DON CHISCIOTTE IN CORTE DELLA DUCHESSA
Opera serioridicola per musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Giovanni Claudio PASQUINI.
Musica di Antonio CALDARA.
Prima esecuzione: 6 febbraio 1727, Vienna.
Attori:
DON CHISCIOTTE della Mancia, cavaliero errante |
tenore |
IL DUCA |
sconosciuto |
LA DUCHESSA |
sconosciuto |
ALTISIDORA sua confidente, amante di Laurindo |
soprano |
DORALBA damigella di corte |
sconosciuto |
DON ALVARO maggiordomo del Duca |
sconosciuto |
LAURINDO giovane italiano, gentiluomo del Duca |
sconosciuto |
Donna RODRIGUES vecchia guarda-dama |
sconosciuto |
SANCIO Panza, scudiero di Don Chisciotte |
basso |
GRULLO staffiere di corte |
sconosciuto |
GRILLO staffiere di corte |
sconosciuto |
Comparse:
di Falconieri col Duca,
di Soldati, che fan corteggio all'arrivo di Don Chisciotte,
di Paggi,
di Damigelle della Duchessa,
di Satiri, che guidano il carro di Doralba, creduta Dulcinea,
di Matrone con Laurindo, creduto la contessa Dolorida.
La scena si rappresenta parte nel castello di Savedras, e parte nelle sue vicinanze.
Argomento
Siccome dalla seconda parte della notissima storia di Don Chisciotte si è tratto il viluppo della presente opera serioridicola, così basta accennare il fonte, per dare un pieno argomento della medesima. Ha procurato il poeta di stare attaccato più che gli è stato possibile alla vezzosa idea dell' ingegnosissimo autore spagnuolo, ed in molti luoghi non ha fatto altro, che porre in versi quei sentimenti medesimi, de' quali è così bene arricchito quel giocondissimo libro. L'invenzione ha puramente lavorato sull'intreccio degli amori, e questi per altro son come tante linee, tirate a finire in un punto, essendo condotti in maniera, che non ostante la passione, abbia luogo negli amanti una certa specie di puntiglioso donchisciottismo.
Campagna aperta con casino da una parte per goder la caccia degli Aironi, e dall'altra una collina, dove si figura, che sieno Don Chisciotte e Sancio.
Il duca, La duchessa, Altisidora, e Grullo con séguito di Falconieri.
IL DUCA
Or che presso al meriggio il sol più ferve
co' suoi cocenti rai,
solleciti partiam, sarebbe adesso
fare un tormento d'un piacer.
LA DUCHESSA
Ben sai,
che il mio l'è il tuo voler.
IL DUCA
Ma qual vegg'io
(si volta verso la collina)
sul vicin colle in così strano arnese,
vie più strano guerrier?
ALTISIDORA
Sarà quel folle,
di cui leggemmo fino ad or con riso
le stravaganti idee.
IL DUCA
Grullo, veloce
corri a scoprirne il ver.
GRULLO
Pronto ubbidisco.
(parte)
LA DUCHESSA
Quanto godrei, che apposta
si fosse Altisidora.
IL DUCA
Anch'io lo bramo;
ma poi che meglio osservo, alle già note
(osserva nuovamente Don Chisciotte)
armi, all'aspetto, al portamento, agli atti
esser altri non può. Segni sì certi
non escono daltronde.
Venga, vedrem se la descritta copia
al suo perfetto original risponde.
Don Alvaro, Laurindo, e detti.
LA DUCHESSA
Ben mi volea meravigliar, che tanto
star potesse Don Alvaro lontano
dal fianco della bella Altisidora.
ALTISIDORA
Ed io sorpresa fui da meraviglia
come star mi poté tanto d'appresso.
DON ALVARO
Signora, il solo tempo...
ALTISIDORA
è quello, che tradisce un vecchio amante:
di già tu non sei tal.
DON ALVARO
Senza ferire
sciorre un accento sol per me non puoi.
