Atto secondo

 

Scena prima

Bosco nel monte Ida.
Enone rammemora a sé stessa, qual sia l'Amore, che porta a Paride. Esprime, che per sì bella cagione le sia soave ogni tormento; e dalle proprie pene, cava argomenti per render impenetrabile la sua costanza. Vede venir Paride, e gli si fa incontro.
Enone.

 Q 

Enone

 

 

Aure dolci, e leggere,  

zeffiretti volanti,

spiritelli vaganti,

ristoro del mio core,

non mi chiedete più s'ardo d'Amore.

Purtroppo i miei sospiri,

ch'a voi quest'alma invia,

palesato v'avran la fiamma mia.

Anzi l'anima istessa,

dall'oggetto divino,

de l'amate bellezze al ciel rapita,

discoperto v'avrà la sua ferita.

Ardo purtroppo, e mi distruggo, e moro:

ma per colui ch'adoro,

entro l'ardor ch'io sento,

m'è riposo 'l penar, pace il tormento.

 

1  

Languisco d'Amore,

mio bene per te;

t'adora il mio core,

e chiede mercé.

Languirò, morirò, ma sempre amante;

non paventa 'l morire alma costante.

2

Il cor, che vien meno,

mai sempre arderà;

la fé nel mio seno,

costante sarà.

Chi nel regno d'amor non ha fermezza,

o non cura mercede, o amor non prezza.

 

 

Ma, s'io non erro, ecco il mio bello: ahi vista,  

che morte arreca in un sol punto, e vita!

O bellezza infinita,

da cui la luce il dio del lume acquista!

Esci o mio cor dal petto,

e su nel volto ascendi,

a vagheggiar l'idolatrato oggetto.

Ma lassa! e che desio?

Io non ho cor nel seno, e s'ho pur core,

è d'altrui, non è mio: ma s'è pur mio,

è nell'ardor ch'io sento,

in un con l'alma incenerito, e spento.

 

Scena seconda

Paride, ed Enone stabiliscono un'intera, e piena fermezza ai loro amori. Enone si parte. Paride resta, e si rallegra d'esser amante d'Enone. Esplica la possanza d'Amore, e come si debba amare: consolandosi nell'ardor di quelle fiamme, che gli consumano dolcemente il petto. Scendendo Mercurio, Giunone, Pallade, e Venere dal cielo, vien sorpreso da un improvviso stupore.
Paride, Enone.

<- Paride

 

PARIDE

1  

Dolce ben,

conforto amato,

fia beato

questo sen,

se mi porgi un sol ristoro,

quando d'Amore impallidisco, e moro.

S

ENONE

2

Sol per te

languisco, e pero,

né pensiero,

di mia fé,

ti dia mai tormento, o noia;

tu sei l'anima mia, tu la mia gioia.

PARIDE E ENONE

3

Pera il cor

dentr'al suo petto,

e s'astretto

fia l'ardor

a sanar la sua ferita,

per tornar' a morir, sol torni in vita.

 

ENONE

Paride mio, ti lascio.  

Il cor, che tanto il tuo bel volto adora,

non farà senza te lunga dimora.

PARIDE

Vanne, ed in breve il tuo ritorno fia,

Enone anima mia.

Ah che purtroppo sei,

anima del mio seno,

luce degl'occhi miei!

E mille volte, e mille,

sia benedetto Amore,

che per tanta beltà m'accese il core.

 

Enone ->

 

Amor nume volante,  

abitator degl'amorosi petti,

felicissimo fin d'ogn'alma amante;

con dolcissimi affetti,

porge sostegno al cor, dà vita all'alma;

e con forza possente,

e di turbato mar placida calma:

anzi è l'alma, e la mente,

che l'universo regge,

e de' moti, e de' cieli, e delle stelle,

imperïosa, e sempiterna legge.

Chi dunque avrà nel petto,

così rigido core,

che non conosca Amore!

Amor sempre si deve. Alma pietosa,

non sia in amar ritrosa.

Ne la cocente arsura,

con eterna costanza,

ami senza misura,

ma non senza speranza;

che chi misura entr'al suo petto il foco,

teme assai, pena molto, ed ama poco,

e s'adorando a non sperar s'avvezza,

o non conosce Amore, o amor non prezza.

 

PARIDE

PARIDE

1  

Sì dolce è 'l foco,

ch'a poco a poco,

l'alma nel petto languir mi fa;

che nel tormento,

vivo contento,

né più bramare quest'alma sa.

