FRANCESCA DA RIMINI
Tragedia in quattro atti.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Tito II RICORDI.
Musica di Riccardo ZANDONAI.
Prima esecuzione: 19 febbraio 1914, Torino.
Personaggi:
I figli di Guido Minore da Polenta | |
FRANCESCA |
soprano |
SAMARITANA |
soprano |
OSTASIO |
baritono |
I figli di Malatesta da Verucchio | |
Giovanni lo sciancato - GIANCIOTTO - |
baritono |
PAOLO il bello |
tenore |
MALATESTINO dall'occhio |
tenore |
Le donne di Francesca | |
BIANCOFIORE |
soprano |
GARSENDA |
soprano |
ALTICHIARA |
mezzosoprano |
DONELLA |
mezzosoprano |
La schiava - SMARAGDI - |
contralto |
| |
SER TOLDO Berardengo |
tenore |
IL GIULLARE |
basso |
Il BALESTRIERE |
tenore |
IL TORRIGIANO |
baritono |
I Balestrieri e gli Arcieri.
I Musici.
A Ravenna nelle case dei Polentani.
A Rimini nelle case dei Malatesti.
Appare una corte, nelle case dei Polentani, contigua a un giardino che brilla di là da una chiusura di marmi traforati in guisa di transenne. Ricorre per l'alto una loggia che a destra corrisponde con le camere gentilesche e di fronte, aerata sulle sue colonnette, mostra avere una duplice veduta. Ne discende, a manca, una scala leggera. Una grande porta è a destra, e una bassa finestra ferrata; pe' cui vani si scopre una fuga di arcate che circondano un'altra corte più vasta. Presso la scala è un'arca bizantina, senza coperchio, riempita di terra come un testo, dove fiorisce un rosaio vermiglio.
Si vedono le Donne protendersi dalla loggia e discendere giù per la scala, curiose accennando verso il Giullare che porta appesa sul fianco la sua viola e in mano una gonnella vecchia.
GARSENDA
O Donella, Donella, c'è il Giullare
in corte! Biancofiore,
c'è il Giullare! È venuto!
BIANCOFIORE
Facciamolo cantare.
ALTICHIARA
Ohé, sei tu quel Gianni...
IL GIULLARE
Dolci mie donne...
ALTICHIARA
Sei tu quel Gianni che dovea venire
di Bologna? Gian Figo?
GARSENDA
Sei Gordello che vieni di Ferrara?
IL GIULLARE
Donne mie belle, avreste voi un poco...
GARSENDA
Di che? Di lardo?
IL GIULLARE
Avreste voi un poco di scarlatto?
DONELLA
Sei tu per motteggiare? Stiamo accorte.
BIANCOFIORE
Ma tu chi sei? Quel Gianni...
ALTICHIARA
O Biancofiore, guardalo in che panni!
Il farsetto s'azzuffa co' calzari.
GARSENDA
Oh, guardalo, Donella: egli è scampato
solo in panni di gamba.
BIANCOFIORE
Guarda, guarda, Altichiara,
quel che ha per mano.
ALTICHIARA
Un guarnacchino vecchio.
GARSENDA
Ma no, che è una gonnella romagnuola.
ALTICHIARA
Tu sei dunque Gordello e non Gian Figo.
DONELLA
Ma no, ch'egli è un giudeo.
ALTICHIARA
Vendi ciarpe o cantari?
DONELLA
Di': che ci porti? Stracci o sirventesi?
BIANCOFIORE
Lascia tu star la baia, mona Berta!
Or si parrà s'egli saprà cantare.
Su via, giullare
cantaci dunque una bella canzone.
Ne sa madonna Francesca una bella
che incomincia: «Meravigliosamente
un amor mi distringe». Tu la sai?
IL GIULLARE
Sì, la dirò, se avete
un poco di scarlatto.
ALTICHIARA
Ma che vuoi tu con questo tuo scarlatto?
DONELLA
Accorte! Stiamo accorte.
IL GIULLARE
Io vorrei volentieri
che voi mi rappezzaste
questa gonnella.
ALTICHIARA
O che buona ventura!
Or vuoi tu ripezzare il romagnuolo
con lo scarlatto?
IL GIULLARE
Se voi l'avete, fatemi di grazia
questo servigio! Una rottura in petto
ed un'altra sul gomito: ecco qua.
Avete due pezzuole?
ALTICHIARA
Eh, n'abbiam bene; e ti s'acconcerà
se tu ci canterai.
IL GIULLARE
So le storie di tutti i cavalieri
e di tutte le gran cavallarie
che furon fatte al tempo
del re Artù, e spezialmente so
di messer Tristano e di messere
Lancilotto del Lago e di messere
Prizivalle il Gallese che gustò
il sangue del signor nostro Gesù;
e so di Galeasso, di Galvano,
e d'altri e d'altri. So tutti i romanzi.
DONELLA
Oh la tua buona sorte!
Noi lo diremo a Madonna Francesca,
che tanto se n' diletta: et ella certo
ti donerà, giullare, grandemente.
IL GIULLARE
Mi donerà l'avanzo.
GARSENDA
Quale avanzo?
IL GIULLARE
L'avanzo
di quelle due pezzuole di scarlatto.
DONELLA
Ben altro avrai tu: grandissimi doni.
Sta' lieto, ch'ella è sposa,
messer Guido la sposa a un Malatesta.
BIANCOFIORE
Racconta intanto a noi! Siam tutte orecchi.
Tutte si adunano e si protendono verso il giullare che si dispone a dire l'argomento.
IL GIULLARE
Come Morgana manda al re Artù
lo scudo che predice il grande amore
del buon Tristano e Isotta fiorita.
E come Isotta beve con Tristano
il beveraggio, che sua madre Lotta
ha destinato a lei ed al re Marco,
e come il beveraggio è sì perfetto
che gli amanti induce ad una morte.
Le donne stanno in ascolto. Il giullare fa una ricercata sulla viola e canta.
«Or venuta che fue l'alba del giorno,
re Marco e il buon Tristano si levaro...»
OSTASIO
ALTICHIARA
Ecco messer Ostasio.
GARSENDA
Via! Via!
Il gruppo delle ascoltanti subito si scioglie. Elle fuggono su per la scala, con risa e strilli; trascorrono per la loggia; scompaiono.
IL GIULLARE
La mia gonnella!
V'accomando la mia gonnella buona,
e lo scarlatto.
ALTICHIARA
(sporgendosi dall'alto della loggia)
Ritorna a mezza nona,
che sarà fatto.
(esce)
Entra Ostasio da Polenta, per la grande porta del cortile, in compagnia di ser Toldo Berardengo.
OSTASIO
IL GIULLARE
Signor mio, voi mi serrate
troppo. Ahi!
OSTASIO
IL GIULLARE
No, signor mio.
OSTASIO
IL GIULLARE
Sì, signor mio.
OSTASIO
IL GIULLARE
No,
no, signor mio; ma di messer Tristano.
OSTASIO
IL GIULLARE
No, mai, signor mio.
OSTASIO
IL GIULLARE
Per mala sorte mai non lo conobbi.
(esce)
Iroso e sospettoso il figlio di Guido trae il Notaro verso l'arca.
OSTASIO
SER TOLDO
Egli era
sì povero ad arnese
che non mi dà sospetto ch'egli segua
sì grazioso cavaliere, quale
è Paolo, che per uso
largheggia con tal gente.
Ma ben faceste a mettergli il bavaglio.
OSTASIO
SER TOLDO
Voi dovete pur sapere
chi è vostra sorella
e quant'ell'è d'altiero
animo. E s'ella vede quel Gianciotto,
così sciancato e rozzo e con quegli occhi
di dimòne furente,
avanti che il contratto
delle sue sposalizie sia rogato,
non il padre, né voi, né altri certo
potrà mai fare
ch'ella lo voglia per marito.
Dunque se veramente
vi cale questo parentado,
mi parrebbe non esservi altro modo
da tenere, che quello che s'è detto.
E poiché Paolo Malatesta è giunto
come procuratore di Gianciotto
qui, con pieno mandato
a disposare madonna Francesca,
mi parrebbe doversi
procedere alle nozze senz'alcuna
dimora, se volete darvi pace.
OSTASIO
SER TOLDO
Bene,
messer Ostasio.
OSTASIO
(escono entrambi)
S'ode venire dalle stanze alte il canto delle Donne.
CORO DELLE DONNE
Ohimè che adesso io provo
che cosa è troppo amore. Ohimè.
Ohimè ch'egli è un ardore
che al cor mi coce. Ohimè.