ALTISIDORA
E pur non v'è chi più di me ti stimi.
DON ALVARO
Se la stima è disprezzo, intiera godo
questa grazia per te.
LA DUCHESSA
Sempre una faccia
non suol tenere amor: copre talvolta
col disprezzo la stima, e il tempo solo...
DON ALVARO
È quello, che tradisce un vecchio amante.
IL DUCA
Laurindo, qual piacer la nuova caccia
poc'anzi ti recò?
LAURINDO
Cosa più grata
non seppi mai veder.
IL DUCA
Tua bella Italia
fra le delizie sue questo non conta
magnifico piacere.
LAURINDO
E fra i signori suoi pochi ne addita
del tuo gran merto ancor.
ALTISIDORA
(Che gentil tratto!)
LA DUCHESSA
Laurindo, i tuoi principi
camminano a gran passi, e il cor del Duca
han già tutto per sé.
ALTISIDORA
Premio ben degno
a chi s'apre il sentier col proprio merto.
DON ALVARO
(Questa è favella di nascente amore;
ah gelosia crudel!) Con piena mano
sovra di Laurindo
piovette il cielo i doni suoi più rari.
IL DUCA
Sono i doni del ciel semplici semi
di ben, che in van discende,
se la virtù di poi
col ben oprar non gli feconda in noi.
Se il sol non feconda
col raggio sereno
l'umor, ch'ha nel seno
la bella conchiglia,
confuso coll'onda
perduto se n' va.
Ma quando ferisce
lo scoglio tenace
dov'ella se n' giace,
passando il calore
persino all'umore
poi gemma si fa.
Se il sol non feconda
col raggio sereno
l'umor, ch'ha nel seno
la bella conchiglia,
confuso coll'onda
perduto se n' va.
Sancio, Grullo, e detti.
GRULLO
(al Duca)
Questo signor scudiero
or ti darà buon conto
dell'altro cavaliero.
SANCIO
(a Grullo)
La Duchessa qual è?
GRULLO
Questa, e quest'altro
è il signor Duca.
SANCIO
Bene.
Di lui non n'ho che far.
(s'inginocchia alla Duchessa)
Signora mia...
(Sancio pian pian, signora mia l'è poco.
Signora mia padrona obbligatissima
così va ben.) Padrona obbligatissima
s'io non le dico, che son Sancio Panza,
già lei non lo saprà? Perché lo sappia
adunque glielo dico.
Ma parliamo più liscio, e naturale
io son suo buono amico
a cavallo, ed a piè, come comanda,
e la ragion... Parentesi signora:
(si alza)
sia detto qui fra noi con confidenza,
questa mi pare un po' d'impertinenza.
LA DUCHESSA
Cosa t'avvien?
SANCIO
Costei
mi par, che si diletti di burlare,
perché mentre ti faccio l'ambasciata,
ride sotto cappotto a tutto andare.
LA DUCHESSA
Olà, s'usi rispetto
al signor Sancio ambasciador scudiero.
ALTISIDORA
Io di lui non ridea.
SANCIO
Così appunto hai da dir, ma i miei gattucci,
sorella, è un pezzo ch'hanno aperti gl'occhi;
né s'ha da mangiar cavolo con ciechi.
DON ALVARO
Or segui tua ambasciata.
SANCIO
Chi ha fretta, se ne vada:
la seguirò se mi parrà, m'intendi?
E se mi rompi niente gli stivali
starò qui senza dire una parola.
LA DUCHESSA
Si lasci in libertà.
IL DUCA
Parla a tuo senno.
SANCIO
Ma dove son restato?
LA DUCHESSA
M'hai detto il nome tuo.
SANCIO
Sì, l'è verissimo.
Adunque io son quel Sancio
ambasciador scudiero
mandato dall'errante cavaliero,
che prima si chiamava
il cavalier della figura trista,
ed or si chiama quello de' Leoni;
però che tutti i cavalieri erranti,
secondo, che si dice,
si mutano più nomi, che camicie.
