Atto primo

 

Scena prima

Mare, e porto.
Feraspe, Aceste, coro di Marinai, Soldato della fortezza di Salamina.

 

CORO

Naviganti a riva, a riva,

già risplende in ciel l'aurora:

quest'è Cipro, e qui s'adora

delle dèe la più lasciva.

Naviganti a riva a riva.

IIº

Passeggeri il porto è qui;

ecco l'alba in cielo appar,

ride il suolo, e brilla il mar.

Fugge l'ombra, e torna il dì,

passeggeri il porto è qui.

 

SOLDATO

O della barca? Olà chi passa?

ACESTE

Amici.

SOLDATO

Donde vieni? Che porti, e che pretendi?

ACESTE

Star barca levantina,

venir da Colco, e mercanzia portar,

e si poter sbarcar,

nient'a pretender.

SOLDATO

Questo è linguaggio invero

di straniera figura,

ma dimmi passeggero,

porti di sanità fede, o scrittura?

ACESTE

Aver bulletta greca,

e si non entendir,

venir a basso, e mi casacca aprir.

SOLDATO

A riso mi commove. Orsù ti credo:

sbarca pure a tua voglia,

ma pria qual è costume,

della gran dèa di Cipro adora il nume.

ACESTE

Con strumenta da guerra

Venere salutar.

CORO

A terra, a terra.

FERASPE

Tu meco scendi Aceste, e voi traete

il vascello in disparte:

quinci pronti attendete,

poiché breve soggiorno

ho prefisso, o nocchieri, al mio ritorno.

 

Scena seconda

Feraspe, Aceste.

 

FERASPE

O come bene a tempo

e la patria mentisti, e la favella.

ACESTE

Del tuo gran merto ancella,

generoso Feraspe,

e la vita d'Aceste, e l'alma ancora.

Deh potess'io pur ora

quella brama appagarti,

per cui da Negroponte,

principe sconosciuto,

ti spinse il cielo, e più del cielo amore.

FERASPE

O qual provo nel core

lusinghiera speranza

di ritrovar in Cipro

tregua agl'affanni miei.

Come lieto sarei,

s'io potessi una volta

riveder quell'Argia,

sorella a me gradita,

che da sorte rubella,

già scorre un lustro (oh dio) mi fu rapita.

 

Aurette vezzose,

foriere del giorno,

ch'errate d'intorno

con ali di rose,

volgetevi a me;

e dite dov'è

colei, che desia

il mio regno, il mio cor, l'anima mia.

IIº

Stellanti zaffiri,

ch'i mali influite,

se mai compatite

d'un'alma i sospiri,

volgetevi a me.

E dite dov'è

colei, che desia

il mio regno, il mio cor, l'anima mia.

 

ACESTE

Non sempre empia fortuna

volge il tergo a' mortali, anzi talora

con mille gioie, ch'in un punto aduna

ricompensa gl'affanni, e la dimora.

Ma qual, sire, ver' noi

con afflitto sembiante

lacrimoso garzon volge le piante?

FERASPE

Di non bassi natali al volto ei sembra

ma già ch'i lumi a terra

sospirando ha rivolti,

in disparte s'ascolti.

 

Scena terza

Laurindo, Feraspe, Aceste.

 

LAURINDO

O cielo inesorabile

a' miei crudi martiri,

se per te variabile

volgi gl'eterni giri,

perché non cangi del mio cor le tempre?

Si cangia il mondo, ed io sospiro sempre.

 

FERASPE

Ahi qual mi nasce in seno

improvvisa pietade?

 

LAURINDO

Oh stato miserabile

d'un'amante tradita!

S'amor fatto implacabile,

non mi rende la vita,

cangiate o stelle del mio cor le tempre.

Si cangia il mondo, ed io sospiro sempre.

 

FERASPE

Amico il ciel t'aiti.

LAURINDO

Ohimè, che miro?

FERASPE

E con il cielo anco la sorte.

LAURINDO

Oh dio

non è questi Feraspe? Erro o deliro?

