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L'Argia

L'ARGIA

Dramma musicale.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Giovanni Filippo APOLLONI.
Musica di Antonio CESTI.

Prima esecuzione: 4 novembre 1655, Innsbruck.


Interlocutori:

TETI prologo

soprano

AMORE prologo

soprano

ATAMANTE re di Cipro

baritono

DORISBE figlia d'Atamante

soprano

FERASPE principe di Negroponte

contralto

ACESTE scudiero di Feraspe

baritono

Principessa di Negroponte, sorella di Feraspe in abito di maschio, chiamata LAURINDO

mezzosoprano

Lucimoro figlio d'Atamante, creduto SELINO figlio del re di Tracia

contralto

SOLIMANO aio di Selino

baritono

DEMA vecchia nutrice di Dorisbe

tenore

LURCANO buffone, servo d'Atamante

contralto

FILAURA cantatrice

soprano

ALCEO eunuco servo di Filaura

tenore

OSMANO vecchio in abito di pastore, aio di Lucimoro

basso

Un bambino - FANCIULLETTO - figlio di Lucimoro, e d'Argia

soprano

SOLDATO della fortezza di Salamina

altro

VENERE

soprano

L' INNOCENZA

soprano


Coro di Marinai. Coro di Soldati. Coro di Numi.

Personaggi muti, ovvero comparse:
per Atamante 10 Soldati, 6 Paggi, 2 Mori;
per Selino 6 Soldati, 2 Mori;
per Dorisbe 8 Damigelle;
per Feraspe 6 Soldati, 2 Paggi;
per Filaura 4 More;
per Argia 6 Damigelle.

La scena si finge in Salamina, allora metropoli di Cipro.

Scene, Balli e Macchine

Scene:

1. Mare, e porto, con vista della fortezza di Salamina.

2. Cortil regio.

3. Il tempio di Venere.

4. Appartamenti.

5. Giardino con vista del palazzo reale.

6. Logge e prigioni.

7. La città di Salamina.

8. Anfiteatro per combattere.

Balli:

1. di Buffoni

2. di Fantasmi

3. di Soldati

4. di Amorini

Macchine:

Una conchiglia per Teti.

Una barca, entrovi Feraspe, ed Aceste, con il coro de ' Marinai.

Un carro aereo per Venere.

Un trono celeste, dove si trovano alfine, Venere, l'Innocenza, un coro di Numi, che cantano, ed un coro di Amorini, che ballano.

Un volo d'Amore dal cielo in mare.

Un volo d'Amore dalla conchiglia in cielo.

Quattro Fantasmi che volano dopo il ballo differentemente.

Argomento della favola

Atamante re di Cipro ebbe da Doricrene sua moglie un maschio nominato Lucimoro, ed una femmina chiamata Dorisbe. Fu Lucimoro, ancor bambino rapito da corsari nelle spiagge di Cipro, e seco furon fatti schiavi la nutrice, e l'aio, nominato Osmano. Fu venduto il bambino ad Alì re di Tracia quale ritrovandosi senza figli, e senza speranza d'averne, adottò Lucimoro, e chiamollo Selino. Dopo varie diligenze fatte dal re Atamante, per ricuperare il perduto figlio, la regina Doricrene, vinta dal dolore, morì. La nutrice di Lucimoro morì parimente prima di arrivare a Bisanto, e l'aio Osmano con improvvisa fuga si liberò dalla schiavitudine; ma dubitando, se ritornava in Cipro, che la perdita del regio figlio fussi ascritta a suo mancamento, deliberò di ritirarsi nell'isola di Negroponte, e quivi in abito di pastore terminar sconosciuto i suoi giorni. Volse Atamante dopo la morte di Doricrene vedovar tutto il rimanente della sua vita, e quando non gli fusse permesso di ritrovar il figlio, risolvé di far erede del regno l'infanta Dorisbe, quale in tanto cresceva in straordinaria bellezza. Cresceva altresì in Tracia ricco di qualità riguardevoli il principe Selino, è giunto alla fine del terzo lustro, ottenne da Alì di peregrinar per il mondo, per apprender non meno la diversità delle lingue, che dei costumi. Arrivò incognito Selino nel regno di Negroponte, dove s'invaghì d'Argia figlia del re Toante, bella a meraviglia. Corrispose Argia a gli affetti dello straniero, quale scoprendosi per il principe di Tracia, e dandogli fede di matrimonio, ottenne felicemente l'intento de suoi pensieri. Rimase in pochi giorni Argia gravida di Selino, quale già sazio degl'abbracciamenti dell'incauta principessa, imbarcatosi di notte sopra un vascello, improvvisamente si partì. S'accorse, benché tardi l'infelice del tradimento, e vedendo maturarsi quel tempo, che scopriva gli amorosi errori, in abito di maschio disperata se ne fuggì. Prima d'uscir da quel regno fu sopraggiunta da i dolori del parto, e ritrovandosi a caso vicino alla capanna di quell'Osmano, che si fingeva pastore, diede alla luce un bellissimo figlio, quale per memoria del tradimento paterno lasciò senza nome. Concesse la misera Argia pochi giorni di riposo alle membra travagliate dal parto, è chiamando a sé quel finto pastore, che nella sua capanna l'avea cortesemente raccolta, li lasciò buona somma d'oro e di gioie, e con lacrime che ottenevano pietà senza chiederla, lo pregò di far nutrire con ogni secretezza quell'infelice pargoletto, finché lei stessa tornassi con maggior comodo a ricuperarlo. Promise il buon vecchio ogni diligenza, e con affetto più che ordinario accomiatò la fuggitiva principessa. Mentre quella se n'andava in traccia del suo traditore, giunse alla corte di Cipro, dove fu ammessa sotto nome di Laurindo a i servigi della principessa Dorisbe. Questa in breve s'invaghì a tal segno del creduto paggio, che giurò volerlo per sposo, ed altro non procurava appresso il padre Atamante, se non di render Laurindo meritevole delle sue nozze. In tal stato era la corte di Cipro quando il principe Selino, quattr'anni dopo la sua fuga da Negroponte, cercando l'avventure, pervenne alla reggia di Salamina, ne vide appena le maestose bellezze di Dorisbe, che scordatosi totalmente d'Argia, tutto di quella s'invaghì. Nell'istesso tempo spinto dalla fama di Dorisbe, e portato dal desiderio di ritrovar la sorella Argia, comparve in Salamina Feraspe principe di Negroponte.

Qui comincia la favola.

Prologo
Scena unica

Mare, e porto.
Teti, Amore.

TETI

Fremi irato Nettuno, e voi dall'onde

placidi zeffiretti omai fuggite;

quinci da Borea sollevati uscite

flutti superbi a flagellar le sponde.

IIº

Senza tema di morte il mio gran regno

solca Tifi novello ogni mortale,

ma ben tosto vedrà quanto sia frale

contro l'ira di Teti un lino, un legno.

AMORE

Frena l'orgoglio ai flutti,

lo sdegno alle procelle:

dal regno delle stelle

la mia gran genitrice a te m'invia.

TETI

Venere? E che desia?

AMORE

Abbattuta dall'onde,

ripercossa dai venti

solca le tue voragini profonde

nave, ch'a Cipro aspira.

Mira Teti, deh mira

qual periglio mortale

i naviganti assale?

TETI

Il veggio: ma che noce

di Venere all'intento

quest'ondoso elemento?

AMORE

All'impero di Cipro,

che la smarrita pace, il perso erede

supplicante richiede

per opra di Ciprigna, e più d'Amore

l'agitato vascel drizza le prore.

AMORE

Deh fuga le procelle.

TETI

Olà partite.

AMORE

Si tranquillino i flutti.

TETI

Onde tacete.

AMORE

Si dilegui ogni nembo.

TETI

Euri fuggite.

AMORE

E resti in un baleno.

TETI E AMORE

Quieto il mar, muto il vento, il ciel sereno.

TETI

Ma qual nume improvviso

mi ferisce, e m'abbaglia?

Nascer forse oggi vuole

prima dell'alba il sole?

AMORE

De' gotici splendori il più bel raggio

è la luce, che miri.

Degli stellanti giri

emulatrice altera

Cristina in terra splende,

e saggia, quanto bella, i cori accende.

Astri fulgidi,

che dalle sfere

il mondo vagheggiate,

non fuggite, fermate

della Svezia a mirar le pompe altere.

Or che lucida senza vel

Cinzia splende, e ride il ciel

dite vedesti o stelle

più beltà, più virtù, luci più belle?

TETI

Vago zefiro,

ch'in grembo a Clori

lascivetto riposi,

spiega i vanni amorosi

della Svezia a mirar nuovi stupori.

Vola zefiro, non tardar,

poi tornando in riva al mar

dimmi vedesti mai

più beltà, più virtù, più dolci rai?

TETI E AMORE

Ecco l'alba, che ridente

semina gigli, e rose

nei campi d'oriente, e 'l sol conduce.

Insieme

TETI

Amor? la luce

di due soli soffrir più non poss'io.

Già torno al mare. Addio.

AMORE

Teti? la luce

di due soli soffrir più non poss'io.

Già volo al cielo. Addio.

Atto primo
Scena prima

Mare, e porto.
Feraspe, Aceste, coro di Marinai, Soldato della fortezza di Salamina.

CORO

Naviganti a riva, a riva,

già risplende in ciel l'aurora:

quest'è Cipro, e qui s'adora

delle dèe la più lasciva.

Naviganti a riva a riva.

IIº

Passeggeri il porto è qui;

ecco l'alba in cielo appar,

ride il suolo, e brilla il mar.

Fugge l'ombra, e torna il dì,

passeggeri il porto è qui.

SOLDATO

O della barca? Olà chi passa?

ACESTE

Amici.

SOLDATO

Donde vieni? Che porti, e che pretendi?

ACESTE

Star barca levantina,

venir da Colco, e mercanzia portar,

e si poter sbarcar,

nient'a pretender.

SOLDATO

Questo è linguaggio invero

di straniera figura,

ma dimmi passeggero,

porti di sanità fede, o scrittura?

ACESTE

Aver bulletta greca,

e si non entendir,

venir a basso, e mi casacca aprir.

SOLDATO

A riso mi commove. Orsù ti credo:

sbarca pure a tua voglia,

ma pria qual è costume,

della gran dèa di Cipro adora il nume.

ACESTE

Con strumenta da guerra

Venere salutar.

CORO

A terra, a terra.

FERASPE

Tu meco scendi Aceste, e voi traete

il vascello in disparte:

quinci pronti attendete,

poiché breve soggiorno

ho prefisso, o nocchieri, al mio ritorno.

Scena seconda

Feraspe, Aceste.

FERASPE

O come bene a tempo

e la patria mentisti, e la favella.

ACESTE

Del tuo gran merto ancella,

generoso Feraspe,

e la vita d'Aceste, e l'alma ancora.

Deh potess'io pur ora

quella brama appagarti,

per cui da Negroponte,

principe sconosciuto,

ti spinse il cielo, e più del cielo amore.

FERASPE

O qual provo nel core

lusinghiera speranza

di ritrovar in Cipro

tregua agl'affanni miei.

Come lieto sarei,

s'io potessi una volta

riveder quell'Argia,

sorella a me gradita,

che da sorte rubella,

già scorre un lustro (oh dio) mi fu rapita.

Aurette vezzose,

foriere del giorno,

ch'errate d'intorno

con ali di rose,

volgetevi a me;

e dite dov'è

colei, che desia

il mio regno, il mio cor, l'anima mia.

IIº

Stellanti zaffiri,

ch'i mali influite,

se mai compatite

d'un'alma i sospiri,

volgetevi a me.

E dite dov'è

colei, che desia

il mio regno, il mio cor, l'anima mia.

ACESTE

Non sempre empia fortuna

volge il tergo a' mortali, anzi talora

con mille gioie, ch'in un punto aduna

ricompensa gl'affanni, e la dimora.

Ma qual, sire, ver' noi

con afflitto sembiante

lacrimoso garzon volge le piante?

FERASPE

Di non bassi natali al volto ei sembra

ma già ch'i lumi a terra

sospirando ha rivolti,

in disparte s'ascolti.

Scena terza

Laurindo, Feraspe, Aceste.

LAURINDO

O cielo inesorabile

a' miei crudi martiri,

se per te variabile

volgi gl'eterni giri,

perché non cangi del mio cor le tempre?

Si cangia il mondo, ed io sospiro sempre.

FERASPE

Ahi qual mi nasce in seno

improvvisa pietade?

LAURINDO

Oh stato miserabile

d'un'amante tradita!

S'amor fatto implacabile,

non mi rende la vita,

cangiate o stelle del mio cor le tempre.

Si cangia il mondo, ed io sospiro sempre.

FERASPE

Amico il ciel t'aiti.

LAURINDO

Ohimè, che miro?

FERASPE

E con il cielo anco la sorte.

LAURINDO

Oh dio

non è questi Feraspe? Erro o deliro?

FERASPE

Ascolta.

LAURINDO

Ah non vaneggio. Ecco il fratello.

Fingi mio cor, deh fingi

altro volto, altra spene,

che finger, o morir oggi conviene.

FERASPE

Dimmi, e l'ardir condona, ov'è 'l cammino,

che ne conduce a corte?

LAURINDO

Questo, a cui m'avvicino

è 'l sentier della morte.

ACESTE

O come in un baleno

disperato fuggi? Forse nel seno

chiude foco amoroso, o rio tenore

d'astro maligno li trafigge il core.

FERASPE

La fortuna proterva

sparge per ogni suolo

delle miserie sue l'alte radici;

che Negroponte solo

non è patria bastante agl'infelici.

Scena quarta

Cortil regio.
Atamante, Lurcano.

ATAMANTE

Regio manto, e soglio altero,

gran tesoro, e vasto impero

fan beato ogni mortal.

Ma che val?

