassinasti.
Scusa, se puoi, la tua perfidia. Il core
me 'l disse al primo sguardo. Or me 'l conferma
quel mentir, quel tremar, quel tuo pallore.
EPITIDE
Se colpevole... io sia...
MEROPE
Sei traditore.
Con il figlio sventurato
tu di madre, o scellerato,
il bel nome a me togliesti,
e seco la mia pace, ed il mio bene.
Ma di madre in questo core
resta il duol, resta l'amore
per far le mie vendette e le tue pene.
Con il figlio sventurato
tu di madre, o scellerato,
il bel nome a me togliesti,
e seco la mia pace, ed il mio bene.
Polifonte, Epitide, e Licisco.
POLIFONTE
Di Merope dall'ira
la tua vittoria e il mio poter ti è scudo.
Ella matrigna ai vivi,
madre parer vuole a' suoi figli estinti.
EPITIDE
Se estinti li bramò, perché li piange?
POLIFONTE
Tutto è menzogna; o nulla costa, o poco
ad occhio femminil pianto bugiardo.
LICISCO
E mal giudichi un cor, se credi al guardo.
POLIFONTE
Pace all'ombra real. Giorno sì lieto,
in cui per tuo valor salva è Messene,
festeggi i tuoi sponsali.
EPITIDE
I miei?
POLIFONTE
Di quanto oprasti alta mercede
avrai nell'amorosa
regal vergine illustre,
scelta da' numi a te compagna e sposa.
Se vaga sia,
se sia vezzosa,
la dolce sposa
che il ciel gli diè
(a Licisco)
tu gli dirai per me,
(ad Epitide)
tu lo vedrai.
A quel bel viso ancelle
stanno le grazie e 'l riso,
e l'amorose stelle
scintillano in que' rai.
Se vaga sia,
se sia vezzosa,
la dolce sposa
che il ciel gli diè
(a Licisco)
tu gli dirai per me,
(ad Epitide)
tu lo vedrai.
Epitide, e Licisco.
EPITIDE
A me nozze? A me sposa?
LICISCO
Il ciel decreta.
Epitide ubbidisca.
EPITIDE
E posso io farlo?
Consigliarlo Licisco?
LICISCO
Così servo al tuo cor, così al tuo amore.
EPITIDE
Il mio amore, il mio cor, l'anima mia,
non è, lo sai, che l'amorosa Argia.
LICISCO
E Argia sarà tua sposa:
Argia sarà tuo premio. Il ciel la volle
prigioniera in Messene,
perché seco tu regni amato amante.
EPITIDE
O me, se ciò fia vero,
fortunato amator, lieto regnante!
LICISCO
Segui il sentier ben cominciato, e spera.
Sposo sei, ma beltà non ti lusinghi.
Figlio sei, ma pietà non ti tradisca.
L'odio, l'amore, il sangue,
tutto dubbio ti sia. Temine e fingi.
EPITIDE
Ah ch'il duol della madre è mio spavento!
LICISCO
Dillo tua debolezza. A te i fratelli,
a te il padre sovvenga, e 'l tuo periglio.
EPITIDE
Sì: ma Merope è madre, ed io son figlio.
LICISCO
Mi piace, che ti accenda
con degni affetti
la dolce sposa,
la cara madre il cor.
Ma dal figlio il padre aspetta
la vendetta,
e la chiede alla tua fede,
e la vuol dal tuo valor.
Mi piace che ti accenda
con degni affetti
la dolce sposa,
la cara madre il cor.
Epitide.
Merope, Polifonte, Argia, Messene,
gloria, regno, vendetta, odio ed amore,
tutti voi siete oggetto
di spavento, e d'invito a' miei pensieri.
Il dibattuto cor qua e là si volve
qual da turbine spinta arena o polve.
Se pensar potessi ogn'ora
a quel ben che m'innamora,
quanto più lieta avrei
nel sen quest'alma!
Ma il pensier de' mali miei
toglie a me pace sì bella,
qual toglie la procella
al mar la calma.
Se pensar potessi ogn'ora
a quel ben che m'innamora,
quanto più lieta avrei
nel sen quest'alma!
Cortile.
Polifonte, e Merope.
POLIFONTE
Merope a Polifonte
sì cortese or favella?
MEROPE
A Polifonte
a te così tiranno, io sì nemica,
porto un mio voto, e un dono mio. Caduto
il mio figlio, il tuo re, mio re ti onoro;
ma sii giusto, e sii grato. Un figlio, o sire,
mi fu tu 'l sai, misera madre! ucciso.
Cleon n'è l'assassin. Di quell'iniquo
qui ti chieggo la pena, e 'l voto è questo.
Or vedi il dono. All'are sacre io stendo
la man che pria negai. Con questa legge,
se ti piace il regnar ti chiamo al trono,
se ti muove l'amor, tua sposa io sono.
POLIFONTE
Merope, ingiusto è 'l voto, e tardo è 'l dono.
In Cleon, che tu fingi un assassino,
la Messenia ha un eroe. Sdegno il tuo nodo,
e per te, ch'or mi prieghi, io più non ardo.
Il tuo voto, il tuo dono è ingiusto, è tardo.
MEROPE
Ben difendi Cleon. Ben mi rinfacci
con i prieghi l'offerte, e ben mi sdegni;
ma sappi, e mio nemico e mio tiranno,
sappi tutto il mio cor. Materno affetto,
non timor, non viltà fu mio consiglio.
Per vendicar un figlio io nella madre
la sposa ti promisi;
ma parlò solo il labbro, e questa mano
era pronta a svenarti, anzi che fosse
profanato il mio sen da' tuoi amplessi.
Tentai la sorte, e mi tradì. Bell'ombra
di Epitide infelice, il dolce, il caro
piacer di vendicarti ancor mi è tolto;
ma non già la speranza. Empio, paventa,
se, non me, gli alti dèi. Se tanto in terra
non puote il desir mio,
in cielo almeno, in ciel potran ben tanto
del figlio il sangue, e della madre il pianto.
POLIFONTE
Quel tuo pianto ingannar non può gli dèi.
Tu la rea, la crudel, l'empia tu sei.
Merope, e Trasimede.
MEROPE
Troppo sinistro ho 'l fato.
TRASIMEDE
Dillo propizio. Avvinto
Anassandro è fra ceppi, alta regina.
MEROPE
Giusti dèi! Pur vi fece
pietà la mia innocenza!
Trasimede fedel, che non ti deggio?
(alle guardie)
A me tosto il fellon.
TRASIMEDE
Non lungi attende
la pena sua.
MEROPE
Qual l'hai sorpreso, e dove?
TRASIMEDE
Dove più folto il bosco
ricusa il giorno. Egli fuggir volea:
ma, da' miei pronti arcieri
cinto, temé la minacciata morte.
