Serenissime altezze

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Nacque il mio Paride, accompagnato da quell'ombre d'imperizia, che per esser individuali del mio ingegno, non sanno allontanarsi dalla mia penna. Ma necessitato di comparire in campo, ed esporre il contenuto delle sue tenebre, alla notizia della pubblica luce; benché intimidito dal riconoscimento de' propri demeriti, assicurato dalla speranza di goder non meritate stille di gloria, sotto l'ombra de' vostri serenissimi allori, ardisce d'innalzare il mio nome, col sottoporlo, ed umiliarlo a piè de' titoli vostri, per esser da quello consacrato, all'immortalità de' vostri gloriosissimi nomi.

Ed era convenevole appunto, che, s'egli, per esser un'allegorica espressione, de' vostri dolcissimi contenti, altro non è, ch'un raggio tolto alla vostra luce, per illuminarmi l'ingegno, ritornasse, sopra l'ale della sua umilissima osservanza, al convesso della sua sfera; acciocché asceso all'altissimo Olimpo delle vostre glorie, potess'esser superiore ai fulmini dell'invidia, e sovrastare ai tuoni della maledicenza.

Eccolo adunque, sotto la maestà degl'occhi vostri, a contribuir con tratti d'umilissima devozione, gl'ossequi divotissimi del mio ingegno. E sarebbe anche debito della mia osservanza, l'intessere fregi alla grandezza de' vostri meriti, celebrando l'ordinario costume di tributare encomi: e dir quai siano gli splendori, o serenissimo principe, del vostro felicissimo ingegno, che mirabile nella singolarità delle più recondite scienze, corre a trionfar de' secoli e della morte; superiore a quanti ingegni d'eroi, seppero mai, con apparato di peregrina eloquenzia, occupar le greche, o le latine carte. E maggior della maraviglia, non contento de' circumvicini stupori, per esser consapevole del proprio merito; sforza tutti gl'applausi della fama, a formar voci di voi, che ripercosse da' più rimoti confini del mondo, formano un'eco gloriosa, che vi dichiara inimitabile, ed immortale. E scrivendo di voi, serenissima principessa, mostrar qual sia l'altezza delle vostre prerogative, che per esser impareggiabili, obbligano il cielo, e la fortuna ad assister alle vostre grandezze; e quanto sia degna impresa del vostro merito ineffabile, che nell'avvicinarmi, con l'armonia della cetra, alla sublimità delle sfere, venga così bel sole, a sommerger i raggi della sua luce, nel mar delle vostre bellezze; e che le stelle, appreso il moto dalla misura de' vostri concenti, non sappiano sparger sopra l'eminenza di sì canoro ingegno, altri influssi, che di felicità. Ma troppo ardita, o serenissime altezze, sarebbe l'opera della mia penna, se prendesse a formar panegirici, sopra queste qualità immortali, che arrestati i più rapidi voli del tempo, formano un Campidoglio d'eternità, per ricevere i vostri gloriosi trionfi: poiché arricchite di tutte quell'ampiezze di lodi, che possino scaturir giammai, dell'eloquenzia de' più sublimi ingegni, ricusano la debolezza de quegl'encomi, che con caratteri d'impotenza, mi farebbero conoscer, troppo inerudito Omero, a descriver gl'Achilli, troppo imperito Apelle, a figurar gl'Alessandri.

Tacerò dunque, per non prender, nel valicar l'onde delle vostre lodi, ad annoverar le stille di un oceano. Tacerò, poiché sì come all'eminenza de' vostri meriti, non si può giunger, che colla maraviglia, così all'umiltà della mia osservanza, non si conviene che un divotissimo silenzio, per non offender con una lode imperfetta, la sublimità di quelle glorie, che non ancora mature, hanno forza d'impoverire il mondo d'encomi. E finalmente tacerò, per non saper dar principio, a quel che (sic: secondo me è cui) non saprei dar fine. E supplicando l'altezze vostre serenissime a dar merito, con un magnanimo aggradimento, a gl'ossequi divoti del mio ingegno, ed a felicitar, con um benigno sguardo, i tributi ossequiosi della mia penna, con umilissima, e profondissima riverenza, e l'uno, e l'altra inchino

Di Dresda li 3 di novembre 1662

di vostre altezze serenissime

umilissimo e divotissimo servitore

Giovanni Andrea Bontempi

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