LA DUCHESSA
Tu sei molto gentil.
SANCIO
Me l'hanno detto
altre duchesse ancor. Voglio dir io,
che questo mio padron...
DON ALVARO
Come si chiama?
SANCIO
Si chiama Don Chisciotte
più conosciuto assai della mal erba.
IL DUCA
Egli è guerrier famoso?
SANCIO
Sì signore,
è quel, ch'ha combattuto
col capo general de' galeotti,
Gines di Passamonte,
quel diavol, che lavora di sassate
meglio d'un romanesco;
quello, che dopo mi rubò il mio Ruccio.
DON ALVARO
Cos'è questo tuo Ruccio?
SANCIO
Un asino, signore, per servirla.
Or passando dall'asino al padrone:
ha fatto di gran cose.
Un giorno si trovò con mezz'orecchio,
che un certo manigoldo biscaglino
glielo divise insieme
con quell'elmo incantato di Mambrino.
ALTISIDORA
Insomma il tuo signor, che cosa vuole?
SANCIO
Che abbiate più creanza,
e non interrompiate Sancio Panza.
LA DUCHESSA
Lasciatelo pur dir, ch'egli ha ragione.
SANCIO
Suol dirsi: chi ha ragion, Giove l'ammazzi:
io tengo mille torti.
Tra la briglia, e lo sprone
consiste la ragione. Or come dico
(s'inginocchia di nuovo)
Don Chisciotte per me ti fa sapere,
che se la tua grandezza gliel consente,
si vuol incomodare
per baciarti la mano, e t'assicuro,
ch'egli ti fa un favor particolare.
LA DUCHESSA
Inver, Sancio galante, hai bene esposta
tua nobile ambasciata; alzati ormai,
che non conviene a uno scudier sì degno
stare in atto sì umile.
IL DUCA
Alzati amico...
(Sancio s'alza)
...e torna al tuo signor. Digli, che questo
luogo non è, dov'io ricever possa
colla Duchessa mia cotanto onore
da un uom del merto suo. Di', che l''attendo
nel castello vicino, e che a sua voglia
potrà disporre in esso
di chi serve, e comanda a un tempo istesso.
SANCIO
Gli dirò tutto fino ad un finocchio;
ma questo brutto nome di castello
mi dà un po' di fastidio:
per via della coperta,
che in un altro castello mi fu data,
ed in quella faccenda mi convenne
volare in aria, senz'aver le penne.
Quando avvien, che mi rammenti
di quel giuoco maledetto,
perdo tutti i sentimenti,
mi si gela il cor nel petto,
e mi par fin di sentire
quelle scosse, e non so dire,
se sia dubbio, o verità.
Or se mai per mio flagello
tal di questi copertari
ti ritrovi nel castello;
signor Duca patti chiari:
o il furfante se ne vada,
o che Sancio per la strada,
donde venne tornerà.
Quando avvien, che mi rammenti
di quel giuoco maledetto,
perdo tutti i sentimenti,
mi si gela il cor nel petto,
e mi par fin di sentire
quelle scosse, e non so dire,
se sia dubbio, o verità.
(parte)
Il duca, La duchessa, Altisidora, Don Alvaro, e Laurindo.
IL DUCA
Tosto partiam, se Don Chisciotte giugne,
n'avrem lungo piacer.
LA DUCHESSA
Dono più bello
al certo offrir non ci potea la sorte.
IL DUCA
Secondo il genio lor vo' che si pasca
la folle idea, che a vaneggiar gli guida.
Tu don Alvaro intanto il passo affretta,
e nel castello il popolo previeni,
onde concorde il mio voler secondi.
DON ALVARO
Forse di me Laurindo
meglio potrebbe oprar.
IL DUCA
Sai, che non tutti
lo conoscono ancor. Parti, che al fianco
presto anch'io ti sarò.