Si vedono uscire dalle stanze e passare per la loggia Francesca e Samaritana, l'una a fianco dell'altra, l'una all'altra cingendo la cintura col braccio.
FRANCESCA
(sulla scala soffermandosi)
Amor le fa cantare!
Ella abbandona un poco il capo indietro come per cedere al vento della melodia, leggera, e palpitante.
CORO DELLE DONNE
Ohimè penare atroce
ch'al tristo cor si serba. Ohimè.
Francesca ritrae dalla cintura della sorella il suo braccio, e si discosta alquanto come per disciogliersi, arrestandosi mentre quella discende il gradino.
Ohimè che doglia acerba
alla mia vita. Ohimè.
FRANCESCA
(assorta)
Come l'acqua corrente
che va che va, e l'occhio non s'avvede,
così l'anima mia...
SAMARITANA
(con uno sgomento improvviso stringendosi alla sorella)
Francesca, dove andrai? Chi mi ti toglie?
FRANCESCA
Ah, tu mi svegli.
SAMARITANA
O sorella, sorella,
odimi: resta ancora con me! Resta
con me, dove nascemmo!
Non te n'andare! Non m'abbandonare!
Ch'io faccia ancora
il mio piccolo letto accanto al tuo!
Che la notte io ti senta!
FRANCESCA
Egli è venuto!
SAMARITANA
Chi?
Chi mi ti toglie?
FRANCESCA
È venuto, sorella.
SAMARITANA
È senza nome e senza volto. Mai
non lo vedemmo.
FRANCESCA
Forse
io lo vidi.
SAMARITANA
Tu? Quando?
Non mi son mai divisa
da te, dal tuo respiro.
La mia vita non s'ebbe che i tuoi occhi.
Dove potesti
tu vederlo senza di me?
FRANCESCA
Anima cara, piccola colomba,
perché sei tanto sbigottita? Pace,
datti pace! Verrà
in breve anche il tuo giorno,
e te n'andrai dal nostro nido; e mai
più nell'alba il mio sogno
t'udrà correre scalza alla finestra,
mai più ti vedrà bianca a piedi nudi
correre verso la finestra, o piccola
colomba, e dire non t'udrà più mai:
«Francesca, è nata la stella Diana
e vannosene via le Gallinelle».
Biancofiore, Garsenda, Donella e Altichiara escono dalle stanze e si arrestano sulla loggia luminosa guardando il giardino che si stende di là, in atto di spiare.
SAMARITANA
E si vivrà, ohimè,
si vivrà tuttavia!
E il tempo fuggirà,
fuggirà sempre!
FRANCESCA
E si morrà, ohimè,
si morrà tuttavia!
E il tempo fuggirà,
fuggirà sempre!
SAMARITANA
O Francesca, mi fai dolere il cuore
e tutta, guarda
tutta mi fai tremare di spavento.
BIANCOFIORE
(dalla loggia)
O madonna Francesca!
DONELLA
Su, madonna
Francesca!
FRANCESCA
Chi mi vuole?
DONELLA
Venite su! Correte!
ALTICHIARA
Su, su, madonna Francesca, venite
a vedere!
DONELLA
Correte! Passa il vostro
sposo!
BIANCOFIORE
Eccolo che passa per la corte
con il vostro fratello.
ALTICHIARA
Su, su, madonna Francesca! Correte!
È quelli, è quelli!
La figlia di Guido sale di volo per la scala. Samaritana fa l'atto di seguirla, ma s'arresta, senza forze, soffocata.
GARSENDA
(mostrando l'uomo a Francesca che si china a guatare)
Oh avventurata,
avventurata!
Egli è il più bello cavalier del mondo.
DONELLA
È grande! È snello! È la camminatura
alla reale!
BIANCOFIORE
E come bianchi i denti!
Non avete veduto? Non avete
veduto?
GARSENDA
Oh avventurata colei che
gli bacerà la bocca.
FRANCESCA
Tacete!
ALTICHIARA
Se ne va. Passa pe 'l portico.
FRANCESCA
Ah tacete, tacete!
(si volge, si copre la faccia con ambo le mani: poi si discopre e appare trasfigurata. Discende i primi gradini lentamente, poi con rapidità repentina per gettarsi nelle braccia della sorella che l'attende a piè della scala)
Le donne si dispongono in corona sulla loggia.
CORO DELLE DONNE
O dattero fronzuto,
o gentil mio amore,
or che ti par di fare?
Francesca, stretta nelle braccia della sorella, d'improvviso dà in un pianto. Le donne s'interrompono dal cantare.
ALTICHIARA
Madonna piange.
DONELLA
Oh, piange! Perché piange?
BIANCOFIORE
Perché il cuore le duole d'allegrezza.
GARSENDA
Dentro nel cuore
subito la ferì. Ah, s'ella è bella,
egli è pur bello, il Malatesta!
Le donne si spargono per la loggia. Taluna rientra nelle stanze, poi n'esce nuovamente. Tal'altra si pone in vedetta. E favellano a mezza voce, e i loro passi sono senza rumore. Francesca ha levato il volto lagrimoso illuminando d'un riso repentino le sue lacrime.
SAMARITANA
O Francesca, Francesca, anima mia,
chi hai veduto? Chi hai tu veduto?
FRANCESCA
Chi ho veduto?
Ah tu ora, tu ora
pigliami, cara sorella, tu ora
pigliami, e me con te!
Portami nella stanza
e chiudi la finestra,
e dammi un poco d'ombra,
e dammi un sorso d'acqua,
e ponimi sul tuo piccolo letto,
e con un velo ricoprimi, e fa
tacere queste grida, fa tacere
queste grida e il tumulto
che ho nell'anima mia!
GARSENDA
(irrompendo sulla loggia precipitosamente)
Viene! Viene! Madonna
Francesca, ecco che viene dalla parte
del giardino.
Biancofiore, Donella, Altichiara ed altre donne sopraggiungono, curiose e giulive; e tutte hanno intorno al capo ghirlanda per allegrezza; e traggono seco inghirlandati tre donzelli Sonatori di liuto di violetta e di piffero.
FRANCESCA
(pallida di spavento e agitata, come fuor di sé)
No, no! Correte, donne,
correte, ch'ei non venga! No! Correte,
donne, andategli incontro!
Andategli incontro, e
ditegli ch'io lo saluto!
LE DONNE
Eccolo! Eccolo!
È qui presso, è qui presso.
Sospinta dalla sorella, Francesca fa per salire la scala; ma ecco ch'ella vede da presso, di là della chiusura, apparire Paolo Malatesta. Ella rimane immobile ed egli si ferma tra gli arbusti; e stanno l'uno di contro l'altro, divisi dal cancello, guardandosi senza parola e senza gesto. I Sonatori sui loro strumenti intonano. Le Donne scendono nella corte e si dispongono in corona dietro a Francesca.
CORO DELLE DONNE
Per la terra di maggio
l'arcadore in gualdana
va caendo vivanda.
A convito selvaggio
in contrada lontana
un cor si domanda...
Francesca si separa dalla sorella e va lentamente verso l'arca. Coglie una grande rosa vermiglia, poi si rivolge; e, di sopra alla chiusura, la offre a Paolo Malatesta. Samaritana a capo chino se ne va su per la scala piangendo. Le donne inghirlandate seguono il canto.
Appare una piazza d'una torre rotonda, nelle case dei Malatesti.
Due scale laterali di dieci gradini salgono dalla piazza al battuto della torre: una terza scala fra le due, scende ai sottoposti solai, passando per una botola. Si scorgono i merli quadri di parte guelfa muniti di bertesche e di piombatoie. Un mangano poderoso leva la testa dalla sua stanga e allarga il suo telaio di canapi attorti. Balestre grosse a bolzoni e verrettoni a quadrelli, baliste, arcubaliste e altre artiglierie di corda sono postate in giro con lor martinetti girelle torni arganelli lieve. La cima della torre malatestiana irta di macchine e d'armi campeggia nell'aria torbida dominando la città di Rimino donde spuntano soli in lontananza i merli a coda di rondine che coronano la più alta torre ghibellina. Alla parete destra è una porta; alla sinistra una stretta finestra imbertescata che guarda l'Adriatico.
Si vede nell'andito il Torrigiano, occupato ad attizzare le legna sotto una caldaia fumante. Egli ha ordinato contro la muraglia le cerbottane, i sifoni, le aste delle rocche a fuoco e delle falariche e accumulato intorno ogni sorta di fuochi lavorati. Sulla torre, presso il mangano, un giovane Balestriere sta alle vedette.