Scettri, pompe, e contenti

la più volubil dèa cangia in tormenti.

LURCANO

Chi nel mondo altrui dà legge,

e sé stesso non corregge,

sorte amica aver non può.

Ma che pro?

È politica da re

dar la colpa a fortuna, e non a sé.

ATAMANTE

E pur sempre mordaci

son Lurcano i tuoi detti. Ancor non sai

che a chi governa, e regge

il sol volere è legge?

LURCANO

Bello, Atamante, invero

e leggiadro è il pensiero.

Ma del tuo gran volere

Lurcano unqua si fida,

ch'il senso omai, non la ragion lo guida.

ATAMANTE

Taci, e frena arrogante

la tua lingua mendace,

che di soverchio audace

della clemenza mia trapassa il segno.

LURCANO

Sempre di verità figlio è lo sdegno.

ATAMANTE

Dei servi anco più vili

son bersaglio oggidì l'opre dei regi.

Chi brama eterni pregi,

e glorie memorande,

tanto più cauto sia, quanto è più grande.

Scena quinta

Alceo, Atamante, Lurcano.

ALCEO

Sire, con questo foglio

colei, che te sol ama, e sol desia,

la tua bella Filaura, a te m'invia.

ATAMANTE

Sorgi o buon servo, e tu Lurcano i passi

volgi ratto a Dorisbe,

digli, che per brev'ora

di favellargli intendo.

Venga, e senza dimora

eseguisca il mio cenno, io qui l'attendo.

LURCANO

Taccio, m'inchino, e parto.

Costui, chi no 'l sapesse,

alla cera è cantore:

ma fiutando l'odore,

appesta di ruffiano

quattro leghe lontano.

ATAMANTE

Filaura? O caro nome; ecco ti bacio.

ALCEO

Mesta scrisse, e dolente

Filaura a te quel foglio.

E col pianto sovente

bagnò la carta; indi m'impose, vanne,

vanne mio fido Alceo, trova Atamante

digli, che se bastante

ad impetrar mercé non è l'inchiostro,

in lacrime disciolta omai s'invia,

per chiedergli pietà l'anima mia.

ATAMANTE

Torna mio caro Alceo, torna a Filaura.

Digli, ch'oggi preparo

alla gran dea le cerimonie usate.

Se noioso, ed amaro

questo breve intervallo a lei rassembra

forse tanto più grate

saran le gioie, e i baci.

Parti, rispondi, e taci.

ALCEO

Obbediente, e presto

ad eseguir m'accingo.

Se vostra maestà sapessi il resto?

ATAMANTE

Nascer grande, ahimè, che giova,

se d'un dio, che vibra foco

anco i re son scherzo, e gioco?

Ah ben'intendo a prova,

ch'amorose tempeste, e regia calma

son corona alle tempie, e lacci all'alma.

La potenza, o dio, che vale,

s'anco i re vivon soggetti

ai tiranni degli affetti?

È decreto fatale,

che tumulto di sensi, e regia calma

sian corona alle tempie e lacci all'alma.

Scena sesta

Lurcano, Dema, Dorisbe, Atamante.

LURCANO

Sire, com'imponesti,

Dorisbe a te se n' viene

tardar non può; già tutto,

nel mio bel volto a pascolarsi intento,

fuor della regia mandra esce l'armento.

DEMA

Vanne figlia a bell'agio, e al re t'inchina.

Senti ciò, che t'impone:

se parla di marito,

accetta pur l'invito,

poich'a star sulla dura

patisce la ragione, e la natura.

DORISBE

Invitto re, cui la fortuna in terra,

e benigno nel cielo arride il fato,

al tuo cenno adorato

riverente Dorisbe ecco s'atterra.

ATAMANTE

Ergiti o figlia, e 'l mio desire ascolta,

omai del quinto lustro il primo sole

scorre, da che rapito

in quell'età, ch'è dalle fasce involta

fu con il vecchio Osmano

Lucimoro a me figlio, a te germano.

Se defunto, o smarrito

sia l'innocente figlio,

giammai sorte rubella

ne porse a me novella.

Certa del gran periglio

la bella Doricrene

mia consorte, e mia spene

con la prole gradita

perse, ah caso dolente, anco la vita.

Allor, figlia, giura!

Nel tempio di Ciprigna

di rinnovar ogn'anno,

fin ch'il mio duol ha posa,

la memoria del figlio, e della sposa.

Giunto è quel giorno omai,

ch'alla grand'opra elessi. Or tu Dorisbe

ti prepara alla pompa,

per supplicar la dèa,

che renda a questo regno, a questo seno,

se non può la regina, il figlio almeno.

DORISBE

Ogni tuo cenno, o sire,

ad eseguir son pronta,

ch'il paterno desire

a figlia riverente

sempre è termine al piè, legge alla mente.

ATAMANTE

Or ch'appieno intendesti, io per brev'ora,

dalla reggia lontano

volgo le piante: addio, segui Lurcano.

LURCANO

Vengo, vengo signor: addio marmotta.

DEMA

Questa sì, che mi scotta.

Affé non te la passo,

e giuro per le stelle

d'insegnarti a schernir le verginelle.

Scena settima

Dorisbe, Dema, Laurindo.

DORISBE

S'un guardo mi vinse,

e 'l sen mi piagò,

s'un crine m'avvinse,

e 'l cor m'annodò,

palesa mio core

lo stral che volò,

che piaga d'amore

tacer non si può.

IIº

S'è forza ch'io spiri

per cruda beltà,

se i muti sospiri

non trovan pietà:

palesa mio core

chi l'alma legò,

che laccio d'amore

celar non si può.

DEMA

Mira Dorisbe mira,

com'afflitto, e dolente

il tuo caro Laurindo il piè rigira?

Credo, ch'il poverello

abbia perso il cervello.

DORISBE

Dema per breve spazio

con le mie fide ancelle a me t'invola,

ch'ho desio d'esser sola,

se pur sola può dirsi

chi per virtù d'amore,

a così dolce vista,

si trova, o dio, moltiplicato il core.

DEMA

Andiam, che la padrona

va in consiglio privato,

non so, se di futuro, oppur di stato.

Scena ottava

Dorisbe, Laurindo.

DORISBE

E qual rigor di stelle,

adorato mio bene,

con influssi di pene

ha forza d'offuscar luci sì belle?

S'amor d'amore è degno

svela ciò, ch'al tuo sen turba la calma,

ch'in tuo soccorso un regno

negar non può chi già donata ha l'alma.

LAURINDO

Dorisbe, anima mia,

vicino agl'occhi tuoi

non ho duol, che m'annoi.

Sol poc'anzi languia

per te l'egro mio core:

or, che piacque ad amore

di ricondurmi a te, pago ho 'l desio,

e torna alla tua sfera il foco mio.

DORISBE

Or, se pari è l'ardor, pari è lo stato

delle nostr'alme, ah non poteva il fato

render ancor eguali

le fortune, e i natali?

LAURINDO

Ah Dorisbe, Dorisbe,

se tu sapessi il vero,

cangeresti pensiero.

DORISBE

Forse eguale a me sei?

LAURINDO

Più che non credi.

DORISBE

O se ciò fosse vero

fortunata Dorisbe?

LAURINDO

Anzi infelice.

DORISBE

Dimmi, perché non sveli

quanto racchiudi in sen?

LAURINDO

Perché non lice.

DORISBE

E s'eguale a me sei, perché non speri

di godermi consorte?

LAURINDO

Tropp'eguale è la sorte.

DORISBE

E ciò m'affida,

ch'avrò sposo Laurindo.

LAURINDO

Ed io la morte.

DORISBE

Forse di me non curi?

LAURINDO

Anzi t'adoro.

DORISBE

Io per te vivo.

LAURINDO

Io moro.

DORISBE

L'origine discopri

del tuo cordoglio almen.

LAURINDO

Più dir non oso.

Basta, ch'io t'amo, e se morendo ancora

sortirò negl'elisi

fortunato riposo,

del tuo vago sembiante

sarò spirto seguace, ombra adorante.

DORISBE

Ahi qual fiera procella

d'agitati pensieri mi move in seno

quest'ambigua favella?

LAURINDO

Se disvelarti a pieno

l'enigma non poss'io,

ogni dubbio desio

scaccia dal tuo petto,

che s'ambiguo è 'l parlar, certo è l'affetto.

Insieme

DORISBE

Laurindo, o dio, Laurindo,

questo cor per te si strugge:

già si fugge per amor l'alma dal seno.

Laurindo, o dio Laurindo, io vengo meno.

LAURINDO

Dorisbe, ohimè, Dorisbe,

questo cor per te si strugge:

già si fugge per dolor l'alma dal seno.

Dorisbe, ohimè Dorisbe, io vengo meno.

Scena nona

Selino, Solimano, Dorisbe, Laurindo, Dema.

SELINO

Eppur io torno o bella

nuova Clizia spirante

di quel sol, ch'adorai

nel tuo bel volto a contemplare i rai.

Se languida favella

di femminino amante,

se questo volto esangue,

se questi lumi lacrimosi, e mesti

nunzi d'un cor che langue

d'impetrarli mercé non han possanza,

mira Dorisbe l'alma,

che per fuggir d'una dolente salma

l'abominosa stanza

alla città dell'ombre omai s'invia.

Deh per pietà consola

con un sospiro almen la morte mia.

LAURINDO

Empio, falso, lascivo,

sento, veggio, eppur vivo?

DORISBE

Selino a più d'un segno appieno accorto

esserti omai dovresti,

ch'a me poco graditi, anzi molesti

son gl'eccessi d'amore,

onde consumi inutilmente il core.

Sappi, ch'un altro oggetto

di quest'anima mia preso ha l'impero;

scaccia pur dal tuo petto

così folle pensiero,

ch'io nutrendo altra speme, ed altri amori

tanto l'aborrirò, quanto m'adori.

SELINO

Dunque senza speranza

deggio viver morendo

la vita, che m'avanza?

DORISBE

Principe ti consola,

e s'a Dorisbe hai di piacer desio

a Dorisbe t'invola.

SELINO

Dunque partir degg'io?

O speranza tradita,

ch'a me doni la morte...

DORISBE

A me la vita.

SELINO

Quanto tiranna sei.

DORISBE

Quanto sei folle.

SELINO

Né ti muovi a pietà del mio tormento?

LAURINDO

(Morir, lassa, mi sento.)

SELINO

Parto, ed eterno bando

da te mi piglio.

DORISBE

E quando?

SELINO

Or t'appago il desio:

addio per sempre.

DORISBE

Addio.

SELINO

Volgi bella crudel, volgi il sembiante.

DORISBE

O d'ostinato amante

troppo importuni preghi?

Già che partir tu neghi,

al piede impenno l'ali,

e per maggior tuo scorno

parto, fuggo, m'involo, e più non torno.

SELINO

Ahi barbara sentenza.

DORISBE

Buon pro a vostra eccellenza.

Scena decima

Solimano, Selino.

SOLIMANO

Signor che pensi? Ancor dubbioso, e lento

tra queste infauste mura il piè sospendi?

Misero, e non intendi,

che ludibrio del vento

son le preghiere tue? Fuggi Selino,

fuggi da questo ciel, torna a Bisanto,

ch'a vincer il destino

languir non giova, e sempre vano è 'l pianto.

SELINO

Solimano, il mio core,

fatto schiavo d'amore

lacci di servitù più non paventa.

Qualche speranza ancora

in vita mi sostenta.

So ben anch'io, che fora

certo scampo la fuga:

ma chi con ciechi al precipizio corre

la morte sprezza, e la salute aborre.

SOLIMANO

Sire m'ascolta, e credi

a chi mentir non usa.

Veggio, ch'a te ricusa

porger il crin fortuna.

Già la tua vaga luna,

lungi al sol di Dorisbe

nella sfera d'amore il volto eclissa.

Ogni stella del ciel vagante, o fissa

ti minaccia la morte:

e di nuovo tentar vorrai la sorte?

Fuggi signor, deh fuggi

il mal, che ti sovrasta, o ti rammenta,

ch'invano lacrimando il cor distruggi,

poiché 'l dio che tu segui

ha per maggior suo vanto

l'esser cieco a ferire, e sordo al pianto.

SELINO

No no fuggir non vo'.

Seguirò

finché spiro, e finché lice

la mia bella traditrice.

Mi tormenti,

mi spaventi

quanto vuole amor protervo,

fuggir non può chi di catena è servo.

IIº

No no fuggir non sa,

soffrirà

catenata l'alma mia

l'amorosa tirannia.

Mi raggiri,

mi martiri

quanto vuole amor protervo,

fuggir non può chi di catena è servo.

Scena undicesima

Feraspe, Aceste.

FERASPE

Questa, s'io non m'inganno,

della gran Salamina

è la corte reale, e ben si vede

in questa regia parte

il trionfo dell'arte:

che per mostrar, ch'entro l'augusta sede

un monarca s'adora,

spirano maestà le pietre ancora.

ACESTE

Signor qui ferma il piede,

ch'il passaggio di corte

spesso da servi frequentar si vede.

Della regal sorella

avrai forse novella.

FERASPE

Ah lo volessi il cielo?

ACESTE

Io ben lo spero,

né sia vano il pensiero.

FERASPE

Taci, e rimira Aceste

qual femmina canuta a noi se n' viene?

Par che seco favelli; a me conviene

penetrar ciò, che parla.

ACESTE

In questa parte

potrai, benché da lungi,

non veduto ascoltarla.

Già s'avvicina, e stanco

appoggia a duro legno il debil fianco.

Scena dodicesima

Dema, Feraspe, Aceste.

DEMA

Vecchiarella, che non può

ritornar in gioventù,

di quel dolce, che gustò

si rammenta ogni dì più;

e se mira

chi sospira

per beltà, che ride, e brilla,

si distilla,

e con occhi arditi, e scaltri

gode almen di veder gl'altri.