(parte)
DON ALVARO
Come ti piace.
(E colla donna ingrata
il felice rival si resti in pace.)
(parte lentamente, guardando sempre Altisidora)
LA DUCHESSA
Altisidora, inver questa è fierezza;
don Alvaro partì senza un tuo sguardo.
ALTISIDORA
La credetti pietà: scemar tormento
atto crudel non è.
LA DUCHESSA
Quel che a te pare
risparmio di dolor, per lui, che t'ama,
fiero martir si fa. L'estrema parte
della pupilla, immoto, in te raccolse;
e quasi non sapea,
senza prendere il sì dagli occhi tuoi,
se forzato a partir, partir dovea.
In sull'arena
poteva appena
l'orma novella
segnar col piè;
e mille volte
sull'orma antica
gli vidi il piede
senza fatica
tornar da sé.
In sull'arena
poteva appena
l'orma novella
segnar col piè.
(parte)
Altisidora, e Laurindo.
ALTISIDORA
Come Laurindo! A sì fatal cimento
poni la tua virtù? Restar qui solo?
Che dovrà dir Don Alvaro, per cui
tanto riguardo usar ti sei proposto,
che in sua presenza, appena
osi di meco favellar?
LAURINDO
S'io fossi
meno onesto per lui, di questa sorte
lieto potrei goder.
ALTISIDORA
Ma tu non sai,
che in questo punto d'amistà la legge
sempre sagra per te, da te si offende?
LAURINDO
Per qual ragion?
ALTISIDORA
Quell'infelice volto
potria forse rapir dagli occhi tuoi
qualche piccolo sguardo inavvertito,
onde avvenisse poi,
che imparasse il tuo cuor qualche sospiro.
LAURINDO
Non ho di che temer, s'io non ti miro.
ALTISIDORA
Dura legge t'imponi.
LAURINDO
(Purtroppo dici il ver.)
ALTISIDORA
Non perch'io sia
oggetto da forzar le tu pupille,
che tanto non presumo.
LAURINDO
Il tuo poter conosci, e mi deridi.
ALTISIDORA
Io deridere un uom, ch'opra qual chiede
giusto dover; ma non parria ch'io fossi
nemica di virtù? Che bella gloria
sarà la tua, Laurindo,
quando già carco d'anni, il mondo intiero
andrà mostrando in te fra mille lodi
l'esempio raro d'amistà perfetta.
Sai, che al pensarvi solo
per te m'insuperbisco.
LAURINDO
Lascia crudel di tormentarmi, oh dio!
ALTISIDORA
Laurindo, e che facesti?
Dir, sospirando, oh dio!
Se il sospiro è d'amore, ecco perduta
quella gloria per te. Non te 'l diss'io,
che della tua virtù troppo ti fidi?
LAURINDO
Il tuo poter conosci, e mi deridi.
Saria dolce ancor per me
di portare i lacci al piè,
pe 'l tuo core,
che d'amore
mi fe' quasi sospirar,
ma se alcun de' miei pensieri,
fia che ardito mai lo speri,
il dover lo tronca in fasce,
mentre nasce,
e non sorge il bel desire,
che per nascere, e mancar.
Saria dolce ancor per me
di portare i lacci al piè,
pe 'l tuo core,
che d'amore
mi fe' quasi sospirar.
(parte)
Altisidora.
Da sì austera virtù tuo cor, dissente,
barbaro, e tu mi sdegni.
Crudele iniquo Amor, perché non torni
a questo cor la libertà primiera?
Che tirannia di nume!
Odio mortal m'ispira
per chi per me sospira;
per chi mi sprezza poi,
questo crudel mi dona
tutti gl'incendi suoi;
e l'alma oppressa, e in tanto foco accesa
l'antica pace di trovar dispera.
Crudele iniquo Amor, perché non torni
a questo cor la libertà primiera?
