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Francesca da Rimini

FRANCESCA DA RIMINI

Tragedia in quattro atti.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Tito II RICORDI.
Musica di Riccardo ZANDONAI.

Prima esecuzione: 19 febbraio 1914, Torino.


Personaggi:

I figli di Guido Minore da Polenta

FRANCESCA

soprano

SAMARITANA

soprano

OSTASIO

baritono

I figli di Malatesta da Verucchio

Giovanni lo sciancato - GIANCIOTTO -

baritono

PAOLO il bello

tenore

MALATESTINO dall'occhio

tenore

Le donne di Francesca

BIANCOFIORE

soprano

GARSENDA

soprano

ALTICHIARA

mezzosoprano

DONELLA

mezzosoprano

La schiava - SMARAGDI -

contralto

 

SER TOLDO Berardengo

tenore

IL GIULLARE

basso

Il BALESTRIERE

tenore

IL TORRIGIANO

baritono


I Balestrieri e gli Arcieri.
I Musici.

A Ravenna nelle case dei Polentani.
A Rimini nelle case dei Malatesti.


Atto primo

Appare una corte, nelle case dei Polentani, contigua a un giardino che brilla di là da una chiusura di marmi traforati in guisa di transenne. Ricorre per l'alto una loggia che a destra corrisponde con le camere gentilesche e di fronte, aerata sulle sue colonnette, mostra avere una duplice veduta. Ne discende, a manca, una scala leggera. Una grande porta è a destra, e una bassa finestra ferrata; pe' cui vani si scopre una fuga di arcate che circondano un'altra corte più vasta. Presso la scala è un'arca bizantina, senza coperchio, riempita di terra come un testo, dove fiorisce un rosaio vermiglio.

Scena prima

Si vedono le Donne protendersi dalla loggia e discendere giù per la scala, curiose accennando verso il Giullare che porta appesa sul fianco la sua viola e in mano una gonnella vecchia.

GARSENDA

O Donella, Donella, c'è il Giullare

in corte! Biancofiore,

c'è il Giullare! È venuto!

BIANCOFIORE

Facciamolo cantare.

ALTICHIARA

Ohé, sei tu quel Gianni...

IL GIULLARE

Dolci mie donne...

ALTICHIARA

Sei tu quel Gianni che dovea venire

di Bologna? Gian Figo?

GARSENDA

Sei Gordello che vieni di Ferrara?

IL GIULLARE

Donne mie belle, avreste voi un poco...

GARSENDA

Di che? Di lardo?

IL GIULLARE

Avreste voi un poco di scarlatto?

DONELLA

Sei tu per motteggiare? Stiamo accorte.

BIANCOFIORE

Ma tu chi sei? Quel Gianni...

ALTICHIARA

O Biancofiore, guardalo in che panni!

Il farsetto s'azzuffa co' calzari.

GARSENDA

Oh, guardalo, Donella: egli è scampato

solo in panni di gamba.

BIANCOFIORE

Guarda, guarda, Altichiara,

quel che ha per mano.

ALTICHIARA

Un guarnacchino vecchio.

GARSENDA

Ma no, che è una gonnella romagnuola.

ALTICHIARA

Tu sei dunque Gordello e non Gian Figo.

DONELLA

Ma no, ch'egli è un giudeo.

ALTICHIARA

Vendi ciarpe o cantari?

DONELLA

Di': che ci porti? Stracci o sirventesi?

BIANCOFIORE

Lascia tu star la baia, mona Berta!

Or si parrà s'egli saprà cantare.

Su via, giullare

cantaci dunque una bella canzone.

Ne sa madonna Francesca una bella

che incomincia: «Meravigliosamente

un amor mi distringe». Tu la sai?

IL GIULLARE

Sì, la dirò, se avete

un poco di scarlatto.

ALTICHIARA

Ma che vuoi tu con questo tuo scarlatto?

DONELLA

Accorte! Stiamo accorte.

IL GIULLARE

Io vorrei volentieri

che voi mi rappezzaste

questa gonnella.

ALTICHIARA

O che buona ventura!

Or vuoi tu ripezzare il romagnuolo

con lo scarlatto?

IL GIULLARE

Se voi l'avete, fatemi di grazia

questo servigio! Una rottura in petto

ed un'altra sul gomito: ecco qua.

Avete due pezzuole?

ALTICHIARA

Eh, n'abbiam bene; e ti s'acconcerà

se tu ci canterai.

IL GIULLARE

So le storie di tutti i cavalieri

e di tutte le gran cavallarie

che furon fatte al tempo

del re Artù, e spezialmente so

di messer Tristano e di messere

Lancilotto del Lago e di messere

Prizivalle il Gallese che gustò

il sangue del signor nostro Gesù;

e so di Galeasso, di Galvano,

e d'altri e d'altri. So tutti i romanzi.

DONELLA

Oh la tua buona sorte!

Noi lo diremo a Madonna Francesca,

che tanto se n' diletta: et ella certo

ti donerà, giullare, grandemente.

IL GIULLARE

Mi donerà l'avanzo.

GARSENDA

Quale avanzo?

IL GIULLARE

L'avanzo

di quelle due pezzuole di scarlatto.

DONELLA

Ben altro avrai tu: grandissimi doni.

Sta' lieto, ch'ella è sposa,

messer Guido la sposa a un Malatesta.

BIANCOFIORE

Racconta intanto a noi! Siam tutte orecchi.

Tutte si adunano e si protendono verso il giullare che si dispone a dire l'argomento.

IL GIULLARE

Come Morgana manda al re Artù

lo scudo che predice il grande amore

del buon Tristano e Isotta fiorita.

E come Isotta beve con Tristano

il beveraggio, che sua madre Lotta

ha destinato a lei ed al re Marco,

e come il beveraggio è sì perfetto

che gli amanti induce ad una morte.

Le donne stanno in ascolto. Il giullare fa una ricercata sulla viola e canta.

«Or venuta che fue l'alba del giorno,

re Marco e il buon Tristano si levaro...»

OSTASIO

(voce dalla corte interna)

Dite al pugliese ladro,

ditegli ch'io mi laverò le mani

e i piedi nel suo sangue!

ALTICHIARA

Ecco messer Ostasio.

GARSENDA

Via! Via!

Il gruppo delle ascoltanti subito si scioglie. Elle fuggono su per la scala, con risa e strilli; trascorrono per la loggia; scompaiono.

IL GIULLARE

La mia gonnella!

V'accomando la mia gonnella buona,

e lo scarlatto.

ALTICHIARA

(sporgendosi dall'alto della loggia)

Ritorna a mezza nona,

che sarà fatto.

(esce)

Scena seconda

Entra Ostasio da Polenta, per la grande porta del cortile, in compagnia di ser Toldo Berardengo.

OSTASIO

(afferrando il Giullare sbigottito)

Che fai qui, manigoldo?

Con chi parlavi? Con le donne? Come

sei venuto? Rispondimi! Sei tu

di messer Paolo Malatesta? Su,

rispondi.

IL GIULLARE

Signor mio, voi mi serrate

troppo. Ahi!

OSTASIO

Venuto sei con messer Paolo?

IL GIULLARE

No, signor mio.

OSTASIO

Tu menti!

IL GIULLARE

Sì, signor mio.

OSTASIO

Parlavi con le donne.

E che dicevi tu? Parlavi certo

di messer Paolo... Che dicevi?

IL GIULLARE

No,

no, signor mio; ma di messer Tristano.

OSTASIO

Fosti tu mai dai Malatesta, a Rimino?

IL GIULLARE

No, mai, signor mio.

OSTASIO

Dunque

tu non conosci messer Paolo, il bello.

IL GIULLARE

Per mala sorte mai non lo conobbi.

(esce)

Scena terza

Iroso e sospettoso il figlio di Guido trae il Notaro verso l'arca.

OSTASIO

Questi giullari et uomini di corte

sono la peste di Romagna, peggio

che la canaglia imperiale. Lingue

di femminelle, tutto sanno, tutto

dicono; van pe 'l mondo

a spargere novelle e novellette.

S'egli fosse un giullare

dei Malatesti,

già le donne saprebbero di Paolo

ogni novella, e vano

sarebbe ormai l'artifizio che voi,

ser Toldo, consigliaste

da quel gran savio che voi siete.

SER TOLDO

Egli era

sì povero ad arnese

che non mi dà sospetto ch'egli segua

sì grazioso cavaliere, quale

è Paolo, che per uso

largheggia con tal gente.

Ma ben faceste a mettergli il bavaglio.

OSTASIO

Certo non ci daremo pace, avanti

che il matrimonio sia perfetto. E temo,

ser Toldo, che ce ne potrà seguire

scandalo.

SER TOLDO

Voi dovete pur sapere

chi è vostra sorella

e quant'ell'è d'altiero

animo. E s'ella vede quel Gianciotto,

così sciancato e rozzo e con quegli occhi

di dimòne furente,

avanti che il contratto

delle sue sposalizie sia rogato,

non il padre, né voi, né altri certo

potrà mai fare

ch'ella lo voglia per marito.

Dunque se veramente

vi cale questo parentado,

mi parrebbe non esservi altro modo

da tenere, che quello che s'è detto.

E poiché Paolo Malatesta è giunto

come procuratore di Gianciotto

qui, con pieno mandato

a disposare madonna Francesca,

mi parrebbe doversi

procedere alle nozze senz'alcuna

dimora, se volete darvi pace.