2

Sì dolce infiamma,

d'amor la fiamma,

ch'arder amante mai sempr'io vo':

e s'io mi moro,

nel mio martoro,

altro piacere non curo no.

 

 

Ma che veggio? che miro? ohimè ch'il core,  

colmo già di stupor, stupido, e smorto,

resta in un mar d'ampio stupore assorto.

 

Scena terza

Paride riceve da Mercurio le commissioni di Giove, e si dispone al giudizio. Giunone, e Pallade, espresse le loro ragioni, tentata invano la sua costanza; sdegnate si partono. Venere ottenuto vittoriosamente il pomo, lo consola colla speranza dell'acquisto d'Elena; ed egli, spinto da nuovi stimoli amorosi, risolve d'abbandonare Enone, e palesarsi al padre; e trasferitosi alla corte di Sparta, rapir Elena a' Greci. Col ballo di Pastori, che segue, finisce il second'atto.
Mercurio, Giunone, Pallade, Venere, Paride.

<- Mercurio, Giunone, Pallade, Venere

 

MERCURIO

Cessi omai lo stupore,  

che t'ingombra la mente,

o leggiadro pastore;

de' favori del ciel ricco, e possente,

consola i tuoi sospiri,

né temer di periglio;

io son di Giove, e messaggero, e figlio.

Queste dèe, che tu miri,

oggi s'han messo a contrastar tra loro,

con infinite asprezze,

sovra la palma delle lor bellezze.

Ma perché in ciel si teme,

di parzial sentenza;

il gran re delle stelle a te le invia,

e giudice tra lor vuol che tu sia.

Questo, che fu soggetto,

a suscitar tanto scompiglio, e tanto,

sarà della più bella il premio, e 'l vanto.

PARIDE

Come potrà giammai,

trattar cause divine,

un rozzo, e vil pastore,

o divino oratore;

dove l'istessa ancor somma scienza,

non seppe in ciel pronunziar sentenza?

Egualmente son belle, o se non sono,

la beltà di colei che l'altre avanza,

il mio difetto accusa, e l'ignoranza;

che s'ancor le contemplo ad una ad una

trovar non so diseguaglianza alcuna.

Ma s'ancor differenza,

fra quell'alte bellezze,

il ciel fia che mi scopra,

troppo sublime, e perigliosa è l'opra.

Che se con giusta, ed ottima sentenza

la man concede il meritato onore;

l'odio, l'ira, e 'l furore,

ragion possente a paventar m'insegna,

di chi sarà di sì bel pomo indegna.

Ma già, che tali sono

gl'ordini di colui, ch'ai cieli impera,

e posto ha già decisïon sì altera,

sotto il giudicio mio,

eccomi pronto ad ubbidire anch'io.

GIUNONE

Che l'alta mia bellezza,

da cui più volte ebbe luce il sole,

ad ogn'altra bellezza il pregio invole;

conobbe il cielo allor, che per consorte,

m'elesse il re della celeste corte.

La sentenza è già fatta, e indarno fia,

cercar maggior beltà dov'è la mia.

Poiché ben dritto appare,

che quel motor, che l'universo regge,

abbia vicino all'alma,

colei, che di beltà porta la palma.

Negar questo bel Pomo,

tu non devi, né puoi,

alla regina de' superni eroi:

o se fia che tu 'l neghi,

rendi o pastor gl'uffici tuoi delusi,

e 'l gran motor di cecitade accusi.

Che fai? che pensi? a che più miri invano.

Stendi, stendi la mano,

pastor prudente, e saggio.

Forse dell'altre due,

temi l'ira, e l'oltraggio? oltraggio alcuno,

temer non può, chi per difesa ha Giuno.

Gli scettri, e le corone,

sol dispensa Giunone.

E se la mia bellezza

vincitrice farai, farò ch'altero

di tutta l'Asia acquisterai l'impero.

PARIDE

Il vostro merto è quello,

gloriosa regina,

ch'il mio dovere a contentarvi inclina:

ma senza ingiuria altrui,

non posso ancor pronunziar parola,

poiché scesa dal ciel non siete sola.

PALLADE

Mira, o pastore omai,

la mia beltà sublime,

in cui veder potrai,

non apparenza altera;

ma la virtude essenziale, e vera.