IL TORRIGIANO
BALESTRIERE
Pulito come il mio targone.
IL TORRIGIANO
Francesca entra dalla porta destra e s'avanza lungo la parete fino al pilastro che regge l'arco.
FRANCESCA
Berlingerio!
IL TORRIGIANO
Il balestriere ammutolisce e resta attonito a guardarla, poggiato al mangano.
FRANCESCA
È salito
alla mastra messer Giovanni?
IL TORRIGIANO
FRANCESCA
(accostandosi)
E nessun altro?
IL TORRIGIANO
FRANCESCA
E tu che fai?
IL TORRIGIANO
FRANCESCA
(guardando con meraviglia la materia che bolle nella caldaia)
Il fuoco greco! Chi si salva? Non
l'avevo mai veduto. È vero che
non si conosce alla battaglia strazio
più terribile? È vero
che arde nel mare,
arde nei fiumi,
brucia le navi,
brucia le torri,
soffoca, ammorba
secca repente il sangue
dell'uomo, fa
delle carni e dell'ossa
una cenere nera,
trae dallo strazio
dell'uomo urli di belva
che impazzano i cavalli
e impietrano i più prodi?
IL TORRIGIANO
FRANCESCA
Ma come siete voi
osi di maneggiarlo?
IL TORRIGIANO
FRANCESCA
(si avvicina alla botola in cui scende la scala della torre, e ascolta vigile)
Qualcuno sale per la scala. Chi
è che sale?
IL TORRIGIANO
FRANCESCA
(china verso la cateratta)
Chi sei tu?
Chi sei tu?
PAOLO
(voce)
Paolo!
Francesca s'ammutolisce indietreggiando.
Paolo sale i gradini rapidamente e si volge alla Cognata che s'è ritratta verso la muraglia. Il Balestriere torna alla vedetta.
PAOLO
Francesca!
FRANCESCA
Date il segno, Paolo, date
il segno. Non temete
di me, Paolo. Lasciate ch'io rimanga
a udir lo scocco
delle balestre.
Donarmi un bello elmetto
voi dovreste, signore mio cognato.
PAOLO
Ve 'l donerò.
FRANCESCA
Tornato di Cesena
siete?
PAOLO
Tornato di Cesena oggi.
FRANCESCA
Smagrato siete un poco e impallidito
anche un poco, mi sembra.
PAOLO
Medicina non chiedo, erba non cerco
per sanarmi, sorella.
FRANCESCA
Un'erba, un'erba io m'avea, per sanare,
in quel giardino dove entraste un giorno
vestito d'una veste che si chiama
frode nel dolce mondo.
PAOLO
Non la vidi,
né seppi dov'io fossi
né chi mi conducesse in quel cammino,
ma sol vidi una rosa
che mi si offerse più viva che il labbro
d'una fresca ferita, e un canto giovine
udii nell'aria.
FRANCESCA
Videro
gli occhi miei l'alba,
la videro i miei occhi
sopra di me con l'onta
e con l'orrore.
PAOLO
Onta et orrore sopra
di me! La luce
non mi trovò dormente.
La pace era fuggita
dall'anima di Paolo Malatesta
e tornata non è, né tornerà
più mai, più mai.
Come debbo io morire?
FRANCESCA
Come lo schiavo al remo
nella galea che ha nome Disperata,
così dovete voi morire.
S'odono i tocchi della campana di Santa Colomba. Entrambi gli immemori trasalgono.
FRANCESCA
Ah dove siamo noi? Chi chiama? Paolo,
che fate?
(il Torrigiano e il Balestriere, intenti a caricare le balestre e a incoccare le aste dei fuochi lavorati, balzano al suono)
IL TORRIGIANO
BALESTRIERE
A fuoco! A fuoco! Viva Malatesta!
Egli accende una falarica e la scaglia verso la città. Dalla botola sale gridando a furia uno stuolo di Balestrieri; occupa la piazza della torre e dà mano alle armi e alle macchine.
I BALESTRIERI
Viva messer Malatesta e la parte
guelfa! Mora messer Parcitade, e
i ghibellini!
Dai merli è un grande saettare di fuochi che infiammano l'aria caliginosa. Paolo Malatesta si toglie dal capo l'elmetto e lo dà alla cognata.
PAOLO
Ecco l'elmetto che io vi dono.
FRANCESCA
Paolo!
Paolo sale di corsa alla torre. La sua testa chiomata soverchia la Gente d'arme che travaglia. Francesca gittato il dono, lo insegue chiamandolo tra lo scocco e il clamore.
PAOLO
Datemi una balestra!
FRANCESCA
Paolo! Paolo!
PAOLO
Una balestra! Un arco!
FRANCESCA
Paolo! Paolo!
Un Balestriere stramazza con la gola forata da un quadrello avverso.
IL TORRIGIANO
Alcuni Balestrieri alzano i vasti pavesi dipinti e fanno impedimento alla Donna che vuol raggiungere Paolo.
I BALESTRIERI
Viva! La torre Galassa risponde.
Viva messer Malatesta e la parte
guelfa! Verucchio!
Verucchio!
Francesca tenta di respingere i Balestrieri che le impediscono il passo. Paolo avendo tolto una balestra, ritto sul murello, saetta a furia, esposto ai colpi avversi, come un forsennato.
FRANCESCA
Paolo!
Paolo si volge al grido e scorge la Donna fra il vampeggiare dei fuochi. Toglie il pavese d'un Balestriere e la copre.
PAOLO
Ah, Francesca, scendete! Che demenza
è questa?
Egli la spinge giù da una delle scale laterali. Ella, di sotto al pavese dipinto, guata la faccia del cognato furente e bella.
FRANCESCA
Voi demente! Voi demente!
PAOLO
E non debbo io morire?
(egli getta il pavese e tiene la balestra)
FRANCESCA
Non è l'ora,
non è venuta l'ora.
I balestrieri scendono per la scala laterale sinistra e postano le balestre ai pertugi della muraglia. Le campane suonano a stormo. S'odono squilli di trombe lontane.
I BALESTRIERI
Verucchio! Viva Malatesta viva
la parte guelfa!
PAOLO
Sì, questa è l'ora, se voi mi guardate
spirare, se mi sollevate il capo
da terra con le vostre mani.
(on un gesto impetuoso egli trae la donna verso la finestra imbertescata e le porge la funicella che pende dalla cateratta)
Alzate
la bertesca.
Paolo raccoglie un fascio di dardi e lo getta ai piedi di Francesca. Poi carica la balestra. Francesca solleva con la fune la bertesca, e per il varco appare il gran mare splendente dell'ultima luce. Paolo pone la balestra a mira e scocca.
FRANCESCA
Né più l'abbasserò.
Questo cimento
è il giudizio di dio per la saetta.
Fratello in dio, la macchia della frode
che hai sull'anima tua,
perdonata ti sia con grande amore.
Tenendo nelle mani tesa la fune, ella s'inginocchia e fa preghiera, con le pupille sbarrate e fisse al capo inerme di Paolo. La bertesca alzata lascia vedere il mare splendente. Il saettatore carica l'arme e scocca, senza tregua. Di tratto in tratto le verrette ghibelline entrano per la finestra e battono nel muro di contro e cadono sul pavimento senza ferire. La crudeltà dell'ambascia sconvolge il viso della pregante. Le sillabe muovono appena le sue labbra trascolorate.
Padre nostro
che sei nei cieli,
santificato sia
il nome tuo,
avvenga il regno tuo,
tua volontà si faccia
in cielo come in terra.
Padre dà oggi a noi
il pane nostro
cotidiano.
E a noi perdona i nostri
peccati come noi
perdoniamo ad altrui;
e non c'indurre
nella tentazione
ma guardaci dal male.
E così sia.
Paolo avendo scagliato alcuni dardi, prende la mira con più acuta volontà come per far colpo maestro; e scocca. S'ode il clamore ostile.
PAOLO
(con atroce gioia)
Ah, Ugolino, in mal luogo t'ho colto!
Grande intanto sulla torre è la gazzarra dei Balestrieri. Taluni trasportano a braccia giù per la botola gli uccisi e i feriti.
I BALESTRIERI
Ah! messer Ugolino
Cignatta è stramazzato da cavallo,
è morto! È morto!
Vittoria a Malatesta!
Un dardo rasenta il capo di Paolo Malatesta, passandogli attraverso la chioma. Francesca getta un grido, abbandonando la fune; e balza in piedi, prende fra le mani il capo del cognato credendolo trafitto, gli cerca tra i capelli la ferita. Più la sbigottisce il pallore mortale che si sparge sul volto di lui in quell'atto. La balestra cade a terra.