OSTASIO

Voi avete ragione,

ser Toldo: ci conviene

troncar gli indugi. Questa sera torna

mio padre da Valdoppio; e noi faremo

che domani sia pronto il tutto.

SER TOLDO

Bene,

messer Ostasio.

OSTASIO

Or su, venite meco,

ser Toldo. Paolo Malatesta attende.

(escono entrambi)

Scena quarta

S'ode venire dalle stanze alte il canto delle Donne.

CORO DELLE DONNE

Ohimè che adesso io provo

che cosa è troppo amore. Ohimè.

Ohimè ch'egli è un ardore

che al cor mi coce. Ohimè.

Si vedono uscire dalle stanze e passare per la loggia Francesca e Samaritana, l'una a fianco dell'altra, l'una all'altra cingendo la cintura col braccio.

FRANCESCA

(sulla scala soffermandosi)

Amor le fa cantare!

Ella abbandona un poco il capo indietro come per cedere al vento della melodia, leggera, e palpitante.

CORO DELLE DONNE

Ohimè penare atroce

ch'al tristo cor si serba. Ohimè.

Francesca ritrae dalla cintura della sorella il suo braccio, e si discosta alquanto come per disciogliersi, arrestandosi mentre quella discende il gradino.

Ohimè che doglia acerba

alla mia vita. Ohimè.

FRANCESCA

(assorta)

Come l'acqua corrente

che va che va, e l'occhio non s'avvede,

così l'anima mia...

SAMARITANA

(con uno sgomento improvviso stringendosi alla sorella)

Francesca, dove andrai? Chi mi ti toglie?

FRANCESCA

Ah, tu mi svegli.

SAMARITANA

O sorella, sorella,

odimi: resta ancora con me! Resta

con me, dove nascemmo!

Non te n'andare! Non m'abbandonare!

Ch'io faccia ancora

il mio piccolo letto accanto al tuo!

Che la notte io ti senta!

FRANCESCA

Egli è venuto!

SAMARITANA

Chi?

Chi mi ti toglie?

FRANCESCA

È venuto, sorella.

SAMARITANA

È senza nome e senza volto. Mai

non lo vedemmo.

FRANCESCA

Forse

io lo vidi.

SAMARITANA

Tu? Quando?

Non mi son mai divisa

da te, dal tuo respiro.

La mia vita non s'ebbe che i tuoi occhi.

Dove potesti

tu vederlo senza di me?

FRANCESCA

Anima cara, piccola colomba,

perché sei tanto sbigottita? Pace,

datti pace! Verrà

in breve anche il tuo giorno,

e te n'andrai dal nostro nido; e mai

più nell'alba il mio sogno

t'udrà correre scalza alla finestra,

mai più ti vedrà bianca a piedi nudi

correre verso la finestra, o piccola

colomba, e dire non t'udrà più mai:

«Francesca, è nata la stella Diana

e vannosene via le Gallinelle».

Biancofiore, Garsenda, Donella e Altichiara escono dalle stanze e si arrestano sulla loggia luminosa guardando il giardino che si stende di là, in atto di spiare.

SAMARITANA

E si vivrà, ohimè,

si vivrà tuttavia!

E il tempo fuggirà,

fuggirà sempre!

FRANCESCA

E si morrà, ohimè,

si morrà tuttavia!

E il tempo fuggirà,

fuggirà sempre!

SAMARITANA

O Francesca, mi fai dolere il cuore

e tutta, guarda

tutta mi fai tremare di spavento.

BIANCOFIORE

(dalla loggia)

O madonna Francesca!

DONELLA

Su, madonna

Francesca!

FRANCESCA

Chi mi vuole?

DONELLA

Venite su! Correte!

ALTICHIARA

Su, su, madonna Francesca, venite

a vedere!

DONELLA

Correte! Passa il vostro

sposo!

BIANCOFIORE

Eccolo che passa per la corte

con il vostro fratello.

ALTICHIARA

Su, su, madonna Francesca! Correte!

È quelli, è quelli!

La figlia di Guido sale di volo per la scala. Samaritana fa l'atto di seguirla, ma s'arresta, senza forze, soffocata.

GARSENDA

(mostrando l'uomo a Francesca che si china a guatare)

Oh avventurata,

avventurata!

Egli è il più bello cavalier del mondo.

DONELLA

È grande! È snello! È la camminatura

alla reale!

BIANCOFIORE

E come bianchi i denti!

Non avete veduto? Non avete

veduto?

GARSENDA

Oh avventurata colei che

gli bacerà la bocca.

FRANCESCA

Tacete!

ALTICHIARA

Se ne va. Passa pe 'l portico.

FRANCESCA

Ah tacete, tacete!

(si volge, si copre la faccia con ambo le mani: poi si discopre e appare trasfigurata. Discende i primi gradini lentamente, poi con rapidità repentina per gettarsi nelle braccia della sorella che l'attende a piè della scala)

Le donne si dispongono in corona sulla loggia.

CORO DELLE DONNE

O dattero fronzuto,

o gentil mio amore,

or che ti par di fare?

Francesca, stretta nelle braccia della sorella, d'improvviso dà in un pianto. Le donne s'interrompono dal cantare.

ALTICHIARA

Madonna piange.

DONELLA

Oh, piange! Perché piange?

BIANCOFIORE

Perché il cuore le duole d'allegrezza.

GARSENDA

Dentro nel cuore

subito la ferì. Ah, s'ella è bella,

egli è pur bello, il Malatesta!

Le donne si spargono per la loggia. Taluna rientra nelle stanze, poi n'esce nuovamente. Tal'altra si pone in vedetta. E favellano a mezza voce, e i loro passi sono senza rumore. Francesca ha levato il volto lagrimoso illuminando d'un riso repentino le sue lacrime.

SAMARITANA

O Francesca, Francesca, anima mia,

chi hai veduto? Chi hai tu veduto?

FRANCESCA

Chi ho veduto?

Ah tu ora, tu ora

pigliami, cara sorella, tu ora

pigliami, e me con te!

Portami nella stanza

e chiudi la finestra,

e dammi un poco d'ombra,

e dammi un sorso d'acqua,

e ponimi sul tuo piccolo letto,

e con un velo ricoprimi, e fa

tacere queste grida, fa tacere

queste grida e il tumulto

che ho nell'anima mia!

GARSENDA

(irrompendo sulla loggia precipitosamente)

Viene! Viene! Madonna

Francesca, ecco che viene dalla parte

del giardino.

Biancofiore, Donella, Altichiara ed altre donne sopraggiungono, curiose e giulive; e tutte hanno intorno al capo ghirlanda per allegrezza; e traggono seco inghirlandati tre donzelli Sonatori di liuto di violetta e di piffero.

FRANCESCA

(pallida di spavento e agitata, come fuor di sé)

No, no! Correte, donne,

correte, ch'ei non venga! No! Correte,

donne, andategli incontro!

Andategli incontro, e

ditegli ch'io lo saluto!

LE DONNE

Eccolo! Eccolo!

È qui presso, è qui presso.

Sospinta dalla sorella, Francesca fa per salire la scala; ma ecco ch'ella vede da presso, di là della chiusura, apparire Paolo Malatesta. Ella rimane immobile ed egli si ferma tra gli arbusti; e stanno l'uno di contro l'altro, divisi dal cancello, guardandosi senza parola e senza gesto. I Sonatori sui loro strumenti intonano. Le Donne scendono nella corte e si dispongono in corona dietro a Francesca.

CORO DELLE DONNE

Per la terra di maggio

l'arcadore in gualdana

va caendo vivanda.

A convito selvaggio

in contrada lontana

un cor si domanda...

Francesca si separa dalla sorella e va lentamente verso l'arca. Coglie una grande rosa vermiglia, poi si rivolge; e, di sopra alla chiusura, la offre a Paolo Malatesta. Samaritana a capo chino se ne va su per la scala piangendo. Le donne inghirlandate seguono il canto.

Atto secondo

Appare una piazza d'una torre rotonda, nelle case dei Malatesti.

Due scale laterali di dieci gradini salgono dalla piazza al battuto della torre: una terza scala fra le due, scende ai sottoposti solai, passando per una botola. Si scorgono i merli quadri di parte guelfa muniti di bertesche e di piombatoie. Un mangano poderoso leva la testa dalla sua stanga e allarga il suo telaio di canapi attorti. Balestre grosse a bolzoni e verrettoni a quadrelli, baliste, arcubaliste e altre artiglierie di corda sono postate in giro con lor martinetti girelle torni arganelli lieve. La cima della torre malatestiana irta di macchine e d'armi campeggia nell'aria torbida dominando la città di Rimino donde spuntano soli in lontananza i merli a coda di rondine che coronano la più alta torre ghibellina. Alla parete destra è una porta; alla sinistra una stretta finestra imbertescata che guarda l'Adriatico.

Scena prima

Si vede nell'andito il Torrigiano, occupato ad attizzare le legna sotto una caldaia fumante. Egli ha ordinato contro la muraglia le cerbottane, i sifoni, le aste delle rocche a fuoco e delle falariche e accumulato intorno ogni sorta di fuochi lavorati. Sulla torre, presso il mangano, un giovane Balestriere sta alle vedette.

IL TORRIGIANO

È ancora sgombro il campo del comune?

BALESTRIERE

Pulito come il mio targone.

IL TORRIGIANO

Ancora

nessun si mostra!

Scena seconda

Francesca entra dalla porta destra e s'avanza lungo la parete fino al pilastro che regge l'arco.

FRANCESCA

Berlingerio!