MEROPE
Già viene il traditor. Nel fosco volto
di perfidia, e timor spiega l'insegne.
Anassandro in catene fra Guardie, e detti.
ANASSANDRO
Voi mi tradiste, inique stelle indegne!
MEROPE
Qual colpa han di tua pena
gli astri innocenti? Al tuo fallir la devi.
ANASSANDRO
A me la debbo: è vero.
Già ne sento l'orror. Veggo i ministri,
s'arrotano le scuri, ardon le fiamme.
MEROPE
Ma fiamme, scuri, e orribili tormenti
degne pene non sien del tuo delitto.
ANASSANDRO
Né uguali al mio rimorso. Errai, regina.
MEROPE
E reo del mio dolore
perché farti? Perché? De' miei custodi
era duce Anassandro.
ANASSANDRO
Era tuo servo.
MEROPE
Da lei beneficato...
ANASSANDRO
E tra' più cari.
MEROPE
E tu ingrato...
ANASSANDRO
Sacrilego...
MEROPE
Tra l'ombre
trafiggesti il mio re.
ANASSANDRO
Cresfonte uccisi.
MEROPE
Né sazio di una morte e di una colpa,
svenasti i figli miei.
ANASSANDRO
Coppia innocente.
TRASIMEDE
(a Merope)
Confessa il fallo.
ANASSANDRO
(a Trasimede)
Il perfido non mente.
MEROPE
Or di': chi tal fierezza
ti consigliò.
ANASSANDRO
Molto a dir resta, e molto
resta a saper. Di pubblico delitto
pubblico sia il giudizio. Alla Messenia
io ne debbo ragion.
MEROPE
Va', Trasimede,
tosto raduna e popoli, e guerrieri;
e nella rocca eccelsa
costui ben custodisci, ond'ei non fugga.
La sua condegna capital sentenza
spavento della colpa
e trofeo diverrà dell'innocenza.
TRASIMEDE
Vanne alla pena, o perfido.
ANASSANDRO
Perfido, è ver, cadrò:
non cadrò solo.
Nel mio cader trarrò
qualche piacer almen
dall'altrui duolo.
TRASIMEDE
Vanne alla pena, o perfido.
(partono le guardie dietro ad Anassandro)
Merope, e Trasimede.
TRASIMEDE
Seguitelo, o miei fidi. Il suo castigo
ad affrettar io parto.
Solo, pria di partir...
MEROPE
Parla.
TRASIMEDE
Concedi,
che sul timido labbro esca un sospiro,
e ti dica per me.
MEROPE
Segui, ma prima
rifletti, o Trasimede,
che a Merope tu parli,
vedova di Cresfonte, e tua regina.
TRASIMEDE
Ahimè.
MEROPE
Perché ammutir?
TRASIMEDE
Basti così.
Quel sospiro che mi uscì
reo mi fa
partir da te.
Al tuo cuore egli dirà
ciò che tace il mio rispetto.
Serva, e peni il chiuso affetto,
e sol parli la mia fé.
Basti così.
Quel sospiro che mi uscì
reo mi fa
partir da te.
Merope.
Trasimede, t'intendo;
ma troppo del suo duol piena è quest'alma
perché al tuo donar possa un sol pensiero.
Un empio è già ne' lacci, e a te lo deggio.
Cadrà ne' suoi l'usurpator tiranno.
Resta Cleon. Diasi ad Averno, e all'ombra
di Epitide dolente
questa vittima ancor. Madre, e consorte,
debbo a me la vendetta, e poi la morte.
Lo sdegno placherò;
ma poi non lascerò
di piangere e lagnarmi.
Mancar mi può l'oggetto
dell'odio e del furor;
ma quello del dolor
non può mancarmi.
Sala con trono, e sedili.
Argia, Licisco, e poi Epitide.
ARGIA
Dunque Epitide vive?
LICISCO
Col nome di Cleon vive in Messene,
e vincitor s'onora, e fia tuo sposo.
ARGIA
Soave prigionia, per cui qui godo
sorte sì bella.
EPITIDE
(È dessa.) Amata Argia.
(Licisco si scosta in atto di guardare per la scena)
ARGIA
Epitide adorato.
ARGIA E EPITIDE
Anima mia.
LICISCO
Mal guardinghi che siete! È luogo, e tempo
questo a trattar con libertà gli affetti?
(entra nel mezzo)
ARGIA
Licisco...
EPITIDE
Amico...
LICISCO
Un guardo basti. Andate,
e fra' nostri nemici
sia più saggio il tuo amor, più cauto il tuo.
ARGIA
Giusta è la tema. Addio.
EPITIDE
Che! Sì tosto partir?
ARGIA
Non si tradisca
per un cieco piacer quel gran disegno
che a te assicura e la vendetta e 'l regno.
Licisco, ed Epitide.
LICISCO
Saria teco sospetto anche Licisco.
Io parto. Un gran timore in gran periglio
è il più sano consiglio.
(parte)
EPITIDE
L'ardir teme Licisco, Argia l'amore,
io temo la pietà. Quelle, ch'io vidi
cader lagrime amare
di Merope sul volto, ancor rammento.
Poi dico a me: «Quanto crudele, ahi quanto
fosti, o mio core, in provocar quel pianto.»
Merope, Trasimede, Licisco ed Epitide.
Séguito di Popoli e di Soldati.
Poi Polifonte.
MEROPE
Seguami pur Licisco.
Resti Cleon. Presente
all'alto formidabile giudizio,
tutto vorrei, non che la Grecia, il mondo.
TRASIMEDE
Sol manca il re.
EPITIDE E LICISCO
Che fia?
POLIFONTE
(Stabilirò sul trono
qui la vendetta, e la fortuna mia.)
E che? Senza il mio voto, e me lontano,
v'è chi raduna e popoli e soldati?
MEROPE
Mio ne fu 'l cenno; e questo,
dacché vedova son, fu 'l primo, e 'l solo.
Qui si dée, Polifonte,
l'innocenza svelare, e 'l tradimento,
qui decretar la vita, e qui la morte.
E qui veder se è rea
del sangue di Cresfonte, e de' suoi figli
un'empia madre, o un perfido vassallo.
POLIFONTE
Chi dar dovrà l'accusa? E chi punirla?
MEROPE
L'accusator sarà Anassandro, al fine
tratto ne' ceppi; e voi,
voi, messeni, custodi delle leggi,
difensori del regno,
(a Trasimede)
e tu, che sei
del consiglio sovran regola, e mente,
il giudice sarete.
EPITIDE
(piano a Licisco)
Ella è innocente.
LICISCO
(piano ad Epitide)
Tal sembra.
POLIFONTE
Opra è de' numi
l'arresto di Anassandro. Ei qui si tragga.
Saranno Trasimede, e la Messenia
il tuo giudice, e 'l mio.