Quel cor, che non vogl'io,
presso al mio cor si fa,
quel che piacer mi dà,
fugge lontan da me.
L'onda così del rio
dietro a un'altr'onda va,
e ognor fuggendo sta
l'onda, che ha dietro a sé.
Quel cor, che non vogl'io,
presso al mio cor si fa,
quel che piacer mi dà,
fugge lontan da me.
(parte)
Donna Rodrigues, e Grullo.
GRULLO
Ma, signora Rodrigues, cosa fa?
La corte è già partita di tre ore.
RODRIGUES
Che vuoi far, Grullo mio, la vecchia età
si lascia in un cantone.
GRULLO
Come a dire?
Che? Si mette fra 'l numer delle vecchie?
RODRIGUES
Quando giuoca la donna al Passatrenta,
fratel caro, va male.
GRULLO
(Oh vecchia strega
è vicina a sessanta.)
RODRIGUES
E chi sta in corte
se prudenza non ha di ceder loco
a chi ne vien più fresca,
si diventa la favola d'ognuno.
GRULLO
(Qui bisogna grattare. Ha de' denari,
e questi fan per me.)
RODRIGUES
Cosa dicevi?
GRULLO
Stavo facendo i conti fra me stesso,
come possibil sia,
ch'ella passi trent'anni, mi perdoni.
La faccia non gli mostra.
RODRIGUES
Anzi la faccia
troppo è mancata da quattr'anni in poi,
che Altisidora è capitata in corte.
Tu sai, che ne' disgusti non s'ingrassa.
GRULLO
La compatisco, povera signora.
Veramente colei
è un diavol maledetto dell'inferno.
RODRIGUES
Vedi, non passa giorno,
ch'io non ingolli de' bocconi amari
per sua cagion. Si tratta ch'è maligna
quanto mai dir si può.
GRULLO
Non me lo dica,
ch'ancor io la conosco, e tanto basta;
ma che vuol fare, è corte,
e per nostro destino
tutti quanti ci siam per un zampino.
Lei per altro si consoli,
che siccome ha de' denari,
senza far tanti lunari
può trovarsi un buon marito,
e goder la libertà.
RODRIGUES
Il mio tempo è già finito,
son trent'anni, e ancor più là.
GRULLO
Mi perdoni. Ella è nel fiore.
RODRIGUES
Ma son troppo consumata.
GRULLO
Mi perdoni, è delicata
bella fresca, e rugiadosa,
che mi par giusto una rosa,
prenda, prenda il mio consiglio.
RODRIGUES
Non lo lascio, e non lo piglio...
Ma la gente, che dirà?
GRULLO
Se badar vuole alla gente,
siamo freschi in verità.
Lei per altro si consoli,
che siccome ha de' denari,
senza far tanti lunari
può trovarsi un buon marito,
e goder la libertà.
Cortile con colonnato all'intorno, ed una scalinata a due braccia nel mezzo, sotto alla quale un gran portone, da cui si scopre la campagna in lontananza, e per dove vengono Don Chisciotte, e Sancio: l'uno a cavallo, e l'altro nel giumento.
Il duca, La duchessa, Altisidora, Don Alvaro, Don Chisciotte, e Sancio. Damigelle, che aspergono Don Chisciotte con acque odorifere, e Soldatesche schierate, che gli presentano l'armi; strepito di trombe, timpani, e tamburi, corni da caccia, etc.
Coro di Popolo.
CORO
Viva, viva Don Chisciotte,
viva il fior d'ogni gagliardo,
grand'onor di nostra età.
(Don Chisciotte, e Sancio, nello smontar da cavallo cadono ambedue.)
(in parte)
Ecco il terribile
campion fortissimo,
che mostri annichila,
giganti stermina,
schiere sminuzzola,
per farsi merito
con quante femmine
il pregio vantano d'alta beltà.