IL TORRIGIANO

(sobbalzando)

Chi

chiama? Oh madonna Francesca!

Il balestriere ammutolisce e resta attonito a guardarla, poggiato al mangano.

FRANCESCA

È salito

alla mastra messer Giovanni?

IL TORRIGIANO

No,

non ancora, madonna. L'aspettiamo.

FRANCESCA

(accostandosi)

E nessun altro?

IL TORRIGIANO

Nessun altro, madonna.

FRANCESCA

E tu che fai?

IL TORRIGIANO

Preparo fuoco greco,

rocche, rocchette, pentole e diverse

altre carezze per i Parcitadi.

FRANCESCA

(guardando con meraviglia la materia che bolle nella caldaia)

Il fuoco greco! Chi si salva? Non

l'avevo mai veduto. È vero che

non si conosce alla battaglia strazio

più terribile? È vero

che arde nel mare,

arde nei fiumi,

brucia le navi,

brucia le torri,

soffoca, ammorba

secca repente il sangue

dell'uomo, fa

delle carni e dell'ossa

una cenere nera,

trae dallo strazio

dell'uomo urli di belva

che impazzano i cavalli

e impietrano i più prodi?

IL TORRIGIANO

Morde e divora

ogni genia di cose vive e morte.

FRANCESCA

Ma come siete voi

osi di maneggiarlo?

IL TORRIGIANO

Noi n'avemmo licenza

da Belzebù che è il prencipe del demoni

e viene parteggiando

pe' i Malatesti.

FRANCESCA

(si avvicina alla botola in cui scende la scala della torre, e ascolta vigile)

Qualcuno sale per la scala. Chi

è che sale?

IL TORRIGIANO

Madonna,

forse è messer Giovanni.

FRANCESCA

(china verso la cateratta)

Chi sei tu?

Chi sei tu?

PAOLO

(voce)

Paolo!

Francesca s'ammutolisce indietreggiando.

Scena terza

Paolo sale i gradini rapidamente e si volge alla Cognata che s'è ritratta verso la muraglia. Il Balestriere torna alla vedetta.

PAOLO

Francesca!

FRANCESCA

Date il segno, Paolo, date

il segno. Non temete

di me, Paolo. Lasciate ch'io rimanga

a udir lo scocco

delle balestre.

Donarmi un bello elmetto

voi dovreste, signore mio cognato.

PAOLO

Ve 'l donerò.

FRANCESCA

Tornato di Cesena

siete?

PAOLO

Tornato di Cesena oggi.

FRANCESCA

Smagrato siete un poco e impallidito

anche un poco, mi sembra.

PAOLO

Medicina non chiedo, erba non cerco

per sanarmi, sorella.

FRANCESCA

Un'erba, un'erba io m'avea, per sanare,

in quel giardino dove entraste un giorno

vestito d'una veste che si chiama

frode nel dolce mondo.

PAOLO

Non la vidi,

né seppi dov'io fossi

né chi mi conducesse in quel cammino,

ma sol vidi una rosa

che mi si offerse più viva che il labbro

d'una fresca ferita, e un canto giovine

udii nell'aria.

FRANCESCA

Videro

gli occhi miei l'alba,

la videro i miei occhi

sopra di me con l'onta

e con l'orrore.

PAOLO

Onta et orrore sopra

di me! La luce

non mi trovò dormente.

La pace era fuggita

dall'anima di Paolo Malatesta

e tornata non è, né tornerà

più mai, più mai.

Come debbo io morire?

FRANCESCA

Come lo schiavo al remo

nella galea che ha nome Disperata,

così dovete voi morire.

S'odono i tocchi della campana di Santa Colomba. Entrambi gli immemori trasalgono.

FRANCESCA

Ah dove siamo noi? Chi chiama? Paolo,

che fate?

(il Torrigiano e il Balestriere, intenti a caricare le balestre e a incoccare le aste dei fuochi lavorati, balzano al suono)

IL TORRIGIANO

Il segno! Il segno!

È la campana di Santa Colomba!

BALESTRIERE

A fuoco! A fuoco! Viva Malatesta!

Egli accende una falarica e la scaglia verso la città. Dalla botola sale gridando a furia uno stuolo di Balestrieri; occupa la piazza della torre e dà mano alle armi e alle macchine.

I BALESTRIERI

Viva messer Malatesta e la parte

guelfa! Mora messer Parcitade, e

i ghibellini!

Dai merli è un grande saettare di fuochi che infiammano l'aria caliginosa. Paolo Malatesta si toglie dal capo l'elmetto e lo dà alla cognata.

PAOLO

Ecco l'elmetto che io vi dono.

FRANCESCA

Paolo!

Paolo sale di corsa alla torre. La sua testa chiomata soverchia la Gente d'arme che travaglia. Francesca gittato il dono, lo insegue chiamandolo tra lo scocco e il clamore.

PAOLO

Datemi una balestra!

FRANCESCA

Paolo! Paolo!

PAOLO

Una balestra! Un arco!

FRANCESCA

Paolo! Paolo!

Un Balestriere stramazza con la gola forata da un quadrello avverso.

IL TORRIGIANO

Madonna, ritraetevi, per dio,

che si comincia a mordere il battuto

qui. Qui si muore.

Alcuni Balestrieri alzano i vasti pavesi dipinti e fanno impedimento alla Donna che vuol raggiungere Paolo.

I BALESTRIERI

Viva! La torre Galassa risponde.

Viva messer Malatesta e la parte

guelfa! Verucchio!

Verucchio!

Francesca tenta di respingere i Balestrieri che le impediscono il passo. Paolo avendo tolto una balestra, ritto sul murello, saetta a furia, esposto ai colpi avversi, come un forsennato.

FRANCESCA

Paolo!

Paolo si volge al grido e scorge la Donna fra il vampeggiare dei fuochi. Toglie il pavese d'un Balestriere e la copre.

PAOLO

Ah, Francesca, scendete! Che demenza

è questa?

Egli la spinge giù da una delle scale laterali. Ella, di sotto al pavese dipinto, guata la faccia del cognato furente e bella.

FRANCESCA

Voi demente! Voi demente!

PAOLO

E non debbo io morire?

(egli getta il pavese e tiene la balestra)

FRANCESCA

Non è l'ora,

non è venuta l'ora.

I balestrieri scendono per la scala laterale sinistra e postano le balestre ai pertugi della muraglia. Le campane suonano a stormo. S'odono squilli di trombe lontane.

I BALESTRIERI

Verucchio! Viva Malatesta viva

la parte guelfa!

PAOLO

Sì, questa è l'ora, se voi mi guardate

spirare, se mi sollevate il capo

da terra con le vostre mani.

(on un gesto impetuoso egli trae la donna verso la finestra imbertescata e le porge la funicella che pende dalla cateratta)

Alzate

la bertesca.

Paolo raccoglie un fascio di dardi e lo getta ai piedi di Francesca. Poi carica la balestra. Francesca solleva con la fune la bertesca, e per il varco appare il gran mare splendente dell'ultima luce. Paolo pone la balestra a mira e scocca.

FRANCESCA

Né più l'abbasserò.

Questo cimento

è il giudizio di dio per la saetta.

Fratello in dio, la macchia della frode

che hai sull'anima tua,

perdonata ti sia con grande amore.

Tenendo nelle mani tesa la fune, ella s'inginocchia e fa preghiera, con le pupille sbarrate e fisse al capo inerme di Paolo. La bertesca alzata lascia vedere il mare splendente. Il saettatore carica l'arme e scocca, senza tregua. Di tratto in tratto le verrette ghibelline entrano per la finestra e battono nel muro di contro e cadono sul pavimento senza ferire. La crudeltà dell'ambascia sconvolge il viso della pregante. Le sillabe muovono appena le sue labbra trascolorate.

Padre nostro

che sei nei cieli,

santificato sia

il nome tuo,

avvenga il regno tuo,

tua volontà si faccia

in cielo come in terra.

Padre dà oggi a noi

il pane nostro

cotidiano.

E a noi perdona i nostri

peccati come noi

perdoniamo ad altrui;

e non c'indurre

nella tentazione

ma guardaci dal male.

E così sia.

Paolo avendo scagliato alcuni dardi, prende la mira con più acuta volontà come per far colpo maestro; e scocca. S'ode il clamore ostile.

PAOLO

(con atroce gioia)

Ah, Ugolino, in mal luogo t'ho colto!

Grande intanto sulla torre è la gazzarra dei Balestrieri. Taluni trasportano a braccia giù per la botola gli uccisi e i feriti.

I BALESTRIERI

Ah! messer Ugolino

Cignatta è stramazzato da cavallo,

è morto! È morto!

Vittoria a Malatesta!

Un dardo rasenta il capo di Paolo Malatesta, passandogli attraverso la chioma. Francesca getta un grido, abbandonando la fune; e balza in piedi, prende fra le mani il capo del cognato credendolo trafitto, gli cerca tra i capelli la ferita. Più la sbigottisce il pallore mortale che si sparge sul volto di lui in quell'atto. La balestra cade a terra.

FRANCESCA

Paolo! Paolo!

(ella si guarda le mani per vedere se il sangue le tinge. Sono bianche. Di nuovo cerca, con grande affanno)

Che mai è questo, o dio?

Paolo! Paolo! Non sanguini, non hai

stilla di sangue sul tuo capo, e sembra

che tu ti muoia! Paolo!

PAOLO

(soffocatamente)

Ah non mi muoio!

Francesca. Ferro

non m'ha toccato!