TRASIMEDE
Facciasi. Ad Anassandro
diasi libero campo
di favellar. Licisco,
e Merope, e Cleon meco si assida;
e tu, signor, l'eccelso trono ascendi;
a cui da' nostri voti alzato fosti.
POLIFONTE
No, no: mi spoglio anch'io
del reale carattere, che in fronte
m'imprimeste, o messeni.
Reo Merope mi crede, e finché il vostro
memorabil giudizio
purghi il mio nome, e la mia gloria assolva,
eccovi Polifonte
non re, ma cittadino. Il re voi siete,
ed al vedovo trono io queste rendo
non mie, ma vostre alte reali insegne.
(depone sul trono la corona, e lo scettro)
Merope, or senti: in noi
v'è 'l reo, v'è l'innocente.
Tu accusi Polifonte:
te la Messenia. Orsù, la legge è questa.
Al giusto la corona. Al reo la testa.
(va a sedere con gli altri)
LICISCO
(ad Epitide)
Ei non errò.
EPITIDE
(Voi lo sapete, o dèi.)
TRASIMEDE
(Tutti sono in tumulto i pensier miei.)
MEROPE
Sommo nume increato,
cui sul lucido seggio, ove non sale,
non che l'occhio, il pensier, nulla si asconde;
geni voi tutelari
di questo regno; e voi,
del mio re, de' miei figli,
che d'intorno mi udite, anime belle...
Fate voi, che il ver s'intenda,
che risplenda
l'innocenza,
e sul collo all'empio cada
con giustissima sentenza
l'alta fatal vendicatrice spada.
(va a sedere al suo luogo)
Anassandro incatenato fra Guardie, e detti.
ANASSANDRO
Ove sono le scuri? ove i ministri?
ove il palco di morte?
L'ho meritata vil: l'attendo forte.
TRASIMEDE
L'avrai, fellon, l'avrai; ma in più tormenti,
in più pene divisa.
Se la vuoi men crudel, qui t'apparecchia
nulla a tacer, nulla a mentir del grave
abominando eccesso,
consigliato da altrui, da te commesso.
ANASSANDRO
A che richieste? A che minacce? Io sono
l'uccisor di Cresfonte, e de' suoi figli.
(getta uno stilo nel mezzo)
Ecco il braccio. Ecco il ferro. In brevi accenti
ecco il delitto, il testimon, la prova.
TRASIMEDE
Non basta. Del misfatto
si cerca il seduttor, non il ministro:
non chi eseguì, ma chi ordinò la colpa.
ANASSANDRO
A quel duro cimento eccomi giunto
ch'io più temea. Spietato
fui per esser fedel. Deh! questo vanto
non mi si tolga in morte; e mi si lasci
portare a Radamanto
un mio solo delitto, e 'l sol mio pianto.
MEROPE
No, no: rompi cotesto
silenzio contumace.
ANASSANDRO
O dio!
POLIFONTE
Che tardi? A forza di tormenti
parlerai, se persisti.
ANASSANDRO
Su via: si parli. Un traditor non mente
quando in morir teme il rimorso, o 'l sente.
Cadde Cresfonte, e diede al colpo atroce
Merope...
MEROPE
Ferma, e prima
fissa in Merope un guardo; un ne ricevi,
e passi dal mio volto, e dal mio sguardo
entro l'anima tua, quantunque infame,
una voce, un'idea che ti sgomenti.
Riconoscimi, e poi
che colpevole io sia, dillo, se puoi.
ANASSANDRO
(Ahi voce! Ahi vista! Instupidita è l'alma.
Sudo, tremo vacillo, ardo ed agghiaccio.)
POLIFONTE
Merope, non si teme
da chi è innocente accusator che parli:
né al suo labbro s'insulta. E tu, Anassandro,
che più tacer? Del giudice l'aspetto
e non l'ira del reo sia tuo spavento.
EPITIDE
(Temo su quelle labbra il tradimento.)
ANASSANDRO
(Rimorsi, addio. Lice, se giova.) Io manco,
lo so, messeni, alla giurata fede.
Pur questo debbo al vero
sacrificio funesto
prima che del mio fral sia sciolto il laccio.
Cadde Cresfonte, e diede
Merope il cenno, ed Anassandro il braccio.
TRASIMEDE
Merope il cenno?
POLIFONTE
(Eccomi in porto.)
EPITIDE
O madre!
(vuol avanzarsi ed è trattenuto da Licisco)
LICISCO
Fermati, e attendi.
MEROPE
Io diedi
il comando sacrilego? Ove? quando?
come? perché?
ANASSANDRO
Regina, ah! Fossi stato
sordo a' tuoi prieghi! Io, servo
ubbidir ti dovea. Tu l'uscio apristi,
tu l'ora, il letto, il seno
segnasti, in cui le piaghe...
POLIFONTE
Non più. Già sei convinta,
perfida donna. La sentenza è data,
Trasimede la scriva,
la Messenia la segni.
Vattene. Alla tua pena oggi t'appresta.
Al giusto la corona. Al reo la testa.
(ripiglia la corona e lo scettro dal trono)
(le guardie vanno a circondare Merope)
MEROPE
Ah scellerato! Ah traditor! Messeni,
Licisco, Trasimede:
è impostor chi mi accusa,
è reo chi mi condanna. In me salvate
non la regina offesa,
non la sposa tradita,
non la madre dolente,
l'infelice salvate, e l'innocente.
Un labbro, un cor non v'è,
che parli, o sia per me:
e si lascia abbandonata
l'innocenza in braccio a morte.
Ma il morir non è il mio duolo:
duolmi solo
il vedermi condannata
empia madre, e rea consorte.
Un labbro, un cor non v'è,
che parli, o sia per me:
e si lascia abbandonata
l'innocenza in braccio a morte.
(parte seguita dalle guardie)
Polifonte, Trasimede, Epitide, Licisco, ed Anassandro.
POLIFONTE
Non si perdan momenti. Oggi si affretti
a Merope la morte,
e dal peggior secondo mostro indegno
purghisi omai della Messenia il regno.
TRASIMEDE
Signore, il regal sangue
onde Merope uscì...
POLIFONTE
Vani riguardi.
Sia mia cura punir l'empio Anassandro,
e Merope, la tua. Va', scrivi, adempi
la capital sentenza; e se paventi
d'esser giudice suo, paventa ancora
il tuo giudice in me. Voglio che mora!
TRASIMEDE
Parto a ubbidir. (Regina sfortunata!)
(parte)
EPITIDE
Ella a morir? Messeni,
una moglie real mal si condanna
sull'accusa infedel di un traditore.
Nella morte di lei
voi siete ingiusti, e un traditor tu sei.
(parte)
LICISCO
(O amore! O ardir! Seguo i suoi passi.)
(parte)
ANASSANDRO
O dèi!