FERASPE

Ascolta.

LAURINDO

Ah non vaneggio. Ecco il fratello.

Fingi mio cor, deh fingi

altro volto, altra spene,

che finger, o morir oggi conviene.

FERASPE

Dimmi, e l'ardir condona, ov'è 'l cammino,

che ne conduce a corte?

LAURINDO

Questo, a cui m'avvicino

è 'l sentier della morte.

ACESTE

O come in un baleno

disperato fuggi? Forse nel seno

chiude foco amoroso, o rio tenore

d'astro maligno li trafigge il core.

FERASPE

La fortuna proterva

sparge per ogni suolo

delle miserie sue l'alte radici;

che Negroponte solo

non è patria bastante agl'infelici.

 
 

Scena quarta

Cortil regio.
Atamante, Lurcano.

 

ATAMANTE

Regio manto, e soglio altero,

gran tesoro, e vasto impero

fan beato ogni mortal.

Ma che val?

Scettri, pompe, e contenti

la più volubil dèa cangia in tormenti.

LURCANO

Chi nel mondo altrui dà legge,

e sé stesso non corregge,

sorte amica aver non può.

Ma che pro?

È politica da re

dar la colpa a fortuna, e non a sé.

ATAMANTE

E pur sempre mordaci

son Lurcano i tuoi detti. Ancor non sai

che a chi governa, e regge

il sol volere è legge?

LURCANO

Bello, Atamante, invero

e leggiadro è il pensiero.

Ma del tuo gran volere

Lurcano unqua si fida,

ch'il senso omai, non la ragion lo guida.

ATAMANTE

Taci, e frena arrogante

la tua lingua mendace,

che di soverchio audace

della clemenza mia trapassa il segno.

LURCANO

Sempre di verità figlio è lo sdegno.

ATAMANTE

Dei servi anco più vili

son bersaglio oggidì l'opre dei regi.

Chi brama eterni pregi,

e glorie memorande,

tanto più cauto sia, quanto è più grande.

 

Scena quinta

Alceo, Atamante, Lurcano.

 

ALCEO

Sire, con questo foglio

colei, che te sol ama, e sol desia,

la tua bella Filaura, a te m'invia.

ATAMANTE

Sorgi o buon servo, e tu Lurcano i passi

volgi ratto a Dorisbe,

digli, che per brev'ora

di favellargli intendo.

Venga, e senza dimora

eseguisca il mio cenno, io qui l'attendo.

LURCANO

Taccio, m'inchino, e parto.

Costui, chi no 'l sapesse,

alla cera è cantore:

ma fiutando l'odore,

appesta di ruffiano

quattro leghe lontano.

ATAMANTE

Filaura? O caro nome; ecco ti bacio.

ALCEO

Mesta scrisse, e dolente

Filaura a te quel foglio.

E col pianto sovente

bagnò la carta; indi m'impose, vanne,

vanne mio fido Alceo, trova Atamante

digli, che se bastante

ad impetrar mercé non è l'inchiostro,

in lacrime disciolta omai s'invia,

per chiedergli pietà l'anima mia.

ATAMANTE

Torna mio caro Alceo, torna a Filaura.

Digli, ch'oggi preparo

alla gran dea le cerimonie usate.

Se noioso, ed amaro

questo breve intervallo a lei rassembra

forse tanto più grate

saran le gioie, e i baci.

Parti, rispondi, e taci.

ALCEO

Obbediente, e presto

ad eseguir m'accingo.

Se vostra maestà sapessi il resto?

 

ATAMANTE

Nascer grande, ahimè, che giova,

se d'un dio, che vibra foco

anco i re son scherzo, e gioco?

Ah ben'intendo a prova,

ch'amorose tempeste, e regia calma

son corona alle tempie, e lacci all'alma.

La potenza, o dio, che vale,

s'anco i re vivon soggetti

ai tiranni degli affetti?

È decreto fatale,

che tumulto di sensi, e regia calma

sian corona alle tempie e lacci all'alma.