FRANCESCA

Salvo, salvo e puro!

Inginocchiati.

PAOLO

Ma le vostre mani

toccato m'hanno, e l'anima disfatta

m'è dentro il cuore, e forza

più non ho d'esser vivo.

FRANCESCA

Inginocchiati!

PAOLO

Dopo che ho vissuto

di sì veloce forza,

FRANCESCA

Pe 'l tuo capo inginocchiati! Inginocchiati,

e rendi grazie a dio!

PAOLO

Tutto raccolto intorno

al mio cuor furibondo il mio coraggio

e tutta dentro chiusa

la potenza del mio malvagio amore.

FRANCESCA

Perduto! Sei perduto!

Di' che sei folle! Pe 'l tuo capo, di'

che sei folle e che l'anima tua misera

non udì la parola della tua

bocca.

I BALESTRIERI

Vittoria!

Viva messer Giovanni Malatesta!

Scena quarta

Lo Sciancato è apparso per la botola, sulla scala della torre mastra, tutto in arme, con una verga sardesca nella mano. Egli sale i gradini zoppicando e, com'è sulla cima, leva in alto quel suo terribile spiedo, mentre l'aspra sua voce fende il clamore.

GIANCIOTTO

Per dio, gente poltrona,

razzaccia sgherra,

io son capace

di manganarvi tutti giù nell'Ausa

come carogne.

FRANCESCA

Il tuo fratello!

Paolo raccatta la balestra.

GIANCIOTTO

Più presti siete

a far gazzarra

che a travagliar le cuoia ghibelline.

Chi era alla finestra imbertescata?

I BALESTRIERI

Viva messer Giovanni Malatesta!

Viva messer Giovanni lo Scontento!

Paolo raccatta il suo elmetto, e, copertosi il capo, va verso la torre. Francesca trapassa verso la porta onde venne, l'apre e si chiude nel vano a parlare.

GIANCIOTTO

(ai balestrieri)

Tacete, che la lingua vi si secchi!

Non amo la gazzarra. Orsù, bisogna

manganare una botte grande. Di'

Berlingerio, dov'è

il mio fratello Paolo?

Smaragdi appare all'uscio; poi udito un ordine sommesso della sua signora, dispare. Francesca rimane alla soglia.

PAOLO

Eccomi. Sono qui, Giovanni. Io era

quelli della finestra imbertescata.

GIANCIOTTO

(si volge alla gente d'arme)

Tal colpo esser dovea

di man d'un Malatesta,

balestratori di millanterie.

La schiava ricompare con un'anguistara e una coppa. Francesca ritorna verso il marito per mostrarsi. Gianciotto scende verso il fratello.

GIANCIOTTO

Paolo, buone novelle

io ti reco.

(egli scorge la sua donna. Subito la sua voce trova un accento più dolce)

Francesca!

FRANCESCA

Salute a voi, signore, che recate

la vittoria.

GIANCIOTTO

(le va incontro e l'abbraccia)

Mia cara donna, come

ora vi ritrovate in questo luogo?

FRANCESCA

(ella repugna all'abbraccio)

Gran sete voi dovete avere.

GIANCIOTTO

Sì,

ho gran sete.

FRANCESCA

Smaragdi, porta il vino.

(la schiava si appressa con l'anguistara e la coppa)

GIANCIOTTO

(con attonita gioia)

E come, donna, aveste voi pensiero

della mia sete? Cara donna mia!

(Francesca versa il vino e porge la coppa al marito. Paolo è in disparte, silenzioso, a vigilare la gente che appresta la botte incendiaria)

FRANCESCA

Ecco, bevete. È vino

di Scio.

GIANCIOTTO

Prima bevete, in grazia, un sorso.

(Francesca accosta le labbra alla coppa)

È dolce cosa

rivedere la vostra faccia, dopo

la battaglia, e da voi avere offerta

una coppa di vin possente, e beverla

d'un fiato,

(egli vuota la coppa)

così. Tutto si rallegra

il cuore. E Paolo?

Paolo, vieni. Non hai tu sete? Lascia

il fuoco greco per il vino greco.

Donna, versategli una piena coppa

e bevetene un sorso anco, per fargli

onore, e salutatelo, il perfetto

saettatore.

FRANCESCA

Salutato già

io l'avea.

GIANCIOTTO

Quando?

FRANCESCA

Quando saettava.

Bevete, mio cognato, nella coppa

dove ha bevuto il fratel vostro. E buona

ventura iddio vi dia,

all'uno come all'altro, et anche a me!

(Paolo beve guardando Francesca nelle pupille)

GIANCIOTTO

Buona ventura! Paolo

già te lo dissi e poi non seguitai:

lieta novella ti do. Sono giunti

in ora di vittoria

al magnifico nostro padre i messi

fiorentini che te dicono eletto

capitano del popolo

e del comune di Firenze.

PAOLO

Sono

giunti i messi!

GIANCIOTTO

Son giunti. Te ne duoli?

PAOLO

No, partirò.

Francesca volge la faccia nell'ombra e muove qualche passo verso la torre. La schiava si trae in disparte e resta immobile.

FRANCESCA

(dal fondo)

Sciagura,

sciagura! Non vedete? Non vedete

Malatestino, là, Malatestino

portato a braccia dagli uomini d'arme,

con le fiaccole? Ucciso l'hanno al padre!

Malatestino ferito viene portato su a braccia per la scala della torre tra fiaccole accese, in sembiante di cadavere. L'ombra si fa più folta.

Scena quinta

Francesca accorre verso la compagnia che discende per una delle scale laterali passando tra i balestrieri, i quali tralasciano l'opera e fanno ala silenziosi. Gianciotto e Paolo accorrono. Due arcieri portano di peso il giovinetto sanguinoso. Quattro arcieri dai lunghi turcassi l'accompagnano con le fiaccole.

FRANCESCA

(chinandosi sul giovinetto)

Malatestino! Oh dio,

egli ha l'occhio crepato,

tutto nero di sangue...

I Portatori adagiano il corpo di Malatestino sopra un fascio di corde.

Gianciotto palpa il corpo del giovine Fratello e gli ascolta il cuore.

GIANCIOTTO

Francesca, no, non è morto! Respira

e il cuore ancora gli batte. Vedete?

Riviene. Il colpo tramortito l'ha

un poco; ma rinviene.

(osservando la ferita)

Pietra scagliata a mano, non da fionda.

Via, non è nulla.

(lo bacia in fronte)

Malatestino!

Il giovinetto si riscuote, riprende gli spiriti.

Bevi, Malatestino!

Francesca versa tra le labbra del Giovinetto qualche stilla di vino. Paolo segue con gli occhi avidi tutti i gesti di lei. Malatestino scrolla il capo; e, al dolore, fa l'atto di alzare verso il sinistro occhio ferito la mano ancora chiusa nella manopola. La Cognata gli ferma il gesto.

MALATESTINO

(come uno che si svegli di subito, con violenza)

Fuggirà, fuggirà... Non è sicura

la prigione... Io vi dico ch'ei saprà

fuggire... Padre, datemi licenza

ch'io gli tagli la gola! Io ve l'ho preso.

GIANCIOTTO

Malatestino, non mi riconosci?

Montagna è in buoni artigli. Sta' sicuro

che non ci sfuggirà.

MALATESTINO

Giovanni, dove

sono? Oh, cognata, e voi?

(egli leva ancora la mano all'occhio percosso)

Che m'ho nell'occhio?

GIANCIOTTO

Un buon colpo di pietra

t'hanno accoccato.

FRANCESCA

Senti gran dolore?

MALATESTINO

(si alza in piedi e scrolla il capo)

Sassate di saccardi ghibellini

non hanno da dolere.

Mettetemi una fascia

e datemi da bere:

e a cavallo, a cavallo!

Francesca si toglie la benda che le chiude le gote e gli fascia l'occhio.

GIANCIOTTO

Ci vedi?

MALATESTINO

Uno mi basta.

I BALESTRIERI

(eccitati dal coraggio del giovinetto)

Viva, viva

messer Malatestino Malatesta!

MALATESTINO

A cavallo, a cavallo!

Esce correndo seguito dagli arcieri con le torce.

GIANCIOTTO

(volgendosi ai balestrieri)

Su! La botte! La botte!

È pronto il tutto?

Egli va verso la torre, a guidare l'operazione del mangano. S'ode il grido gutturale con cui gli Uomini accompagnano lo sforzo del sollevare la botte incendiaria e del caricare il mangano. Di sopra i merli, la vampa delle arsioni si spande nel cielo e cresce. Le campane suonano a stormo. S'odono squilli di trombe.

GIANCIOTTO

(sulla torre)

Pronto? Scarica! Scarica!

S'ode lo strepito del mangano che scaglia a distanza la botte provvista della miccia accesa.

I BALESTRIERI

Vittoria a Malatesta!

Viva la parte guelfa! Mora, mora

il Parcitade con i ghibellini!

Paolo va verso la torre ov'è ricominciato il getto delle rocche e delle falariche. Francesca, rimasta sola nell'ombra si fa il segno della croce, cadendo sui ginocchi e prostrandosi fino a terra. In fondo, un chiarore più violento illumina il cielo.

A fuoco! A fuoco! Mora il Parcitade!

A fuoco! Mora il Ghibellino! Viva

la parte guelfa! Viva Malatesta!

Le saette incendiarie partono a volo tra i merli. Le campane suonano a stormo. Le trombe squillano tra la gazzarra nelle vie della città arsa e insanguinata.