Che vidi? Egli è pur desso.)
POLIFONTE
Si perdoni a Cleon cotanto ardire.
ANASSANDRO
Cleone? Egli è deluso.
(Polifonte fa cenno alle guardie di Anassandro che si ritirino)
POLIFONTE
Soli ora siamo; e posso
dirti: Amico fedel, per te re sono.
ANASSANDRO
Ma sotto il piè non hai ben fermo il trono.
POLIFONTE
Merope estinta, onde temerne il crollo?
ANASSANDRO
D'Epitide dall'ira.
POLIFONTE
Può farmi guerra un nudo spirto? Un'ombra?
ANASSANDRO
Vive in Cleone il tuo maggior nemico.
Nell'etolica reggia, a l'or che occulto
vi passai per tuo cenno,
più volte il vidi, e impresso
restò quel volto entro l'idea.
POLIFONTE
T'inganni.
ANASSANDRO
No, non m'inganno. È desso.
POLIFONTE
Grandi insidie mi sveli, e grand'arcano.
A te il regno dovea: debbo or la vita.
Presto ne avrà tua fede,
te ne assicura un re, degna mercede.
ANASSANDRO
Tal dal tuo amor la spero.
POLIFONTE
Ancor per poco
soffri i tuoi ceppi. Olà, custodi.
(si avanzano le guardie)
In cieca
stanza si chiuda l'empio.
La sua pena ivi attenda, ivi il suo scempio.
ANASSANDRO
Morrò, ma di mie colpe
la memoria vivrà. Grande, e temuta
ombra sarò d'Averno;
e avrò da gran delitti un nome eterno.
(è condotto via dalle guardie)
POLIFONTE
Si liberi il mio cor da un gran sospetto:
poscia gli angui del crin scuota Megera
e del tosco peggior sparga il mio petto.
Nel mar così funesta
non freme la tempesta:
né piomba tanto irato
il fulmine dal ciel,
come sarà crudel
quanto sarà spietato
il mio furor.
Son tiranno; ma nel soglio
esser voglio
per politica un ingrato
per cautela un traditor.
Nel mar così funesta
non freme la tempesta,
né piomba tanto irato
il fulmine dal ciel,
come sarà crudel
quanto sarà spietato
il mio furor.
Dal libretto musicato nel 1734 da G. Giacomelli.
Aria di Merope nella scena I.
MEROPE
Tu crudel tu vuoi ch'io sia
senza figlio, oppressa, e mesta.
Trema iniquo, ancor m i resta
cor di madre in questo petto;
v'è il mio affetto, e il mio dolor.
E scorgendo l'alma mia,
che il mio mal da te sol viene,
pensa stragi, e cerca pene
per punirti, o traditor.
Tu crudel tu vuoi ch'io sia
senza figlio, oppressa, e mesta.
Aria alternativa fine scena V (III).
LICISCO
Dimmi d'amar la madre
dimmi d'amar la sposa,
che in questa amor riposa,
in quella il tuo dover.
Ch'io ti dirò che il padre,
da te, suo sangue, aspetta
la sua vendetta aver.
Dimmi d'amar la madre
dimmi d'amar la sposa,
che in questa amor riposa,
in quella il tuo dover.
Aria alternativa fine scena VI (IV).
EPITIDE
Quell'usignolo
che innamorato,
se canta solo
tra fronda, e fronda,
spiega del fato
la crudeltà.
S'ode pietoso
nel bosco ombroso,
chi gli risponda,
con lieto core
di ramo in ramo
cantando va.
Quell'usignolo
che innamorato,
se canta solo
tra fronda, e fronda,
spiega del fato
la crudeltà.
Scena (VII).
Trasimede.
Ripensando al dover purtroppo o dio!
veggo che l'amor mio
d'un cieco ardire è reo, con franco volto
simulare conviene,
e in onta al cor non palesar sue pene.
Taci mio core amante,
frena i sospiri in te,
l'ossequio, o dio, la fé
scordar mi fa quel ben,
che tanto mando vo.
E a crescer le mie pene,
sfogarmi non conviene,
e simular non so.
Taci mio core amante,
frena i sospiri in te,
l'ossequio, o dio, la fé
scordar mi fa quel ben,
che tanto mando vo.
Finale scena XII (VIII).
ARGIA
O del mio amor belle vicende! Io trovo
la pace del mio cor quando men spero,
ma dubbia l'alma appena crede il vero.
ARGIA
Tu mi lusinghi
mia cara spene,
ma il cor amante
sperar non sa.
Fida quest'alma
nel caro bene,
bella fenice
si struggerà.
Tu mi lusinghi
mia cara spene,
ma il cor amante
sperar non sa.
Aria alternativa fine scena XV (X).
MEROPE
Un labbro, un cor non v'è,
che parli, o sia per me.
Tutto è nemico. O dio!
Che fier tormento è il mio!
Più tollerar no 'l so.
In così strana sorte
par, che infedel consorte,
par, ch'empia madre io sia:
e pur nell'alma mia
rimorso alcun non ho.
Un labbro, un cor non v'è,
che parli, o sia per me.
Scena (XI).
EPITIDE
Ella a morir? Messeni,
una moglie real mal si condanna
sull'accusa infedel d'un traditore.
Infelice regina! O dura legge
che uscì contro di te, né v'è fra voi
chi la difenda? Chi più certe prove
voglia indagar? Così perir si lascia
l'amor suo, la sua fé forse innocente?
Ed alcuno di voi pietà non sente?
Chi condanna il regio sangue,
chi sua sorte non compiange
viva sol tra monti, e selve
con le belve a conversar.
Ma chi sente di clemenza
qualche senso nel suo petto,
è costretto a sospirar.
Chi condanna il regio sangue,
chi sua sorte non compiange
viva sol tra monti, e selve
con le belve a conversar.
Aria scena (XII).
TRASIMEDE
Dal tuo comando
in me discende,
spirto che accende
l'alta costanza
del mio dover.
Penso che al trono
suddito sono.
E ciò pensando
debbo ubbidire.
Debbo tacer.
Dal tuo comando
in me discende,
spirto che accende
l'alta costanza
del mio dover.
Aria scena (XIV).
ANASSANDRO
Fiamma vorace
tutto così divora,
e vede sol lo scempio,
dopo di sé lasciar.
L'orribil ruina
al passegger non serba
che sassi, arena, ed erba,
al fin da rimirar.
Fiamma vorace
tutto così divora,
e vede sol lo scempio,
dopo di sé lasciar.
Parte di giardino reale con un grand'albero isolato.
Polifonte, ed Argia.
POLIFONTE
Non arrossir. Cleon piacque al tuo core.
ARGIA
Eletto dagli dèi degno è d'amore.
POLIFONTE
E sì tosto obliasti il primo amante?