IIº

Pescatrice, cui rapì

tempo ingordo la beltà,

va cercando notte e dì

qualche pesce per pietà.

E se vede

chi fa prede,

e d'amor la rete ha piena,

si dimena.

Mira 'l pesce, e l'amo tende,

sempre pesca, e mai lo prende.

ACESTE

Senti, come si loda!

Che matrona alla moda!

FERASPE

Madre benigno il cielo

il tuo desir secondi.

DEMA

O che bel viso!

FERASPE

Dimmi, se pur t'aggrada.

DEMA

E senza pelo!

FERASPE

Sei tu forse di corte?

DEMA

Il ciel m'aiti.

Son cortigiana antica,

la livrea ve lo dica.

ACESTE

O che vecchia bizzarra!

Vedi, come t'osserva?

FERASPE

A qual impiego eletta?

DEMA

Di Dorisbe son io nutrice, e serva.

FERASPE

Dimmi è bella Dorisbe?

DEMA

È bella, e vezzosetta.

FERASPE

Dunque sarà cortese?

DEMA

E questo ancora,

FERASPE

In qual parte, a qual ora

lice altrui d'inchinarla?

DEMA

Orsù l'intendo.

Me n'accorsi alla cera,

che costui di nutrice

mi vuol far messaggera, o ambasciatrice.

In questo giorno appunto

si condurrà nel tempio.

Ma tu (quegl'occhi ladri oggi mi fanno

scordar la gravità) dimmi chi sei?

FERASPE

Degl'accidenti miei

poco, o nulla a te cal. Di Colco io sono.

DEMA

Colcati, e te 'l perdono.

Il tuo nome?

FERASPE

Feraspe.

Scena tredicesima

Laurindo da parte, Dema, Feraspe, Aceste.

LAURINDO

A tempo io giungo.

DEMA

E qual sì rilevante

interesse, o desio

dal paese natio

qua ti condusse errante?

FERASPE

Curioso pensier figlio del fato

a questo vago regno

per ondoso cammin trasse il mio legno.

DEMA

Forse in mare agitato

fosti da ria procella?

LAURINDO

No che sorte rubella

tutte ripose, oh dio,

le tempeste del mar nel petto mio.

FERASPE

Madre per vari casi

qua mi condussi. Or dimmi,

ancor son noti a Cipro

di Negroponte gl'accidenti?

LAURINDO

Ahi lassa!

DEMA

Io nulla intesi. Forse

più non vive Toante? O morte ria

tolse dal mondo la famosa Argia?

LAURINDO

Ah che troppo son viva, e troppo ascolto.

FERASPE

Regna Toante ancora,

ma l'infelice Argia.

LAURINDO

Mi scoppia il cor nel petto

FERASPE

Se pur già non è morta, è persa almeno.

DEMA

E come ciò sapesti?

FERASPE

Il mio compagno,

che là trasse i natali, a me fe'

accidente sì fiero.

ACESTE

Purtroppo è vero.

DEMA

E quanto tempo omai

scorre da che smarrita

ha Toante la prole?

ACESTE

Già quattro volte il sole

tutto varcò del gran zodiaco il giro.

LAURINDO

Ed io vivo? Ed io spiro?

DEMA

Fu rapita?

ACESTE

No 'l so.

DEMA

Fuggì?

ACESTE

Nemmeno.

DEMA

Alcun la vide?

ACESTE

No.

DEMA

Scrisse?

ACESTE

Giammai.

DEMA

Non più: tosto il saprai.

FERASPE

E come fu?

DEMA

Già sollo.

FERASPE

Di' pur.

DEMA

La poveretta...

FERASPE

Come?

DEMA

L'ha rotto.

FERASPE

E che?

DEMA

L'ha rotto 'l collo.

LAURINDO

Eppur resisti Argia?

DEMA

Anch'io persi una figlia,

ch'era l'anima mia:

né seppi altra novella,

se non che da zitella

fuggì su certe scene,

per mantener la razza

delle donne da bene.

FERASPE

Se malvagio destino

non ha condotto l'infelice a morte,

forse da questa corte,

pur che da te mi sia

additato l'ingresso,

qualche novella intenderò d'Argia.

DEMA

Così nel cor impresso

porto il tuo bel sembiante,

e sì gentil tu sei,

che negar di servirti unqua potrei.

Segui pur, ma da lungi, ecco, m'invio.

FERASPE

Speranza cor mio.

Non sempre crudeli

si rotano i cieli:

un punto sovente

fa quieta la mente,

fa pago il desio,

speranza cor mio.

IIº

Speranza mio core.

A un volger di luna

si cangia fortuna:

non serban le stelle

mai sempre rubelle

l'istesso tenore,

speranza mio core.

ACESTE

Signor non più dimora

il cammin segui, e la fortuna prendi,

che se sciolta se n' va l'infida, e ria,

seguirla è vanità,

aspettarla è pazzia.

Scena quattordicesima

Laurindo.

Discioglietevi pure

in lacrimosi fiumi

infelici miei lumi;

e fra tante sciagure

degl'alberghi di Dite

a quest'alma dolente il varco aprite.

IIº

Trafiggemi pure

finché l'alma io spiri

tormentosi martiri,

e fra tante sventure

principessa tradita,

che già perso ha l'onor, perda la vita.

Che più, misera Argia, che più pretendo

dalla mia cruda sorte,

se prima della morte,

per mio castigo eterno,

dagl'influssi del ciel provo l'inferno?

Veggio l'empio Selino

idolatrar Dorisbe:

l'empio Selino, oh dio,

che dentro a Negroponte

nel bel giardin d'amore

colse dell'onor mio

sotto manto di fede il primo fiore.

Fuggo il paterno sdegno,

lascio di questo seno il dolce parto

a vagir tra le piante;

perdo l'onore, e 'l regno,

e disperata amante

cangio spoglie virili.

Servo regia donzella,

ch'alle nozze m'appella.

Veggio Feraspe mio

dolente, ed angoscioso

deplorar la mia sorte,

e pur anche non oso

già che tutto perdei, trovar la morte?

Ah perfido Selino?

Ah sventurato figlio?

Ahi perduto consiglio?

Ahi malvagio destino?

O forsennata Argia?

O Feraspe? O Dorisbe?

O regno? O cielo? O dio?

Movetevi a pietà del dolor mio.

Ma già sento nel core

per soverchio martire,

tutto disceso a concentrarsi il sangue:

già quest'anima langue,

o per troppo languir fugge dal seno:

addio Cipro, addio mondo, io vengo meno.

Scena quindicesima

Alceo, Filaura, Laurindo.

ALCEO

O quest'è bella affé?

Io non mi reggo in piè,

ho bisogno del letto

e trovo a mio dispetto

un più cotto di me.

O quest'è bella affé?

FILAURA

Ah Filaura dolente?

Il mio destino non vuole,

ch'io rimiri il mio sole,

se non quando tramonta all'occidente.

Reggi pietoso Alceo

questa cadente salma,

poich'al tuo vacillar, vacilla un'alma.

ALCEO

Io non mi movo un punto,

ma questo poverello,

che da vini possenti

sollevato ha 'l cervello,

vuol ballar la folia senza strumenti.

FILAURA

Parmi, che già respiri.

LAURINDO

Ahi più non posso.

ALCEO

Dimmi Laurindo mio, fu bianco, o rosso?

LAURINDO

Chi mi ritorna in vita?

FILAURA

Apri i lumi, o mio bene, indi rimira

Filaura, che sospira,

e benché mal gradita

a te ritorna, e chiede

un sol premio d'affetto alla sua fede.

LAURINDO

Ancor tenti impudica

d'accrescer il mio male,

promettendo una fede

mercenaria, e venale?

FILAURA

Deh placati mia vita,

ch'a te sarò costante, e 'l cor devoto

qui ti consacro in voto.

LAURINDO

Più non turbar Filaura

l'agitato mio core,

che s'al primiero ardore

già dedicato fue,

sdegna per te di bipartirsi in due.

FILAURA

Dunque tanto crudel?

LAURINDO

Tanto lasciva?

FILAURA

Deh se brami ch'io viva,

non mi negar soccorso.

LAURINDO

O vivi, o scoppia

a me poco rileva,

anzi per tuo martoro

da te ratto me n' fuggo,

che non è mio decoro

servir dama, che vende

l'onestade, e la vita a chi più spende.

ALCEO

Da' pur bando alla spene,

perché quant'a Laurindo

c'è poco da far bene.

FILAURA

Dunque ignoto fanciullo

ritrosetto e superbo,

con mio tormento acerbo.

Con mio rossore eterno

prende Filaura a scherno?

Stolta? Ma che farò?

Tacerò? Soffrirò?

Vendetta, vendetta,

s'atterri l'indegno,

ch'il cor mi rubò.

E provi il mio sdegno

s'amor disprezzò

un fiero martire

all'armi, ed all'ire

quest'anima affretta.

Vendetta, vendetta.

IIº

Vendetta, vendetta,

s'uccida il ribello,

che fede non ha.

Racchiuda un avello

chi nega pietà.

Già l'alma tradita

a chi l'ha schernita

i fulmini affretta.

Vendetta, vendetta.

Scena sedicesima

Alceo, coro di Schiavi che ballano.

ALCEO

Corri pure a tua voglia. Alceo qui resta:

s'a te fuma la rabbia,

a me pesa la testa.

Se dessero a me fede

gl'amanti, e al mio costume,

piuttosto a questo nume

riverenti, e devoti

appenderebbon voti,

e lascerian la scola

d'un folletto del ciel, ch'è cieco, e vola.

Voi che state al vino intorno,

e traete allegri i dì,

io v'attendo tutti qui

a far placido soggiorno.

Del mio cor

vero amor

Bacco sol sempre sarà.

Datem'un altro vaso ahi per pietà.

IIº

Su canaglia da taverna,

che trincate notte, e dì,

io vi chiamo tutti qui

a raccender la lanterna.

Su moscioni,

compagnoni

qui mescete in carità.

Datem'un altro vaso ahi per pietà.

Atto secondo
Scena prima

Il tempio di Venere.
Atamante, Dorisbe, Dema, Venere.

ATAMANTE

Bella dèa, ch'al terzo giro

sempre vagante imperi.

E ne' lucidi sentieri

scintillando precorri il dio di Delo:

a' un amoroso zelo

di terre no regnante in cielo arriva,

ascolta o bella diva

le mie giuste preghiere,

e sin dall'alte sfere

di regi a te devoti

bella madre d'amor gradisci i voti.

DORISBE

Bella dèa, che dalle spume

i natali traesti,

ed in Ida il premio avesti

della beltà, ch'ogni altro nume eccede,

s'una divota fede

può mover a pietà diva sì bella,

di supplice donzella

odi il giusto desio,

e ponendo in oblio

il tuo sì lungo sdegno

rendi la prole a un re, l'erede a un regno.

ATAMANTE E DORISBE

Bella dèa figlia del mar,

nume della beltà, pompa degl'altri,

se d'umani disastri

giunse in ciel giammai pietà,

rendi a Cipro il bel tesoro,

l'adorato Lucimoro,

cui rapì destino avar,

bella dèa figlia del mar.

DEMA

Insomma non si può

a superbe donzelle

dar più grata armonia

ch'il titolo di belle.

A questa melodia

Venere si placò. Forse presaga

di futuri contenti

dalle nubi discese. Oh quanto è vaga!

VENERE

Dalla sfera più bella, ove risplendo

messaggera dell'alba, emula al sole,

a ricondurti la smarrita prole,

gran monarca di Cipro a te discendo.

IIº

Dopo naufragi di fortuna infida

Lucimoro godrà calma serena,

ma guarda o re, che ritrovato appena

tu no 'l perda per sempre, o non l'uccida.

ATAMANTE

Ch'io no 'l perda per sempre o no 'l uccida?

E qual altro crudel, maligno, ed empio

misero mi conduce

del proprio figlio a macchinar lo scempio?

Dunque privo di luce

sia per me Lucimoro,

e l'unico ristoro,

onde la vita, e 'l regno

d'assicurarmi io spero

sia bersaglio al mio sdegno? Ah non è vero.

Scena seconda

Dorisbe, Dema, Laurindo.

DORISBE

O cieli e che sarà?

Disperato

piangerà

questo cor il suo desire,

agitato

dal martire

senza mai trovar pietà?

IIº

O cieli e che sarà?

Così tosto

languirà

de' regnanti il più bel fiore,

sottoposto

a rio furore

di paterna crudeltà?

DEMA

Se quella dèa sì bella,

ch'il tuo regno protegge

non voleva recarti altra novella

di trafiggerti il seno

potea ben far di meno.

Ma che brama Laurindo?

DORISBE

E così lento

fosti o mio caro a seguitarmi al tempio?

LAURINDO

Un tirannico scempio

di contumaci affetti,

che m'affliggon sovente

quest'anima dolente,

fe', che più tardo ad inchinarti io vegno.

Ma dimmi, ancor placato

di Venere è lo sdegno? Anco non riede

di questo scettro il sospirato erede?

DORISBE

Dubbia, confusa, e breve

ciprigna a noi rispose,

parlò qual tuono, e qual balen s'ascose.

Seguane ciò che vuole:

pur che lieto, e cortese a me risplenda

de' tuoi begl'occhi il sole,

cura degl'altri affari il ciel si prenda.

LAURINDO

Mentre benigno giri,

bellissima reina,

il cielo a' tuoi desiri,

di me vivi sicura,

che se morte non fura

a questo petto infermo

l'anima illanguidita,

tanto t'adorerò, quanto avrò vita.

DEMA

Figlia, s'a te non spiace,

un garzon forestiero,

cui Feraspe s'appella

con bona tua licenza

domanda l'audienza.

DORISBE

Entrò la sacra soglia

grazia, ch'altrui domandi unqua si nega.

Venga pure a sua voglia.