 

Scena sesta

Lurcano, Dema, Dorisbe, Atamante.

 

LURCANO

Sire, com'imponesti,

Dorisbe a te se n' viene

tardar non può; già tutto,

nel mio bel volto a pascolarsi intento,

fuor della regia mandra esce l'armento.

 

DEMA

Vanne figlia a bell'agio, e al re t'inchina.

Senti ciò, che t'impone:

se parla di marito,

accetta pur l'invito,

poich'a star sulla dura

patisce la ragione, e la natura.

DORISBE

Invitto re, cui la fortuna in terra,

e benigno nel cielo arride il fato,

al tuo cenno adorato

riverente Dorisbe ecco s'atterra.

ATAMANTE

Ergiti o figlia, e 'l mio desire ascolta,

omai del quinto lustro il primo sole

scorre, da che rapito

in quell'età, ch'è dalle fasce involta

fu con il vecchio Osmano

Lucimoro a me figlio, a te germano.

Se defunto, o smarrito

sia l'innocente figlio,

giammai sorte rubella

ne porse a me novella.

Certa del gran periglio

la bella Doricrene

mia consorte, e mia spene

con la prole gradita

perse, ah caso dolente, anco la vita.

Allor, figlia, giura!

Nel tempio di Ciprigna

di rinnovar ogn'anno,

fin ch'il mio duol ha posa,

la memoria del figlio, e della sposa.

Giunto è quel giorno omai,

ch'alla grand'opra elessi. Or tu Dorisbe

ti prepara alla pompa,

per supplicar la dèa,

che renda a questo regno, a questo seno,

se non può la regina, il figlio almeno.

DORISBE

Ogni tuo cenno, o sire,

ad eseguir son pronta,

ch'il paterno desire

a figlia riverente

sempre è termine al piè, legge alla mente.

ATAMANTE

Or ch'appieno intendesti, io per brev'ora,

dalla reggia lontano

volgo le piante: addio, segui Lurcano.

LURCANO

Vengo, vengo signor: addio marmotta.

DEMA

Questa sì, che mi scotta.

Affé non te la passo,

e giuro per le stelle

d'insegnarti a schernir le verginelle.

 

Scena settima

Dorisbe, Dema, Laurindo.

 

DORISBE

S'un guardo mi vinse,

e 'l sen mi piagò,

s'un crine m'avvinse,

e 'l cor m'annodò,

palesa mio core

lo stral che volò,

che piaga d'amore

tacer non si può.

IIº

S'è forza ch'io spiri

per cruda beltà,

se i muti sospiri

non trovan pietà:

palesa mio core

chi l'alma legò,

che laccio d'amore

celar non si può.

 

DEMA

Mira Dorisbe mira,

com'afflitto, e dolente

il tuo caro Laurindo il piè rigira?

Credo, ch'il poverello

abbia perso il cervello.

DORISBE

Dema per breve spazio

con le mie fide ancelle a me t'invola,

ch'ho desio d'esser sola,

se pur sola può dirsi

chi per virtù d'amore,

a così dolce vista,

si trova, o dio, moltiplicato il core.

DEMA

Andiam, che la padrona

va in consiglio privato,

non so, se di futuro, oppur di stato.

 

Scena ottava

Dorisbe, Laurindo.

 

DORISBE

E qual rigor di stelle,

adorato mio bene,

con influssi di pene

ha forza d'offuscar luci sì belle?

S'amor d'amore è degno

svela ciò, ch'al tuo sen turba la calma,

ch'in tuo soccorso un regno

negar non può chi già donata ha l'alma.

LAURINDO

Dorisbe, anima mia,

vicino agl'occhi tuoi

non ho duol, che m'annoi.

Sol poc'anzi languia

per te l'egro mio core:

or, che piacque ad amore

di ricondurmi a te, pago ho 'l desio,

e torna alla tua sfera il foco mio.