ARGIA
L'infelice è già morto,
e non ardon le fiamme in fredda polve.
POLIFONTE
Ardono, Argia; ma sia Cleon tuo sposo:
non turberan tue nozze
del tuo diletto Epitide il riposo.
ARGIA
(Qual favellar!)
POLIFONTE
Non è più tempo, Argia,
di negar, di tacer ciò ch'è già noto.
ARGIA
E che?
POLIFONTE
Troppo mi offende il tuo timore.
A Merope si taccia, iniqua madre,
e non a Polifonte, anima fida,
di Epitide il destin.
ARGIA
(Stelle!)
POLIFONTE
Egli vive,
lo so in Cleon. Licisco
(giova il mentir) me ne affidò l'arcano.
Viva egli lieto, e regni. A me sol basta,
che suo servo mi accetti, e suo vassallo;
servir dov'egli dia
leggi sovrane, è la fortuna mia.
ARGIA
Signor, che sul tuo cor regno hai più grande
di quello, che rifiuti,
perdona, se ti offese il mio timore.
POLIFONTE
Fu giusto, e 'l lodo, il tuo geloso amore;
e tal lo custodisci insinché spira
l'iniqua madre. A lei, se chiede il figlio,
vivo lo niega, e lo compiangi estinto.
Che se noto a lei fosse il suo destino,
spinta da quel furor, con cui trafisse
e la prole, e 'l consorte,
potria quella crudel dargli la morte.
ARGIA
Veggo la tua virtù nel tuo consiglio.
Tradir la madre è un preservare il figlio.
Polifonte, poi Anassandro fra gli Arcieri.
POLIFONTE
Tratto a' miei cenni ecco Anassandro. È giusto
tradire il traditore.
ANASSANDRO
Eccomi, ma fra' ceppi, e tu nel soglio.
(si ritirano gli arcieri ad un cenno di Polifonte)
POLIFONTE
Son lubriche, Anassandro, e son gelose
le fortune dei re. La mia vacilla,
se tu non la sostieni.
ANASSANDRO
E che più resta!
POLIFONTE
Il più resta, o mio fido.
ANASSANDRO
Sai qual cor, sai qual fede...
POLIFONTE
E fede, e core
temo, che al rio cimento inorridisca.
ANASSANDRO
Ho spirto, ho sangue, ho vita
da offrirti ancor. Per altri
esser vile poss'io: per te son forte.
POLIFONTE
E s'io chiedessi a te...
ANASSANDRO
Che?
POLIFONTE
La tua morte.
ANASSANDRO
La morte mia?
POLIFONTE
Sol questa
assicurar mi può la pace e 'l trono:
e questa a te richiedo, ultimo dono.
ANASSANDRO
O dio! Sì ria mercede a me tu rendi?
POLIFONTE
In servire al suo re premio ha 'l vassallo.
ANASSANDRO
Sei re, ma tal ti feci.
POLIFONTE
E questo è 'l grande
delitto da punirsi.
Reo sei del mio rossor, sinché tu vivi.
ANASSANDRO
Se mi temi vicin, dammi l'esilio.
POLIFONTE
E vicino, e lontan sei mio periglio.
Arcieri, olà.
(si avanzano gli arcieri)
POLIFONTE
A quel tronco
si consegni il fellon. Ne stringa il nodo
la sua stessa catena.
(vien legato all'albero)
Bersaglio a' vostri colpi
l'empio sia tosto. Intenda
il popolo da voi la sua vendetta.
Sacrificio più illustre a sé m'affretta.
De' vostri dardi
sia stabil segno,
poi de' miei sguardi
sia dolce oggetto
quel core indegno
del traditor.
Io parto, o misero,
e nel mio aspetto
risparmio alla tua morte un grande orror.
Anassandro legato per esser saettato dagli Arcieri, e Licisco.
LICISCO
Qui muor l'empio, e non dassi
a pubblico fallir pubblica pena?
ANASSANDRO
Delle mie scelleraggini ecco il frutto.
LICISCO
Ebben ne paghi il fio. Spinto dall'ire,
onde Messene il tuo castigo affretta,
per chiederlo, qual dessi, a Polifonte
qui trassi, o iniquo, il piè.
ANASSANDRO
Giusto, il confesso.
Duolmi che ancor non l'abbia
chi di me più perverso, or ne trionfa.
LICISCO
Merope ancor morrà.
ANASSANDRO
Merope, o dio!
Non morrà ch'innocente.
Morrà Epitide ancor: vivrà il tiranno.
Misera patria mia, tardi ti piango.
LICISCO
Da tronche note alti misteri appendo,
o almen li temo. Arcieri
che messeni pur siete,
giova al pubblico ben che sol per poco
l'irreparabil morte
si sospenda a costui.
(lo scioglie dall'albero)
Sciolgo i suoi lacci;
lo riconsegno a voi. Non si trascuri
ciò che il regno riguarda, e poco importa,
che o più presto, o più tardi un empio mora.
ANASSANDRO
No, non chiedo perdon: chiedo, che ancora
m'oda Messene, e poi morir mi faccia.
Ella, numi, il protesto,
ella è più rea di me se non mi ascolta.
LICISCO
Per le più occulte vie
guidatelo a' suoi giudici. Da lungi
vi seguirò.
ANASSANDRO
Con palesar l'inganno
farò ancora tremarti, o mio tiranno.
(parte)
Licisco.
Che intesi mai? Qual torbido nell'alma
mi si svegliò? Muor Merope innocente.
Epitide è in periglio.
Mi fa pietà la madre, orrore il figlio.
Torbido nembo freme;
l'alma lo sente, e 'l teme.
E sta pensosa
perché non ben intende
ciò che temer la fa,
o riparar no 'l sa
o trascurar non l'osa.
Torbido nembo freme;
l'alma lo sente, e 'l teme.
Stanze di Merope.
Merope, poi Trasimede.
MEROPE
Cor mio, chiedo a te sol la tua costanza.
Degl'immensi tuoi mali
pianger tutti non puoi, pochi non devi.
Grandezze, libertà, consorte, figli,
Epitide, che più? La mia vendetta,
la gloria mia: tutto è perduto. Io moro
non regina, non moglie, e non più madre;
ma condannata, invendicata, infame;
e pur moro fedel, moro innocente.
TRASIMEDE
Dal mio volto, o regina,
e ciò ch'io reco, e ciò ch'io soffro, intendi.
Dato è l'arresto. Invano
tentai l'indugio. Oggi... Mi manca il core.
MEROPE
Intendo, Trasimede.
L'impostura trionfa. Io morir deggio,
e morir condannata. Ombre dilette,
oggi sarò con voi. Vittima pronta
andrò in breve all'altare, e andrò tranquilla.
Tu con egual costanza
dillo ai giudici miei per lor rossore,
e per vendetta mia dillo al tiranno.