FRANCESCA
Paolo! Paolo!
(ella si guarda le mani per vedere se il sangue le tinge. Sono bianche. Di nuovo cerca, con grande affanno)
Che mai è questo, o dio?
Paolo! Paolo! Non sanguini, non hai
stilla di sangue sul tuo capo, e sembra
che tu ti muoia! Paolo!
PAOLO
(soffocatamente)
Ah non mi muoio!
Francesca. Ferro
non m'ha toccato!
FRANCESCA
Salvo, salvo e puro!
Inginocchiati.
PAOLO
Ma le vostre mani
toccato m'hanno, e l'anima disfatta
m'è dentro il cuore, e forza
più non ho d'esser vivo.
FRANCESCA
Inginocchiati!
PAOLO
Dopo che ho vissuto
di sì veloce forza,
FRANCESCA
Pe 'l tuo capo inginocchiati! Inginocchiati,
e rendi grazie a dio!
PAOLO
Tutto raccolto intorno
al mio cuor furibondo il mio coraggio
e tutta dentro chiusa
la potenza del mio malvagio amore.
FRANCESCA
Perduto! Sei perduto!
Di' che sei folle! Pe 'l tuo capo, di'
che sei folle e che l'anima tua misera
non udì la parola della tua
bocca.
I BALESTRIERI
Vittoria!
Viva messer Giovanni Malatesta!
Lo Sciancato è apparso per la botola, sulla scala della torre mastra, tutto in arme, con una verga sardesca nella mano. Egli sale i gradini zoppicando e, com'è sulla cima, leva in alto quel suo terribile spiedo, mentre l'aspra sua voce fende il clamore.
GIANCIOTTO
FRANCESCA
Il tuo fratello!
Paolo raccatta la balestra.
GIANCIOTTO
I BALESTRIERI
Viva messer Giovanni Malatesta!
Viva messer Giovanni lo Scontento!
Paolo raccatta il suo elmetto, e, copertosi il capo, va verso la torre. Francesca trapassa verso la porta onde venne, l'apre e si chiude nel vano a parlare.
GIANCIOTTO
Smaragdi appare all'uscio; poi udito un ordine sommesso della sua signora, dispare. Francesca rimane alla soglia.
PAOLO
Eccomi. Sono qui, Giovanni. Io era
quelli della finestra imbertescata.
GIANCIOTTO
La schiava ricompare con un'anguistara e una coppa. Francesca ritorna verso il marito per mostrarsi. Gianciotto scende verso il fratello.
GIANCIOTTO
FRANCESCA
Salute a voi, signore, che recate
la vittoria.
GIANCIOTTO
FRANCESCA
(ella repugna all'abbraccio)
Gran sete voi dovete avere.
GIANCIOTTO
FRANCESCA
Smaragdi, porta il vino.
(la schiava si appressa con l'anguistara e la coppa)
GIANCIOTTO
(Francesca versa il vino e porge la coppa al marito. Paolo è in disparte, silenzioso, a vigilare la gente che appresta la botte incendiaria)
FRANCESCA
Ecco, bevete. È vino
di Scio.
GIANCIOTTO
FRANCESCA
Salutato già
io l'avea.
GIANCIOTTO
FRANCESCA
Quando saettava.
Bevete, mio cognato, nella coppa
dove ha bevuto il fratel vostro. E buona
ventura iddio vi dia,
all'uno come all'altro, et anche a me!
(Paolo beve guardando Francesca nelle pupille)
GIANCIOTTO
PAOLO
Sono
giunti i messi!
GIANCIOTTO
PAOLO
No, partirò.
Francesca volge la faccia nell'ombra e muove qualche passo verso la torre. La schiava si trae in disparte e resta immobile.
FRANCESCA
(dal fondo)
Sciagura,
sciagura! Non vedete? Non vedete
Malatestino, là, Malatestino
portato a braccia dagli uomini d'arme,
con le fiaccole? Ucciso l'hanno al padre!
Malatestino ferito viene portato su a braccia per la scala della torre tra fiaccole accese, in sembiante di cadavere. L'ombra si fa più folta.
Francesca accorre verso la compagnia che discende per una delle scale laterali passando tra i balestrieri, i quali tralasciano l'opera e fanno ala silenziosi. Gianciotto e Paolo accorrono. Due arcieri portano di peso il giovinetto sanguinoso. Quattro arcieri dai lunghi turcassi l'accompagnano con le fiaccole.
FRANCESCA
(chinandosi sul giovinetto)
Malatestino! Oh dio,
egli ha l'occhio crepato,
tutto nero di sangue...
I Portatori adagiano il corpo di Malatestino sopra un fascio di corde.
Gianciotto palpa il corpo del giovine Fratello e gli ascolta il cuore.
GIANCIOTTO
Il giovinetto si riscuote, riprende gli spiriti.
Francesca versa tra le labbra del Giovinetto qualche stilla di vino. Paolo segue con gli occhi avidi tutti i gesti di lei. Malatestino scrolla il capo; e, al dolore, fa l'atto di alzare verso il sinistro occhio ferito la mano ancora chiusa nella manopola. La Cognata gli ferma il gesto.
MALATESTINO
(come uno che si svegli di subito, con violenza)
Fuggirà, fuggirà... Non è sicura
la prigione... Io vi dico ch'ei saprà
fuggire... Padre, datemi licenza
ch'io gli tagli la gola! Io ve l'ho preso.
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Giovanni, dove
sono? Oh, cognata, e voi?
(egli leva ancora la mano all'occhio percosso)
Che m'ho nell'occhio?
GIANCIOTTO
FRANCESCA
Senti gran dolore?
MALATESTINO
(si alza in piedi e scrolla il capo)
Sassate di saccardi ghibellini
non hanno da dolere.
Mettetemi una fascia
e datemi da bere:
e a cavallo, a cavallo!
Francesca si toglie la benda che le chiude le gote e gli fascia l'occhio.
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Uno mi basta.
I BALESTRIERI
(eccitati dal coraggio del giovinetto)
Viva, viva
messer Malatestino Malatesta!
MALATESTINO
A cavallo, a cavallo!
Esce correndo seguito dagli arcieri con le torce.
GIANCIOTTO
Egli va verso la torre, a guidare l'operazione del mangano. S'ode il grido gutturale con cui gli Uomini accompagnano lo sforzo del sollevare la botte incendiaria e del caricare il mangano. Di sopra i merli, la vampa delle arsioni si spande nel cielo e cresce. Le campane suonano a stormo. S'odono squilli di trombe.
GIANCIOTTO
S'ode lo strepito del mangano che scaglia a distanza la botte provvista della miccia accesa.
I BALESTRIERI
Vittoria a Malatesta!
Viva la parte guelfa! Mora, mora
il Parcitade con i ghibellini!
Paolo va verso la torre ov'è ricominciato il getto delle rocche e delle falariche. Francesca, rimasta sola nell'ombra si fa il segno della croce, cadendo sui ginocchi e prostrandosi fino a terra. In fondo, un chiarore più violento illumina il cielo.
A fuoco! A fuoco! Mora il Parcitade!
A fuoco! Mora il Ghibellino! Viva
la parte guelfa! Viva Malatesta!
Le saette incendiarie partono a volo tra i merli. Le campane suonano a stormo. Le trombe squillano tra la gazzarra nelle vie della città arsa e insanguinata.
Appare una camera adorna, vagamente scompartita da formelle che portano istoriette del romanzo di Tristano, tra uccelli fiori frutti imprese. Ricorre sotto il palco, intorno alle pareti, un fregio a guisa di festone dove sono scritte alcune parole d'una canzonetta amorosa
«Meglio m'è dormir gaudendo
c'avere penzieri vegghiando.»
A destra, nell'angolo, è un letto nascosto da cortine ricchissime; a sinistra, un uscio coverto da una portiera grave; in fondo, una finestra che guarda il mare Adriatico. Dalla parte dell'uscio è, sollevato da terra due braccia, un coretto per i musici con compartimenti ornati da gentili trafori. Presso la finestra è un leggio con suvvi aperto il libro della «Historia di Lancillotto del lago», composto di grandi membrane alluminate che costringe la legatura forte di due assicelle vestite di velluto vermiglio. Accanto v'è un lettuccio, una sorta di ciscranna senza spalliera e bracciuoli, con molti cuscini di sciamito, posto quasi a paro del davanzale, onde chi vi s'adagi scopre tutta la marina di Rimino. Su un deschetto è uno specchio d'argento a mano, tra ori canne coppette borse cinture e altri arredi. Grandi candelieri di ferro s'alzano presso il coretto. Scannelli e predelle sono sparsi all'intorno; e dal mezzo del pavimento sporge il maniglio di una cateratta, per la quale di questa camera si può accendere in un'altra.