LAURINDO

Or sì misero core

ad ascoltar t'appresta

del tuo celato errore

l'istoria miserabile, e funesta.

DEMA

Eccolo a te se n' viene, ed io mirando

quelle luci serene,

quel vago portamento,

ringiovanir mi sento.

Scena terza

Feraspe, Dorisbe, Dema, Laurindo.

FERASPE

Quel vecchio grido, che dai Mori agl'Indi

porta la fama de' tuoi pregi alteri,

da confini stranieri

sovra l'ali d'amore

trasse per adorarti anco il mio core.

Di peregrino amante

non ti turbi o reina

sconosciuto sembiante,

che di spoglia servile

ben si copra talora alma gentile.

DORISBE

Qual non inteso ardire

a secondar mi forza il tuo desire?

Chiedi pur ciò, che brami.

FERASPE

Troppo chiegg'io, se chieggio sol, che m'ami.

DORISBE

Così tosto s'avanza

un affetto amoroso? Ed in qual merto

fondi la tua speranza?

FERASPE

Pregio ho ben io bastante

di palesarmi a real donna amante.

DORISBE

Ma perché non ti scopri?

FERASPE

Alta cagione,

che dalle patrie sponde

mi spinse a solcar l'onde,

vuol, ch'io t'adori, e taccia.

DEMA

Dema buon pro ti faccia.

DORISBE

Voglio, se ben occulto

gradir il tuo servaggio.

S'altro da me pretendi

a Laurindo il confida:

ma se piacermi intendi,

cura dell'amor mio più non ti prema.

Tu qui resta o mio caro. Andianne o Dema.

LAURINDO

Obbedir mi conviene.

DEMA

O che fretta importuna? Addio mio bene.

Scena quarta

Laurindo, Feraspe.

LAURINDO

E qual affar le piante

ti fe' volger a Cipro

ignoto cavaliere, occulto amante?

FERASPE

Necessità d'onor più che desio

mi spinse a questa reggia

per rintracciare, o dio,

l'alta cagion di sventurati casi,

ma ben tosto rimasi

al folgorar di due pupille oppresso,

e ricercando altrui, persi me stesso.

LAURINDO

Ma palesar non lice

almen ciò, che pretendi?

FERASPE

Cerco regia donzella.

LAURINDO

Dimmi, come s'appella?

FERASPE

Argia di Negroponte.

LAURINDO

Saldo mio core, e qual occulto sdegno

l'infelice scacciò lungi dal regno?

FERASPE

Non so.

LAURINDO

Forse d'amore

fu la partenza errore?

FERASPE

Questo men posso dirti.

LAURINDO

E qual cagione

la plebe curiosa

al suo fuggir suppone?

FERASPE

Vario discorre il volgo.

LAURINDO

Ma pur che si favella

della real donzella?

FERASPE

Altri forza d'amore, altri di sdegno,

altri ragion di stato, altri d'Argia

capricciosa follia

stiman la sua partita:

ma senza più ragioni

l'infelice è smarrita.

LAURINDO

Misera? E mai s'intese

in qual parte se n' viva

principessa vagante, e fuggitiva?

FERASPE

Anzi da regno intero

come estinta si piange.

LAURINDO

Ah fosse vero?

FERASPE

Perché teco favelli?

LAURINDO

Orsù m'ascolta.

Forse l'alma d'Argia

dal suo laccio vital non è disciolta,

che la fama bugiarda

con grido menzognero

spesso il falso palesa, e tace il vero.

FERASPE

Forse certa contezza

d'Argia dar mi sapreste?

LAURINDO

Appagar tue richieste

già non poss'io, ma spero, anzi ti giuro,

né di senno son privo,

che la tua cara Argia

morir non può, mentre Laurindo è vivo.

FERASPE

Ferma. Deh non partir Laurindo mio.

LAURINDO

Ciò sol ti basti. Addio.

FERASPE

Ahi qual cruda aspra tenzone

in quest'anima smarrita,

già dubbiosa della vita,

move il senso alla ragione?

Or qual sia vincitore

l'obbligo di natura, oppur d'amore?

Consigliatemi o cieli:

ho nemici nel cuor troppo crudeli.

IIº

S'a Dorisbe il piè rivolgo,

mi lusinga la speranza,

ma d'Argia la rimembranza

fa ch'in pianti il cor disciolgo.

Or qual sia trionfante

l'obbligo di fratelli, oppur d'amante?

Dileguatevi affanni:

non ammette il mio cor doppi tiranni.

Scena quinta

Appartamenti di Filaura.
Alceo.

Appena un breve sonno

m'avea sopiti i sensi in dolce oblio,

che giunse al letto mio

Filaura discortese,

e mi destò prima del giorno un mese.

Sia maledetto amore.

Quel re libidinoso

vien sempre su cert'ore

da trovarmi imbriaco, o sonnacchioso.

Adesso mi conviene

far la guardia all'amico,

è pur 'l pazzo intrico

servir donne cortesi,

e non aver arnesi

per la guerra d'amore.

Se mi salta l'umore,

vo' che provi Filaura,

ch'all'amoroso agone

sa far l'arte del gallo anch'un cappone.

Ecco Alceo guerrier novello,

che vibrando

picciol brando

si cimenta a far duello.

Poss'anch'io ferir le genti,

se ben persi ha 'l mio stocco i fornimenti.

IIº

Ecco Alceo, vaghe donzelle,

che mercante

da levante

porta gioie le più belle.

Ho diversi finimenti.

Donne chiedete pur ma non pendenti.

Scena sesta

Atamante, Filaura, Alceo.

ATAMANTE

Qual contento o mia bella

piove dal vago ciel del tuo sembiante,

in questo seno amante?

Celino pur gli dèi

le sognate dolcezze entro del polo,

che per goder Filaura un punto solo

il nettare del ciel rinunzierei.

FILAURA

Se il cielo è questo volto,

attendi anima bella

favorevoli gl'astri.

Che non teme disastri

chi ha servo un regno, ed una sfera ancella.

ATAMANTE

Taci cor mio, deh taci.

I tuoi soavi accenti

son fulmini eloquenti.

Che vibrati dal cielo

del tuo volto sereno

fann'arder l'alma, e incenerir il seno.

FILAURA

Chi gode felice

quel ben, ch'adorò.

ALCEO

Se femmina dice

talor non si può,

FILAURA

Sospiri, felice,

ch'io pianger non vo'.

ALCEO

O quanto disdice

languir per un no.

FILAURA

M'allacci Cupido,

poi neghi pietà.

ALCEO

O come derido

chi l'arte non sa.

FILAURA

Ch'io lascio all'infido

per sì bella prigion la libertà.

ALCEO

Nel mar di Cupido

chi non sa navigar, spenda, se n'ha.

ATAMANTE

Filaura, idolo mio,

forz'è ch'io parta. Addio.

FILAURA

Dunque lasciar Filaura a te non cale?

ATAMANTE

Sempre ad amor prevale

interesse di regno. A regio petto

per il pubblico bene

abbandonar conviene

anch'il proprio diletto.

FILAURA

Né ti pesa o mio core

di me dolente, e sola?

ATAMANTE

Brevi sian le dimore,

non più. Resta, m'attendi, e ti consola.

FILAURA

Ahi partir, che m'accora?

Addio nume adorato.

ATAMANTE

Addio dolce riposo.

ALCEO

(O che re lussurioso?)

Scena settima

Filaura, Alceo.

FILAURA

Pur alfin si partì. Quanto è noioso

un affetto forzato?

Così vuole il mio fato, e deggio a forza,

per macchinare inganni

finger lusinghe, e simulare affanni.

Alceo?

ALCEO

Che brami?

FILAURA

Ascolta. Offesa io sono,

e dell'empio Laurindo,

superbo sprezzator dell'amor mio,

vendicarmi desio.

Senti, ciò che vo' dirti.

ALCEO

Son pronto ad obbedirti.

FILAURA

Voglio, che tu l'uccida.

ALCEO

O questo no.

FILAURA

Io te ne prego.

ALCEO

Ohibò.

FILAURA

Un superbo, un ingrato,

dalla sorte innalzato,

che me schernisce, e l'onor mio non cura?

ALCEO

A dirtela alla libera, ho paura.

FILAURA

Qual offesa paventi

dall'inerme garzone?

ALCEO

Colpa in questo non ho: nacqui poltrone.

FILAURA

Già che farlo tu neghi

taci almeno l'intento.

ALCEO

O questo sì.

FILAURA

Or vanne Alceo fedele

a spiar gl'andamenti

di Laurindo crudele

nota i passi, e gl'accenti

della lingua, e del piede,

e fatta la tua fede

esploratrice accorta,

quanto saper potrai, tutto riporta.

ALCEO

Pur uccider no 'l deggia,

tutto farò per te.

Vo' ricercar la reggia,

per intender dov'è.

Sebben farò la spia,

oggi fra i cortigiani è bizzarria.

FILAURA

Perfido non andrai

di mie sciagure altero.

La vendetta giurai,

non si cangi pensiero.

Pera Laurindo, e pria, ch'il sol tramonte

paghi con la sua vita i scorni, e l'onte.

Scena ottava

Laurindo.

E pria ch'il sol tramonte

paghi con la mia vita i scorni, e l'onte?

Ah che troppo felice

sarei, s'in un baleno

la parca impietosita

mi togliesse dal seno

e gl'affanni, e la vita.

Ma non saprò, Filaura,

pria, che s'oscuri il die

tender contro Selino

con le perfidie tue l'insidie mie?

Sì, sì. Dorisbe. Ah no.

Dunque? Troppo severo.

Sì. Ma che? Fingerò. Saggio pensiero.

Così risolvo. Ardire.

Tu sol m'aita, e scorgi

santissima innocenza il mio desire.

Scena nona

Giardino.
Selino, Solimano.

SELINO

Affanni,

tiranni

dell'anima accesa

lasciate l'impresa

d'affliggermi più.

Già sono in servitù

non ho più scampo

previdi la caduta, e pure inciampo.

IIº

Desiri,

martiri

dell'alma schernita

lasciatemi in vita,

fuggite da me.

Già catenato ho 'l piè,

non ho più scampo

previdi la caduta, e pure inciampo.

SOLIMANO

Qual tirannico laccio,

fabbricato a tuoi danni entro l'abisso

così stabile, e fisso

ti rende il piè nell'amoroso impaccio?

Fuggi Selin, deh fuggi

di tua rigida stella i sdegni, e l'ire,

e ti rammenta, o sire,

che da fortuna ria

le vicende aspettar sempre è pazzia.

SELINO

Gradisco, o Solimano,

la tua fede, il tuo zelo:

ma un amoroso velo

così della ragion mi benda i lumi,

ch'io non veggio il sentiero,

che mi guida a cangiar cielo, e costumi.

SOLIMANO

Se più cauto pensiero

non ti move a fuggir Cipro, e Dorisbe,

fuggi almen il periglio,

ch'un'offesa regina

minaccia al viver tuo, cangia consiglio.

SELINO

Qual offesa, qual regno, e qual regina

a vaneggiar ti guida?

SOLIMANO

Deh pria ch'altri si rida

delle miserie tue,

pria di restar oppresso

dallo sdegno del ciel, torna in te stesso.

SELINO

Qual timore importuno

d'imminenti sciagure

ti move a presagir le mie sventure?

SOLIMANO

Così tosto, o Selino,

i tradimenti, e l'onte...

SELINO

Come?

SOLIMANO

Ch'a Negroponte...

SELINO

Ohimè?

SOLIMANO

Festi ad Argia.

SELINO

Taci.

SOLIMANO

Il tuo cor oblia?

Scena decima

Selino, Solimano, Laurindo.

SELINO

Temerario ammutisci.

LAURINDO

Adesso è tempo.

SELINO

E nome così infausto

fugga dalla tua mente

in sempiterno esilio.

Mora impudica Argia, tu riverente

servitude m'appresta, e non consiglio.

LAURINDO

Non t'inghiotte la terra,

non ti fulmina il cielo?

SOLIMANO

Invitto prence

deh ti sovvenga almeno,

che lasciasti ad Argia

del tuo sangue real gravido 'l seno.

Rammentati o Selino,

che se forza mortale

a punirti non basta,

il cielo a te sovrasta;

e quanto men s'affretta

a vibrar contro i rei l'irato strale

tanto più cruda poi fa la vendetta:

sire, il cielo irritasti,

e con fede mentita

quel fior, che mai si rende, altrui rubasti.

Cangia costumi, e vita,

e se brami schivar l'angosce, e 'l danno

opra, e vivi da re, non da tiranno.

LAURINDO

O d'ingiusto signor servo fedele?

SELINO

Ben saresti, o Selino,

di real nome indegno,

se per un sol momento

raffrenassi il tuo sdegno.

Da questa mano avrai

dell'arroganza tua...

LAURINDO

Ferma. Che fai?

SELINO

Avrai bensì la morte.

SOLIMANO

Ah Selino, Selino, o cieli, o sorte?

Scena undicesima

Laurindo, Selino.

LAURINDO

Or dimmi, e che risolvi?

SELINO

Di punir chi m'offese.

LAURINDO

Col perdono l'assolvi.

SELINO

No, che troppo contese.

LAURINDO

È degno di pietade.

SELINO

Anzi di pena.

LAURINDO

Si condoni all'etade.

SELINO

D'arroganza è ripiena.

LAURINDO

Forse a tuo pro favella.

SELINO

Anzi a mio danno.

LAURINDO

Deh l'offesa cancella.

SELINO

Troppo all'ira m'ha spinto.

LAURINDO

Per amor di Dorisbe.

SELINO

Oh dio son vinto,

e nome così degno,

che m'accese d'amor smorza lo sdegno.

LAURINDO

Ahi qual gelido orrore

per le vene mi scorre?

Dorisbe adora, e la consorte aborre?