DORISBE

Or, se pari è l'ardor, pari è lo stato

delle nostr'alme, ah non poteva il fato

render ancor eguali

le fortune, e i natali?

LAURINDO

Ah Dorisbe, Dorisbe,

se tu sapessi il vero,

cangeresti pensiero.

DORISBE

Forse eguale a me sei?

LAURINDO

Più che non credi.

DORISBE

O se ciò fosse vero

fortunata Dorisbe?

LAURINDO

Anzi infelice.

DORISBE

Dimmi, perché non sveli

quanto racchiudi in sen?

LAURINDO

Perché non lice.

DORISBE

E s'eguale a me sei, perché non speri

di godermi consorte?

LAURINDO

Tropp'eguale è la sorte.

DORISBE

E ciò m'affida,

ch'avrò sposo Laurindo.

LAURINDO

Ed io la morte.

DORISBE

Forse di me non curi?

LAURINDO

Anzi t'adoro.

DORISBE

Io per te vivo.

LAURINDO

Io moro.

DORISBE

L'origine discopri

del tuo cordoglio almen.

LAURINDO

Più dir non oso.

Basta, ch'io t'amo, e se morendo ancora

sortirò negl'elisi

fortunato riposo,

del tuo vago sembiante

sarò spirto seguace, ombra adorante.

DORISBE

Ahi qual fiera procella

d'agitati pensieri mi move in seno

quest'ambigua favella?

LAURINDO

Se disvelarti a pieno

l'enigma non poss'io,

ogni dubbio desio

scaccia dal tuo petto,

che s'ambiguo è 'l parlar, certo è l'affetto.

DORISBE

Laurindo, o dio, Laurindo,

questo cor per te si strugge:

già si fugge per amor l'alma dal seno.

Laurindo, o dio Laurindo, io vengo meno.

Insieme

LAURINDO

Dorisbe, ohimè, Dorisbe,

questo cor per te si strugge:

già si fugge per dolor l'alma dal seno.

Dorisbe, ohimè Dorisbe, io vengo meno.

 

Scena nona

Selino, Solimano, Dorisbe, Laurindo, Dema.

 

SELINO

Eppur io torno o bella

nuova Clizia spirante

di quel sol, ch'adorai

nel tuo bel volto a contemplare i rai.

Se languida favella

di femminino amante,

se questo volto esangue,

se questi lumi lacrimosi, e mesti

nunzi d'un cor che langue

d'impetrarli mercé non han possanza,

mira Dorisbe l'alma,

che per fuggir d'una dolente salma

l'abominosa stanza

alla città dell'ombre omai s'invia.

Deh per pietà consola

con un sospiro almen la morte mia.

LAURINDO

Empio, falso, lascivo,

sento, veggio, eppur vivo?

DORISBE

Selino a più d'un segno appieno accorto

esserti omai dovresti,

ch'a me poco graditi, anzi molesti

son gl'eccessi d'amore,

onde consumi inutilmente il core.

Sappi, ch'un altro oggetto

di quest'anima mia preso ha l'impero;

scaccia pur dal tuo petto

così folle pensiero,

ch'io nutrendo altra speme, ed altri amori

tanto l'aborrirò, quanto m'adori.

SELINO

Dunque senza speranza

deggio viver morendo

la vita, che m'avanza?

DORISBE

Principe ti consola,

e s'a Dorisbe hai di piacer desio

a Dorisbe t'invola.

SELINO

Dunque partir degg'io?

O speranza tradita,

ch'a me doni la morte...

DORISBE

A me la vita.

SELINO

Quanto tiranna sei.

DORISBE

Quanto sei folle.

SELINO

Né ti muovi a pietà del mio tormento?

LAURINDO

(Morir, lassa, mi sento.)

SELINO

Parto, ed eterno bando

da te mi piglio.

DORISBE

E quando?

SELINO

Or t'appago il desio:

addio per sempre.

DORISBE

Addio.

SELINO

Volgi bella crudel, volgi il sembiante.

DORISBE

O d'ostinato amante

troppo importuni preghi?