Si vede Francesca davanti al libro, in atto di leggere. Le Donne sedute sulle predelle in fondo trapungono gli orli di un sopralletto, ascoltando l'istoria; e ciascuna porta appeso alla cintura un alberello di vetro pieno di perle minute e di stricche d'oro. Il sole del nascente marzo batte sullo zendado chermisino e ne trae un bagliore diffuso che accende i volti chinati all'opra dell'ago. La Schiava è presso al davanzale ed esplora attentamente il cielo.
FRANCESCA
(leggendo)
E Galeotto dice: «dama, abbiatene
pietà». «Ne avrò» dice ella «tal pietà,
come vorrete; ma non mi richiede
di niente»...
Le donne ridono. Francesca si getta sui cuscini di sciamito, torbida e molle.
GARSENDA
Madonna,
come mai era tanto vergognoso
il cavaliere Lancillotto?
BIANCOFIORE
Mentre
la povera reina si struggeva
di dargli quello ch'ei non dimandava!
DONELLA
Dirgli doveva: «o cavalier valente,
vostra malinconia non val niente».
FRANCESCA
Donella, taci! Stanca
sono di trastullarmi con le vostre
ciance. Smaragdi, lo sparviero torna?
SMARAGDI
Dama, non torna: s'è sviato.
Francesca si sporge dalla finestra e spia.
DONELLA
Certo
si perderà, Madonna.
Male faceste a togliergli la lunga.
FRANCESCA
Corri, Donella,
dallo strozziere e digli l'avvenuto,
che lo cerchi per tutto.
Donella lascia l'ago e s'invola.
BIANCOFIORE
(come intonando una canzone a ballo)
«Nova in calen di marzo
o rondine, che vieni
dai reami sereni d'oltremare»...
FRANCESCA
Oh, sì, sì, Biancofiore,
la musica, la musica!
Le donne si levano leste a ripiegare lo zendado.
FRANCESCA
Cerca di Simonetto, Biancofiore.
BIANCOFIORE
Sì, madonna.
FRANCESCA
E voglio una ghirlanda
di violette.
Oggi è calen di marzo.
BIANCOFIORE
Voi l'averete, madonna, e leggiadra.
FRANCESCA
Andatevi con dio.
(escono tutti)
Francesca si volge alla schiava che spia ancora il cielo per la finestra.
FRANCESCA
O Smaragdi, non torna?
SMARAGDI
Dama, non torna.
Non ti rammaricare.
FRANCESCA
Ah, Smaragdi, che vino mi recasti
quella sera, alla torre mastra, quando
la città era in arme? Affatturato?
SMARAGDI
Dama, che dici?
FRANCESCA
Come
se tu recato avessi un beveraggio
perfido, il mal s'apprese
alle vene di quelli che bevvero,
e la mia sorte si rincrudelì.
SMARAGDI
Calpestatemi! Calpestatemi! Tra due
pietre schiacciami il capo.
FRANCESCA
Su, levati! Non hai colpa mia povera
Smaragdi, non hai colpa.
Ah ragione mia, reggi
e non dare la volta!
Chi mi possiede? Un demone mi tiene.
Non so pregare, non so più pregare...
SMARAGDI
(a bassa voce)
Vuoi che lo chiami?
FRANCESCA
(trasalendo)
Chi?
L'hai tu veduto montare a cavallo,
messer Giovanni?
SMARAGDI
Sì, dama,
col vecchio e con messer Malatestino.
FRANCESCA
Io n'ho paura. Guardami da lui!
SMARAGDI
Di chi paura hai tu, dama?
FRANCESCA
Paura
ho di Malatestino.
SMARAGDI
Ti spaventa
forse quell'occhio suo cieco?
FRANCESCA
No, l'altro,
quello che vede. È terribile.
SMARAGDI
Dama,
non disperare! Ascolta,
ascolta. Io getterò
una sorte su chi ti fa paura.
Conosco il beveraggio che allontana
e dismemora. Tu gliel'offrirai...
T'insegnerò l'incanto...
Irrompono nella stanza le Donne, seguite dai Musici. Donella porta quattro ghirlandette di narcisi bianchi, sospese a un filo d'oro che insieme le lega.
DONELLA
Abbiamo i suonatori
per la canzone a ballo,
con cennamella piffero liuto
ribecco e monacordo.
Eretta fra le cortigiane, Francesca guarda come trasognata e non sorride né parla.
BIANCOFIORE
(avanzandosi)
Et ecco la ghirlanda
di violette.
(le offre la ghirlanda, con un atto di grazia)
Possa malinconia con ciò passare!
Francesca la prende, mentre Altichiara toglie dal deschetto lo specchio e lo tien levato dinanzi al viso di lei che s'inghirlanda. La schiava lentamente scompare dall'uscio.
GARSENDA
Oggi è calen di marzo! Il canto vuol
ballo, e il ballo vuol canto.
Su, Simonetto, intona!
I Musici sulla tribuna cominciano un preludio. Donella scioglie il filo d'oro e distribuisce le ghirlande di narcisi alle compagne, che s'inghirlandano; e tiene per sé l'una che porta due alette di rondine, segno d'officio singolare. Biancofiore trae da una reticella quattro rondini di legno dipinto che hanno sotto il petto una specie di manico breve, e ne dà una a ciascuna Compagna; la quale atteggiandosi alla danza, la tiene impugnata e sollevata nella sinistra mano.
BIANCOFIORE E GARSENDA
Marzo è giunto e febbraio
gito se n'è col ghiado.
Or lasceremo il vaio
per veste di zendado,
e andrem passando a guado
acque di rii novelli
tra chinati arboscelli verzicanti,
con stromenti e con canti in compagnia
di presti drudi o nella prateria
iscegliendo viole
ove redole più l'erba, de' nudi
piedi che al sole v'ebbe primavera.
ALTICHIARA E DONELLA
Deh creatura allegra,
conduci, questa danza
in veste bianca e negra
com'è tua costumanza.
Poi fa qui dimoranza
nella camera adorna
ch'è chiara quando aggiorna e quando annotta
per l'istoria d'Isotta fior d'Irlanda,
che vi si vede: e sieti una ghirlanda
nido, né ti rincresca,
poiché la fresca donna che qui siede
non è Francesca ma sì
Le Danzatrici con rapido giro si volgono tutte a Francesca disponendosi in una fila e tenendo l'una mano, che tiene la rondine, e l'altra verso di lei; e cantano assieme l'ultima parola della stanza:
TUTTE
Primavera!
Al principiare della volta (poi fa qui dimoranza) riappare sull'uscio la Schiava. Mentre i Musici fanno la chiusa, ella si avvicina lentamente alla Dama e le sussurra qualcosa che subito la turba ed agita.
FRANCESCA
Andate in allegrezza per la corte,
fino a vespro. Conducili, Donella.
Felice primavera!
I Musici discendono dal coretto sonando ed escono. Le Donne inchinano la dama e van dietro ai suoni, con sussurri, con risa. La Schiava rimane. Francesca s'abbandona alla sua ansietà. Dà qualche passo per la stanza, smarritamente. Con un moto subitaneo, va a chiudere le cortine dell'alcova, che sono disgiunte e lasciano intravedere il letto. Poi si accosta al leggio, getta uno sguardo al libro aperto; ma nel volgersi, con un lembo del suo vestimento ella smuove il liuto che cade e geme a terra. Trasale, sgomentata.
No, Smaragdi, no! Va', va', corri e digli
che non venga!
(s'odono i suoni lontanare. La schiava va verso la porta. Francesca fa un gesto verso di lei come per trattenerla.
Smaragdi!
La Schiava esce. Dopo alcuni attimi, una mano solleva la portiera: ed appare Paolo Malatesta. L'uscio dietro di lui si chiude.
I due Cognati si guardano, nel primo istante, senza trovar parola, entrambi scolorando. Ancora s'odono i suoni lontanare per il palagio. Dalla finestra la camera s'inaura del giorno che declina.
FRANCESCA
Benvenuto, signore mio cognato.
PAOLO
Ecco, son venuto, avendo udito
i suoni, per portarvi il mio saluto,
il saluto del mio ritorno.
FRANCESCA
Assai
presto siete tornato: con la prima
rondine. Le mie donne
eran qui che cantavan la ballata
per salutare il marzo.