SELINO

Se mai, caro Laurindo,

amoroso desio ti punse il core,

d'un amante, che more

per bellezza crudele

ti movino a pietà l'aspre querele.

Deh racconta a colei, ch'a Cipro impera

del mio grave tormento

l'istoria acerba sì, ma però vera.

Narrali pur, ch'io sento

cangiarsi a poco a poco

tutto in gelo di morte il mio gran foco.

LAURINDO

Fortuna a che m'impieghi?

SELINO

Deh Laurindo.

LAURINDO

Non più. Soffrir conviene,

a Dorisbe risolvo

palesar le tue pene.

Per far gradite prede

dell'odorata prole

prima che mora il sole

la donzella real qui volge il piede.

Vanne, e breve soggiorno

fa' per questo giardin, sin, ch'io ritorno.

SELINO

Amico in te confido.

LAURINDO

Vanne pur, ch'io t'affido.

SELINO

Attendo le mie paci.

LAURINDO

Vanne, m'aspetta, e taci.

E pur alfin cadesti,

superbo usurpator dell'onor mio,

nei lacci, che tendesti.

Or pagherai de' tuoi misfatti il fio

aspira pur tiranno

a novelli contenti,

ch'un amoroso inganno

punirà le tue frodi, e i miei tormenti.

Mora impudica Argia?

No no. Mora Selino,

che dell'alma mia

macchiar seppe il candore.

Non è degno di vita un traditore.

Scena dodicesima

Dema, Lurcano.

DEMA

Che le rughe nei sembianti

siano avelli degl'amanti

son concetti

lascivetti

dei poeti d'oggi dì.

Occhi belli, onde sparì

il seren di gioventù,

non si vagheggian più, son tutte fole

se nasce è bello e non se more il sole.

IIº

Nel liceo di Taide, e Frine

poco giovan le dottrine:

più erudita,

più scaltrita

in amor è verde età.

Se svanisce la beltà,

il saper non giova più.

Quando il mio tempo fu, ben lo provai,

or, che son vecchia io non lo provo mai.

LURCANO

Odi bella ninfa,

che della mercanzia,

ch'a vender più non vale

si mostra liberale.

DEMA

Sentir parmi un allocco,

mascherato da cigno,

che mi commove a riso.

Ben trovato Narciso.

LURCANO

Ecco qui Citerea,

che va cercando Adone.

DEMA

Olà taci buffone,

LURCANO

O quanti, a dirti il vero,

fanno secretamente il mio mestiero.

Ma dimmi in confidenza,

dov'è quel vago oggetto,

che ti stilla d'amore in quint'essenza?

DEMA

Amo, e son corrisposta a tuo dispetto,

LURCANO

O quanto sei ritrosa?

DEMA

Ritrosa non fui già, nemmeno avara.

LURCANO

Ma la vendetta cara.

Molte donne oggidì

con sagace malizia

si fingono ritrose

per celar i difetti, o l'avarizia.

DEMA

Certo ch'io no 'l farei.

LURCANO

Perché vecchia tu sei.

DEMA

L'avarizia donnesca

più s'avanza con gl'anni.

LURCANO

Vedi come t'inganni.

Le donne in gioventù

sono più avare affé:

ma quando invecchian più

slargan la cortesia, credilo a me.

DEMA

O che lingua mordace?

LURCANO

Ecco rotta la pace.

DEMA

Troppo sei discortese.

LURCANO

Tutt'il mondo è paese.

DEMA

Scuso la tua natura

come scema di senno, e di figura.

LURCANO

Il ver dicesti o Dema,

che la mia luna, è scema:

ma se l'occhio dell'anima non mente,

veder parmi la tua sempre crescente.

Or dimmi. E che rispondi?

DEMA

La prudenza m'insegna,

che s'un pazzo m'offende,

tal risposta si rende.

LURCANO

Questa Dema ha gran faccende,

tutt'il giorno lacci tende,

poi si stilla per la rabbia,

ch'un solo augel non può serrare in gabbia.

IIº

Stral d'amore in vecchie membra

sol di marzo mi rassembra,

che sebben diffonde i rai

move bensì, ma non risolve mai.

IIIº

È la donna in vecchia etade

un bel fior. Che langua, e cade,

se color un giorno muta,

marcir si lascia, e da nessun si fiuta.

IVº

Un arcier, che porta occhiali

non addrizza mai gli strali:

la faretra indarno pende,

e chi nervo non tira, arco non tende.

Scena tredicesima

Dorisbe, Laurindo.

Da diverse parti.

DORISBE

Vibrate pur, vibrate

vostri dardi amorosi a mille a mille

fulminanti pupille.

LAURINDO

Stillate pur stillate

tutto il pianto, ch'amor in voi nascose

luci mie lacrimose.

Insieme

DORISBE

E crescendo l'ardore,

laceratemi il core,

chi brama contenti,

li chiegga da me.

Beato non fu

nel regno d'amore

alcun più di me.

LAURINDO

E temprando l'ardore,

ravvivatemi il core,

chi brama tormenti,

li chiegga da me.

Tradito non è

nel regno d'amore

alcun più di me.

DORISBE

Senti mia vita, senti

ciò, che mi detta amore.

Già del mio grave ardore

l'istoria appien t'è nota.

Questa assai più remota,

età dell'orto real contigua stanza

in questa notte eleggo

per teco divisar notturno, e solo

la maniera più certa

di dar pace al mio cor, tregua al tuo duolo.

Tosto ch'i biondi rai

spenga nell'onde ibere il re del lume

favellarti desio;

ma non tardar, mio nume,

ch'io già mi struggo. Addio.

LAURINDO

Verrò. Poich'è a te piace,

che solo in obbedirti

trovo conforto, e pace:

ma pria, ch'a me t'involi

senti o bella i miei prieghi.

DORISBE

A te nulla si neghi.

LAURINDO

Vive il prence Selino

del tuo bel volto adorator costante;

s'a te rivolge il piede,

mostra pietosa almen, se non amante

di gradir la sua fede.

Se mirarlo t'annoia,

porgi qualche speranza al suo dolore,

ch'a un misero che more

ogni stilla d'affetto è un mar di gioia.

DORISBE

Ben sai, che l'alma mia

sol di Laurindo adoratrice, e serva

altr'amor non desia,

ma poich'il ciel destina,

ch'ogni tuo cenno a me serva d'impero,

più cortese risolvo, o men severo

volger all'infelice il mio sembiante

amico l'amerò, ma non amante.

LAURINDO

A Dorisbe mia vita

quanto quanto ti deggio?

Ecco appunto Selino. Amore aita.

Scena quattordicesima

Selino, Dorisbe, Laurindo.

SELINO

Se l'anima mia

non parla per me,

bastante non sia

la voce, ch'a te

discioglier pavento,

leggi su queste luci il mio tormento.

IIº

Un mar di martiri

sommerge il mio cor:

son venti i sospiri,

procella il dolor,

Dorisbe è lo scoglio,

leggi su queste luci il mio cordoglio.

DORISBE

Sallo il ciel, se mi pesa

del tuo mal, del tuo foco,

o del tracio monarca inclito erede,

consolati, ch'io t'amo,

e ciò che da te bramo,

questo de' nostri amori

secretario fedele,

ch'il mio desire intese,

potrà farti palese.

Laurindo io parto.

LAURINDO

Io resto.

DORISBE

Veggio cadente il giorno,

ogn'indugio m'uccide.

LAURINDO

A volo io torno.

Scena quindicesima

Selino, Laurindo.

SELINO

Che portenti rimiro?

Poc'anzi a me crudele,

ora tutt'amorosa

questa bella pietosa

la mia speme avvalora?

Forse m'ama Dorisbe?

LAURINDO

Anzi t'adora.

SELINO

Perché dunque severa

schernì la fede, e non curò l'ardore

d'un principe, che more?

LAURINDO

Perché, finte, e bugiarde

le tue fiamme credea.

SELINO

Mentir non sanno i regi.

LAURINDO

Non manca per le corti

chi de' principi ancora oscura i pregi.

Venner certi riporti

della tua fama: basta.

SELINO

Segui.

LAURINDO

Ch'a Negroponte.

SELINO

Deh che fia?

LAURINDO

T'invaghisti.

SELINO

Ohimè?

LAURINDO

Di certa Argia.

SELINO

Di chi?

LAURINDO

Sì pur d'Argia, poi la tradisti.

SELINO

Come?

LAURINDO

E dopo aver colto

dell'onestade il fiore,

volgesti altronde il piede

principe senz'onore,

cavalier senza fede.

SELINO

Mentre chi.

LAURINDO

Taci, o quante volte udii

la tua bella Dorisbe

fingersi quell'Argia

da Selino tradita,

e consumar la vita in pianti, in stridi?

Quante volte la vidi

svellersi i crini, mordersi le labbia,

batter il suolo, e dall'irato seno

sparger con di te rabbia, e veleno?

Quante volte dicea

perfido, traditore, empio, tiranno,

così manchi di fede

a chi t'adora, e crede?

Così l'onor distruggi

alle regine, e fuggi?

O mostro di perfidia,

o di letti reali

violator infame!

E non tronca lo stame

della tua vita indegna

a te stesso noiosa

Lachesi neghittosa?

Non ti saetta Astrea,

non t'affliggon l'Erinni,

non t'uccide il tuo fallo,

o prima che tradissi

la mia fé, l'onor mio,

non seppellisti, o dio,

l'anima scellerata entro gl'abissi?

Mori, superbo mori,

che le mie giuste voci, i miei martiri

son fulmini del ciel.

SELINO

Perché t'adiri?

LAURINDO

Così parla Dorisbe.

SELINO

Ma ciò, ch'a te non cale

rappresenti purtroppo al naturale.

Or dimmi, e chi l'autore

fu di queste menzogne?

LAURINDO

A te nulla rileva

già cangiato in amore

di Dorisbe è lo sdegno, e qui m'impose

aprirti del suo cor le fiamme ascose.

Scena sedicesima

Alceo da parte, Selino, Laurindo.

ALCEO

Girato ho mezzo mondo

ed appena il trovai,

ad ascoltar m'ascondo.

SELINO

Or tu m'esponi

di Dorisbe il desio.

LAURINDO

Senti, obbedisci, e taci.

Brama la regia amante

questa notte goderti.

SELINO

Oh dio che sento?

ALCEO

Questa notte goderti?

LAURINDO

Intendo, intendo. E quella scelse ad arte,

per ottener l'intento

del palagio real comoda parte.

ALCEO

Che bramo più?

LAURINDO

Spenta del dì da luce,

qui tacito ritorno; esser ti deggio

scorta fedele, e duce.

ALCEO

Non si può sentir peggio.

SELINO

Senti, che più volete?

Contenti inaspettati

ancor non m'uccidete.

ALCEO

Or sì bell'opra

a Filaura si scopra.

LAURINDO

Ben ordita è la trama.

La notte omai s'affretta.

Vanne, e riedi a chi t'ama

cauto, muto, e solingo.

SELINO

All'impresa m'accingo.

LAURINDO

Si vinca di frode

chi frodi nutrì,

che fede non ode

chi fede mentì.

Selino t'inganni,

speri diletti, e troverai gl'affanni.

Scena diciassettesima

Feraspe, Aceste.

FERASPE

Così appunto il fanciullo

nel tempio di Ciprigna

mi confuse la mente, e via se n' corse,

lasciando me della mia vita in forse.

ACESTE

Né più certa contezza

dello stato d'Argia trar ne sapeste?

FERASPE

Replicai le richieste:

ma dopo varie istanze

la mente mi nutrì

di timor, di speranze, indi fuggì.

ACESTE

E di nuovo a costui

favellar non procuri?

FERASPE

Altro ch'enigmi oscuri

dal suo dir no m'attendo.

Argia, lasso m'accora,

Dorisbe m'innamora, e non sapendo

fra due contrari affetti

a chi donar la palma,

perderò 'l senno, e l'alma.

ACESTE

Se brami, se speri

di vincer la guerra,

gl'accesi pensieri

nel petto sotterra.

FERASPE

Ma che pro?

Amar non deggio, e disamar non so.

ACESTE

Bendato è l'arciero,

ma vede qual lince,

nemico sì fiero

fuggendo si vince.

FERASPE

Ma che pro?

Sperar non deggio, e disperar non vo'.

Scena diciottesima

Lurcano, Atamante, Filaura, Alceo.

LURCANO

Maledette le spie, e chi li crede.

Parla a Filaura Alceo, Filaura al re:

questo solleva il ciglio:

a secreto consiglio

s'accordan tutti tre.

Qualche gran mal succede.

Maledette le spie, e chi li crede.

IIº

Van certi colli torti or qua, or là

spiando le persone.

Dicessero al padrone

almen la verità.

Il re qui volge il piede.

Maledette le spie, e chi li crede.

ATAMANTE

Ed è ver ciò che narri?

ALCEO

Alceo l'udì.

Dimmi non è così?

LURCANO

Per testimonio ohibò

Alceo servir non può.

ATAMANTE

Quando l'udisti?

ALCEO

Poc'anzi.

ATAMANTE

E dove fu?

ALCEO

Giusto colà.

ATAMANTE

E Dorisbe sentì?

ALCEO

Questo non so.

ATAMANTE

Qual stanza gl'additò?

ALCEO

Questa ch'è qua.

LURCANO

Che diavolo sarà?

ATAMANTE

Ma come alfine

fu concluso l'accordo?

ALCEO

Volea, se mi ricordo,

Dorisbe con Selino

giocar mezza la notte a sbaraglino.

LURCANO

Selino è ben persona

da far al re di Cipro

germogliar la corona.

ATAMANTE

Infelice Atamante?

A che respiro più,

se congiuran lassù

tutti gl'altri a mio danno?

LURCANO

Buona notte, buon anno.

ATAMANTE

Amici il tutto intesi,

altronde il piè volgete,

e ciò, ch'a me narraste

obliate, o tacete.