Già che partir tu neghi,

al piede impenno l'ali,

e per maggior tuo scorno

parto, fuggo, m'involo, e più non torno.

SELINO

Ahi barbara sentenza.

DORISBE

Buon pro a vostra eccellenza.

 

Scena decima

Solimano, Selino.

 

SOLIMANO

Signor che pensi? Ancor dubbioso, e lento

tra queste infauste mura il piè sospendi?

Misero, e non intendi,

che ludibrio del vento

son le preghiere tue? Fuggi Selino,

fuggi da questo ciel, torna a Bisanto,

ch'a vincer il destino

languir non giova, e sempre vano è 'l pianto.

SELINO

Solimano, il mio core,

fatto schiavo d'amore

lacci di servitù più non paventa.

Qualche speranza ancora

in vita mi sostenta.

So ben anch'io, che fora

certo scampo la fuga:

ma chi con ciechi al precipizio corre

la morte sprezza, e la salute aborre.

SOLIMANO

Sire m'ascolta, e credi

a chi mentir non usa.

Veggio, ch'a te ricusa

porger il crin fortuna.

Già la tua vaga luna,

lungi al sol di Dorisbe

nella sfera d'amore il volto eclissa.

Ogni stella del ciel vagante, o fissa

ti minaccia la morte:

e di nuovo tentar vorrai la sorte?

Fuggi signor, deh fuggi

il mal, che ti sovrasta, o ti rammenta,

ch'invano lacrimando il cor distruggi,

poiché 'l dio che tu segui

ha per maggior suo vanto

l'esser cieco a ferire, e sordo al pianto.

 

SELINO

No no fuggir non vo'.

Seguirò

finché spiro, e finché lice

la mia bella traditrice.

Mi tormenti,

mi spaventi

quanto vuole amor protervo,

fuggir non può chi di catena è servo.

IIº

No no fuggir non sa,

soffrirà

catenata l'alma mia

l'amorosa tirannia.

Mi raggiri,

mi martiri

quanto vuole amor protervo,

fuggir non può chi di catena è servo.

 

Scena undicesima

Feraspe, Aceste.

 

FERASPE

Questa, s'io non m'inganno,

della gran Salamina

è la corte reale, e ben si vede

in questa regia parte

il trionfo dell'arte:

che per mostrar, ch'entro l'augusta sede

un monarca s'adora,

spirano maestà le pietre ancora.

ACESTE

Signor qui ferma il piede,

ch'il passaggio di corte

spesso da servi frequentar si vede.

Della regal sorella

avrai forse novella.

FERASPE

Ah lo volessi il cielo?

ACESTE

Io ben lo spero,

né sia vano il pensiero.

FERASPE

Taci, e rimira Aceste

qual femmina canuta a noi se n' viene?

Par che seco favelli; a me conviene

penetrar ciò, che parla.

ACESTE

In questa parte

potrai, benché da lungi,

non veduto ascoltarla.

Già s'avvicina, e stanco

appoggia a duro legno il debil fianco.

 

Scena dodicesima

Dema, Feraspe, Aceste.

 

DEMA

Vecchiarella, che non può

ritornar in gioventù,

di quel dolce, che gustò

si rammenta ogni dì più;

e se mira

chi sospira

per beltà, che ride, e brilla,

si distilla,

e con occhi arditi, e scaltri

gode almen di veder gl'altri.

IIº

Pescatrice, cui rapì

tempo ingordo la beltà,

va cercando notte e dì

qualche pesce per pietà.

E se vede

chi fa prede,

e d'amor la rete ha piena,

si dimena.

Mira 'l pesce, e l'amo tende,

sempre pesca, e mai lo prende.

 

ACESTE

Senti, come si loda!

Che matrona alla moda!

FERASPE

Madre benigno il cielo

il tuo desir secondi.

DEMA

O che bel viso!

FERASPE

Dimmi, se pur t'aggrada.

DEMA

E senza pelo!

FERASPE

Sei tu forse di corte?