TRASIMEDE
Farò quanto m'imponi.
MEROPE
Tu piangi? Ah! se ti resta
senso de' mali miei, vendica, o prode,
di Epitide la morte.
Cleone, il più funesto
de' miei nemici, a Stige
mi preceda, o mi giunga. A Trasimede
quest'ultimo favor Merope chiede.
TRASIMEDE
E Merope l'avrà. (Scoppiar mi sento.)
MEROPE
Di più non chiedo. Assai per me tu oprasti,
io per te nulla posso.
Figlia, e moglie di re, vicina a morte,
son così sventurata
che ho un solo amico, e morir deggio ingrata.
TRASIMEDE
Amico no 'l diresti
se vedessi il mio cor. Reo tu no 'l sai:
è reo di grave colpa.
MEROPE
E di qual mai?
TRASIMEDE
Chiedilo alla mia stella, a' tuoi begli occhi,
al tuo merto, al mio core,
e allor saprai che la mia colpa è...
MEROPE
Taci.
Che se appieno t'ascolto,
perdonar più non posso.
TRASIMEDE
O perdono! O virtù!
(una guardia di Polifonte dà una lettera a Merope)
MEROPE
(l'apre subito)
Che fia? Qual foglio?
«Merope». A me il tiranno?
TRASIMEDE
Quegli è de' suoi custodi.
MEROPE
Ed ei qui scrisse.
(legge)
«Merope, alla tua morte
debbo qualche pietà. L'odio, ch'al rogo
sopravvive, ed all'urna, è troppo ingiusto.
D'Epitide tuo figlio
Cleon fu l'assassin. Prove sicure
n'ebbi da fido messo.» O scellerato!
«Al tuo giusto dolor farne vendetta
già ricusai, quand'era incerto il colpo,
or che l'autor n'è certo, a te lo dono.
Prendila, qual più vuoi. Verrà fra poco
Cleon nelle tue stanze. Ivi il tuo figlio
vendica, ivi il mio re. Così vedrai,
che non è Polifonte
quel tiranno, che pensi, e qual lo fai.»
TRASIMEDE
Gran conforto a' tuoi mali.
MEROPE
Doverlo a Polifonte assai mi duole.
Pur non si perda. Trasimede, io voglio
veder Cleon: fargli temer la morte
pria ch'e' la senta.
TRASIMEDE
E appieno
del suo misfatto assicurar te stessa.
MEROPE
Vanne. Seco mi lascia.
Poi, s'altro cenno mio non te 'l divieti,
fa' che in uscir da queste soglie, il fio
paghi del suo delitto,
dalla tua spada, e dall'altrui trafitto.
TRASIMEDE
Eseguirò l'alto comando.
MEROPE
Parti.
TRASIMEDE
Occhi amati, io partirò.
Per conforto del mio cor
vi dimando un guardo solo
vendicar allor potrò
con più forza e più valor
la mia pena, e 'l vostro duolo.
Occhi amati, io partirò.
Merope, e poi Epitide.
MEROPE
Figlie di giusto sdegno, ire di madre,
è tempo di vendetta.
Lungi, o pietà. Cada l'iniquo esangue.
All'ucciso mio figlio... Eccolo. Ahi vista!
EPITIDE
Per comando real di Polifonte
a te vengo, o regina; anzi a te vengo
per impulso del cor, che in te compiange
l'innocenza tradita.
MEROPE
Di' che vieni, o crudel, perché il mio pianto
ti serva di trionfo. Armata d'ira
volea chiuder nel petto il mio dolore,
e non darti la gloria
di un barbaro piacer. Ma al primo sguardo
cede l'ira; e più forte
è al mio pensier l'idea del figlio ucciso,
che agli occhi miei dell'uccisor l'aspetto.
Godi, perfido, godi. Ecco il mio pianto
le gote inonda, e inumidisce il ciglio.
Inumano assassin! Povero figlio!
EPITIDE
L'odo? Non moro? E taccio?
Perdonami, o regina. È ver. Son reo,
ma non è la mia colpa
la morte del tuo figlio. Il duro avviso
io te ne diedi, e la mia colpa è questa.
Le lagrime, che spargi,
tu le spargi per me.
MEROPE
Per te, spietato,
vantane il bel trofeo, per te le spargo.
Ma poco ne godrai. Tremane, e senti.
Pochi, pochi momenti
ti restano di vita.
Sul primo uscir di queste soglie, al fianco
avrai la mia vendetta, e la tua morte.
EPITIDE
(Ah! non resisto più: tempo è ch'io parli.)
Quel figlio, che tu piangi...
MEROPE
Empio, tu l'uccidesti.
EPITIDE
Il tuo Epitide...
MEROPE
Mio? Tu me l'hai tolto.
EPITIDE
Madre...
MEROPE
Più tal non sono
dopo il tuo tradimento.
EPITIDE
Tornerai, se mi ascolti, ad esser madre.
MEROPE
Parla.
EPITIDE
Epitide vive.
MEROPE
Il so: tra l'ombre
del cieco regno.
EPITIDE
Ei vive
qual tu, qual io; questo è 'l suo cielo, e queste
sono l'aure ch'e' spira.
MEROPE
È vivo il figlio mio?
EPITIDE
Te 'l giuro, e 'l vedi e 'l senti, e quel son io.
MEROPE
Quello tu sei? Ah vile!
Tu sei Cleon! Del figlio
sei l'uccisor. La minacciata morte
si è fatta tuo spavento, e per fuggirla
mi vorresti ingannar. Ma questa volta
non ti varrà la frode.
EPITIDE
Ah madre!...
MEROPE
Taci.
Sol perché madre son, temer mi déi.
Non sei mio figlio. Il suo uccisor tu sei.
EPITIDE
Tacerò, morirò. Ma pria ch'io mora
ti parli Argia. Ti parli
la mia sposa fedel. Credi all'amante,
ciò ch'al figlio ricusi.
MEROPE
Olà, si faccia
venir qui Argia. Sospendo
sol per brevi momenti il tuo destino;
ma di Epitide sei l'empio assassino.
EPITIDE
Quando in me ritroverai
del tuo affetto
il dolce oggetto,
che farai?
MEROPE
Ti abbraccerò.
Ma se il perfido sarai,
per cui spento
è 'l mio contento,
che dirai?
Io morirò.
Argia, e li suddetti.
EPITIDE
Più non si nieghi il figlio ad una madre.
Parlò la mia pietade.
Ora parli il tuo amor. Dillo, alma mia,
cara adorata Argia.
ARGIA
A chi parli? Chi sei? Donde in te nasce
tanta o baldanza o frenesia d'amore?
Qual, regina, è costui? (Canti, o mio core.)
EPITIDE
Eh! Non finger, mio ben! L'arte non giova.
L'arcano è già svelato.