Atto terzo

Appare una camera adorna, vagamente scompartita da formelle che portano istoriette del romanzo di Tristano, tra uccelli fiori frutti imprese. Ricorre sotto il palco, intorno alle pareti, un fregio a guisa di festone dove sono scritte alcune parole d'una canzonetta amorosa

«Meglio m'è dormir gaudendo

c'avere penzieri vegghiando.»

A destra, nell'angolo, è un letto nascosto da cortine ricchissime; a sinistra, un uscio coverto da una portiera grave; in fondo, una finestra che guarda il mare Adriatico. Dalla parte dell'uscio è, sollevato da terra due braccia, un coretto per i musici con compartimenti ornati da gentili trafori. Presso la finestra è un leggio con suvvi aperto il libro della «Historia di Lancillotto del lago», composto di grandi membrane alluminate che costringe la legatura forte di due assicelle vestite di velluto vermiglio. Accanto v'è un lettuccio, una sorta di ciscranna senza spalliera e bracciuoli, con molti cuscini di sciamito, posto quasi a paro del davanzale, onde chi vi s'adagi scopre tutta la marina di Rimino. Su un deschetto è uno specchio d'argento a mano, tra ori canne coppette borse cinture e altri arredi. Grandi candelieri di ferro s'alzano presso il coretto. Scannelli e predelle sono sparsi all'intorno; e dal mezzo del pavimento sporge il maniglio di una cateratta, per la quale di questa camera si può accendere in un'altra.

Scena prima

Si vede Francesca davanti al libro, in atto di leggere. Le Donne sedute sulle predelle in fondo trapungono gli orli di un sopralletto, ascoltando l'istoria; e ciascuna porta appeso alla cintura un alberello di vetro pieno di perle minute e di stricche d'oro. Il sole del nascente marzo batte sullo zendado chermisino e ne trae un bagliore diffuso che accende i volti chinati all'opra dell'ago. La Schiava è presso al davanzale ed esplora attentamente il cielo.

FRANCESCA

(leggendo)

E Galeotto dice: «dama, abbiatene

pietà». «Ne avrò» dice ella «tal pietà,

come vorrete; ma non mi richiede

di niente»...

Le donne ridono. Francesca si getta sui cuscini di sciamito, torbida e molle.

GARSENDA

Madonna,

come mai era tanto vergognoso

il cavaliere Lancillotto?

BIANCOFIORE

Mentre

la povera reina si struggeva

di dargli quello ch'ei non dimandava!

DONELLA

Dirgli doveva: «o cavalier valente,

vostra malinconia non val niente».

FRANCESCA

Donella, taci! Stanca

sono di trastullarmi con le vostre

ciance. Smaragdi, lo sparviero torna?

SMARAGDI

Dama, non torna: s'è sviato.

Francesca si sporge dalla finestra e spia.

DONELLA

Certo

si perderà, Madonna.

Male faceste a togliergli la lunga.

FRANCESCA

Corri, Donella,

dallo strozziere e digli l'avvenuto,

che lo cerchi per tutto.

Donella lascia l'ago e s'invola.

BIANCOFIORE

(come intonando una canzone a ballo)

«Nova in calen di marzo

o rondine, che vieni

dai reami sereni d'oltremare»...

FRANCESCA

Oh, sì, sì, Biancofiore,

la musica, la musica!

Le donne si levano leste a ripiegare lo zendado.

FRANCESCA

Cerca di Simonetto, Biancofiore.

BIANCOFIORE

Sì, madonna.

FRANCESCA

E voglio una ghirlanda

di violette.

Oggi è calen di marzo.

BIANCOFIORE

Voi l'averete, madonna, e leggiadra.

FRANCESCA

Andatevi con dio.

(escono tutti)

Scena seconda

Francesca si volge alla schiava che spia ancora il cielo per la finestra.

FRANCESCA

O Smaragdi, non torna?

SMARAGDI

Dama, non torna.

Non ti rammaricare.

FRANCESCA

Ah, Smaragdi, che vino mi recasti

quella sera, alla torre mastra, quando

la città era in arme? Affatturato?

SMARAGDI

Dama, che dici?

FRANCESCA

Come

se tu recato avessi un beveraggio

perfido, il mal s'apprese

alle vene di quelli che bevvero,

e la mia sorte si rincrudelì.

SMARAGDI

Calpestatemi! Calpestatemi! Tra due

pietre schiacciami il capo.

FRANCESCA

Su, levati! Non hai colpa mia povera

Smaragdi, non hai colpa.

Ah ragione mia, reggi

e non dare la volta!

Chi mi possiede? Un demone mi tiene.

Non so pregare, non so più pregare...

SMARAGDI

(a bassa voce)

Vuoi che lo chiami?

FRANCESCA

(trasalendo)

Chi?

L'hai tu veduto montare a cavallo,

messer Giovanni?

SMARAGDI

Sì, dama,

col vecchio e con messer Malatestino.

FRANCESCA

Io n'ho paura. Guardami da lui!

SMARAGDI

Di chi paura hai tu, dama?

FRANCESCA

Paura

ho di Malatestino.

SMARAGDI

Ti spaventa

forse quell'occhio suo cieco?

FRANCESCA

No, l'altro,

quello che vede. È terribile.

SMARAGDI

Dama,

non disperare! Ascolta,

ascolta. Io getterò

una sorte su chi ti fa paura.

Conosco il beveraggio che allontana

e dismemora. Tu gliel'offrirai...

T'insegnerò l'incanto...

Scena terza

Irrompono nella stanza le Donne, seguite dai Musici. Donella porta quattro ghirlandette di narcisi bianchi, sospese a un filo d'oro che insieme le lega.

DONELLA

Abbiamo i suonatori

per la canzone a ballo,

con cennamella piffero liuto

ribecco e monacordo.

Eretta fra le cortigiane, Francesca guarda come trasognata e non sorride né parla.

BIANCOFIORE

(avanzandosi)

Et ecco la ghirlanda

di violette.

(le offre la ghirlanda, con un atto di grazia)

Possa malinconia con ciò passare!

Francesca la prende, mentre Altichiara toglie dal deschetto lo specchio e lo tien levato dinanzi al viso di lei che s'inghirlanda. La schiava lentamente scompare dall'uscio.

GARSENDA

Oggi è calen di marzo! Il canto vuol

ballo, e il ballo vuol canto.

Su, Simonetto, intona!

I Musici sulla tribuna cominciano un preludio. Donella scioglie il filo d'oro e distribuisce le ghirlande di narcisi alle compagne, che s'inghirlandano; e tiene per sé l'una che porta due alette di rondine, segno d'officio singolare. Biancofiore trae da una reticella quattro rondini di legno dipinto che hanno sotto il petto una specie di manico breve, e ne dà una a ciascuna Compagna; la quale atteggiandosi alla danza, la tiene impugnata e sollevata nella sinistra mano.

BIANCOFIORE E GARSENDA

Marzo è giunto e febbraio

gito se n'è col ghiado.

Or lasceremo il vaio

per veste di zendado,

e andrem passando a guado

acque di rii novelli

tra chinati arboscelli verzicanti,

con stromenti e con canti in compagnia

di presti drudi o nella prateria

iscegliendo viole

ove redole più l'erba, de' nudi

piedi che al sole v'ebbe primavera.

ALTICHIARA E DONELLA

Deh creatura allegra,

conduci, questa danza

in veste bianca e negra

com'è tua costumanza.

Poi fa qui dimoranza

nella camera adorna

ch'è chiara quando aggiorna e quando annotta

per l'istoria d'Isotta fior d'Irlanda,

che vi si vede: e sieti una ghirlanda

nido, né ti rincresca,

poiché la fresca donna che qui siede

non è Francesca ma sì

Le Danzatrici con rapido giro si volgono tutte a Francesca disponendosi in una fila e tenendo l'una mano, che tiene la rondine, e l'altra verso di lei; e cantano assieme l'ultima parola della stanza:

TUTTE

Primavera!

Al principiare della volta (poi fa qui dimoranza) riappare sull'uscio la Schiava. Mentre i Musici fanno la chiusa, ella si avvicina lentamente alla Dama e le sussurra qualcosa che subito la turba ed agita.

FRANCESCA

Andate in allegrezza per la corte,

fino a vespro. Conducili, Donella.

Felice primavera!

I Musici discendono dal coretto sonando ed escono. Le Donne inchinano la dama e van dietro ai suoni, con sussurri, con risa. La Schiava rimane. Francesca s'abbandona alla sua ansietà. Dà qualche passo per la stanza, smarritamente. Con un moto subitaneo, va a chiudere le cortine dell'alcova, che sono disgiunte e lasciano intravedere il letto. Poi si accosta al leggio, getta uno sguardo al libro aperto; ma nel volgersi, con un lembo del suo vestimento ella smuove il liuto che cade e geme a terra. Trasale, sgomentata.

No, Smaragdi, no! Va', va', corri e digli

che non venga!

(s'odono i suoni lontanare. La schiava va verso la porta. Francesca fa un gesto verso di lei come per trattenerla.

Smaragdi!

La Schiava esce. Dopo alcuni attimi, una mano solleva la portiera: ed appare Paolo Malatesta. L'uscio dietro di lui si chiude.

Scena quarta

I due Cognati si guardano, nel primo istante, senza trovar parola, entrambi scolorando. Ancora s'odono i suoni lontanare per il palagio. Dalla finestra la camera s'inaura del giorno che declina.

FRANCESCA

Benvenuto, signore mio cognato.