DEMA

Il ciel m'aiti.

Son cortigiana antica,

la livrea ve lo dica.

ACESTE

O che vecchia bizzarra!

Vedi, come t'osserva?

FERASPE

A qual impiego eletta?

DEMA

Di Dorisbe son io nutrice, e serva.

FERASPE

Dimmi è bella Dorisbe?

DEMA

È bella, e vezzosetta.

FERASPE

Dunque sarà cortese?

DEMA

E questo ancora,

FERASPE

In qual parte, a qual ora

lice altrui d'inchinarla?

DEMA

Orsù l'intendo.

Me n'accorsi alla cera,

che costui di nutrice

mi vuol far messaggera, o ambasciatrice.

In questo giorno appunto

si condurrà nel tempio.

Ma tu (quegl'occhi ladri oggi mi fanno

scordar la gravità) dimmi chi sei?

FERASPE

Degl'accidenti miei

poco, o nulla a te cal. Di Colco io sono.

DEMA

Colcati, e te 'l perdono.

Il tuo nome?

FERASPE

Feraspe.

 

Scena tredicesima

Laurindo da parte, Dema, Feraspe, Aceste.

 

LAURINDO

A tempo io giungo.

DEMA

E qual sì rilevante

interesse, o desio

dal paese natio

qua ti condusse errante?

FERASPE

Curioso pensier figlio del fato

a questo vago regno

per ondoso cammin trasse il mio legno.

DEMA

Forse in mare agitato

fosti da ria procella?

LAURINDO

No che sorte rubella

tutte ripose, oh dio,

le tempeste del mar nel petto mio.

FERASPE

Madre per vari casi

qua mi condussi. Or dimmi,

ancor son noti a Cipro

di Negroponte gl'accidenti?

LAURINDO

Ahi lassa!

DEMA

Io nulla intesi. Forse

più non vive Toante? O morte ria

tolse dal mondo la famosa Argia?

LAURINDO

Ah che troppo son viva, e troppo ascolto.

FERASPE

Regna Toante ancora,

ma l'infelice Argia.

LAURINDO

Mi scoppia il cor nel petto

FERASPE

Se pur già non è morta, è persa almeno.

DEMA

E come ciò sapesti?

FERASPE

Il mio compagno,

che là trasse i natali, a me fe'

accidente sì fiero.

ACESTE

Purtroppo è vero.

DEMA

E quanto tempo omai

scorre da che smarrita

ha Toante la prole?

ACESTE

Già quattro volte il sole

tutto varcò del gran zodiaco il giro.

LAURINDO

Ed io vivo? Ed io spiro?

DEMA

Fu rapita?

ACESTE

No 'l so.

DEMA

Fuggì?

ACESTE

Nemmeno.

DEMA

Alcun la vide?

ACESTE

No.

DEMA

Scrisse?

ACESTE

Giammai.

DEMA

Non più: tosto il saprai.

FERASPE

E come fu?

DEMA

Già sollo.

FERASPE

Di' pur.

DEMA

La poveretta...

FERASPE

Come?

DEMA

L'ha rotto.

FERASPE

E che?

DEMA

L'ha rotto 'l collo.

LAURINDO

Eppur resisti Argia?

DEMA

Anch'io persi una figlia,

ch'era l'anima mia:

né seppi altra novella,

se non che da zitella

fuggì su certe scene,

per mantener la razza

delle donne da bene.

FERASPE

Se malvagio destino

non ha condotto l'infelice a morte,

forse da questa corte,

pur che da te mi sia

additato l'ingresso,

qualche novella intenderò d'Argia.

DEMA

Così nel cor impresso

porto il tuo bel sembiante,

e sì gentil tu sei,

che negar di servirti unqua potrei.

Segui pur, ma da lungi, ecco, m'invio.

 

FERASPE

Speranza cor mio.

Non sempre crudeli

si rotano i cieli:

un punto sovente

fa quieta la mente,

fa pago il desio,

speranza cor mio.