FILAURA

Obbedisco. Or impari

a macchinar Laurindo imprese oscene,

se i diletti sprezzò, provi le pene.

ATAMANTE

Tu pur anco o Lurcano

parti alla reggia, ed in mio nome impera.

Che qui ne vegna a volo

della guardia real tutta la schiera.

LAURINDO

Ad obbedirti io volo.

Nova moda di Fiandra:

or ch'il gregge fuggì, serra la mandra.

ATAMANTE

Che fo? Che penso? Che risolvo? A quale

abisso di sciagure orbi rotanti

conducete i regnanti?

Perché stella fatale

darmi porpora al seno, e trono al piede,

scettro alla destra, e diadema al crine,

se macchinar volevi

con le grandezze tue le mie ruine?

Ma già spiega la notte

caliginoso il manto, in questi orrori

voglio nascosto, e solo

osservar gl'altrui falli, e i miei rossori;

poi con orrido scempio,

in tribunal severo,

farò, ch'al mondo intero

la giust'ira d'un re serva d'esempio.

Scena diciannovesima

Selino, Laurindo, Dorisbe.

SELINO

Perché non volate

oziosi momenti?

D'amor i contenti

tardando fermate.

Per trarmi d'affanni,

dall'acceso amor mio prendete i vanni.

IIº

Voi taciti orrori

più cari del giorno,

coprite d'intorno

del cielo i splendori.

Per trarmi di duolo,

dall'acceso amor mio prendete il volo.

LAURINDO

Odi l'ingrato amante

com'è pronto agl'inganni?

Pur vi giungesti, o troppo

diligente a' tuoi danni.

SELINO

Udir parmi Laurindo.

LAURINDO

Selino?

SELINO

O mio fedele, ecco ti bacio.

LAURINDO

Ferma. Non è più tempo.

SELINO

Ov'è Dorisbe!

LAURINDO

Taci, e segui il mio piede.

SELINO

È cieco amor, eppur di notte ci vede.

LAURINDO

Mia regina ove sei?

DORISBE

Da te non lungi

splendor degl'occhi miei.

LAURINDO

Deh taci o bella, e questi

complimenti amorosi

riserba ad altri tempi.

Scena ventesima

Atamante, Dorisbe, Selino, Laurindo.
Soldati, e Paggi con torce.

ATAMANTE

Prendete, olà, quegl'empi.

DORISBE

Oh dio: son morta.

ATAMANTE

E nelle più secrete

carceri di sotterra

la sacrilega figlia, i rei malvagi

separati chiudete.

SELINO

O tradita speranza?

DORISBE

O sorte infida?

DORISBE E SELINO

Lascia, ch'il duol m'uccida.

LAURINDO

Purché mora Selin, vita non curo.

DORISBE

Dunque senza pietà?

ATAMANTE

Vanne impudica,

e fra martiri orrendi

da lugubre imeneo le nozze attendi.

E voi barbari indegni

gite a pagar di vostre colpe il fio.

LAURINDO

Non pavento i tuoi sdegni.

DORISBE

O cieli?

SELINO

O stelle?

DORISBE E SELINO

O dio?

Scena ventunesima

Atamante.
Coro di Fantasmi che ballano.

ATAMANTE

Agitatemi pur furie d'abisso,

e tu vindice dèa

la rocca del mio core

a sostener t'affretta.

E con tromba d'onore

chiama i spiriti offesi alla vendetta

che più, lasso, m'avanza

di male in questa vita,

s'io non perdo la vita, o la costanza?

Che m'involi la sorte

Lucimoro mia prole,

che m'atterri la morte

Doricrene il mio sole,

ch'un peregrino infido

mi calpesti l'onore

era per mia sciagura in ciel prefisso.

Agitatemi pur furie d'abisso.

Io monarca? Io felice?

Io son uomo? Io son re? Mente chi 'l dice.

Son l'ombra di Atamante,

son l'anima d'Oreste,

fantasma d'un regnante,

larva d'un infelice,

spettro d'un re tradito,

oggetto delle furie,

ch'inseparabilmente

mi circondano il fianco.

Oh dio, chi mi soccorre! Io moro. Io manco.

Ballano i Fantasmi poi si nascondono.

ATAMANTE

Quai fantasmi rimiro?

Quai sogni tormentosi

turbano fra quest'ombre i miei riposi?

Trovo sognando il figlio

e dopo, ahi che martire?

Lo condanno a morire?

Questi son dunque i sonni,

dopo un infausto die,

che dispensano a me le notti mie?

Di quai sogni favello?

Anco vegliando errai,

sognar non può chi non riposa mai.

Onor, sorte, destino,

figlio, Cipro, Dorisbe,

regnanti, che vivete

mirate, ed apprendete

dal mio dolor profondo

le vicende terribili del mondo.

Seguono il ballo, e poi volano.

Atto terzo
Scena prima

Logge, e prigioni.
Laurindo prigione, Osmano con un Fanciulletto.

LAURINDO

Duri lacci Argia sciogliete:

prigioniera un dio mi tiene.

Ha superbe le catene

chi d'amor è nella rete.

IIº

Se ristretto il cor vedete

fra l'angustie di fortuna,

che per me tormenti aduna,

a che fine il piè stringete

duri lacci Argia sciogliete.

OSMANO

O come lieto a rivederti io torno

Salamina gradita

della mia gioventù dolce soggiorno!

S'oggi il fil di mia vita

tronca la parca avara

morte felice impetro,

e dov'ebbi già cuna, avrò feretro.

Ma quanto, oh dio, mi pesa

di tua vita dolente

pargoletto innocente?

Come, ahi misero, come

a tuoi regii natali

avrai fortune eguali

figlio senza fortuna, e senza nome!

FANCIULLETTO

Io nacqui infelice,

soggetto al dolore:

fortuna migliore

sperar non mi lice.

IIº

La mia genitrice

mi negan le stelle,

sciagure novelle

il cor mi predice.

OSMANO

Taci figlio, deh taci.

Questa canuta etade,

che per soverchio d'anni omai vacilla,

a forza di pietade

in lacrime amarissime si stilla.

Alla bontà del cielo

volgi misero i lumi,

chi porge voti ai numi

non s'affatica invano.

LAURINDO

Com'a tempo giungesti? Osmano, Osmano?

OSMANO

O ciel chi mi ravvisa, e chi m'appella?

LAURINDO

Un'afflitta donzella.

OSMANO

Dormo, veglio, o vaneggio?

Voce del tutto ignota

udir non parmi, eppur alcun, non veggio.

LAURINDO

Volgi Osmano fedele

a questi ferri i lumi,

e da laccio crudele

mira avvinta colei,

ch'in mezzo a folte piante

in cura ti lasciò picciolo infante.

OSMANO

Che mirate occhi miei?

La tua voce, il tuo volto

da me ben si ravvisa.

Ma come in questa guisa

in abito virile, e prigioniera?

LAURINDO

Sotto i maligni influssi

di mia stella severa

a morir innocente io mi condussi.

OSMANO

Dunque morir tu dèi?

LAURINDO

Morir degg'io, se non mi porgi aita.

OSMANO

L'anima spenderei

purché fossi a tuo pro, nonché la vita.

In si grave periglio

consolati frattanto: ecco il tuo figlio.

LAURINDO

O figlio, o sangue mio?

FANCIULLETTO

Mia madre è quella,

che di morte favella?

OSMANO

Sì figlio.

LAURINDO

Io son colei

luce che gl'occhi miei:

FANCIULLETTO

Lasciami Osmano mio:

se muor la genitrice,

voglio morire anch'io.

LAURINDO

O di barbaro padre

figlio troppo cortese, in che peccasti?

Ah che sol causa fue

il fallo mio delle miserie tue.

Prendi figlio innocente

i primi del mio labbro,

oppur gl'ultimi baci,

e s'ancor pertinaci

le stelle oggi vorranno

rapire a te la madre, a me la vita,

negar non mi potranno

questa gioia infinita,

ch'io v'abbracci, e non vi baci, o care,

sospirate da me la notte, e 'l die

delle viscere mie viscere mie.

OSMANO

O gran forza del sangue.

LAURINDO

Non più, vattene Osmano,

e fuor dal regio soglio

quel pargoletto ascondi, indi a Filaura

porgerai questo foglio:

ma s'il mio ben ti preme,

usa prudenza, ed arte,

che solo in quelle carte

della mia libertà posta è la speme.

OSMANO

Io vo: tu spera intanto

nella propria innocenza,

che sol render ti può libera, e sciolta.

Qual oro ella risplende,

e nel fango sepolta

delle calunnie altrui, macchia non prende.

Scena seconda

Dema, Feraspe.

DEMA

Incaute femmine,

che vagheggiate

la gioventù,

a sì leggera estate,

non credete mai più.

Giovinetto sembiante è vago, e bello

ma chi pelo non ha, manco ha cervello.

IIº

Chi fede stabile

in garzoncello

cercando va,

si lambicca il cervello

per riformar l'età,

giovinetto in amor gode felice,

ma contento non è, se non lo dice.

FERASPE

Dove tanto crucciosa,

bella Dema amorosa?

DEMA

Ferma Feraspe. Ohimè,

non mi toccar.

FERASPE

Perché?

DEMA

Perché certi zerbini,

qual appunto sei tu pelati, e molli

son tutti rompicolli.

FERASPE

Dema t'inganni affé.

DEMA

Lungi, lungi da me.

FERASPE

Parlar ti deggio.

DEMA

Parla, ma da lontano.

FERASPE

Che paventi da me?

DEMA

Temo il mio peggio.

FERASPE

Il tuo timore è vano.

DEMA

No, no, tu sei fanciullo.

FERASPE

Ma però son costante.

DEMA

Mostri d'esser amante,

poi ti prendi trastullo.

FERASPE

O questo no.

DEMA

Io non ti credo, ohibò.

La tua bella persona

faria rompermi il collo.

Com'ha fatto Selino alla padrona.

Scena terza

Aceste, Feraspe, Dema.

ACESTE

Sire d'alte novelle,

figlie d'un regio sdegno

apportator ne vegno.

FERASPE

Di' tosto. E che sarà?

ACESTE

Già l'eccesso intendesti

di lesa maestà.

FERASPE

Tutto m'è noto.

ACESTE

Or sappi, ch'Atamante

al supplizio, ai tormenti

condannata ha la figlia, e i delinquenti.

DEMA

Ahi Dorisbe infelice.

FERASPE

Onde il sapesti?

ACESTE

Dal rege istesso, e questi

poch'anzi fulminò crudo, e severo

d'irrevocabil legge alti decreti.

Udite, ei disse o miei fedeli, udite.

Dorisbe è rea di morte,

ed in breve intervallo

dée la copia mal nata

lavar col proprio sangue il proprio fallo:

ma poich'è legge usata

nell'impero di Cipro,

che guerriera sentenza

decida a' contumaci

la colpa, o l'innocenza,

voglio prima ch'il sole in grembo all'onda

l'aurea quadriga asconda,

che s'altrui di Dorisbe

o del prence Selin desia lo scampo

abbia della tenzon libero il campo.

Sarà del gran cimento

il mio giusto furore

giudice, e spettatore.

Quello de' due malvagi

punirò con la morte,

il di cui difensore

fia nell'agon men fortunato, o forte.

Qui cruccioso nel ciel le luci affisse,

così giura Atamante, e più non disse.

FERASPE

O come bene il cielo

a' miei desiri arride?

Venga, se puote Alcide

contro Feraspe al campo,

che di quest'armi il lampo

la bella prigioniera

ad onta di Selino, e della sorte

sottrarrà dagl'oltraggi, e dalla morte.

Vanne Dema a Dorisbe,

e narra che Feraspe,

non più garzone errante,

ma figlio di Toante,

ch'a Negroponte impera

oggi a tenzon guerriera

per suo scampo s'accinge.

Pugnerò, vincerò,

né sia, che per Dorisbe

la mia vita risparmi.

Non più. Seguimi Aceste. All'armi, all'armi.

DEMA

Ma figlio di Toante

ch'a Negroponte impera?

Ben conobbi alla cera

un non so che di principe reale,

che mi toccò dei sensi il principale.

Vanne Feraspe invitto,

ed all'ostil furore

mostra nel gran conflitto,

ch'un prence alla beltà pari ha 'l valore.

Ma che mi giova. Ohimè!

Queste bellezze tue non son per me.

Scena quarta

Città.
Filaura, Osmano, Alceo.

FILAURA

Fuggi pur dal mio sen

o lusinghiero amor:

non vo' più nel mio cor

il tuo dolce velen.

Se un laccio m'avvolse,

vendetta lo sciolse,

già libero ho il piè.

Fuggi nume crudel, che vuoi da me?

IIº

Non mi lusinghi più

speme fallace il cor:

più non ti rendo amor

quest'alma in servitù.

Sicura difesa

d'amor all'impresa

vendetta mi diè:

fuggi nudo fanciul, che vuoi da me?

ALCEO

Dunque Filaura mia

vedrai del bel Laurindo

l'oscura prigionia,

i ceppi, le catene,

i supplizi, le pene

e fors'anco la morte infame, e dura.

Né commover ti senti la natura.

OSMANO

Con questo foglio o bella

un garzon prigioniero a te m'invia.

FILAURA

Dimmi, come s'appella?

OSMANO

Non so.

FILAURA

Certo è Laurindo. O ciel che fia?

OSMANO

Supplice a te s'inchina; in quella carta

vedrai ciò, che desia

l'infelice prigione.

ALCEO

Buona notte barbone.

OSMANO

O quanto più contento

saresti o Momo imberbe,

se crescer ti potessi il pelo al mento.

ALCEO

Ben comprese costui

dov'il mio mal si cova.

Tu m'hai colto alla fé: chi cerca trova.

FILAURA

Qual pietade improvvisa

con temeraria forza

mi scorre in seno, e la giust'ira ammorza?