La terra, e 'l ciel m'appella,

della vera beltà l'idea più bella,

tu con saggio pensiero,

s'a conoscer il vero,

avrai la mente avvezza,

vincitrice farai la mia bellezza.

I tesori, gl'imperi,

offrisce invan Giunone,

a chi nacque agli scettri, e alle corone:

ma se con giusta mano,

il pomo a me darai;

darotti anch'io virtute, onde potrai,

ottener, conservar, felice, e in breve,

tutto quel ben, ch'all'esser tuo si deve.

Farotti ancor, con guerreggiante stile,

vittorioso in ogni assalto ostile.

Così sarai, de' tuoi trionfi audace,

temuto in guerra, e riverito in pace.

PARIDE

Ciò ch'a voi si conviene,

sarà ben pronta a presentar la mano;

e l'istessa ragion che v'appartiene,

non vi farà già mai sperare invano.

Quando tempo sarà gl'istessi effetti,

paleseran se fian veraci i detti.

VENERE

Perché Paride ondeggi,

col dubbioso pensiero?

E non conosci, e non discerni il vero?

Sei di te stesso fuori?

O pur forse vaneggi,

fra scienze, e tesori?

Ah, che non si conviene,

alla più ricca, o alla più dotta il pomo?

Ma che tu 'l doni alla più bella è dritto,

s'a la più bella in sulla scorza è scritto.

Già nascesti agli scettri;

già di virtù cotanta,

oggi il tuo cor s'ammanta,

ch'a posseder gl'imperi,

maggiori acquisti invan ricerchi, o speri.

Sarai tu senza Amore?

Forse forse sarai,

se sarai senza core.

Lascia, deh lascia omai,

ogni rustico affetto;

goda, goda il tuo petto,

se non è di diamante,

fra i palazzi reali,

l'ampio tesor d'una bellezza amante.

Elena appunto è quella,

ch'ha negl'occhi, e nel seno,

un celeste sereno.

Elena, la più bella,

che miri il sole, o che la Grecia ammiri,

con soavi sospiri,

premio gentil del mio divin favore,

sarà l'anima tua, sarà 'l tuo core.

Ma non consenta il cielo,

che la promessa mia,

abbia nel tuo pensiero,

maggior forza del vero.

Saprai ben tu chi sia,

la gran madre d'Amore.

Giudice dotto, ed amatore esperto,

conoscerà di mia bellezza il merto.

PARIDE

Vane fian le promesse,

o bellissime dèe.

Chi a giudicar m'elesse,

conosce ancor se 'l mio giudizio è puro:

la verità, non la mercede io curo.

Ma come esser potranno,

giudici gl'occhi miei,

fra sembianti sì bei,

se 'l mio cor si confonde ad ora ad ora!

Udito ho sì: ma non veduto ancora.

La mente, e 'l cor m'appanna,

sì superba apparenza,

né posso ancor pronuncïar sentenza.

Di sì leggiadri arnesi,

le perle, e gl'ori, e gl'ostri,

copron de' corpi vostri,

con ammirabil arte,

la più gradita, e la più degna parte:

onde con vostra pace,

senza tema o vergogna,

omai più oltre esaminar bisogna.

Per mostrar senza inganno,

quel tesor di beltà, ch'in voi s'aduna,

spoglisi omai ciascuna:

giudicar non si può l'alto splendore,

lassù nel ciel del più lucente aspetto

da nubi oscure, e circondato, e stretto.

GIUNONE

Disonesto pastore,

non hai vergogna al core?

PALLADE

Ah sentenza proterva!

Ciò non farà Minerva!

VENERE

Perché vi spiace, e offende,

così grave tenzone?

Perda la sua ragione,

chi 'l paraggio contende.

Abbandoni l'impresa,

colei che teme, e 'l suo timor palesa.

Ecco mi spoglio, e le bellezze ignote,

espongo agl'occhi tuoi;

mira pur quanto vuoi.

GIUNONE

Onestà mi percote,

e pur convien, ch'io mi discinga, e sveli.

PALLADE

Non fia già mai ch'io celi,

già che Giunon si spoglia, il corpo mio:

ecco mi scingo, e mi dispoglio anch'io.

PARIDE

Cieli che miro! ohimè, fra tanti rai,

come potrò giammai,

di tali estremi investigar l'eccesso,

se per tanto ammirar perdo me stesso!

Pur si ravviva, e non so come, il core;

la mente ancor risorge,

e qual sia la più bella omai s'accorge.