Ecco il terribile
campion fortissimo,
che mostri annichila,
giganti stermina,
schiere sminuzzola,
per farsi merito
con quante femmine
il pregio vantano d'alta beltà.
(tutto)
Viva, viva Don Chisciotte,
viva il fior d'ogni gagliardo,
grand'onor di nostra età.
Viva, viva Don Chisciotte.
(Don Chisciotte fa l'atto d'inginocchiarsi al Duca, ed alla Duchessa)
IL DUCA
Non sia mai ver, che un cavalier sì degno
debba inchinarsi a noi.
DON CHISCIOTTE
Questa è la legge,
che Amadis già fondò.
(s'inginocchia)
LA DUCHESSA
Sì, ma ti scusa,
l'accidental caduta,
di cui molto mi duol. Sorgi.
DON CHISCIOTTE
Se tratto
m'avesse sino ai tenebrosi abissi,
m'avrebbe tolto in quel medesimo istante
l'avventurosa gloria
d'aver veduto il tuo gentil sembiante.
IL DUCA
Ma in quest'età felice,
che può contar per dèa
del bello Dulcinea,
altra bellezza di lodar disdice.
SANCIO
È vero, sì signor, ma la natura
è simile a un vasaro,
che se fa un vaso veramente bello,
può farne poco dopo in un momento
de' belli come quello più di cento.
LA DUCHESSA
Ingegnoso scudier.
DON CHISCIOTTE
Veda signora:
Sancio ha buon fondo, e sto per dir, che forse
alcuno mai de' cavalieri erranti
scudiero ugual sortì. Le sue parole
talor son diamanti,
ma son per altro ascosi
in quella scabra, rozza, informe spoglia
del natural macigno.
LA DUCHESSA
Noi molto ne godrem.
IL DUCA
Passiamo intanto,
ove deposte l'armi
per breve spazio riposar con esse
faccia, signor, tuoi bellici pensieri.
DON CHISCIOTTE
Si adempia il tuo volere, a cui mi prostro,
ma in quanto al tor dell'armi,
convien pensare avanti,
se esempio abbiam tra i cavalieri erranti.
Sì l'abbiamo. Ricciardetto,
senza usbergo, e senza elmetto
nella corte pellegrina
dell'amante Fiordispina
qualche tempo dimorò;
e mi par, che ancor Ruggiero,
benché fior d'ogni guerriero,
le lasciasse la mattina,
che nell'isola d'Alcina
l'ippogrifo lo balzò.
(partono)
Sì l'abbiamo. Ricciardetto,
senza usbergo, e senza elmetto
nella corte pellegrina
dell'amante Fiordispina
qualche tempo dimorò.
Altisidora, e Don Alvaro.
DON ALVARO
Per un momento sol, donna crudele,
arresta il passo, e un infelice ascolta.
ALTISIDORA
(Oh che noioso incontro! Or me ne sciolgo.)
Don Alvaro, che dici
di Laurindo mio? Presto rispondi!
DON ALVARO
Che quel titol di tuo nuovo mi giugne.
ALTISIDORA
Come! Un uom qual tu sei di tanto lume,
non ha capito ancor, che un punto solo
fu quello che mi vinse, allor che il vidi?
DON ALVARO
Tra speranza, e timor stetti perplesso.
ALTISIDORA
Ma non ti par, che veramente sia
oggetto in tutto degno
del più verace amor?
DON ALVARO
Merita il regno
tutto dell'alma tua.
ALTISIDORA
Già n'è sicuro.
Ma vedi con qual forza
d'amor Laurindo adoro...
DON ALVARO
Ti sei scordata il mio.
ALTISIDORA
L'error del labbro lo corresse il core.
Or che di lui ragioni,
mi par, che in te risplenda
un certo non so che, per cui mi piaci.
DON ALVARO
D'uopo sarà, che a lui grazie ne renda.
ALTISIDORA
Faresti il tuo dover.
DON ALVARO
Quanto è felice
il caro tuo Laurindo!