OSMANO

Se mai, donna cortese

delle sciagure altrui pietà ti spinse

a generose imprese,

deh con pietosa aita

soccorri un'infelice

che morendo per te, chiede la vita.

FILAURA

Filaura, e che risolvi?

Sdegno perché t'involi, amor che brami?

Ah che debil bersaglio

per due nemici è un'alma,

e distinguer non vaglio,

se vendetta, o pietà prenda la palma.

Ma che? Ceda lo sdegno, amor trionfi.

Torna veglio a colui,

che sebbene è crudele, è la mia vita.

Digli, che fatta ardita

vo' sottrarlo da morte, ed or m'accingo,

benché derisa e oppressa,

a dargli per risposta

la libertà, la vita, e poi me stessa.

ALCEO

Pur alfin si pentì.

Senza far complimento.

Le donne d'oggi dì

si voltan tutte, come foglie al vento.

OSMANO

Dalle spoglie mentite

del vago prigioniero

lusingata costei

di schernir Atamante oggi s'affanna,

né scorge l'infelice,

che per tradir altrui, sé stessa inganna.

Per nutrirvi di dolor

con fortuna egri mortali

congiurato è 'l dio d'amor.

Quanto folli, quanto frali.

Rassembrate,

se lassate,

che v'acciechi

una donna, un fanciullo, ed ambi ciechi.

Scena quinta

Lurcano, Solimano.

LURCANO

Alla guerra, alla guerra, all'armi, all'armi

di fanti, e cavalli

al suon delle trombe

s'ingrombin le valli

la terra rimbombe,

e purché Lurcano

dall'armi lontano

la pelle risparmi,

ognun corra alla guerra, all'armi, all'armi.

SOLIMANO

Costui d'armi favella. O qual timore

con tirannici artigli

mi stringe il core, e di Selino ingrato

mi predice i perigli?

LURCANO

Più d'ogni altro credei

nella fuga esser bravo,

ma con questo alla fé la perderei.

Amico ti son schiavo.

SOLIMANO

Ove te n' fuggi?

LURCANO

Ora sì che m'adiro.

Ch'io fugga, te ne menti, io mi ritiro.

SOLIMANO

Almen dimmi perché?

LURCANO

L'armi non fan per me.

SOLIMANO

Di qual armi paventi?

LURCANO

Or ti spedisco.

La vita, e l'onestade a campo aperto

di Selin si cimenta, e di Dorisbe.

SOLIMANO

Ah, ch'il mio dubbio è certo.

LURCANO

E chi di loro

per sentenza real vinto rimane,

s'accinga a rio martoro,

che merta un fallo osceno,

se non la forca, la galera almeno.

SOLIMANO

O Selino infelice.

LURCANO

Addio ti lascio.

SOLIMANO

Ascolta; non partir.

LURCANO

Che vuoi di più?

SOLIMANO

Vieni al campo ancor tu.

LURCANO

Folle se 'l credi.

SOLIMANO

Sarai forse d'aita.

LURCANO

Ch'io cimenti la vita,

non l'insegna Catone.

SOLIMANO

Almen qui resta.

LURCANO

Non mi romper la testa

con puntigli d'onor, ch'io non mi pento;

se tu per complimento

corri a farti guerriero,

sei più pazzo di me, che so 'l mestiero.

(parte)

Scena sesta

Laurindo, Solimano.

LAURINDO

O bella libertà...

SOLIMANO

Non è questi Laurindo?

LAURINDO

...quanto gradita altrui, noiosa a me.

SOLIMANO

Ma come in libertà?

LAURINDO

Che mi giova esser disciolta...

SOLIMANO

Disciolta?

LAURINDO

...mentre avvolta

fra catene

di tormenti amor mi tiene?

SOLIMANO

Son desto?

LAURINDO

Se fra ceppi il cor si sta.

SOLIMANO

Oppur vaneggio?

LAURINDO

Servitù non cura il piè.

O bella libertà,

quanto gradita altrui, noiosa a me.

SOLIMANO

Spoglia mentita, e finta

una donzella asconde.

Qual memoria indistinta

l'anima mi confonde...

LAURINDO

O cara servitù...

SOLIMANO

Non rassembra colei?

LAURINDO

...quanto noiosa altrui, gradita a me.

SOLIMANO

Ma come in servitù?

LAURINDO

Che mi vale esser fuggita...

SOLIMANO

Fuggita?

LAURINDO

...se tradita

da un ingrato,

ogni scampo ho disperato?

SOLIMANO

E l'ombra?

LAURINDO

Libertà non bramo più...

SOLIMANO

Oppure è d'essa?

LAURINDO

...di fuggir non speri il piè.

O cara servitù

quanto noiosa altrui gradita a me.

Folle? Ma che pens'io?

Su su corrasi al campo;

si combatta, si mora, e al morir mio

sciolgasi dal suo laccio

d'un empio traditor l'alma lasciva;

purché mora Selino, Argia non viva.

SOLIMANO

Come ratto se n' va? Dove Laurindo?

LAURINDO

Dove Marte rimbomba.

SOLIMANO

Corri forse al tuo scampo?

LAURINDO

Anzi alla tomba.

SOLIMANO

Deh Laurindo gentil, se chiudi in petto

scintilla di pietà, stilla d'affetto,

per Selino t'adopra,

che se non trova aita

perde l'onore, e con l'onor la vita.

LAURINDO

Consolati buon servo

che per lui solo a marziale arringo

disperato m'accingo:

ma digli o Solimano,

che chi sempre dovria

a danni di Selino

strage ruina, e scempio

implorar dalla sorte,

per confonder un empio

con eccessi d'amor, corre alla morte.

SOLIMANO

Non più stelle tiranne, o dio, non più.

Abbastanza son pure

scesi da' vostri giri

turbini di sciagure, e di martiri.

Infelice appien quaggiù

cieca sorte altrui non fe',

se colpito anco non è

dall'ingiurie di lassù.

Non più stelle tiranne, o dio, non più.

Scena settima

Anfiteatro.
Atamante.

Dure noie, che rendete

il mio cor sì miserabile:

che del mondo il fasto è labile

insegnar forse volete?

Ben lo so, ben l'imparai,

e provai,

che l'impero è un lieve gioco,

un vascello di paglia in mar di foco.

IIº

Occhi miei, che distillate

per dolor onde amarissime,

che son l'ore fugacissime

del gioir forse mostrate?

Ben lo so, ben l'imparai,

e provai,

che d'un re sono i contenti

caratteri di polve in preda ai venti.

Ma perché mi querelo?

Forse i ferri, i veleni

mancheranno al mio regno

per torre altrui la vita, a me lo sdegno?

Sì sì mora Selino,

uccidasi Dorisbe,

pera l'empio lenone

delle vergogne mie,

e pria che fugga il die

di tre vittime infami

sgorghi nel suolo immondo

il sangue abominoso:

quindi m'appelli il mondo

pria giusto re, che genitor pietoso.

Scena ottava

Aceste, Atamante.

ACESTE

Sire, il prence Feraspe

di Negroponte erede

qui volge armato il piede.

Araldo io vegno, egli in disparte i segni

della battaglia attende,

e campion di Dorisbe

perder sé stesso, o lei disciorre intende.

ATAMANTE

Così prode guerriero

non si rifiuta in Cipro.

Campion l'accetto, e vincitor lo spero.

Scena nona

Solimano, Atamante.

SOLIMANO

Sire, di qua non lungi

sconosciuto un guerriero

a pro del mio signor la spada cinge.

ATAMANTE

È di Cipro, o straniero?

SOLIMANO

Non so.

ATAMANTE

Ma chi l'astringe

a pugnar sconosciuto?

SOLIMANO

A me no 'l disse.

ATAMANTE

Costui finger procura.

SOLIMANO

Il campo ei chiede,

e già tutto nell'armi,

qual si costuma, è chiuso.

ATAMANTE

Venga, non lo ricuso.

Ma che si tarda? Olà

da canori metalli

diansi dell'armi i cenni,

e scorga il ciprio regno

come fulmina irato un regio sdegno.

Scena decima

Laurindo, Feraspe, Atamante.
Coro di Soldati.

CORO

Rimbombate al suon dell'armi

cupe valli,

e de' rauchi metalli

al fragor l'aria assordate,

di Nettuno entro la sponda

frema l'onda,

e risponda ai fieri carmi.

Rimbombate al suon dell'armi.

Segue la battaglia fra Laurindo, e Feraspe.

FERASPE

Renditi, o ch'io t'uccido.

ATAMANTE

O ciel, che miro?

LAURINDO

L'armi e 'l campo ti cedo; alla vendetta,

non al trionfo aspiro.

ATAMANTE

E qual folle ardimento

dai ceppi ti disciolse

per condurti al cimento?

LAURINDO

L'onor mi rese ardito.

ATAMANTE

Chi ti diè libertà?

LAURINDO

Fu l'innocenza.

ATAMANTE

Ma di chi?

LAURINDO

Di tua figlia.

ATAMANTE

S'innocente, è Dorisbe, a che la spada

impugnasti a suo danno?

FERASPE

Egli delira.

LAURINDO

Selino è reo di morte.

ATAMANTE

Ma perché lo difendi?

LAURINDO

A te non cale, e déi

le tue leggi osservar, se giusto sei.

FERASPE

Non lieve arcano asconde

nella mente costui.

ATAMANTE

Ma però si confonde.

LAURINDO

Uccidasi Selino.

FERASPE

Disciolgasi Dorisbe.

ATAMANTE

Partite: a me s'aspetta

la pietà, la vendetta.

FERASPE

Non è reo, chi non erra.

LAURINDO

Non dée viver un empio.

ATAMANTE

Olà partite.

LAURINDO

Si discopra l'inganno.

ATAMANTE

O vicende!

LAURINDO

O fortuna!

FERASPE

O re tiranno!

Scena undicesima

Atamante, Dorisbe, Selino.
Due Paggi con tazze di veleni.

ATAMANTE

Dell'intricato enigma

saprò ben io col ferro

nuovo Alessandro sviluppare i nodi.

Voi campioni sì prodi

del faretrato dio,

che dar l'assalto osaste

alla rocca real dell'onor mio

ambi di paro erraste,

e se fu pari il male,

sia dell'error anco la pena eguale.

Insieme

DORISBE

Dunque senza fallire

a Cipro si condanna

una figlia a morire?

SELINO

Dunque senza fallire

il genitor condanna

un principe a morire?

ATAMANTE

Non da quest'alma offesa

ricetto alla pietà:

morir dovete; io così voglio. Olà

questo a vostri imenei

nettare il ciel destina, e ben potete

smorzar l'arida sete

dal vostro cieco ardore

ogni vivente impari,

che negl'orti d'amore

son dolci i fiori, e sono i frutti amari.

Insieme

DORISBE

O padre ingiusto e rio.

SELINO

O re malvagio e rio.

ATAMANTE

Non più. Gioite. Addio.

Scena dodicesima

Dorisbe, Lurcano, Selino.

DORISBE

Pietà, numi, pietà; moro innocente.

Ma tu padre non già, barbaro mostro,

cui la corona, e l'ostro

con il velo dei sensi

ponno offuscar della ragione i lumi,

dimmi dove apprendesti

di barbaro i costumi!

Qual demone a mio danno

con leggi da tiranno

t'addottrinò la mente?

Pietà, numi, pietà; moro innocente.

LURCANO

Terminata la festa

vo' comparir anch'io, ma qui sì beve.

Che cerimonia è questa?

SELINO

Io sol, Dorisbe, reo

son delle colpe tue,

e se morir conviene

lascia a me solo o sospirato bene

tutt'il martir, ch'è destinato a due.

Per sì funesta uscita

chiudi all'alma le porte,

che faresti, o mia vita,

troppo bella la morte.

Porgete a me porgete

servi pietosi ambe le tazze. Io solo

per dar vita a Dorisbe,

trangugerò i veleni

di quanti per la terra

strisciano a danno umano atri colubri.

LURCANO

O che nozze lugubri?

SELINO

Dorisbe io parto. Addio.

LURCANO

Un saluto a Caronte in nome mio.

SELINO

Il principe dei Traci

che sol visse per te, per te si more.

Scena tredicesima

Laurindo, Atamante, Dorisbe, Selino, Lurcano.

LAURINDO

Fermati traditore.

DORISBE

Ohimè respiro.

ATAMANTE

Anco ardisci d'opporti

temerario lenone a miei decreti?

Uccidasi Laurindo.

LAURINDO

Ottimo sire,

deh pria ch'un infelice

si condanni a morire,

lascia, che per brev'ora

di quest'alme tradite

l'innocenza palesi, e poi si mora.

DORISBE

Stelle ancor non v'intendo.

ATAMANTE

O qual pietade

improvvisa m'assale?

Parla, ma non mentire.

LAURINDO

Alma reale

non conosce menzogne. Or tu m'ascolta,

e s'io parlo con frode,

fa' di questa mia vita orrido scempio.

SELINO

E si crede a quest'empio?

ATAMANTE

Taci.

LAURINDO

Prima a Dorisbe

e vita, e libertà donar tu déi,

ch'uccidendo la figlia, ingiusto sei.

ATAMANTE

Ma se con questi lumi il fallo io vidi:

m'inganni, o mi deridi?

LAURINDO

Il ver ti parlo.

Dorisbe a me rispondi

la pura verità. Chi fu l'amante

ch'al giardino attendevi?

DORISBE

O dio, non so.

LAURINDO

Non lo nasconder, no.

DORISBE

Laurindo.

ATAMANTE

Ma Selino

com'allor presente?

DORISBE

A lui stesso lo chiedi.

LAURINDO

Io per inganni

quivi il condussi.

ATAMANTE

Ed a qual fine?

SELINO

O dio?

LAURINDO

Per macchinar i danni,

d'un traditor rubello.