PAOLO
Di voi, Francesca,
novelle mai non m'ebbi
laggiù. Nulla più seppi
di voi, da quella sera perigliosa
che m'offeriste una coppa di vino
e mi diceste addio
con la buona ventura.
FRANCESCA
Non m'è nella memoria
questo, signore. Io ho molto pregato.
PAOLO
Non vi sovviene?
FRANCESCA
Io ho molto pregato.
PAOLO
Io ho molto sofferto.
FRANCESCA
Paolo, datemi pace!
È dolce cosa vivere obliando,
almeno un'ora, fuor della tempesta
che ci affatica.
Non richiamate, prego,
l'ombra del tempo in questa fresca luce
che alfine mi disseta.
Pace in questo mare
che tanto era selvaggio
ieri, et oggi è come la perla. Datemi,
datemi pace!
PAOLO
Inghirlandata
di violette m'appariste ieri
a una sosta, in un prato
dove mi ritrovai
io solo, dilungandomi gran tratto
dalla scorta. Appariste
con le viole; e vi tornò sul labbro
una parola che da voi fu detta:
perdonato ti sia con grande amore!
FRANCESCA
Tal parola fu detta,
e la gioia perfetta se n'attende...
Ora sedete qui alla finestra.
Sedete qui. Parlatemi di voi.
Come avete vissuto?
PAOLO
Perché volete voi
ch'io rinnovi nel cor la miseria
di mia vita? Mi fu a noia, e spiacque
tutto ch'altrui piaceva.
Nemica ebbi la luce,
amica ebbi la notte,
ove su dal silenzio di me stesso
nata e dal fondo dell'eterna doglia,
simile alla sorgente che disseta
e simile alla fiamma che riarde,
freschezza e incendio, lenimento e piaga,
or torbida ruggente come fiaccola,
or mite come lampada,
una visitatrice
si chinava su me, quasi a nutrirsi
dell'assidua mia veglia;
e, quando si partiva
al tremar delle stelle,
non più foco né fonte
era, ma il vostro viso...
FRANCESCA
Ah, Paolo, Paolo!
PAOLO
...il vostro viso
mostrava ella nudato al mio dolore.
FRANCESCA
Paolo, se perdonato
vi fu, perché vi rilampeggia ancora
sotto i cigli la colpa?
Ahi, che già sento all'arido
fiato sfiorir la primavera nostra!
(ella si toglie dal capo la ghirlanda e la pone sul libro aperto ch'è da presso)
PAOLO
Ora perché vi togliete dal capo
la ghirlanda?
FRANCESCA
Ho sentito
che già non è più fresca.
PAOLO
(s'accosta al leggio e si china sul libro)
Ah la parola che i miei occhi incontrano!
E Galeotto dice: «dama, abbiatene
pietà». «Ne avrò» dice ella «tal pietà,
come vorrete; ma non mi richiede
di niente»... Volete seguitare?
FRANCESCA
Guardate il mare come si fa bianco!
PAOLO
Leggiamo qualche pagina, Francesca!
(leggendo)
«Certamente, dama» dice
allora Galeotto «ei non si ardisce,
né vi domanderà mai cosa alcuna
per amore, perché teme».
Et ella dice...
(trae leggermente Francesca per la mano)
Ora leggete voi
quel ch'essa dice. Siate voi Ginevra.
(le loro fronti si avvicinano chinandosi sul libro)
FRANCESCA
(leggendo)
«Certamente, dice essa, io gli prometto:
ma che egli sia mio et io tutta sua,
e che emendate sien tutte le cose
mal fatte»... Basta, Paolo.
PAOLO
No! No! Leggete ancora.
I loro volti pallidi sono chini sul libro, così che le guance quasi si sfiorano.
FRANCESCA
(seguitando soffocatamente)
«E la reina vede il cavaliere
che non ardisce di fare di più.
Tra le braccia lo serra lungamente
lo bacia in bocca»...
Egli fa quell'atto istesso verso la cognata, e la bacia. Quando le bocche si disgiungono, Francesca vacilla e s'abbandona sui guanciali.
PAOLO
Francesca!
FRANCESCA
(con la voce spenta)
No, Paolo!
Parte prima.
Appare una sala ottagona, di pietra bigia, con cinque de' suoi lati in prospetto. In alto, sulla nudità della pietra, ricorre un fregio di liocorni in campo d'oro. Nella parete di fondo è un finestrone invetriato che guarda le montagne, fornito di sedili nello strombo. Nella parete che con quella fa angolo obliquo, a destra, è un usciolo ferrato per dove si discende alle prigioni sotterranee. Contro la corrispondente parete, a sinistra, è una panca con alta spalliera, dinanzi a cui sta una tavola lunga e stretta, apparecchiata di cibi e di vini. In ciascuna delle altre due pareti a rimpetto è un uscio; il sinistro, prossimo alla mensa, conduce alle camere di Francesca; il destro, ai corridoi e alle scale. Torno torno sono distribuiti torcieri di ferro; ai beccatelli sono appesi budrieri corregge turcassi, pezzi d'armatura diverse, e poggiate armi in asta: picche bigordi spuntoni verruti mannaie mazzafrusti.
Si vede Francesca seduta nel vano del finestrone, e Malatestino dall'occhio in piedi davanti a lei.
FRANCESCA
Perché tanto sei strano?
Avido d'ogni sangue
tu sei, sempre in agguato,
nemico a tutti. In ogni tua parola
è una minaccia oscura.
Dove nascesti? Non ti diede latte
la tua madre? E così giovine sei!
MALATESTINO
(con subito impeto)
Tu m'aizzi. Il pensiero
di te m'aizza l'animo, continuamente.
Sei l'ira mia.
Francesca si leva ed esce. Dal vano della finestra come per sfuggire ad un'insidia. Ella rimane presso il muro, ove brillano le armi in asta, ordinate.
(incalzandola)
Ti stringerò, ti stringerò alfine!
Francesca, ritraendosi lungo il muro giunge all'usciolo ferrato cui dà le spalle.
FRANCESCA
Non mi toccare, forsennato, o chiamo
il tuo fratello. Vattene! Ho pietà
di te. Sei un fanciullo
perverso.
MALATESTINO
Chi vuoi chiamare?
FRANCESCA
Il tuo
fratello.
MALATESTINO
Quale?
FRANCESCA
(sussulta, udendo giungere dal profondo un grido attraverso la porta ov'ella è addossata)
Chi grida? Hai udito?
MALATESTINO
Tal che deve morire.
FRANCESCA
Ah, non posso più udirlo! Anche la notte
urla, urla come un lupo;
e giunge l'urlo fino alla mia stanza.
MALATESTINO
Ascolta me! Giovanni
parte a vespro per la podesteria
di Pesaro. Tu gli hai apparecchiato
il viatico. Ascolta. Io posso dargli
un ben altro viatico...
FRANCESCA
Che intendi?
Che intendi? Tu mi fai minaccia? O trami
un tradimento contro il tuo fratello?
MALATESTINO
Tradimento! Io credea,
mia cognata, che tal parola ardesse
le vostre labbra; e veggo
le vostre labbra immuni,
ma un poco smorte. Il mio giudizio errò...
S'ode di nuovo l'urlo del prigioniero.
FRANCESCA
(tremante d'orrore)
Ah, come urla! Come urla!
Chi lo tormenta? Quale strazio nuovo
hai trovato per lui?
Toglilo dal tormento!
Non voglio udirlo più.
MALATESTINO
Ecco, vado. Farò che voi abbiate
una notte tranquilla, il più profondo
sonno, senza terrore,
poi che stanotte dormirete sola...
(egli si accosta alla parete e sceglie tra le armi ordinate una mannaia)
FRANCESCA
Che fai, Malatestino?
MALATESTINO
Giustiziere mi faccio,
per vostra volontà,
mia cognata.
(esamina il filo dell'acciaro; poi apre la porta ferrata il cui vano appare nero di tenebra)
FRANCESCA
Tu vai
per ucciderlo? Troppo
ti pare aver dimorato, ah feroce!
MALATESTINO
Francesca, ascolta,
ascolta! Che la tua mano mi tocchi,
che i tuoi capelli si pieghino ancora
sulla mia febbre, e...
(s'ode più lungo l'urlo di sotterra)
FRANCESCA
Orrore! Orrore!
(si ritrae nel vano della finestra, si siede, e poggiati i cubiti sulle ginocchia, pone la testa fra le palme, fissa)
MALATESTINO
(bieco)
Tal sia di voi.