Sta lungi, e non vi pensa,
e no 'l sapendo ancor grazie dispensa.
Quando goder vorrò
d'un raggio tuo seren,
di lui ti parlerò,
né mi vedrai nel sen
perdersi il core.
Senza cercar pietà
solo ti mirerò,
e intrepido sarò
nel mio dolore.
Quando goder vorrò
d'un raggio tuo seren,
di lui ti parlerò,
né mi vedrai nel sen
perdersi il core.
(nell'atto di partire viene arrestato da Laurindo)
Laurindo, e detti.
LAURINDO
Don Alvaro, t'arresta.
DON ALVARO
Oh questo è troppo.
E non ti basta ancor d'avermi tolta
dal cor la bella pace,
senza voler questo trionfo vano,
ch'io mi distrugga al suon de' tuoi sospiri?
ALTISIDORA
Laurindo, è crudeltà; dovria bastarti
ch'ei ti cede il mio cor, benché ti ceda
cosa, che sua non fu giammai.
LAURINDO
Ti piaccia...
ALTISIDORA
Egli già vede,
che Amor forza non vuol, sa che t'adoro,
sa che già mio tu sei.
LAURINDO
Ma la mia fede...
ALTISIDORA
È quella, che già tengo, e che giurata
violar non si puote.
LAURINDO
(Oh dio che pena!)
DON ALVARO
E questa è l'amistà, di cui ti vanti?
LAURINDO
Il ciel...
ALTISIDORA
Vede il tuo core,
né ti chiamar l'ira di lui: se puoi,
nega per me di non sentire amore.
(a Laurindo)
Penso di già, che appena
lungi sarò da te,
negar vorrai la fé,
che il labbro tuo giurò.
Dirai che amor non senti:
ma se cotanto ardisce
(a Don Alvaro)
tu digli, che mentisce,
poi digli, che paventi
l'ira del ciel, che folle
sopra di sé chiamò.
Penso di già, che appena
lungi sarò da te,
negar vorrai la fé,
che il labbro tuo giurò.
(parte)
Laurindo, e Don Alvaro.
DON ALVARO
Negar no 'l so, Laurindo,
sagra è per te la legge
di fedele amistà.
LAURINDO
Vivi in inganno,
né mi conosci ancor.
DON ALVARO
Questo è ben vero;
Altisidora col parlar confuso
luogo al dubbio lasciò. Vivi nel posto,
che il suo favor ti dà; ma sappi intanto,
che don Alvaro un cor serba nel petto,
cinto di tal virtù, che ancora ingrato
ti vuol esser cortese a tuo dispetto.
(parte)
LAURINDO
Laurindo, udisti? Cosa fai? Che pensi?
Don Alvaro ti crede
ingrato, e mancator. La sua nemica,
che il fier tumulto del suo cor ben vede,
ti vanta suo trofeo;
e la tua fé, come giurata fosse
a danno dell'amico
per sicura la dà, mentre t'annoda
col guardo feritor la lingua, e i sensi.
Laurindo, sogni? Cosa fai? Che pensi?
Se libero il freno
io lascio al mio core,
quel bel, che m'accende
conquista lo rende
del nume d'amore,
e intanto all'amico
divengo infedel.
Se poi lo raffreno,
la pena molesta
fa nascer nel seno
più fiera tempesta;
e intanto a me stesso
divengo crudel.
Se libero il freno
io lascio al mio core,
quel bel, che m'accende
conquista lo rende
del nume d'amore,
e intanto all'amico
divengo infedel.
(parte)
Sala con tavola apparecchiata.
Il duca, La duchessa, Altisidora, Don Chisciotte, e Doralba, che non veduta da Don Chisciotte parla al duca.
DORALBA
Signor...
IL DUCA
Parti Doralba.
Tu ben sai quant'è d'uopo,
che don Chisciotte non ti veda.
DORALBA
Ai tuoi cenni ubbidisco.
