Lo stampatore a' lettori

A gloria de' signori musici, ch'al numero di sei (coll'autore collegati) hanno con gran magnificenza, ed esquisitezza, a tutte loro spese, e di qualche considerazione, rappresentata l'Andromeda, e per gusto non meno, di chi non l'ha veduta, ho firmato cosa convenevole il farne un breve racconto in questa forma.

Sparita la tenda si vide la scena, tutta mare; con una lontananza così artificiosa d'acque, e di scogli, che la naturalezza di quella (ancor che finta) movea dubbio a' riguardanti, se veramente fossero in un teatro, o in una spiaggia di mare effettiva. Era la scena tutta oscura, se non quanto le davano luce alcune stelle; le quali una dopo l'altra a poco a poco sparendo, dettero luogo all'Aurora, che venne a fare il prologo. Ella tutta di tela d'argento vestita, con una stella lucidissima in fronte, comparve dentro una bellissima nube, quale ora dilatandosi, ora stringendosi (con bella meraviglia) fece il suo passaggio in arco per lo ciel della scena. In questo mentre si vide la scena luminosa al par del giorno. Dalla signora Maddalena Manelli romana fu divinamente cantato il prologo: dopo del quale s'udì de' più forbiti sonatori una soavissima sinfonia; a questi assistendo l'autore dell'opera con la sua miracolosa tiorba. Uscì di poi Giunone sovra un carro d'oro tirato da' suoi pavoni, tutta vestita di tocca d'oro fiammante, con una superba varietà, di gemme in testa, e nella corona. Con meraviglioso diletto de' spettatori, volgeva a destra, ed a sinistra, come più le piaceva, il carro. Le comparve a fronte Mercurio. Era, e non era, questo personaggio in machina; era, perché l'impossibilità non l'ammetteva volatile; e non era, poiché niun altra machina si vedea, che quella del corpo volante. Comparve guarnito de' suoi soliti arnesi, con un manto azzurro, che le giva svolazzando alle spalle. Fu eccellentemente rappresentata Giunone dal signor Francesco Angeletti da Assisi; e squisitamente Mercurio dal signor don Annibale Graselli da Città di Castello. In un istante si vide la scena, di marittima, boschereccia; così del naturale, ch'al vivo al vivo ti portava all'occhio quell'effettiva cima nevosa, quel vero pian fiorito, quella reale intrecciatura del bosco, e quel non finto scioglimento d'acque. Comparve Andromeda con il séguito, di dodici damigelle, in abito ninfale. L'abito d'Andromeda era di color di foco; d'inestimabile valuta. Quello delle ninfe era d'una leggiadra, e bizzarra divisa a bianco, incarnato, e oro. Rappresentò mirabilmente Andromeda chi fece il prologo. Tornò in un momento la scena, di boschereccia, marittima. Comparve Nettuno, e gli uscì Mercurio nella sua mirabil machina all'incontro. Era Nettuno sovra una gran conca d'argento, tirata da quattro cavalli marini. Lo copriva un manto di color celeste; una gran barba gli scendeva al petto, e una lunga capigliatura inghirlandata d'alga le pendeva sulle spalle. La corona era fatta a piramidette, tempestata di perle. Fece questa parte egregiamente il signor Francesco Manelli da Tivoli; autore della musica dell'opera. Uscì dal seno del mare, dalla cintola infuso, Proteo, vestito a squame d'argento; con una gran capigliatura, e barba di color ceruleo. Servì di questo personaggio gentilissimamente il signor Gio. Battista Bisucci bolognese. Qui per fine dell'atto si cantò prima di dentro un madrigale a più voci, concertato con strumenti diversi; e poi tre bellissimi giovinetti, in abito d'Amore, uscirono a fare, per intermezzo, una graziosissima danza. Il velocissimo moto, di questi fanciulli talora fece dubbiose le genti, s'avessero eglino l'ali a gli omeri, o pure a' piedi. A tempo d'una melliflua melodia di strumenti, comparvero Astrea nel cielo, e Venere nel mare. Una entro una nube d'argento; l'altra nella sua