Tu lo conferma. Io son tuo sposo. Io quegli...
ARGIA
Intendo. Un mostro ucciso
ti dà qualche ragion sovra il mio core.
EPITIDE
No, no: di', che in me vedi
della Messenia il prence,
e di Merope il figlio.
Di' ch'Epitide io son.
ARGIA
No, tu no 'l sei.
MEROPE
Quello non sei. Già certa
è la perfidia tua. Parlò l'amante,
né s'ingannò la madre.
EPITIDE
O dio, te n' priego ancora!
MEROPE
Non più. Già ti abusasti
della mia sofferenza.
Dal più orribile oggetto
libera gli occhi miei.
EPITIDE
Argia...
ARGIA
Non ti conosco.
EPITIDE
I numi attesto.
ARGIA
(a Argia e poi ad Epitide)
Spergiuro è 'l traditor. Non ti do fede.
EPITIDE
Questo pianto ch'io verso...
MEROPE
Per te lo sparsi anch'io. Non t'ho pietade.
Parti. Ancor te 'l comando.
EPITIDE
Madre.
MEROPE
Se più resisti,
vedrò dopo il tuo pianto anche il tuo sangue.
ARGIA
(Son crudel per pietà.) Parti, o infelice.
EPITIDE
Argia. Merope. O cieli!
Deh! Per l'ultima volta...
MEROPE
Ancor t'arresti?
EPITIDE
Il tuo sposo son io.
ARGIA
Più non t'ascolto.
EPITIDE
Io sono il figlio tuo.
MEROPE
Tu me l'hai tolto.
EPITIDE
Sposa... non mi conosci.
Madre... tu non mi ascolti.
Eppur sono il tuo amor. Sono il tuo figlio.
(ad Argia)
Parla... ma sei infedel.
(a Merope)
Credi... ma sei crudel.
O dio! Scampo non ho, non ho consiglio.
Sposa... non mi conosci.
Madre... tu non mi ascolti.
Merope, ed Argia.
MEROPE
Quasi m'intenerì. Quasi sedotta
il suo pianto mi avea.
ARGIA
Tutto è bugia.
MEROPE
Ne pagherà le pene.
Anzi in questo momento
quel cor fellon cade svenato all'ara
dell'infelice Epitide tradito.
ARGIA
Come? Svenato?
MEROPE
Sì. Dato era il cenno;
e fuor di quelle soglie
al varco l'attendea la mia vendetta.
ARGIA
Ah! va'. Corri. Sospendi...
MEROPE
Qual pallor? Qual pietà? Tardo è 'l consiglio.
Perì l'empio Cleone.
ARGIA
E nell'empio Cleon perì il tuo figlio.
MEROPE
Che sento? O dèi! Cleone,
Cleone è il figlio mio? Perché tacerlo?
Perché negarlo? Amici,
numi, soccorso. Ah! s'io non giungo a tempo,
son misera del pari, e scellerata.
Polifonte, e le suddette.
POLIFONTE
Fermati, arresta il piè, madre spietata.
MEROPE
O furia! O traditori!
POLIFONTE
Ti affligge il colpo?
Perché darne il comando?
MEROPE
Da te ingannata, iniquo mostro, e rio.
POLIFONTE
Per te Epitide è morto;
e furia, e mostro, e traditor son io?
Trasimede, e li suddetti.
TRASIMEDE
Regina...
MEROPE
La mia morte
compisci, Trasimede. Il cenno... Il figlio...
Di'. Parla. A che ammutir?
TRASIMEDE
Quanto dovea
fido eseguii.
MEROPE
Barbara fede! Iniquo
cenno! Crudel ministro!
Misera madre!
ARGIA
(a Trasimede)
Che? Tu l'amor mio?
Tu Epitide uccidesti?
TRASIMEDE
Di qual furor?...
MEROPE
Carnefice del figlio,
su, svena ancor la madre.
Un ferro per pietà. Chi mi dà morte?
POLIFONTE
Te la darà fra poco,
qual la merti, una scure.
Argia, duce, si lasci
costei con le sue furie,
e con l'idea de' suoi misfatti enormi.
Andiamo ad affrettarle il suo castigo.
MEROPE
Argia, gli ultimi pianti
teco anch'io verserò sul figlio amato.
ARGIA
Me il tiranno tradì: te l'empio fato.
(parte)
MEROPE
Già reo del sangue mio nel figlio ucciso,
me, Trasimede, ancor passi il tuo brando.
TRASIMEDE
Io reo? La mia gran colpa è tuo comando.
(parte)
MEROPE
Empio, va' pur. Non sempre
ti lasceran gli déi
lieto fissar sulle mie pene il ciglio.
POLIFONTE
L'empia sei tu, che trucidasti il figlio.
(parte)
Merope.
Sei dolor, sei furor ciò che m'ingombri?
Dove, dove mi guidi?
Mostri, spettri, chi siete? A che venite?
Polifonte. Ah tiranno!
Anassandro. Ah spergiuro!
Che turba è quella? Intendo.
Ecco il velo funebre. Ecco i ministri.
Ecco la morte mia. Su: che si tarda?
Il colpo che attendo,
crudeli, affrettate.
Piego il capo. Ferite, troncate.
Sposo, figli, messeni,
moro, e moro innocente.
Innocente! Un'empia sei,
tu che il figlio hai trucidato.
Perdona, o caro figlio.
Io credea vendicarti, e t'ho svenato.
Escimi tutto in lagrime,
sangue, che ancor dai vita al mio dolor.
Toglietevi, o mie luci, al fiero oggetto
più di morte crudel. Qual ferro è quello?
In qual seno e' si vibra? Trasimede,
ferma. Quegli è mio figlio.
Caro Epitide, o tanto
già sospirato, e pianto,
mio dolce amor: pur salvo
e ti trovo, e ti abbraccio.
Figlio, figlio... non rispondi?
Vieni, vieni, ond'io ti baci.
Perché fuggi? Perché taci?
O dio! Qual mi lusingo?
Apro al figlio le braccia, e l'aure stringo.
Ombra amorosa, anch'io
tosto ti seguirò
là ne gli Elisi,
solo per abbracciarti,
o figlio amato.
Allor col pianto mio
a te mostrar potrò
ch'io non ti uccisi,
ma sol poté svenarti
il crudo fato.
Salone reale chiuso nel mezzo da cortine che pendono dal soffitto di esso.
Polifonte, Licisco, e poi Trasimede.
POLIFONTE
Mal fece il tuo signor, mal tu facesti
tacendo il vero.
LICISCO
Epitide...
POLIFONTE
In Cleone,
lo so, vivea nascosto.
Ma perì l'infelice
dall'empia madre ucciso.
La colpa, e la vendetta
qui ne vedrai. Poi tosto
esci dal regno mio.