IIº

Speranza mio core.

A un volger di luna

si cangia fortuna:

non serban le stelle

mai sempre rubelle

l'istesso tenore,

speranza mio core.

 

ACESTE

Signor non più dimora

il cammin segui, e la fortuna prendi,

che se sciolta se n' va l'infida, e ria,

seguirla è vanità,

aspettarla è pazzia.

 

Scena quattordicesima

Laurindo.

 

Discioglietevi pure

in lacrimosi fiumi

infelici miei lumi;

e fra tante sciagure

degl'alberghi di Dite

a quest'alma dolente il varco aprite.

IIº

Trafiggemi pure

finché l'alma io spiri

tormentosi martiri,

e fra tante sventure

principessa tradita,

che già perso ha l'onor, perda la vita.

 

 

Che più, misera Argia, che più pretendo

dalla mia cruda sorte,

se prima della morte,

per mio castigo eterno,

dagl'influssi del ciel provo l'inferno?

Veggio l'empio Selino

idolatrar Dorisbe:

l'empio Selino, oh dio,

che dentro a Negroponte

nel bel giardin d'amore

colse dell'onor mio

sotto manto di fede il primo fiore.

Fuggo il paterno sdegno,

lascio di questo seno il dolce parto

a vagir tra le piante;

perdo l'onore, e 'l regno,

e disperata amante

cangio spoglie virili.

Servo regia donzella,

ch'alle nozze m'appella.

Veggio Feraspe mio

dolente, ed angoscioso

deplorar la mia sorte,

e pur anche non oso

già che tutto perdei, trovar la morte?

Ah perfido Selino?

Ah sventurato figlio?

Ahi perduto consiglio?

Ahi malvagio destino?

O forsennata Argia?

O Feraspe? O Dorisbe?

O regno? O cielo? O dio?

Movetevi a pietà del dolor mio.

Ma già sento nel core

per soverchio martire,

tutto disceso a concentrarsi il sangue:

già quest'anima langue,

o per troppo languir fugge dal seno:

addio Cipro, addio mondo, io vengo meno.

 

Scena quindicesima

Alceo, Filaura, Laurindo.

 

ALCEO

O quest'è bella affé?

Io non mi reggo in piè,

ho bisogno del letto

e trovo a mio dispetto

un più cotto di me.

O quest'è bella affé?

FILAURA

Ah Filaura dolente?

Il mio destino non vuole,

ch'io rimiri il mio sole,

se non quando tramonta all'occidente.

Reggi pietoso Alceo

questa cadente salma,

poich'al tuo vacillar, vacilla un'alma.

ALCEO

Io non mi movo un punto,

ma questo poverello,

che da vini possenti

sollevato ha 'l cervello,

vuol ballar la folia senza strumenti.

FILAURA

Parmi, che già respiri.

LAURINDO

Ahi più non posso.

ALCEO

Dimmi Laurindo mio, fu bianco, o rosso?

LAURINDO

Chi mi ritorna in vita?

FILAURA

Apri i lumi, o mio bene, indi rimira

Filaura, che sospira,

e benché mal gradita

a te ritorna, e chiede

un sol premio d'affetto alla sua fede.

LAURINDO

Ancor tenti impudica

d'accrescer il mio male,

promettendo una fede

mercenaria, e venale?

FILAURA

Deh placati mia vita,

ch'a te sarò costante, e 'l cor devoto

qui ti consacro in voto.

LAURINDO

Più non turbar Filaura

l'agitato mio core,

che s'al primiero ardore

già dedicato fue,

sdegna per te di bipartirsi in due.

FILAURA

Dunque tanto crudel?

LAURINDO

Tanto lasciva?

FILAURA

Deh se brami ch'io viva,

non mi negar soccorso.

LAURINDO

O vivi, o scoppia

a me poco rileva,

anzi per tuo martoro

da te ratto me n' fuggo,

che non è mio decoro

servir dama, che vende

l'onestade, e la vita a chi più spende.