PAOLO

Ecco, son venuto, avendo udito

i suoni, per portarvi il mio saluto,

il saluto del mio ritorno.

FRANCESCA

Assai

presto siete tornato: con la prima

rondine. Le mie donne

eran qui che cantavan la ballata

per salutare il marzo.

PAOLO

Di voi, Francesca,

novelle mai non m'ebbi

laggiù. Nulla più seppi

di voi, da quella sera perigliosa

che m'offeriste una coppa di vino

e mi diceste addio

con la buona ventura.

FRANCESCA

Non m'è nella memoria

questo, signore. Io ho molto pregato.

PAOLO

Non vi sovviene?

FRANCESCA

Io ho molto pregato.

PAOLO

Io ho molto sofferto.

FRANCESCA

Paolo, datemi pace!

È dolce cosa vivere obliando,

almeno un'ora, fuor della tempesta

che ci affatica.

Non richiamate, prego,

l'ombra del tempo in questa fresca luce

che alfine mi disseta.

Pace in questo mare

che tanto era selvaggio

ieri, et oggi è come la perla. Datemi,

datemi pace!

PAOLO

Inghirlandata

di violette m'appariste ieri

a una sosta, in un prato

dove mi ritrovai

io solo, dilungandomi gran tratto

dalla scorta. Appariste

con le viole; e vi tornò sul labbro

una parola che da voi fu detta:

perdonato ti sia con grande amore!

FRANCESCA

Tal parola fu detta,

e la gioia perfetta se n'attende...

Ora sedete qui alla finestra.

Sedete qui. Parlatemi di voi.

Come avete vissuto?

PAOLO

Perché volete voi

ch'io rinnovi nel cor la miseria

di mia vita? Mi fu a noia, e spiacque

tutto ch'altrui piaceva.

Nemica ebbi la luce,

amica ebbi la notte,

ove su dal silenzio di me stesso

nata e dal fondo dell'eterna doglia,

simile alla sorgente che disseta

e simile alla fiamma che riarde,

freschezza e incendio, lenimento e piaga,

or torbida ruggente come fiaccola,

or mite come lampada,

una visitatrice

si chinava su me, quasi a nutrirsi

dell'assidua mia veglia;

e, quando si partiva

al tremar delle stelle,

non più foco né fonte

era, ma il vostro viso...

FRANCESCA

Ah, Paolo, Paolo!

PAOLO

...il vostro viso

mostrava ella nudato al mio dolore.

FRANCESCA

Paolo, se perdonato

vi fu, perché vi rilampeggia ancora

sotto i cigli la colpa?

Ahi, che già sento all'arido

fiato sfiorir la primavera nostra!

(ella si toglie dal capo la ghirlanda e la pone sul libro aperto ch'è da presso)

PAOLO

Ora perché vi togliete dal capo

la ghirlanda?

FRANCESCA

Ho sentito

che già non è più fresca.

PAOLO

(s'accosta al leggio e si china sul libro)

Ah la parola che i miei occhi incontrano!

E Galeotto dice: «dama, abbiatene

pietà». «Ne avrò» dice ella «tal pietà,

come vorrete; ma non mi richiede

di niente»... Volete seguitare?

FRANCESCA

Guardate il mare come si fa bianco!

PAOLO

Leggiamo qualche pagina, Francesca!

(leggendo)

«Certamente, dama» dice

allora Galeotto «ei non si ardisce,

né vi domanderà mai cosa alcuna

per amore, perché teme».

Et ella dice...

(trae leggermente Francesca per la mano)

Ora leggete voi

quel ch'essa dice. Siate voi Ginevra.

(le loro fronti si avvicinano chinandosi sul libro)

FRANCESCA

(leggendo)

«Certamente, dice essa, io gli prometto:

ma che egli sia mio et io tutta sua,

e che emendate sien tutte le cose

mal fatte»... Basta, Paolo.

PAOLO

No! No! Leggete ancora.

I loro volti pallidi sono chini sul libro, così che le guance quasi si sfiorano.

FRANCESCA

(seguitando soffocatamente)

«E la reina vede il cavaliere

che non ardisce di fare di più.

Tra le braccia lo serra lungamente

lo bacia in bocca»...

Egli fa quell'atto istesso verso la cognata, e la bacia. Quando le bocche si disgiungono, Francesca vacilla e s'abbandona sui guanciali.

PAOLO

Francesca!

FRANCESCA

(con la voce spenta)

No, Paolo!

Atto quarto

Parte prima.

Appare una sala ottagona, di pietra bigia, con cinque de' suoi lati in prospetto. In alto, sulla nudità della pietra, ricorre un fregio di liocorni in campo d'oro. Nella parete di fondo è un finestrone invetriato che guarda le montagne, fornito di sedili nello strombo. Nella parete che con quella fa angolo obliquo, a destra, è un usciolo ferrato per dove si discende alle prigioni sotterranee. Contro la corrispondente parete, a sinistra, è una panca con alta spalliera, dinanzi a cui sta una tavola lunga e stretta, apparecchiata di cibi e di vini. In ciascuna delle altre due pareti a rimpetto è un uscio; il sinistro, prossimo alla mensa, conduce alle camere di Francesca; il destro, ai corridoi e alle scale. Torno torno sono distribuiti torcieri di ferro; ai beccatelli sono appesi budrieri corregge turcassi, pezzi d'armatura diverse, e poggiate armi in asta: picche bigordi spuntoni verruti mannaie mazzafrusti.

Scena prima

Si vede Francesca seduta nel vano del finestrone, e Malatestino dall'occhio in piedi davanti a lei.

FRANCESCA

Perché tanto sei strano?

Avido d'ogni sangue

tu sei, sempre in agguato,

nemico a tutti. In ogni tua parola

è una minaccia oscura.

Dove nascesti? Non ti diede latte

la tua madre? E così giovine sei!

MALATESTINO

(con subito impeto)

Tu m'aizzi. Il pensiero

di te m'aizza l'animo, continuamente.

Sei l'ira mia.

Francesca si leva ed esce. Dal vano della finestra come per sfuggire ad un'insidia. Ella rimane presso il muro, ove brillano le armi in asta, ordinate.

(incalzandola)

Ti stringerò, ti stringerò alfine!

Francesca, ritraendosi lungo il muro giunge all'usciolo ferrato cui dà le spalle.

FRANCESCA

Non mi toccare, forsennato, o chiamo

il tuo fratello. Vattene! Ho pietà

di te. Sei un fanciullo

perverso.

MALATESTINO

Chi vuoi chiamare?

FRANCESCA

Il tuo

fratello.

MALATESTINO

Quale?

FRANCESCA

(sussulta, udendo giungere dal profondo un grido attraverso la porta ov'ella è addossata)

Chi grida? Hai udito?

MALATESTINO

Tal che deve morire.

FRANCESCA

Ah, non posso più udirlo! Anche la notte

urla, urla come un lupo;

e giunge l'urlo fino alla mia stanza.

MALATESTINO

Ascolta me! Giovanni

parte a vespro per la podesteria

di Pesaro. Tu gli hai apparecchiato

il viatico. Ascolta. Io posso dargli

un ben altro viatico...

FRANCESCA

Che intendi?

Che intendi? Tu mi fai minaccia? O trami

un tradimento contro il tuo fratello?

MALATESTINO

Tradimento! Io credea,

mia cognata, che tal parola ardesse

le vostre labbra; e veggo

le vostre labbra immuni,

ma un poco smorte. Il mio giudizio errò...

S'ode di nuovo l'urlo del prigioniero.

FRANCESCA

(tremante d'orrore)

Ah, come urla! Come urla!

Chi lo tormenta? Quale strazio nuovo

hai trovato per lui?

Toglilo dal tormento!

Non voglio udirlo più.

MALATESTINO

Ecco, vado. Farò che voi abbiate

una notte tranquilla, il più profondo

sonno, senza terrore,

poi che stanotte dormirete sola...

(egli si accosta alla parete e sceglie tra le armi ordinate una mannaia)

FRANCESCA

Che fai, Malatestino?

MALATESTINO

Giustiziere mi faccio,

per vostra volontà,

mia cognata.

(esamina il filo dell'acciaro; poi apre la porta ferrata il cui vano appare nero di tenebra)

FRANCESCA

Tu vai

per ucciderlo? Troppo

ti pare aver dimorato, ah feroce!

MALATESTINO

Francesca, ascolta,

ascolta! Che la tua mano mi tocchi,

che i tuoi capelli si pieghino ancora

sulla mia febbre, e...

(s'ode più lungo l'urlo di sotterra)

FRANCESCA

Orrore! Orrore!

(si ritrae nel vano della finestra, si siede, e poggiati i cubiti sulle ginocchia, pone la testa fra le palme, fissa)

MALATESTINO

(bieco)

Tal sia di voi.

(strappa da un torciere la torcia. Posa la mannaia a terra, prende l'acciarino, lo batte e accende la torcia)

O cognata, buon vespro!

La donna resta immobile, come se non udisse. Egli raccatta l'arme ed entra nel buio, col suo tacito passo felino, tenendo nella sinistra mano la torcia ardente. Scompare. La piccola porta rimane aperta. Francesca si leva e guarda per entro al vano dileguarsi il bagliore. Subitamente corre alla soglia e chiude rabbrividendo. L'uscio ferrato stride, nel silenzio. Ella si volge e dà qualche passo lento, a capo chino, come gravata da un grave peso.

FRANCESCA

(sommessamente entro di sé)

Il più profondo sonno.