Quel grado, che sostieni, e ch'io rispetto,
ti toglie al regio sdegno.
LICISCO
Ubbidirò. (Ma prima
ne' tuoi lacci cadrai, tiranno indegno.)
TRASIMEDE
Signor, tutto è già pronto. Un'alma iniqua
qui avrà la pena sua: qui un re la pace.
POLIFONTE
Merope ancor non giunge?
TRASIMEDE
Il reo va sempre
con lento passo a morte.
POLIFONTE
Strascinata ella venga,
se volontaria il niega, e collo e mani
di funi avvinta, traggasi l'indegna
al sanguinoso altar della vendetta.
Merope fra Guardie, e li suddetti.
MEROPE
Merope non aspetta
d'esser tratta a morir. Libera viene;
né vuol la regal mano
l'oltraggio sofferir di tue catene.
Su, dov'è la mia morte?
Da chi l'avrò? Da scure? Io stendo il capo.
Da ferro? Io porgo il seno.
Sia tosco, fiamma sia, laccio, ruina,
qualunque sia, messeni,
morirò sì, ma morirò regina.
POLIFONTE
Tu ostenti per virtù la tua fierezza.
Ma farò, ch'ella tremi.
Vedi. Colà svenato,
e svenato da te, giace il tuo figlio.
Apri l'infausta scena, e fissa un guardo
su quelle, che pur sono
trofeo di tua barbarie, orride piaghe.
Se poi tarda pietà ti chiama ai baci,
baciale pur, ma con qual legge, or senti.
Sul freddo busto esangue
mano a man, seno a seno, e bocca a bocca
ti leghino, o crudel, ferree ritorte;
e tal vivi sin tanto
che il cadavere istesso a te dia morte.
LICISCO
Sacrilego!
TRASIMEDE
Inumano!
MEROPE
Ch'ascolto? Ahimè! Nell'alma
per qual via non usata entra l'orrore?
Averno non l'avea: l'ha Polifonte.
POLIFONTE
E per Merope l'abbia.
Via: che più tardi?
MEROPE
Al tuo furor si serva.
Chissà che al primo sguardo, al primo bacio
io non mora su voi, viscere amate.
(va per aprir le cortine, e poi si ritira)
O dio! Trema la mano. Il piè si arretra.
Si offusca il guardo. Io non ho cor.
POLIFONTE
Non l'hai,
e sì fiera il vantasti?
Orsù: già t'apro io stesso
l'apparato letal. Da voi, messeni,
sia il mio cenno ubbidito.
Mira. Epitide è quegli...
(al cenno di Polifonte s'alzano le cortine e danno luogo alla vista del rimanente della sala)
Ahi! son tradito!
Epitide, Argia, Anassandro, e detti.
Séguito di Messeni, e di Soldati.
EPITIDE
Sì. Epitide son io.
MEROPE
Deh figlio!
EPITIDE
(a Merope)
Or non è tempo.
(a Polifonte)
Son tuo re: tuo punitor, tua pena;
(accennando Anassandro)
questi delle tue colpe
è 'l testimon. Lo raffiguri?
POLIFONTE
O stelle!
Vive Anassandro ancor?
ANASSANDRO
Vivo, e spergiuro,
per tuo rossor, per tuo tormento, o iniquo.
POLIFONTE
Trasimede, messeni, all'armi, all'armi.
Al vostro re s'insulta. Ira, ed inganno
s'armano a' danni miei.
TUTTI
Mori, o tiranno.
POLIFONTE
Mori? Chi mi difende?
LICISCO
O vile!
POLIFONTE
Aita.
ARGIA
O traditor!
POLIFONTE
Soccorso.
TRASIMEDE
O scellerato!
POLIFONTE
Pietade.
MEROPE
O Polifonte,
il tuo nome sol basta a dirti il mostro.
L'obbrobrio della terra.
POLIFONTE
È ver. Pietade.
MEROPE
Di Cresfonte l'avesti, e de' miei figli.
POLIFONTE
Gli uccisi, è ver. Pietade.
EPITIDE
L'avrai, ma sol da morte. Entro il più chiuso
della reggia e' sia tratto, e là si uccida.
POLIFONTE
Crudel, se così giusta è tua vendetta,
perché qui non l'adempi?
EPITIDE
Ove il padre uccidesti, ove i fratelli,
tu déi morir. Più orribile a' tuoi sguardi,
dove peccasti, apparirà la morte.
POLIFONTE
Andiam. Con qualche pace
morrò da voi lontano.
Felice me, se meco
trarr'io potessi al baratro profondo
Merope, Epite, e la Messenia, e 'l mondo.
(parte)
MEROPE
Vada con le sue furie. Impaziente
già corro ad abbracciarti,
o figlio.
EPITIDE
O madre.
MEROPE E EPITIDE
O gioia! O amore! O vita!
MEROPE
Qual dio ti preservò? Chi a me ti rese?
EPITIDE
Licisco fu. La morte egli sospese
che Trasimede a me vibrava in seno.
LICISCO
D'Anassandro il rimorso
fu la comun salvezza.
MEROPE
Perché a me lo tacesti?
TRASIMEDE
E potea dirlo,
presente il tuo tiranno?
ANASSANDRO
Or che gran parte
riparai di que' mali, onde reo sono,
supplice a' piedi tuoi chiedo la morte.
EPITIDE
L'esilio ti punisca, e ti perdono.
Trasimede, Licisco, a voi la vita
debbo, e lo scettro: a te, mia sposa, il core:
a te, madre, quant'ho: cor, scettro e vita.
ARGIA
O sposo!
MEROPE
O figlio!
TRASIMEDE
O generoso!
LICISCO
O degno!
MEROPE
Tal da due mostri è per te salvo il regno.
CORO
Dopo l'orribile
fiero timor,
di pace, e giubilo
si empia ogni cor.
Vinto è l'orgoglio,
spento è 'l terror,
ove ha la gloria
fede, e valor.
Dopo l'orribile
fiero timor,
di pace, e giubilo
si empia ogni cor.
Dal libretto musicato nel 1734 da G. Giacomelli.
Aria scena I.
ARGIA
A chi dar morte? A chi?
Al bel che m'invaghì;
all'idol mio diletto
scudo sarà il mio petto,
e questo core.
A chi riparar lo sdegno
d'ingrata madre irata,
mi darà forza, e ingegno
un forte amore.
A chi dar morte? A chi?
Aria alternativa fine scena XI.
MEROPE
Là sul torbido Acheronte
vedo il figlio in nero aspetto.
Partì, o dio, dagli occhi miei,
ah! Che oggetto tu mi sei
di rimorso, e di terror.
No t'arresta, anch'io dolente
tua tiranna, ma innocente,
vo' abbracciarti o mio tesor.
Là sul torbido Acheronte
vedo il figlio in nero aspetto.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)
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