A voi madre d'Amore,

benignissima stella,

d'ogni eterna beltà, beltà più bella,

la palma omai si deve. Eccola, è vostra.

Il cielo il ver mi mostra,

e l'intelletto mio so che non falla;

perdonimi Giunon, scusimi Palla.

VENERE

Cedetemi l'onore; il vanto è mio,

di sì grave contesa;

vincitrice son io,

superata ho l'impresa.

PALLADE

Pastor sei poco avvezzo,

a conoscer il vero;

ma non curo il disprezzo,

poiché sei sì leggero;

né di perfidia il tuo giudizio accuso;

ma l'ignoranza, e compatisco, e scuso.

GIUNONE

Scellerato pastore,

il tuo giudicio indegno,

troppo m'offende, e mi commuove a sdegno.

Dunque del cieco Amore,

hai creduto agl'inganni?

Proverai ben gl'affanni!

Maledirai quell'ora,

ch'apristi gl'occhi al pianto;

e la tua stirpe, e la tua patria intanto,

vedrà l'ultimo fine,

fra le stragi, gl'incendi, e le ruine;

e quella fiamma impura,

ch'in soave speranza il cor t'involve,

t'arderà sì; ma per ridurti in polve.

 

Pallade, Giunone ->

VENERE

Qual timor, qual spavento,  

ti cinge il seno, e 'l cor t'opprime, e assale?

Hai teco Amore, e 'l suo pungente strale,

ti farà nel dolor lieto, e contento.

Tosto ch'avrai sotto il paterno tetto,

il dovuto ricetto:

vanne di Sparta entro la reggia altera,

che fissando le luci,

nel tuo vago sembiante,

l'amorosa guerriera,

fatta pietosa amante,

arderà, languirà con gran diletto,

sol per farti comune il grembo, e 'l letto,

e vinta poi da' tuoi sospiri ardenti,

con desiri pungenti,

lascerà 'l lido greco,

e dovunque vorrai ne verrà teco.

Su su possenti amori,

vittoriose squadre,

portate omai sovra i celesti cori,

la vostra invitta, e glorïosa madre:

e con dolce favella,

palesate festosi,

a mille amanti, e mille,

de' contrasti famosi,

e la nostra vittoria, e l'altrui scorno,

fin dove nasce, e dove more il giorno.

PARIDE

Già che a te così piace,

diva del terzo ciel, madre d'Amore,

andrò con passo audace,

a riverir devoto,

di sì vaga beltà l'alto splendore;

per ottener con sì sublime pegno,

dal mio gran genitor, ricetto, e regno.

Padre, o padre cortese,

con benigno sembiante,

il tuo figlio, il tuo sangue omai raccogli:

e tu pietosa amante,

da' pace a' tuoi cordogli:

s'oggi fatto incostante,

omai ti lascio abbandonata, e sola,

e voler del destino,

ch'alla reggia mi rende, e a te m'invola.

S'io ti lascio, o Enone mia,

è un error, non di mia fé;

ma d'amor, che mi disvia,

(dolce ben) lungi da te.

Privo ancor de' tuoi bei rai,

tanto t'adorerò, quanto t'amai.

 

Paride, Venere, Mercurio ->

<- pastori

Ballo di Pastori.
 

Fine (Atto secondo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

Bosco nel monte Ida.

Enone
 

Aure dolci, e leggere

Ma, s'io non erro, ecco il mio bello: ahi vista

Enone
<- Paride

Paride mio, ti lascio

Paride
Enone ->

Amor nume volante

Ma che veggio? che miro? ohimè ch'il core

Paride
<- Mercurio, Giunone, Pallade, Venere

Cessi omai lo stupore

Paride, Mercurio, Venere
Pallade, Giunone ->

Qual timor, qual spavento

Paride, Venere, Mercurio ->
<- pastori

(ballo di pastori)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza
Giardino d'Esperia. Sommità del monte Pelio. Bosco nel monte Ida. Scogli con bosco in lontananza. Bosco sopra il lito di Sparta, con mare in lontananza. Stanze di Elena. Cortile. Stanze remote d'Elena. Giardino con logge. Piazza del tempio di Venere, nell'isola di Citera. Fiumara nelle campagne di Troia. Strada remota della città, con arbori, e rovine. Libreria. Portico con giardino in lontananza. Stanze di Priamo. Anticamera di Ecuba. Piazza col palazzo reale in prospetto. Sala reale.
Atto primo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

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