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Appare una camera adorna, vagamente scompartita da formelle che portano istoriette del romanzo di Tristano, tra uccelli fiori frutti imprese. Ricorre sotto il palco, intorno alle pareti, un fregio a guisa di festone dove sono scritte alcune parole d'una canzonetta amorosa | Q 
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«Meglio m'è dormir gaudendo | |
c'avere penzieri vegghiando.» | |
A destra, nell'angolo, è un letto nascosto da cortine ricchissime; a sinistra, un uscio coverto da una portiera grave; in fondo, una finestra che guarda il mare Adriatico. Dalla parte dell'uscio è, sollevato da terra due braccia, un coretto per i musici con compartimenti ornati da gentili trafori. Presso la finestra è un leggio con suvvi aperto il libro della «Historia di Lancillotto del lago», composto di grandi membrane alluminate che costringe la legatura forte di due assicelle vestite di velluto vermiglio. Accanto v'è un lettuccio, una sorta di ciscranna senza spalliera e bracciuoli, con molti cuscini di sciamito, posto quasi a paro del davanzale, onde chi vi s'adagi scopre tutta la marina di Rimino. Su un deschetto è uno specchio d'argento a mano, tra ori canne coppette borse cinture e altri arredi. Grandi candelieri di ferro s'alzano presso il coretto. Scannelli e predelle sono sparsi all'intorno; e dal mezzo del pavimento sporge il maniglio di una cateratta, per la quale di questa camera si può accendere in un'altra. | |
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Scena prima |
Si vede Francesca davanti al libro, in atto di leggere. Le Donne sedute sulle predelle in fondo trapungono gli orli di un sopralletto, ascoltando l'istoria; e ciascuna porta appeso alla cintura un alberello di vetro pieno di perle minute e di stricche d'oro. Il sole del nascente marzo batte sullo zendado chermisino e ne trae un bagliore diffuso che accende i volti chinati all'opra dell'ago. La Schiava è presso al davanzale ed esplora attentamente il cielo. |
Francesca, Donella, Biancofiore, Garsenda, Altichiara, Smaragdi
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FRANCESCA |
(leggendo)
E Galeotto dice: «dama, abbiatene
pietà». «Ne avrò» dice ella «tal pietà,
come vorrete; ma non mi richiede
di niente»...
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| Le donne ridono. Francesca si getta sui cuscini di sciamito, torbida e molle. | |
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GARSENDA |
Madonna,
come mai era tanto vergognoso
il cavaliere Lancillotto?
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BIANCOFIORE |
Mentre
la povera reina si struggeva
di dargli quello ch'ei non dimandava!
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DONELLA |
Dirgli doveva: «o cavalier valente,
vostra malinconia non val niente».
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FRANCESCA |
Donella, taci! Stanca
sono di trastullarmi con le vostre
ciance. Smaragdi, lo sparviero torna?
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SMARAGDI |
Dama, non torna: s'è sviato.
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| Francesca si sporge dalla finestra e spia. | |
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DONELLA |
Certo
si perderà, Madonna.
Male faceste a togliergli la lunga.
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FRANCESCA |
Corri, Donella,
dallo strozziere e digli l'avvenuto,
che lo cerchi per tutto.
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| Donella lascia l'ago e s'invola. | Donella ->
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BIANCOFIORE |
(come intonando una canzone a ballo)
«Nova in calen di marzo
o rondine, che vieni
dai reami sereni d'oltremare»...
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FRANCESCA |
Oh, sì, sì, Biancofiore,
la musica, la musica!
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| Le donne si levano leste a ripiegare lo zendado. | |
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FRANCESCA |
Cerca di Simonetto, Biancofiore.
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BIANCOFIORE |
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FRANCESCA |
E voglio una ghirlanda
di violette.
Oggi è calen di marzo.
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BIANCOFIORE |
Voi l'averete, madonna, e leggiadra.
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FRANCESCA |
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| (escono tutti) | Biancofiore, Garsenda, Altichiara ->
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Scena seconda |
Francesca si volge alla schiava che spia ancora il cielo per la finestra. |
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FRANCESCA |
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SMARAGDI |
Dama, non torna.
Non ti rammaricare.
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FRANCESCA |
Ah, Smaragdi, che vino mi recasti
quella sera, alla torre mastra, quando
la città era in arme? Affatturato?
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SMARAGDI |
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FRANCESCA |
Come
se tu recato avessi un beveraggio
perfido, il mal s'apprese
alle vene di quelli che bevvero,
e la mia sorte si rincrudelì.
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SMARAGDI |
Calpestatemi! Calpestatemi! Tra due
pietre schiacciami il capo.
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FRANCESCA |
Su, levati! Non hai colpa mia povera
Smaragdi, non hai colpa.
Ah ragione mia, reggi
e non dare la volta!
Chi mi possiede? Un demone mi tiene.
Non so pregare, non so più pregare...
