Purtroppo Altisidora.

Tanto mi disse.

Avvertir non vi seppi.

Ei nominò don Alvaro più volte...

In un istante,

poi sciolse il crudo accento e in sulla faccia

gli vidi il disperato, e non l'amante.

Ma infin questo non toglie

l'ingiuria del rifiuto...

Che pensi Altisidora? E tu vorrai

cercar chi ti disprezza,

chi ti fugge, seguir?

E tal viltade

nasconde il cor d'Altisidora in seno?

Ti sdegna, ti rifiuta, e tu sì folle

lo scusi, lo difendi, e ancor l'adori?

L'ingiusto affetto...

Or sì, che nel tuo seno

ben ci vedo il tuo cor, se quel crudele

per te sentisse amore,

posto nel duro impegno

renduto si saria di te più degno.

Signora, non temer; perché m'ascolti,  

già parlo di Laurindo.

Ma tu non mi rispondi? In sul mio labro

forse un nome sì bello

perde i suoi pregi, e non ti par più quello?

Ti rammenta

con quanta forza adori

d'amor Laurindo tuo,

che se di lui favello

ti par, che in me risplenda

un certo non so che, per cui fa d'uopo,

che a Laurindo tuo grazie ne renda.

Come?

Altisidora, ascolta:  

se reo son io del tuo dolor, discenda

la fiamma ultrice del gran Giove irato,

e in faccia agli occhi tuoi venga percosso...

ma giugne il Duca; dispietate stelle!

Partir conviene, e favellar non posso.

(parte)

Prova del braccio tuo, tolto dal busto  

ecco l'orrido teschio

del rabbioso cinghial.

Stupido il ciglio

restami ancor, nel rammentar la forza

del formidabil colpo.

Tuo smisurato ardir pose in spavento

l'incantator malvagio,

onde l'orso sparì.

Livida rabbia

di chi mal vede entro di te raccolta

tanta virtù, vorrebbe

nascoso il tuo valor.

Ma già la fama,

gl' Amadis, gli Splandiani, e i Florismarti

col suo gran nome oscura;

e la bella virtù, più che l'invidia

pensa a tenerla ascosa, e che l'offende

più si palesa, e tanto più risplende.

Che mai sarà!  

Laurindo ha presa femminile spoglia.

Incantator Don Laurindo si finge,

Doralba Dulcinea,

ma questi no 'l ravviso. (Olà favella:

chi sei tu? d'onde vieni? e chi ti manda?

Merlin, di cui son servo,

dal regno della notte

qui mi manda a cercar Don Chisciotte.

È Grillo, e ben si adatta

la faccia satirina al grave suono

di sua terribil voce.

Dov'è questo guerrier?

Come, tu vieni

dai tenebrosi abissi,

e da te stesso ravvisar no 'l sai?

Scusa, signore, ho tante cose in testa

ch'una ne dissi, e cento ne pensai.

Quel che mi sforza co' suoi tanti circoli

a pigliar corpo a un tempo, e voce aerea

a te mi manda cavalier terribile,

con ordine preciso impreteribile,

che in questo luogo tu l'attenda immobile,

qual se tu fossi appunto una piramide.

Or or qui lo vedrai venir sollecito

con Dulcinea, ch'è la tua stella Fosforo,

perché a riguardo de' tuoi tanti meriti

render la vuole d'ogni incanto libera,

e vuol che torni nello stato pristino,

nel qual si trova già per privilegio,

con che l'esempio non trapassi ai posteri.

Questo è quel tanto, che dovea concludere;

tu poi non ti confondere,

e dimmi presto quel ch'ho da rispondere.

Or or sarai servito.

(parte)

Sancio è molto confuso.

E Don Chisciotte

ha che pensare anch'esso.

Altisidora

con sì turbato ciglio

incontri un tal piacer?

Dalle caverne affumicate, e nere  

dell'Erebo profondo,

a te stupor del mondo

famoso cavaliero de' Leoni

mi porta la pietà, ch'ho per costei,

quantunque odiar dovessi

questo sesso protervo,

che ad onta ancor de' miei temuti incanti

l'ebbi sempre nemico, ed or m'ha posto

fra i più infelici, e disperati amanti.

Perché si disincanti

qui ti condussi il sospirato bene,

ma i fati, ch'han di lui cura, e pensiero

ne destinar l'impresa al tuo scudiero.

Lo dica il caposatiro Astarotte;

Sancio eseguisca, e ascolti don Chisciotte.

Sta' quieto.

(s'inginocchia)

Potentissimo Duca, un'infelice

posta ai tuoi piè, dolente

colle compagne sue chiede soccorso.

Sorgi.

Lascia, che spieghi, il doloroso accento.