Scena seconda

Lo sciancato entra tutto in arme. Scorge la sua Donna, e va a lei.

GIANCIOTTO

Mia cara donna, voi m'attendevate?

Perché tremate e siete così smorta?

(egli le prende le mani)

Gelida siete come di paura.

Perché?

FRANCESCA

Malatestino

era da poco entrato quando udì

gridare il prigioniero;

e, nel vedermi sbigottita,

fu preso d'ira e si precipitò

per quella porta alla prigione, armato

d'una mannaia, risoluto ad ucciderlo. Feroce

egli è, quel fratel vostro, mio signore,

e non m'ama.

GIANCIOTTO

Perché

or dite che non v'ama?

FRANCESCA

Non so. Mi sembra.

GIANCIOTTO

Forse

vi dimostrò mal animo?

FRANCESCA

Egli è un fanciullo; e come

il giovine mastino,

ha bisogno di mordere... Venite,

signore, a ristorarvi

prima di mettervi a cavallo.

GIANCIOTTO

Forse

Malatestino...

FRANCESCA

Via, perché pensate

a quel che dissi

leggermente? Venite a ristorarvi.

Prendete la via della marina?

Gianciotto è pensieroso, mentre segue Francesca verso la tavola apparecchiata. Si toglie il bacinetto, si sfibbia la gorgiera, e dà gli arnesi alla Donna che li depone su una scranna con atti di subitanea grazia favellando.

FRANCESCA

Cavalcherete sotto la frescura.

Innanzi mezzanotte nascerà

la luna. Quando giungerete a Pesaro,

messere il podestà?

GIANCIOTTO

Dimani in su la terza.

Egli si sfibbia il cingolo che sostiene lo stocco, e la donna lo riceve.

FRANCESCA

E gran tempo dimorerete, senza

tornare?

S'ode il grido terribile di Montagna salire di sotterra. Francesca trasale e lascia cadere lo stocco, che esce dalla guaina.

GIANCIOTTO

È fatto. Non vi sbigottite,

donna. Il silenzio viene.

Dio si prenda così

tutte le teste dei nemici nostri.

S'ode battere alla piccola porta ferrata. Francesca balza in piedi, getta lo stocco sulla mensa, e si volge per uscire.

FRANCESCA

Torna Malatestino.

Io non voglio vederlo.

MALATESTINO

(voce)

Chi ha chiuso?

Cognata, siete là? M'avete chiuso?

(batte più forte col piede)

GIANCIOTTO

Aspetta, aspetta, che t'apro.

MALATESTINO

(voce)

Ah, Giovanni!

Aprimi, che ti porto

un buon frutto maturo

pe 'l tuo viatico,

un fico settembrino.

E come pesa!

Lo Sciancato va ad aprire. Francesca segue con gli occhi per qualche attimo il passo di lui claudicante; poi si ritrae verso la porta che conduce alle sue stanze. Exit.

MALATESTINO

(voce)

Affrettati!

GIANCIOTTO

Ecco, vengo.

Scena terza

Gianciotto apre; ed appare sulla soglia angusta Malatestino tenendo nella sinistra mano la torcia accesa e reggendo, per il cappio di una legatura di corda, la testa di Montagna avviluppata in un drappo.

MALATESTINO

(porgendo la torcia al fratello)

Tieni, fratello: spegnila.

Gianciotto spegne la fiamma stridula soffocandola sotto la pianta del piede.

Era teco

la tua moglie?

GIANCIOTTO

(rudemente)

Era meco.

Che vuoi da lei?

MALATESTINO

Tu sai dunque che sia

questo frutto ch'io porto alla tua mensa...

GIANCIOTTO

Non hai temuto di disobbedire

al padre?

MALATESTINO

Senti come pesa! Senti!

(egli porge il cappio allo Sciancato; il quale lo prende a prova, e poi lascia cadere il viluppo che fa un tonfo sordo sul pavimento)

Ah, fa caldo!

(si asciuga la fronte sudata. Gianciotto è di nuovo seduto a mensa)

Su, dammi

da bere.

(egli tracanna una coppa che è già piena. Gianciotto è cupo in sembiante e mastica in silenzio, a capo chino, senza inghiottire il boccone, muovendo le mascelle come il bue che ruguma. L'uccisore di Montagna si siede là dov'era seduta Francesca, Il viluppo sanguinoso è immobile sul pavimento. Pe 'l finestrone si vede il sole calare sopra l'Appennino affocando le vette e le nuvole)

Sei crucciato?

Non ti crucciare meco,

Giovanni. Io ti son fido.

Tu ti chiami Gian Ciotto

et io son quel dall'occhio...

(si tace un istante, perfidamente)

Ma Paolo è il bello!

Gianciotto leva il capo e fissa gli occhi in faccia al giovinetto. Nel silenzio s'ode lo sperone al piede ch'egli agita sul pavimento.

GIANCIOTTO

Ciarliero sei divenuto anche tu.

(Malatestino fa l'atto di versarsi altro vino. Il fratello gli trattiene il polso)

Non bere. Ma rispondimi: Che cosa

hai tu fatto a Francesca?

MALATESTINO

Io? Che ti disse mai

ella?

GIANCIOTTO

Hai mutato colore.

MALATESTINO

Che mai

ti disse?

GIANCIOTTO

Ma rispondimi!

MALATESTINO

(simulando di smarrirsi)

Io non posso risponderti.

GIANCIOTTO

Bada, Malatestino!

Guai a chi tocca la mia donna! Bada!

MALATESTINO

(con voce sorda e ciglio basso)

E se il fratello vede che taluno

tocca la donna del fratello, e n'ha

sdegno, e s'adopra perché l'onta cessi,

dimmi, pecca egli?

E se, per questo, accusato è d'avere

contro la donna mal animo, dimmi:

giusta è l'accusa?

Gianciotto sobbalza terribile, ed alza i pugni come per schiacciare il giovinetto. Ma si contiene: le braccia gli ricadono.

GIANCIOTTO

Malatestino, castigo d'inferno,

se non vuoi ch'io ti strappi

l'altr'occhio per cui l'anima tua bieca

offende il mondo, parla!

Malatestino s'alza e va, col sua tacito passo felino alla porta che è presso la tavola. Sta in ascolto per alcuni attimi; poi apre l'uscio repentinamente, con un gesto rapidissimo, e guata. Non scopre nessuno. Torna a porsi di contro al fratello.

GIANCIOTTO

Parla!

MALATESTINO

Non ti stupisti

quando taluno, che partitosi era

in dicembre, improvviso abbandonò

l'ufficio del comune

et a febbraio era già di ritorno?

S'ode scricchiolare una delle coppe d'argento che si schiaccia nel pugno dello Sciancato.

GIANCIOTTO

Paolo? No, no! Non è.

(si leva in piedi, si toglie dalla tavola ed erra per la stanza, torvo con lo sguardo annebbiato. Urla a caso contro il viluppo funebre. Va verso il finestrone le cui vetrate lampeggiano nel tramonto afoso. Si siede sul sedile e si prende la testa fra le mani come per raccogliere il pensiero in un punto. Malatestino intanto gioca con lo stocco, sguainando a mezzo, e ringuainando)

Malatestino. Vieni.

Il giovinetto si accosta, leggero e presto, senza alcun strepito, quasi abbia i piedi fasciati di feltro. Gianciotto lo avviluppa con le braccia, lo serra fra le sue ginocchia armate, gli parla con l'alito contro l'alito.

GIANCIOTTO

Sei certo? L'hai veduto?

MALATESTINO

Sì.

GIANCIOTTO

Come? Quando?

MALATESTINO

Più volte entrare...

GIANCIOTTO

Entrare dove?

MALATESTINO

Entrare

nella camera...

GIANCIOTTO

E poi? Non basta. Egli è

cognato. Intrattenersi può.

MALATESTINO

Di notte.

Non mi far male, per dio! Non mi stringere

così! Lasciami!

(si divincola, pieghevole)

GIANCIOTTO

Ho udito bene?

Tu hai detto... Ripeti!

MALATESTINO

Sì, di notte, di notte

l'ho veduto.

GIANCIOTTO

Ti fiacco

le reni, se tu menti.

MALATESTINO

Di notte entrare, all'alba escire.

Vuoi tu vedere e toccare?

GIANCIOTTO

Bisogna,

se ami scampare alla mia tenaglia

mortale.

MALATESTINO

Vuoi stanotte?

GIANCIOTTO

Voglio!

Parte seconda.

Riappare la camera adorna, con il letto incortinato, con la tribuna dei musici, col leggio che regge il libro chiuso. Quattro torchi di cera ardono su uno dei candelieri di ferro; due doppieri ardono sul deschetto. Le vetrate della finestra sono aperte alla notte serena. Sul davanzale è il testo del basilico; e accanto è un piatto dorato, pieno di grappoli d'uva novella.

Scena prima

Si vede Francesca, per mezzo alle cortine disgiunte, supina sul letto ove s'è distesa senza spogliarsi. Le Donne, biancovestite, avvolte il viso di leggere bende bianche, sono sedute sulle predelle basse; e parlano sommessamente per non destare la dama. Presso di loro, su uno scannello, sono posate quattro lampadette d'argento spente.

DONELLA

L'ha colta il sonno. Dorme.

Biancofiore si leva e va presso il letto pianamente. Spia: poi si volge, e torna alla sua predella.

BIANCOFIORE

Sì, dorme. Ah com'è bella! Questa notte

madonna non ci fa cantare.

ALTICHIARA

È stanca.