conca, tirata da cigni. Era vestita Astrea del color del cielo, con una spada a fiamme nella destra. Venere del color del mare, con un manto d'oro incarnato alle spalle. Fu graziosamente rappresentata Astrea dal signor Girolamo Medici romano, e Venere soavissimamente dal signor Anselmo Marconi romano. Si mutò la scena in boschereccia, e uscì Andromeda con la sua schiera. Sei delle sue dame, qui per allegrezza dell'ucciso cinghiale, fecero un leggiadro, e meraviglioso balletto; con sì varie, e mirabili intrecciature, che veramente gli si poteva dar nome d'un laberinto saltante. Ne fu l'inventore il signor Gio. Battista Balbi veneziano, ballarino celebre. Uscì repente di sottoterra Astarco mago, com'ombra. Era questo personaggio tutto vestito a bruno d'oro, in veste lunga, con capigliatura, e barba lunga e come neve bianca. Scettro di negromante, reggeva la destra una verga. Rappresentò degnamente questo soggetto chi fece Nettuno. S'aperse il cielo, e in uno sfondo luminosissimo, assisi in un maestoso trono, si videro Giove, e Giunone. Era Giove coperto d'un manto stellato; sosteneva la chioma una corona di raggi, e la destra un fulmine. Rappresentò celestemente questa deità chi fece Proteo. Qui per fine dell'atto si cantò prima di dentro un altro madrigale a più voci, concertato con strumenti diversi; e poi dodici selvaggi uscirono a fare, per intermezzo, un stravagantissimo, e gustosissimo ballo di moti e gesti. Non vi fu occhio che non lagrimasse il transito di questa danza. Ne fu inventore il signor Gio. Battista Balbi ballarino suddetto. Si cambiò la scena in marittima; a tempo d'una dolcissima armonia di strumenti diversi comparve da un lato della scena, una bellissima machina con Astrea, e Venere suso. Volgevasi al destro, ed al sinistro lato, come più a quelle deità aggradiva. Le uscì dirimpetto a Mercurio; e aprendosi il cielo assisté Giove nel mezzo. Fece un meraviglioso effetto questo scenone, per la quantità delle machine, e per lo successivo ordine della comparsa, e della gita. In un baleno divenne la scena marittima un superbo palagio. Fu bello e caro il vedere da rozzi sassi, e da spiagge incolte nascere d'improvviso un ben disegnato, e costrutto edificio. Figurava questi la reggia d'Andromeda, dalla quale uscì Ascalà cavaliere. L'abito di costui eccede di valuta, e di bellezza, quello di ogni altro. Comparve vestito all'usanza turca. Con mille grazie di paradiso rappresentò questo dolente personaggio chi fece Mercurio. Di repente sparito il palagio, si vide la scena tutta mare con Andromeda legata ad un sasso. Uscì 'l mostro marino. Era con sì bello artifizio fabbricato quest'animale, che ancorché non vero, pur metteva terrore. Tranne l'effetto, di sbranare, e divorare, avea tutto di viso, e di spirante. Venne Perseo dal cielo sul Pegaso, e con tre colpi di lancia, e cinque di stocco fece l'abbattimento col mostro, e l'uccise. Era questo personaggio d'armi bianche vestito, con un gran cimiero sull'elmo; e una pennacchiera all'istessa divisa aveva il volante destriere su la fronte. Fu rappresentato questo soggetto angelicamente da chi fece Ascalà. S'aperse il cielo, e si videro Giove, e Giunone in gloria, e altre deità. Scese questo gran machinone in terra, accompagnato da un concerto di voci, e di strumenti, veramente di paradiso. Levati i due eroi, che fra di loro complivano gli condusse al cielo.

Qui la regale, e sempre degna funzione ebbe fine. Vivete sani.

Illustrissimo signore, e padron colendissimo Lo stampatore a' lettori Del padre sig. don Alfonso Pucinelli Del sig. dottore Bartolomeo Angarani Del signor Gio. Francesco Busenello Sonetti del signor Benedetto Ferrari Per l'Andromeda Per l'Andromeda
Atto primo Atto secondo Atto terzo

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