(strappa da un torciere la torcia. Posa la mannaia a terra, prende l'acciarino, lo batte e accende la torcia)
O cognata, buon vespro!
La donna resta immobile, come se non udisse. Egli raccatta l'arme ed entra nel buio, col suo tacito passo felino, tenendo nella sinistra mano la torcia ardente. Scompare. La piccola porta rimane aperta. Francesca si leva e guarda per entro al vano dileguarsi il bagliore. Subitamente corre alla soglia e chiude rabbrividendo. L'uscio ferrato stride, nel silenzio. Ella si volge e dà qualche passo lento, a capo chino, come gravata da un grave peso.
FRANCESCA
(sommessamente entro di sé)
Il più profondo sonno.
Lo sciancato entra tutto in arme. Scorge la sua Donna, e va a lei.
GIANCIOTTO
FRANCESCA
Malatestino
era da poco entrato quando udì
gridare il prigioniero;
e, nel vedermi sbigottita,
fu preso d'ira e si precipitò
per quella porta alla prigione, armato
d'una mannaia, risoluto ad ucciderlo. Feroce
egli è, quel fratel vostro, mio signore,
e non m'ama.
GIANCIOTTO
FRANCESCA
Non so. Mi sembra.
GIANCIOTTO
FRANCESCA
Egli è un fanciullo; e come
il giovine mastino,
ha bisogno di mordere... Venite,
signore, a ristorarvi
prima di mettervi a cavallo.
GIANCIOTTO
FRANCESCA
Via, perché pensate
a quel che dissi
leggermente? Venite a ristorarvi.
Prendete la via della marina?
Gianciotto è pensieroso, mentre segue Francesca verso la tavola apparecchiata. Si toglie il bacinetto, si sfibbia la gorgiera, e dà gli arnesi alla Donna che li depone su una scranna con atti di subitanea grazia favellando.
FRANCESCA
Cavalcherete sotto la frescura.
Innanzi mezzanotte nascerà
la luna. Quando giungerete a Pesaro,
messere il podestà?
GIANCIOTTO
Egli si sfibbia il cingolo che sostiene lo stocco, e la donna lo riceve.
FRANCESCA
E gran tempo dimorerete, senza
tornare?
S'ode il grido terribile di Montagna salire di sotterra. Francesca trasale e lascia cadere lo stocco, che esce dalla guaina.
GIANCIOTTO
S'ode battere alla piccola porta ferrata. Francesca balza in piedi, getta lo stocco sulla mensa, e si volge per uscire.
FRANCESCA
Torna Malatestino.
Io non voglio vederlo.
MALATESTINO
(voce)
Chi ha chiuso?
Cognata, siete là? M'avete chiuso?
(batte più forte col piede)
GIANCIOTTO
MALATESTINO
(voce)
Ah, Giovanni!
Aprimi, che ti porto
un buon frutto maturo
pe 'l tuo viatico,
un fico settembrino.
E come pesa!
Lo Sciancato va ad aprire. Francesca segue con gli occhi per qualche attimo il passo di lui claudicante; poi si ritrae verso la porta che conduce alle sue stanze. Exit.
MALATESTINO
(voce)
Affrettati!
GIANCIOTTO
Gianciotto apre; ed appare sulla soglia angusta Malatestino tenendo nella sinistra mano la torcia accesa e reggendo, per il cappio di una legatura di corda, la testa di Montagna avviluppata in un drappo.
MALATESTINO
(porgendo la torcia al fratello)
Tieni, fratello: spegnila.
Gianciotto spegne la fiamma stridula soffocandola sotto la pianta del piede.
Era teco
la tua moglie?
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Tu sai dunque che sia
questo frutto ch'io porto alla tua mensa...
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Senti come pesa! Senti!
(egli porge il cappio allo Sciancato; il quale lo prende a prova, e poi lascia cadere il viluppo che fa un tonfo sordo sul pavimento)
Ah, fa caldo!
(si asciuga la fronte sudata. Gianciotto è di nuovo seduto a mensa)
Su, dammi
da bere.
(egli tracanna una coppa che è già piena. Gianciotto è cupo in sembiante e mastica in silenzio, a capo chino, senza inghiottire il boccone, muovendo le mascelle come il bue che ruguma. L'uccisore di Montagna si siede là dov'era seduta Francesca, Il viluppo sanguinoso è immobile sul pavimento. Pe 'l finestrone si vede il sole calare sopra l'Appennino affocando le vette e le nuvole)
Sei crucciato?
Non ti crucciare meco,
Giovanni. Io ti son fido.
Tu ti chiami Gian Ciotto
et io son quel dall'occhio...
(si tace un istante, perfidamente)
Ma Paolo è il bello!
Gianciotto leva il capo e fissa gli occhi in faccia al giovinetto. Nel silenzio s'ode lo sperone al piede ch'egli agita sul pavimento.
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Io? Che ti disse mai
ella?
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Che mai
ti disse?
GIANCIOTTO
MALATESTINO
(simulando di smarrirsi)
Io non posso risponderti.
GIANCIOTTO
MALATESTINO
(con voce sorda e ciglio basso)
E se il fratello vede che taluno
tocca la donna del fratello, e n'ha
sdegno, e s'adopra perché l'onta cessi,
dimmi, pecca egli?
E se, per questo, accusato è d'avere
contro la donna mal animo, dimmi:
giusta è l'accusa?
Gianciotto sobbalza terribile, ed alza i pugni come per schiacciare il giovinetto. Ma si contiene: le braccia gli ricadono.
GIANCIOTTO
Malatestino s'alza e va, col sua tacito passo felino alla porta che è presso la tavola. Sta in ascolto per alcuni attimi; poi apre l'uscio repentinamente, con un gesto rapidissimo, e guata. Non scopre nessuno. Torna a porsi di contro al fratello.
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Non ti stupisti
quando taluno, che partitosi era
in dicembre, improvviso abbandonò
l'ufficio del comune
et a febbraio era già di ritorno?
S'ode scricchiolare una delle coppe d'argento che si schiaccia nel pugno dello Sciancato.
GIANCIOTTO
Il giovinetto si accosta, leggero e presto, senza alcun strepito, quasi abbia i piedi fasciati di feltro. Gianciotto lo avviluppa con le braccia, lo serra fra le sue ginocchia armate, gli parla con l'alito contro l'alito.
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Sì.
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Più volte entrare...
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Entrare
nella camera...
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Di notte.
Non mi far male, per dio! Non mi stringere
così! Lasciami!
(si divincola, pieghevole)
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Sì, di notte, di notte
l'ho veduto.
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Di notte entrare, all'alba escire.
Vuoi tu vedere e toccare?
GIANCIOTTO
MALATESTINO
Vuoi stanotte?
GIANCIOTTO
Parte seconda.
Riappare la camera adorna, con il letto incortinato, con la tribuna dei musici, col leggio che regge il libro chiuso. Quattro torchi di cera ardono su uno dei candelieri di ferro; due doppieri ardono sul deschetto. Le vetrate della finestra sono aperte alla notte serena. Sul davanzale è il testo del basilico; e accanto è un piatto dorato, pieno di grappoli d'uva novella.
Si vede Francesca, per mezzo alle cortine disgiunte, supina sul letto ove s'è distesa senza spogliarsi. Le Donne, biancovestite, avvolte il viso di leggere bende bianche, sono sedute sulle predelle basse; e parlano sommessamente per non destare la dama. Presso di loro, su uno scannello, sono posate quattro lampadette d'argento spente.
DONELLA
L'ha colta il sonno. Dorme.
Biancofiore si leva e va presso il letto pianamente. Spia: poi si volge, e torna alla sua predella.
BIANCOFIORE
Sì, dorme. Ah com'è bella! Questa notte
madonna non ci fa cantare.
ALTICHIARA
È stanca.
BIANCOFIORE
Il prigioniero
non urla più.
GARSENDA
Messer Malatestino gli ha tagliata
la testa.
ALTICHIARA
Dici il vero?
GARSENDA
Sì, oggi, innanzi il vespro.
ALTICHIARA
Come lo sai?
GARSENDA
Me l'ha detto Smaragdi.
BIANCOFIORE
Ora cavalcano
per la marina,
sotto le stelle,
con quella testa
mozza!
GARSENDA
Ah si respira
in questa casa,
ora che se ne sono
iti lo zoppo e l'orbo!
Francesca getta un grido di spavento, balza dal letto e fa atto di fuggire come inseguita selvaggiamente, agitando le mani sui fianchi come per liberarsi dalla presa.