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SMARAGDI (a bassa voce) |
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FRANCESCA |
(trasalendo)
Chi?
L'hai tu veduto montare a cavallo,
messer Giovanni?
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SMARAGDI |
Sì, dama,
col vecchio e con messer Malatestino.
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FRANCESCA |
Io n'ho paura. Guardami da lui!
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SMARAGDI |
Di chi paura hai tu, dama?
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FRANCESCA |
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SMARAGDI |
Ti spaventa
forse quell'occhio suo cieco?
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FRANCESCA |
No, l'altro,
quello che vede. È terribile.
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SMARAGDI |
Dama,
non disperare! Ascolta,
ascolta. Io getterò
una sorte su chi ti fa paura.
Conosco il beveraggio che allontana
e dismemora. Tu gliel'offrirai...
T'insegnerò l'incanto...
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Scena terza |
Irrompono nella stanza le Donne, seguite dai Musici. Donella porta quattro ghirlandette di narcisi bianchi, sospese a un filo d'oro che insieme le lega. |
<- Donella, Biancofiore, Garsenda, Altichiara, musici
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DONELLA |
Abbiamo i suonatori
per la canzone a ballo,
con cennamella piffero liuto
ribecco e monacordo.
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| Eretta fra le cortigiane, Francesca guarda come trasognata e non sorride né parla. | |
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BIANCOFIORE |
(avanzandosi)
Et ecco la ghirlanda
di violette.
(le offre la ghirlanda, con un atto di grazia)
Possa malinconia con ciò passare!
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| Francesca la prende, mentre Altichiara toglie dal deschetto lo specchio e lo tien levato dinanzi al viso di lei che s'inghirlanda. La schiava lentamente scompare dall'uscio. | Smaragdi ->
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GARSENDA |
Oggi è calen di marzo! Il canto vuol
ballo, e il ballo vuol canto.
Su, Simonetto, intona!
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| I Musici sulla tribuna cominciano un preludio. Donella scioglie il filo d'oro e distribuisce le ghirlande di narcisi alle compagne, che s'inghirlandano; e tiene per sé l'una che porta due alette di rondine, segno d'officio singolare. Biancofiore trae da una reticella quattro rondini di legno dipinto che hanno sotto il petto una specie di manico breve, e ne dà una a ciascuna Compagna; la quale atteggiandosi alla danza, la tiene impugnata e sollevata nella sinistra mano. | |
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BIANCOFIORE E GARSENDA
Marzo è giunto e febbraio
gito se n'è col ghiado.
Or lasceremo il vaio
per veste di zendado,
e andrem passando a guado
acque di rii novelli
tra chinati arboscelli verzicanti,
con stromenti e con canti in compagnia
di presti drudi o nella prateria
iscegliendo viole
ove redole più l'erba, de' nudi
piedi che al sole v'ebbe primavera.
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ALTICHIARA E DONELLA
Deh creatura allegra,
conduci, questa danza
in veste bianca e negra
com'è tua costumanza.
Poi fa qui dimoranza
nella camera adorna
ch'è chiara quando aggiorna e quando annotta
per l'istoria d'Isotta fior d'Irlanda,
che vi si vede: e sieti una ghirlanda
nido, né ti rincresca,
poiché la fresca donna che qui siede
non è Francesca ma sì
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| Le Danzatrici con rapido giro si volgono tutte a Francesca disponendosi in una fila e tenendo l'una mano, che tiene la rondine, e l'altra verso di lei; e cantano assieme l'ultima parola della stanza: | |
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TUTTE |
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| Al principiare della volta (poi fa qui dimoranza) riappare sull'uscio la Schiava. Mentre i Musici fanno la chiusa, ella si avvicina lentamente alla Dama e le sussurra qualcosa che subito la turba ed agita. | <- Smaragdi
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FRANCESCA |
Andate in allegrezza per la corte,
fino a vespro. Conducili, Donella.
Felice primavera!
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| I Musici discendono dal coretto sonando ed escono. Le Donne inchinano la dama e van dietro ai suoni, con sussurri, con risa. La Schiava rimane. Francesca s'abbandona alla sua ansietà. Dà qualche passo per la stanza, smarritamente. Con un moto subitaneo, va a chiudere le cortine dell'alcova, che sono disgiunte e lasciano intravedere il letto. Poi si accosta al leggio, getta uno sguardo al libro aperto; ma nel volgersi, con un lembo del suo vestimento ella smuove il liuto che cade e geme a terra. Trasale, sgomentata. | musici, Biancofiore, Garsenda, Altichiara, Donella ->
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No, Smaragdi, no! Va', va', corri e digli
che non venga!
(s'odono i suoni lontanare. La schiava va verso la porta. Francesca fa un gesto verso di lei come per trattenerla.
Smaragdi!