 

ALCEO

Da' pur bando alla spene,

perché quant'a Laurindo

c'è poco da far bene.

FILAURA

Dunque ignoto fanciullo

ritrosetto e superbo,

con mio tormento acerbo.

Con mio rossore eterno

prende Filaura a scherno?

Stolta? Ma che farò?

Tacerò? Soffrirò?

 

Vendetta, vendetta,

s'atterri l'indegno,

ch'il cor mi rubò.

E provi il mio sdegno

s'amor disprezzò

un fiero martire

all'armi, ed all'ire

quest'anima affretta.

Vendetta, vendetta.

IIº

Vendetta, vendetta,

s'uccida il ribello,

che fede non ha.

Racchiuda un avello

chi nega pietà.

Già l'alma tradita

a chi l'ha schernita

i fulmini affretta.

Vendetta, vendetta.

 

Scena sedicesima

Alceo, coro di Schiavi che ballano.

 

ALCEO

Corri pure a tua voglia. Alceo qui resta:

s'a te fuma la rabbia,

a me pesa la testa.

Se dessero a me fede

gl'amanti, e al mio costume,

piuttosto a questo nume

riverenti, e devoti

appenderebbon voti,

e lascerian la scola

d'un folletto del ciel, ch'è cieco, e vola.

 

Voi che state al vino intorno,

e traete allegri i dì,

io v'attendo tutti qui

a far placido soggiorno.

Del mio cor

vero amor

Bacco sol sempre sarà.

Datem'un altro vaso ahi per pietà.

IIº

Su canaglia da taverna,

che trincate notte, e dì,

io vi chiamo tutti qui

a raccender la lanterna.

Su moscioni,

compagnoni

qui mescete in carità.

Datem'un altro vaso ahi per pietà.

 

Fine (Atto primo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Mare, e porto con vista della fortezza di Salamina.

Feraspe, Aceste, marinai, Soldato
 

O della barca? Olà chi passa?

Feraspe, Aceste
marinai, Soldato ->

O come bene a tempo

Non sempre empia fortuna

(Aceste e Feraspe in disparte)

Feraspe, Aceste
<- Laurindo

Ahi qual mi nasce in seno

 

Amico il ciel t'aiti

Cortil regio.

Atamante, Lurcano
 

Regio manto, e soglio altero

Atamante, Lurcano
<- Alceo

Sire, con questo foglio

Atamante, Lurcano
Alceo ->

Sire, com'imponesti

Atamante, Lurcano
<- Dema, Dorisbe

Vanne figlia a bell'agio, e al re t'inchina

Dema, Dorisbe
Atamante, Lurcano ->
Dema, Dorisbe
<- Laurindo

Mira Dorisbe mira

Dorisbe, Laurindo
Dema ->

E qual rigor di stelle

Dorisbe e Laurindo
Laurindo, o dio, Laurindo
Dorisbe, Laurindo
<- Selino, Solimano, Dema

Eppur io torno o bella

Selino, Solimano
Dorisbe, Laurindo, Dema ->

Signor che pensi? Ancor dubbioso, e lento

Selino, Solimano ->
<- Feraspe, Aceste

Questa, s'io non m'inganno

Feraspe, Aceste
<- Dema

Senti, come si loda!

Feraspe, Aceste, Dema
<- Laurindo

(Laurindo da parte)

A tempo io giungo

Signor non più dimora

Laurindo
Dema, Feraspe, Aceste ->

Che più, misera Argia

Laurindo
<- Alceo, Filaura

O quest'è bella affé?

Alceo, Filaura
Laurindo ->

Da' pur bando alla spene

Alceo
Filaura ->

Corri pure a tua voglia

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima
Mare, e porto. Mare, e porto con vista della fortezza di Salamina. Cortil regio. Il tempio di Venere. Appartamenti di Filaura. Giardino con vista del palazzo reale. Logge, e prigioni. La città di Salamina. Anfiteatro per combattere.
Prologo Atto secondo Atto terzo

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