FRANCESCA
No, no! Non sono io! Non sono io!
Ahi! Ahi! M'azzannano... Aiuto! Mi strappano
il cuore... Aiutami,
Paolo!
Ella sussulta, s'arresta e torna in sé, pallida affannata, mentre le donne le sono intorno sbigottite a confortarla.
GARSENDA
Madonna, madonna, noi siamo
qui. Vedete, madonna, siamo noi.
ALTICHIARA
Non vi prendete spavento.
DONELLA
Non c'è
nessuno. Siamo noi
qui. Nessuno vi fa male, madonna.
FRANCESCA
(trasognata)
Che ho detto? Ho chiamato?
Che ho fatto, mio dio?
BIANCOFIORE
Avete fatto qualche sogno tristo,
madonna.
GARSENDA
Ora è finito. Siamo noi
qui. Tutto è in pace.
FRANCESCA
È tardi?
GARSENDA
Saranno forse quattr'ore di notte.
DONELLA
Non volete, madonna, ch'io v'acconci
il capo per la notte?
FRANCESCA
No, non ho
più sonno. Aspetterò.
DONELLA
Sciogliervi i calzaretti non volete?
BIANCOFIORE
Né profumarvi?
FRANCESCA
No, voglio rimaner così. Non ho
più sonno. Andate, andate.
Intanto io leggerò. Togli un doppiere,
Garsenda.
Garsenda toglie un doppiere di sul deschetto e lo porta al leggio che ha il foro per sostenerlo a capo del libro.
FRANCESCA
Andate. Tutte bianche siete!
Francesca apre il libro. Ciascuna delle bianco vestite toglie la sua lampadetta d'argento sospesa a uno stelo uncinato. Donella per la prima va verso l'alto candeliere e sollevandosi sulla punta dei piedi, accende il lucignolo a uno dei torchi. S'inchina ed esce, mentre Francesca la segue con gli occhi.
Garsenda fa il medesimo atto. Altichiara fa il medesimo. Escono tutte. Ultima resta Biancofiore; ed ella fa anche l'atto d'accendere la sua lampada; ma com'è più piccola delle altre, non giunge alla fiammmella del torchio.
FRANCESCA
O Biancofiore, piccola tu sei!
Non arrivi ad accendere la tua
lampadetta. Tu sei
la più tenera, piccola colomba.
(Biancofiore si volge sorridente)
Vieni.
(la giovine si appressa. Francesca le accarezza i capelli)
Come sei bionda!
Tu somigli la mia Samaritana,
un poco... Ti ricordi
tu di Samaritana?
BIANCOFIORE
Sì, madonna.
La sua dolcezza non s'oblia. Nel cuore
serbata io l'ho, con gli angeli.
FRANCESCA
Era dolce
la mia sorella, è vero, Biancofiore?
Ah, s'io l'avessi meco, se stanotte
ella facesse il suo piccolo letto
accanto al mio. Se ancora
una volta io potessi riudirla
correre scalza alla finestra e dire:
«Francesca, è nata la stella Diana
e vannosene via le Gallinelle.»
BIANCOFIORE
Voi piangete, madonna.
FRANCESCA
Subito sbigottiva anch'ella, e udivo
batterle il cuore. E diceva: «O sorella,
odimi: resta ancora con me! Resta
con me, dove nascemmo!
Non te n'andare!»
BIANCOFIORE
O madonna, madonna,
il cuore mi passate.
Quale malinconia
vi tiene?
FRANCESCA
Va', non piangere!
Tenera sei. Accendi la tua lampada
e vattene con dio.
(Biancofiore accende il lucignolo al doppiere, e si china a baciare le mani di Francesca)
Via, non piangere. Passano i pensieri
tristi. Tu canterai domani. Va'.
BIANCOFIORE
(si volge verso la porta e cammina lentamente)
Dio vi guardi, madonna!
(ultima esce)
S'ode il rumore dell'uscio che si richiude. Francesca, rimasta sola, muove qualche passo verso la portiera: si sofferma in ascolto
FRANCESCA
E così vada s'è pur mio destino!
(trasale udendo battere leggermente alla porta. Spegne col soffio il doppiero; va anelante; chiama sommessa)
O Smaragdi! Smaragdi!
PAOLO
(voce)
Francesca!
Ella apre con un gesto veemente.
Con l'anelito della sete ella si getta nelle braccia dell'amante.
FRANCESCA
Paolo! Paolo!
PAOLO
O mia vita, non fu mai tanto folle
il desiderio mio di te. Sentivo
già venir meno
dentro al core gli spiriti
che vivono degli occhi tuoi. La forza
mi si perdeva nella notte, uscitami
dal petto, come un fiume
terribile di sangue, fragorosa;
e paura n'avea l'anima mia.
Più e più volte lei reclinata bacia sui capelli appassionatamente.
FRANCESCA
Perdonami, perdonami!
Un sonno duro più d'una percossa
mi spezzò l'anima
come uno stelo e parvemi giacere
sulle pietre perduta.
Perdonami, perdonami,
amico dolce! Risvegliata m'hai,
liberata da ogni
angoscia. E non è l'alba;
le stelle non tramontano sul mare;
la state non è morta; e tu sei mio,
et io son tutta tua,
e la gioia perfetta
è nell'ardore della nostra vita.
L'amante la bacia e ribacia insaziabile.
PAOLO
Rabbrividisci?
FRANCESCA
Aperta
è la porta, e vi passa
l'alito della notte. Non lo senti?
Chiudi la porta.
Paolo chiude la porta.
PAOLO
Vieni, vieni, Francesca! Ore di gaudii
lunghe ci son davanti.
Ti trarrò, ti trarrò dov'è l'oblio.
E la notte et il dì saran commisti
sopra la terra come un solo
origliere. Più non avrà potere
sul desiderio il tempo
fatto schiavo.
Egli trae Francesca verso i cuscini di sciamito, presso il davanzale.
FRANCESCA
Baciami gli occhi, baciami le tempie
e le guance e la gola...
tieni, e i polsi e le dita...
così... prendimi l'anima e riversala.
PAOLO
Dammi la bocca. Ancora! Ancora! Ancora!
La donna è abbandonata sui guanciali immemore, vinta. A un tratto, nell'alto silenzio un urto violento scuote l'uscio, come se taluno vi dia di petto per abbatterlo. Sbigottiti, gli amanti sobbalzano e si levano.
GIANCIOTTO
La donna è impietrata da terrore. Palo cerca con gli occhi intorno, tenendo la mano al pugnale. Lo sguardo va al maniglio della cateratta.
PAOLO
(a bassa voce)
Fa' cuore! Fa' cuore! Io mi getto giù
per quella cateratta,
e tu vai ad aprirgli.
Ma non tremare!
Egli apre la cateratta. L'uscio sembra schiantarsi agli urti iterati. Paolo fa per gettarsi giù, mentre la donna gli obbedisce e va ad aprire vacillando.
GIANCIOTTO
Aperto l'uscio, Gianciotto tutto in arme e coperto di polvere, si precipita nella camera furibondo, cercando con gli occhi il fratello. Subito s'accorge che Paolo, stando fuori del pavimento con il capo e le spalle, si divincola ritenuto per la falda della sopravvesta a un ferro della cateratta. Francesca, a quella vista inattesa, getta un grido acutissimo, mentre lo Sciancato si fa sopra l'adultero e lo afferra per i capelli forzandolo a risalire. La Donna gli s'avventa al viso minacciosa.
FRANCESCA
Lascialo! Me, me prendi! Eccomi!
Il marito lascia la presa. Paolo balza dall'altra parte della cateratta e snuda il pugnale. Lo sciancato indietreggia, sguaina lo stocco e gli si avventa addosso con impeto terribile. Francesca in un baleno si getta di tramezzo ai due; ma, come il marito tutto si grava sopra il colpo e non può ritenerlo, ella ha il petto trapassato dal ferro, barcolla, gira su sé stessa volgendosi a Paolo che lascia cadere il pugnale e la riceve tra le braccia.
FRANCESCA
(morente)
Ah, Paolo!
Lo sciancato per un attimo s'arresta. Vede la donna stretta al cuore dell'amante che con le sue labbra le suggella le labbra spiranti. Folle di dolore e di furore, vibra al fianco del fratello un altro colpo mortale. I due corpi allacciati vacillano accennando di cadere; non danno un gemito; senza sciogliersi, piombano sul pavimento. Lo sciancato si curva in silenzio, piega con pena uno de' ginocchi; sull'altro spezza lo stocco sanguinoso.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 01/11/2017
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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