Fu per mia colpa,

che l'incantata lingua

non le snodai. Favella.

Caro mio sol, mia stella,

mio conforto, mio lume, e mio riposo,

mia speranza, mio cor, dolce mia vita

don Chisciotte adorato...

La dura impresa

del disincanto mio

voglio sperar, che il tuo gentil scudiero

sul dorso la torrà.

Poi, che pietoso le torrà, già vedi

ch'io per me son sicura.

Ma se le mie pupille

hanno l'antica forza in sé raccolta,

per poterti obbligar, pronto ad ogn'opra

per mio voler quell'infelice ascolta.

Dolorida è il mio nome. Io son contessa

nel regno di Candaia.

Il terzo lustro avea compiuto appena,

che nella corte il mio destin mi trasse.

Donna Magunzia, celebre regina

di quel sì vasto impero,

tutto il favor mi diè.

Per questo

in ultimo commise

alla mia cura Antonomasia bella

unica figlia sua.

Or di costei s'accese

uom di matura età, gran siniscalco

di corte.

Ma la real donzella

senz'amarlo il soffriva. Indi a non poco

giunse d'Italia un cavalier privato...

Errante.

Or questi

in nodo d'amistà forte si strinse

col real siniscalco.

Agli occhi dell'Infanta non dispiacque

l'italo cavalier.

Su quei bei lumi

nascoso amor già l'attendeva al varco.

Deriso

fu il vecchio siniscalco.

Tu l'istoria non sai: taci, ed ascolta.

Questo è nuovo piacer; la lor favella

doppio senso nasconde.

Don Chisciotte, e questo

è l'orecchio, che porgi a mio riguardo

all'afflitta matrona? Attendi ad essa,

né mi guardare.

Il cavalier vide il cimento appena,

che a difesa si armò.

Tu l'istoria non sai: taci ed ascolta.

Valoroso pugnò, vinse, e il trionfo

al misero costò pianto, e sospiri.

Glie 'l disse è ver, ma in quel medesmo istante

l'error del labbro lo corresse il core.

Sollecita il racconto.

Infin l'amico,

che lo credea rival, d'ira s'accese,

e con prudenza la coprì da saggio.

Ma sin da quel momento si dispose

all'amico rival d'esser cortese.

Il contrasto è gentil.

Da Malambruno

incantator cugino di Magunzia

portossi il cavalier. Nota gli fece

questa dolente istoria, e perché volle

al siniscalco amico

dar prova di sua fé, d'esser mutato,

chiese in duro macigno.

L'incantator lo consolò, ma insieme

la donzella converse in fiero drago,

in coccodrillo il siniscalco, e a noi

senza saper perché, le molli guance

di quest'ispido pel ci ricoperse.

Or perciò, che domandi?

Alla primiera

forma tornar ci puote

quel celebre campion; solo a quel forte

(accenna don Chisciotte)

riserba Malambrun l'audace impresa;

la tenti ogni altra mano,

ch'alla grand'opra si cimenta invano.

Or quest'impegno è tuo.

Sancio gentil, tal cambio

far non si può.

Ed avrai tanto cor?

E spargerò le mie preghiere al vento?

Or si tronchi il garrir. Sancio t'eleggi:

o tu perdi il governo, o ti percuoti!

Ma ti convien giurar.

Poi non temer, che l'isola è sicura.

Ferma.

Ascolta...

Condanni a torto

il fido tuo scudier. Questo è il cavallo

che mandò Malambrun, come ti disse

la stessa Dulcinea.

La bella diva

t'ebbe pietà; non avea Sancio appena

dato fine al solenne giuramento,

ch'ella a volo n'andò per far men grave

col foco de' suoi sguardi

nell'atto del partire il tuo tormento.

Or Clavilegno ascendi,

che tale è il nome del destrier; per aria

ei porteratti al regno di Candaia.

Girando il ferro, che si trova in fronte.

In groppa teco il tuo scudier ti prendi;

che senza lui non puoi tentar impresa.

Convien bendarsi avanti,

che l'occhio fral nella region del foco

perduto resteria.

Sono a servirli.

Se tal non fossi, un traditor sarei.

(in tempo che salgono a cavallo)  

Giove vi regga in cielo, anime grandi.

Addio governatore.

Leggi il cartello, o valoroso, e mira,

come ti prezzi Malambruno il saggio.

Leggi, o guerrier, tue lodi:

«per vincer ogni impresa

basta di don Chisciotte il sol coraggio».

Allor, che a volo

gisti pe 'l ciel, tornata al primo aspetto

da' nostri occhi si tolse.

E le compagne

seco n'andar lodando

tuo ardire incomparabile,

che supera sin quel del conte Orlando.

Viva viva il gran guerriero.

Quel sì prode.