ATAMANTE

Dunque reo tu sarai.

LAURINDO

E reo m'appello.

LURCANO

Do la volta al cervello.

ATAMANTE

Or se Dorisbe

d'amar confessa, e al tuo desir consente

com'è dunque innocente?

LAURINDO

Quanto finor narrai

nella mente riponi.

E ch'innocente sia, tosto il vedrai.

ATAMANTE

A sì lievi ragioni

l'anima non riposa.

LURCANO

Omai disvela

questa cifra noiosa.

LAURINDO

Or tu Selino

ti prepara alla morte, a questi eventi

sa condurre il destino

la perfidia mortal.

SELINO

Barbaro menti.

LAURINDO

A me rispondi pria,

non amasti Dorisbe?

SELINO

L'amai.

LAURINDO

Dimmi perché?

SELINO

Perch'è degna d'amore.

LAURINDO

E non per altro?

SELINO

A che tanto m'aggiri?

Per chiederla consorte.

LAURINDO

A quante indegno

regie consorti aspiri?

Corri forse o mendace

di lascivia al bersaglio,

per far nel regno tuo barbaro trace,

di regine un serraglio?

SELINO

Che favole racconti?

LAURINDO

Or dimmi Argia:

figlia del re Toante.

Scena quattordicesima

Feraspe, Laurindo, Selino, Atamante, Dorisbe, Lurcano.

FERASPE

Che ascolto infelice?

LAURINDO

Tua consorte non è?

Non gli desti la fé?

SELINO

Mente chi 'l dice.

LAURINDO

Tu menti, o traditore, e questo foglio

dal proprio sangue tuo firmato, e scritto

non palesa il delitto?

LURCANO

Eccoci a un altro imbroglio.

LAURINDO

Leggi perfido, leggi,

ovver per non mirarlo

volgi a terra quei lumi

vergognosi e funesti.

Dimmi così calpesti

della fé, dell'onor, del ciel le leggi?

Leggi perfido leggi.

ATAMANTE

Or che rispondi?

SELINO

Sire.

ATAMANTE

Parla.

SELINO

Ad Argia

diedi la fede mia.

ATAMANTE

Tu tremi?

SELINO

Argia.

ATAMANTE

Di' pur, che molto importa.

SELINO

Chi mi consiglia? È morta.

FERASPE

Ah traditore?

LAURINDO

Non macchinar inganni

che non è morta Argia, vive a tuoi danni.

FERASPE

Respira, alma respira.

ATAMANTE

Ma dove il piè rigira

la tradita donzella?

Ben saperlo tu déi.

LAURINDO

Se doni a preghi miei

quanto chieder desio, tutto saprai.

ATAMANTE

Ciò che domandi, io lo prometto, avrai.

LAURINDO

Poich'altro a te non manca,

ingannator superbo,

per meritar di traditore il nome,

rimira queste chiome,

che ti legaro il core;

ravvisa questo seno,

cui rapisti l'onore;

conosci quell'Argia

ch'anima tua chiamasti,

sol per meglio tradir l'anima mia.

Ecco, o giusto regnante,

contumace Laurindo, Argia tradita,

innocente Dorisbe, e reo Selino.

Scena quindicesima

Osmano con il Fanciulletto, Argia, Atamante, Selino, Dorisbe, Feraspe, Lurcano.

OSMANO

Pur si scoperse; o forza del destino!

LAURINDO

Argia

Va' demone terreno

tra le furie di Stige,

forma del proprio seno

nuovo inferno a tuo danno,

ch'a punir un tiranno

in tante colpe immerso

è poco l'universo.

Ecco o peste del mondo

di tua lascivia il frutto.

Argia

Questo è tuo figlio, e mio,

e se tradisti, o dio,

l'incauta genitrice,

svena quest'infelice,

che con lingua latrante, e pargoletta

al giustissimo ciel grida vendetta.

Vanne cara Dorisbe,

vieni figlio innocente,

segui amato Feraspe,

fuggi da questo mostro

del giorno che rimira,

dell'aure, che respira affatto indegno,

conduci al patrio regno

questa madre infelice:

e tu barbaro godi,

se pur goder ti lice,

ch'in lacrime di sdegno anch'io mi struggo

tradita venni, e vendicata fuggo.

Scena sedicesima

Selino, Atamante, Osmano, Solimano, Lurcano.

SELINO

Disserratevi abissi, io vengo a piangere.

Son reo di tradimenti,

artefice d'inganni,

congiurate a miei danni ombre dolenti.

Nel centro delle pene

convinto dal suo bene

un tiranno d'amor

l'ingratissimo cor desia di frangere.

Disserratevi abissi, io vengo a piangere.

ATAMANTE

Eppur sento nel core

ad onta del mio sdegno

nascer qualche pietà figlia d'amore.

LURCANO

Che pietà, che perdono a quest'indegno?

Non vedete padrone,

che cera di briccone?

OSMANO

Mal conosce sé stesso

colui, ch'altri condanna.

SELINO

A morire, a morire.

SOLIMANO

Eppur cadesti o sire

nel presagito laccio. Ecco ove guida

un amoroso dardo,

infelice Selino? Ah fossi stato

tu più cauto in amore, io più bugiardo.

SELINO

Contro l'ira del fato

non han forza i mortali.

Parti, e taci, se m'ami,

e se men aspra brami

farmi incontrar la morte, in Tracia vola

e 'l mio gran padre Alì quieta, e consola.

Palesa il mio fallir, di', ch'ogni cura

per mio scampo tralasci,

e narra qual mi vedi, e qual mi lasci.

SOLIMANO

Piuttosto anch'io morrò.

OSMANO

Signor attendi.

Costui vinto dal duolo

o delira, o s'infinge.

ATAMANTE

E tu, che prendi

cura del suo penar, dimmi chi sei?

OSMANO

Tal io mi son, che forse

appagarti saprò.

ATAMANTE

Ma che ti spinge

ad osservar un reo,

se delira, o se finge?

LURCANO

Padron non gli credete: egl'è un ebreo.

OSMANO

Torno a dir, che dai mali

ha confusa la mente,

o finge con la patria anco i natali.

ATAMANTE

E che rileva ciò.

OSMANO

Tanto, ch'un giorno

ti potresti pentire. Il re de' Traci,

già canuto, e mal vivo

di cui figlio poch'anzi

quel garzon si vantò, di figli è privo.

ATAMANTE

E come ciò sapesti?

OSMANO

A Bisanto l'intesi.

ATAMANTE

Or chi sia questi

che suo figlio si noma?

OSMANO

Un da corsari

rapito entro le fasce in questi mari.

ATAMANTE

Rapito entro le fasce in questi mari?

Come dunque d'Alì figlio s'appella?

OSMANO

Venduto a lui bambino

fu qual figlio nutrito

con nome di Selino,

indi erede acclamato, e riverito.

SOLIMANO

Tutt'è ver, ma quel regno,

come principe l'ama: anzi l'adora.

ATAMANTE

E quant'è che fu ciò?

OSMANO

La prima aurora

pur ier varcò dopo vent'anni.

ATAMANTE

O dio?

LURCANO

Non ne vo' sentir più. Barboni addio.

ATAMANTE

Ma dimmi, il primo nome

di Selino qual fu?

OSMANO

Dirollo: ma...

ATAMANTE

Non temer.

OSMANO

Lucimo...

ATAMANTE

Che?

OSMANO

Lucimoro.

ATAMANTE

O dèi quest'è mio figlio.

OSMANO

Appunto questi

è 'l figlio, che perdesti.

ATAMANTE

Ma tu, come ciò sai?

OSMANO

S'a me condoni

le scorse negligenze, or l'udrai.

ATAMANTE

Parla, ch'io t'assicuro.

OSMANO

Ecco a' tuoi piedi

quell'infelice Osmano,

quel servo a te fedele,

cui da barbara mano

di pirata crudel

fu rapito il tuo figlio.

ATAMANTE

O ciel che veggio?

OSMANO

Questo, invitto regnante,

ch'alla morte condanni

è di Cipro l'infante, io già molt'anni,

che dalla tracia servitù mi sciolsi

discoperto l'avrei,

se la fortuna, o 'l fato

non avessi cangiato

per tema del tuo sdegno i pensier miei.

SOLIMANO

Signor, dubbio non ha. Questo è lo schiavo,

che venne con Selino,

poi fuggì di improvviso.

Alla voce all'aspetto, io lo ravviso.

ATAMANTE

O figlio, o dolce figlio.

SELINO

O mio re.

ATAMANTE

Mio tesoro.

SELINO

La gioia mi confonde.

ATAMANTE

Io t'abbraccio.

SELINO

Io t'adoro.

Scena diciassettesima

Argia, Dorisbe, Feraspe, Atamante, Lucimoro, Solimano, Osmano, Fanciulletto.

ATAMANTE

Adesso intendo

di Venere i presagi, onde mi sgrida,

ch'io no 'l perda per sempre, o non l'uccida,

mira amata Dorisbe, e rendi intanto

grazie devote al ciel; quest'è mio figlio

da noi tant'anni sospirato, e pianto.

DORISBE

Lucimoro!

SELINO

Lucimoro

Dorisbe?

Insieme

DORISBE

Io pur ti trovo e pur ti stringo al seno:

s'amante non osai, fratello almeno.

SELINO

Lucimoro

Io pur ti miro e pur ti stringo al seno:

se sposo non potei, sorella almeno.

SELINO

Lucimoro

Ma tu nume adorato

a sdegno, o dio, mi prendi?

LAURINDO

Argia

Ma tu crudele ingrato

sempre sempre m'offendi?

SELINO

Lucimoro

Ti prego.

LAURINDO

Argia

Mi fuggisti.

SELINO

Lucimoro

T'adorai.

LAURINDO

Argia

Mi tradisti.

SELINO

Lucimoro

Perdona al mio fallire.

LAURINDO

Argia

Non merita pietà.

SELINO

Lucimoro

Dunque morir degg'io?

LAURINDO

Argia

Non mi risolvo.

SELINO

Lucimoro

Deh placati.

LAURINDO

Argia

Chissà?

SELINO

Lucimoro

Sarai di Lucimoro?

LAURINDO

Argia

E tu d'Argia?

Insieme

LAURINDO

Argia

Sì torna ad amar anima mia.

SELINO

Lucimoro

Sì lascia il rigor anima mia.

FERASPE

O fortunata coppia!

SOLIMANO

O felici vicende!

LAURINDO

Argia

Sire, amante Feraspe

è di Dorisbe, e servo, un doppio nodo

stringa a me Lucimoro, a lui Dorisbe.

Mertano i nostri affetti

se fu doppio il soffri, doppi i diletti.

ATAMANTE

Giurai bella costante

d'appagar le tu voglie.

Di Feraspe mia figlia oggi sia moglie.

FERASPE

Generoso Atamante.

DORISBE

Cortese genitor.

ATAMANTE

Non più. Le pompe

per sì lieti imenei

ad apprestar m'invio,

voi me seguite o vegli.

FANCIULLETTO

Osmano addio.

Scena diciottesima

Argia, Lucimoro, Feraspe, Dorisbe, Fanciulletto, Alceo.

FERASPE, DORISBE, LAURINDO E SELINO

(Argia e Lucimoro)

Alle gioie, ai diletti, ai vezzi, ai baci.

Amanti che fate

codardi che siete?

Se vincer bramate

pugnando godete.

Nel campo d'amore

è vile quel core,

che segue le paci.

Alle gioie, ai diletti, ai vezzi, ai baci.

IIº

Chi brama gioire

s'accinga a penare,

che dona il soffrire

dolcezze più care.

Da lunga speranza,

ottien la costanza,

contenti veraci.

Alle gioie, ai diletti, ai vezzi, ai baci.

ALCEO

Argia? Dorisbe? Sposi?

Sì. Che giova esclamare, e farsi roco?

Per divertir gl'amanti

dall'amoroso gioco

una mandra ci vuol di negromanti.

Scusa, o perdon vorrei,

per Alceo, per Filaura, e dalle spose

ottenuto l'avrei.

Ma in così lieto giorno

voglion ben altro, che eunuchi intorno.

Un amante è qual torrente,

che dal monte alla pianura,

precipitoso scende.

Gonfio di sciolte nevi il corso prende,

e se poco dura

atterrisce la gente, e dove passa,

rompe le sponde, e gl'argini fracassa.

IIº

Se talor gonfia un torrente,

tanto più le valli ingombra,

quanto più d'acque abbonda.

I prati, e campi, e gl'altrui letti inonda:

ma se Giuno disgombra

dall'aere le nubi, il rio si stanca

e per il proprio letto onda gli manca.

Scena ultima

Venere. Innocenza.
Coro di Numi, che cantano.
Coro di Amorini, che ballano in cielo.
Coro di Soldati, che ballano in terra.

VENERE

Ecco, o bella Innocenza,

del tuo lungo soffrire il fine, il porto.

Abbattuta la frode

si consuma. Si rode, e negl'abissi

resta l'inganno eternamente assorto.

INNOCENZA

Delle rotanti sfere,

opra del tuo gran figlio, al bel sereno

trionfante ritorno.

Già dell'invidia a scorno,

al suo diletto in seno,

gode la bell'Argia

i bramati contenti.

Imparate o viventi

da vicende sì belle,

che chi sa ben soffrir, vince le stelle.

VENERE E INNOCENZA

Viva Cipro, e Negroponte.

CORO

Viva Cipro, e Negroponte.

VENERE E INNOCENZA

Gioite mortali

ch'il cielo v'arride.

VENERE

Non sempre omicide

son l'ire fatali.

Supera l'Innocenza

di nemico destino i sdegni, e l'onte.

Viva Cipro, e Negroponte.

CORO

Viva Cipro, e Negroponte.

Si balla.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 07/04/2018
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Locandina Prologo Scena unica Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Scena ventesima Scena ventunesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena ultima