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| La Schiava esce. Dopo alcuni attimi, una mano solleva la portiera: ed appare Paolo Malatesta. L'uscio dietro di lui si chiude. | Smaragdi ->
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Scena quarta |
I due Cognati si guardano, nel primo istante, senza trovar parola, entrambi scolorando. Ancora s'odono i suoni lontanare per il palagio. Dalla finestra la camera s'inaura del giorno che declina. |
<- Paolo
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FRANCESCA |
Benvenuto, signore mio cognato.
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PAOLO |
Ecco, son venuto, avendo udito
i suoni, per portarvi il mio saluto,
il saluto del mio ritorno.
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FRANCESCA |
Assai
presto siete tornato: con la prima
rondine. Le mie donne
eran qui che cantavan la ballata
per salutare il marzo.
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PAOLO |
Di voi, Francesca,
novelle mai non m'ebbi
laggiù. Nulla più seppi
di voi, da quella sera perigliosa
che m'offeriste una coppa di vino
e mi diceste addio
con la buona ventura.
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FRANCESCA |
Non m'è nella memoria
questo, signore. Io ho molto pregato.
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PAOLO |
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FRANCESCA |
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PAOLO |
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FRANCESCA |
Paolo, datemi pace!
È dolce cosa vivere obliando,
almeno un'ora, fuor della tempesta
che ci affatica.
Non richiamate, prego,
l'ombra del tempo in questa fresca luce
che alfine mi disseta.
Pace in questo mare
che tanto era selvaggio
ieri, et oggi è come la perla. Datemi,
datemi pace!
| S
(♦)
(♦)
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PAOLO |
Inghirlandata
di violette m'appariste ieri
a una sosta, in un prato
dove mi ritrovai
io solo, dilungandomi gran tratto
dalla scorta. Appariste
con le viole; e vi tornò sul labbro
una parola che da voi fu detta:
perdonato ti sia con grande amore!
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FRANCESCA |
Tal parola fu detta,
e la gioia perfetta se n'attende...
Ora sedete qui alla finestra.
Sedete qui. Parlatemi di voi.
Come avete vissuto?
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PAOLO |
Perché volete voi
ch'io rinnovi nel cor la miseria
di mia vita? Mi fu a noia, e spiacque
tutto ch'altrui piaceva.
Nemica ebbi la luce,
amica ebbi la notte,
ove su dal silenzio di me stesso
nata e dal fondo dell'eterna doglia,
simile alla sorgente che disseta
e simile alla fiamma che riarde,
freschezza e incendio, lenimento e piaga,
or torbida ruggente come fiaccola,
or mite come lampada,
una visitatrice
si chinava su me, quasi a nutrirsi
dell'assidua mia veglia;
e, quando si partiva
al tremar delle stelle,
non più foco né fonte
era, ma il vostro viso...
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FRANCESCA |
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PAOLO |
...il vostro viso
mostrava ella nudato al mio dolore.
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FRANCESCA |
Paolo, se perdonato
vi fu, perché vi rilampeggia ancora
sotto i cigli la colpa?
Ahi, che già sento all'arido
fiato sfiorir la primavera nostra!
(ella si toglie dal capo la ghirlanda e la pone sul libro aperto ch'è da presso)
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PAOLO |
Ora perché vi togliete dal capo
la ghirlanda?
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FRANCESCA |
Ho sentito
che già non è più fresca.
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PAOLO |
(s'accosta al leggio e si china sul libro)
Ah la parola che i miei occhi incontrano!
E Galeotto dice: «dama, abbiatene
pietà». «Ne avrò» dice ella «tal pietà,
come vorrete; ma non mi richiede
di niente»... Volete seguitare?
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FRANCESCA |
Guardate il mare come si fa bianco!
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PAOLO |
Leggiamo qualche pagina, Francesca!
(leggendo)
«Certamente, dama» dice
allora Galeotto «ei non si ardisce,
né vi domanderà mai cosa alcuna
per amore, perché teme».
Et ella dice...
(trae leggermente Francesca per la mano)
Ora leggete voi
quel ch'essa dice. Siate voi Ginevra.
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| (le loro fronti si avvicinano chinandosi sul libro) | |
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FRANCESCA |
(leggendo)
«Certamente, dice essa, io gli prometto:
ma che egli sia mio et io tutta sua,
e che emendate sien tutte le cose
mal fatte»... Basta, Paolo.
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PAOLO |
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| I loro volti pallidi sono chini sul libro, così che le guance quasi si sfiorano. | |
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FRANCESCA |
(seguitando soffocatamente)
«E la reina vede il cavaliere
che non ardisce di fare di più.
Tra le braccia lo serra lungamente
lo bacia in bocca»...
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| Egli fa quell'atto istesso verso la cognata, e la bacia. Quando le bocche si disgiungono, Francesca vacilla e s'abbandona sui guanciali. | |
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PAOLO |
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FRANCESCA |
(con la voce spenta)
No, Paolo!
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