BIANCOFIORE

Il prigioniero

non urla più.

GARSENDA

Messer Malatestino gli ha tagliata

la testa.

ALTICHIARA

Dici il vero?

GARSENDA

Sì, oggi, innanzi il vespro.

ALTICHIARA

Come lo sai?

GARSENDA

Me l'ha detto Smaragdi.

BIANCOFIORE

Ora cavalcano

per la marina,

sotto le stelle,

con quella testa

mozza!

GARSENDA

Ah si respira

in questa casa,

ora che se ne sono

iti lo zoppo e l'orbo!

Scena seconda

Francesca getta un grido di spavento, balza dal letto e fa atto di fuggire come inseguita selvaggiamente, agitando le mani sui fianchi come per liberarsi dalla presa.

FRANCESCA

No, no! Non sono io! Non sono io!

Ahi! Ahi! M'azzannano... Aiuto! Mi strappano

il cuore... Aiutami,

Paolo!

Ella sussulta, s'arresta e torna in sé, pallida affannata, mentre le donne le sono intorno sbigottite a confortarla.

GARSENDA

Madonna, madonna, noi siamo

qui. Vedete, madonna, siamo noi.

ALTICHIARA

Non vi prendete spavento.

DONELLA

Non c'è

nessuno. Siamo noi

qui. Nessuno vi fa male, madonna.

FRANCESCA

(trasognata)

Che ho detto? Ho chiamato?

Che ho fatto, mio dio?

BIANCOFIORE

Avete fatto qualche sogno tristo,

madonna.

GARSENDA

Ora è finito. Siamo noi

qui. Tutto è in pace.

FRANCESCA

È tardi?

GARSENDA

Saranno forse quattr'ore di notte.

DONELLA

Non volete, madonna, ch'io v'acconci

il capo per la notte?

FRANCESCA

No, non ho

più sonno. Aspetterò.

DONELLA

Sciogliervi i calzaretti non volete?

BIANCOFIORE

Né profumarvi?

FRANCESCA

No, voglio rimaner così. Non ho

più sonno. Andate, andate.

Intanto io leggerò. Togli un doppiere,

Garsenda.

Garsenda toglie un doppiere di sul deschetto e lo porta al leggio che ha il foro per sostenerlo a capo del libro.

FRANCESCA

Andate. Tutte bianche siete!

Francesca apre il libro. Ciascuna delle bianco vestite toglie la sua lampadetta d'argento sospesa a uno stelo uncinato. Donella per la prima va verso l'alto candeliere e sollevandosi sulla punta dei piedi, accende il lucignolo a uno dei torchi. S'inchina ed esce, mentre Francesca la segue con gli occhi.

Garsenda fa il medesimo atto. Altichiara fa il medesimo. Escono tutte. Ultima resta Biancofiore; ed ella fa anche l'atto d'accendere la sua lampada; ma com'è più piccola delle altre, non giunge alla fiammmella del torchio.

FRANCESCA

O Biancofiore, piccola tu sei!

Non arrivi ad accendere la tua

lampadetta. Tu sei

la più tenera, piccola colomba.

(Biancofiore si volge sorridente)

Vieni.

(la giovine si appressa. Francesca le accarezza i capelli)

Come sei bionda!

Tu somigli la mia Samaritana,

un poco... Ti ricordi

tu di Samaritana?

BIANCOFIORE

Sì, madonna.

La sua dolcezza non s'oblia. Nel cuore

serbata io l'ho, con gli angeli.

FRANCESCA

Era dolce

la mia sorella, è vero, Biancofiore?

Ah, s'io l'avessi meco, se stanotte

ella facesse il suo piccolo letto

accanto al mio. Se ancora

una volta io potessi riudirla

correre scalza alla finestra e dire:

«Francesca, è nata la stella Diana

e vannosene via le Gallinelle.»

BIANCOFIORE

Voi piangete, madonna.

FRANCESCA

Subito sbigottiva anch'ella, e udivo

batterle il cuore. E diceva: «O sorella,

odimi: resta ancora con me! Resta

con me, dove nascemmo!

Non te n'andare!»

BIANCOFIORE

O madonna, madonna,

il cuore mi passate.

Quale malinconia

vi tiene?

FRANCESCA

Va', non piangere!

Tenera sei. Accendi la tua lampada

e vattene con dio.

(Biancofiore accende il lucignolo al doppiere, e si china a baciare le mani di Francesca)

Via, non piangere. Passano i pensieri

tristi. Tu canterai domani. Va'.

BIANCOFIORE

(si volge verso la porta e cammina lentamente)

Dio vi guardi, madonna!

(ultima esce)

Scena terza

S'ode il rumore dell'uscio che si richiude. Francesca, rimasta sola, muove qualche passo verso la portiera: si sofferma in ascolto

FRANCESCA

E così vada s'è pur mio destino!

(trasale udendo battere leggermente alla porta. Spegne col soffio il doppiero; va anelante; chiama sommessa)

O Smaragdi! Smaragdi!

PAOLO

(voce)

Francesca!

Ella apre con un gesto veemente.

Scena quarta

Con l'anelito della sete ella si getta nelle braccia dell'amante.

FRANCESCA

Paolo! Paolo!

PAOLO

O mia vita, non fu mai tanto folle

il desiderio mio di te. Sentivo

già venir meno

dentro al core gli spiriti

che vivono degli occhi tuoi. La forza

mi si perdeva nella notte, uscitami

dal petto, come un fiume

terribile di sangue, fragorosa;

e paura n'avea l'anima mia.

Più e più volte lei reclinata bacia sui capelli appassionatamente.

FRANCESCA

Perdonami, perdonami!

Un sonno duro più d'una percossa

mi spezzò l'anima

come uno stelo e parvemi giacere

sulle pietre perduta.

Perdonami, perdonami,

amico dolce! Risvegliata m'hai,

liberata da ogni

angoscia. E non è l'alba;

le stelle non tramontano sul mare;

la state non è morta; e tu sei mio,

et io son tutta tua,

e la gioia perfetta

è nell'ardore della nostra vita.

L'amante la bacia e ribacia insaziabile.

PAOLO

Rabbrividisci?

FRANCESCA

Aperta

è la porta, e vi passa

l'alito della notte. Non lo senti?

Chiudi la porta.

Paolo chiude la porta.

PAOLO

Vieni, vieni, Francesca! Ore di gaudii

lunghe ci son davanti.

Ti trarrò, ti trarrò dov'è l'oblio.

E la notte et il dì saran commisti

sopra la terra come un solo

origliere. Più non avrà potere

sul desiderio il tempo

fatto schiavo.

Egli trae Francesca verso i cuscini di sciamito, presso il davanzale.

FRANCESCA

Baciami gli occhi, baciami le tempie

e le guance e la gola...

tieni, e i polsi e le dita...

così... prendimi l'anima e riversala.

PAOLO

Dammi la bocca. Ancora! Ancora! Ancora!

La donna è abbandonata sui guanciali immemore, vinta. A un tratto, nell'alto silenzio un urto violento scuote l'uscio, come se taluno vi dia di petto per abbatterlo. Sbigottiti, gli amanti sobbalzano e si levano.

GIANCIOTTO

(voce)

Francesca, apri! Francesca!

La donna è impietrata da terrore. Palo cerca con gli occhi intorno, tenendo la mano al pugnale. Lo sguardo va al maniglio della cateratta.

PAOLO

(a bassa voce)

Fa' cuore! Fa' cuore! Io mi getto giù

per quella cateratta,

e tu vai ad aprirgli.

Ma non tremare!

Egli apre la cateratta. L'uscio sembra schiantarsi agli urti iterati. Paolo fa per gettarsi giù, mentre la donna gli obbedisce e va ad aprire vacillando.

GIANCIOTTO

(voce)

Apri, Francesca, pe 'l tuo capo! Apri!

Scena ultima

Aperto l'uscio, Gianciotto tutto in arme e coperto di polvere, si precipita nella camera furibondo, cercando con gli occhi il fratello. Subito s'accorge che Paolo, stando fuori del pavimento con il capo e le spalle, si divincola ritenuto per la falda della sopravvesta a un ferro della cateratta. Francesca, a quella vista inattesa, getta un grido acutissimo, mentre lo Sciancato si fa sopra l'adultero e lo afferra per i capelli forzandolo a risalire. La Donna gli s'avventa al viso minacciosa.

FRANCESCA

Lascialo! Me, me prendi! Eccomi!

Il marito lascia la presa. Paolo balza dall'altra parte della cateratta e snuda il pugnale. Lo sciancato indietreggia, sguaina lo stocco e gli si avventa addosso con impeto terribile. Francesca in un baleno si getta di tramezzo ai due; ma, come il marito tutto si grava sopra il colpo e non può ritenerlo, ella ha il petto trapassato dal ferro, barcolla, gira su sé stessa volgendosi a Paolo che lascia cadere il pugnale e la riceve tra le braccia.

FRANCESCA

(morente)

Ah, Paolo!

Lo sciancato per un attimo s'arresta. Vede la donna stretta al cuore dell'amante che con le sue labbra le suggella le labbra spiranti. Folle di dolore e di furore, vibra al fianco del fratello un altro colpo mortale. I due corpi allacciati vacillano accennando di cadere; non danno un gemito; senza sciogliersi, piombano sul pavimento. Lo sciancato si curva in silenzio, piega con pena uno de' ginocchi; sull'altro spezza lo stocco sanguinoso.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 01/11/2017
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Atto quarto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena ultima