(parte)
IL DUCA
Come Altisidora!
De' Leoni al famoso cavaliero
l'armi deporre non facesti ancora?
ALTISIDORA
Perduto il guardo nel di lui bel volto
mi tolse un tal pensier.
LA DUCHESSA
Scusa dovuta
corregga il gran delitto.
DON CHISCIOTTE
(Dulcinea non temere: ho il cor guernito
di scoglio adamantin.)
ALTISIDORA
Signor, non vedi,
(s'inginocchia)
che ai piedi tuoi per implorar perdono...
DON CHISCIOTTE
Oh dio! Sorgi, che fai? Troppo disdice
a cavaliero errante.
(Perdona Dulcinea,
parlo per complimento.)
L'idea del garbo, e della gentilezza
in un atto simil vedersi avante.
IL DUCA
Olà paggi, e donzelle
servano il valoroso.
(vengono due paggi, e due damigelle con bacili, ove sia una spada con sua banda, ed un cappello per Don Chisciotte)
ALTISIDORA
Dammi l'onor, che il militare usbergo
ti slacci di mia man.
DON CHISCIOTTE
Ferma.
IL DUCA
È costume,
né tu lo puoi sdegnar.
DON CHISCIOTTE
Sì, ma l'usbergo
non son uso a deporre. Elmo, e bracciali
da per me stesso gli torrò. (Sovrana
incomparabil Dulcinea, se il fato
mi contende l'onor, che la tua destra
porger mi possa aita, almen sei certa,
(in atto che si toglie l'elmo, e i bracciali)
che ammetter non vogl'io destra profana.)
LA DUCHESSA
Una più lieve spada almen permetti,
ch'ella ti cinga.
DON CHISCIOTTE
Purché un dì la possa
maneggiar a tuo pro, di buona voglia
a tanto onor consento.
(Perdona Dulcinea, l'è complimento.)
ALTISIDORA
Oh quanto questa spada è meno acuta
di quei pungenti dardi,
che in questo punto Amore
(gli cinge la spada)
mi vibra in sen coi suoi sereni sguardi.
DON CHISCIOTTE
(Dulcinea non rispondo:
il complimento andrebbe troppo avanti.)
Sancio, Grullo, e detti.
GRULLO
(al Duca)
Signor, la mensa è pronta.
IL DUCA
Al grand'eroe
si porga da lavar.
(le damigelle porgono da lavar a Don Chisciotte)
SANCIO
Vossignoria
si stropicci ben ben signor padrone;
le sue mani saranno quattro mesi,
che l'acqua non san dir che cosa sia.
DON CHISCIOTTE
(nel tempo stesso si lava, e si asciutta le mani)
Sancio, m'ascolta. Avverti
senno, e prudenza. Lo scudiero sciocco,
fa più sciocco il padron; basta, m'intendi.
Senno e poco parlar Sancio da bene.
(il Duca, la Duchessa, e Altisidora si accostano intanto alla tavola)
DON CHISCIOTTE
Non infilzar proverbi,
che per dire una cosa competente,
ne dichi cento poi delle scipite
Sancio, senno, e prudenza, tieni a mente.
GRULLO
Si aspetta sol vossignoria.
DON CHISCIOTTE
Son pronto.
(corre precipitoso a tavola)
IL DUCA
Siedi, siedi signor. Quello è il tuo loco.
DON CHISCIOTTE
A te piace così, saria delitto,
se mi volessi oppor.
(seggono tutti unitamente)
SANCIO
Signor padrone
mi dica un poco, gli scudieri erranti
hanno luogo distinto per mangiare,
oppure in comunanza
stanno a mangiar con tutta l'altra gente?
DON CHISCIOTTE
Sancio senno, e prudenza tieni a mente.
LA DUCHESSA
Quanto sarà felice
il nostro Sancio allora,
che il signor don Chisciotte
averà conquistato un qualche regno.
SANCIO
Già m'ha promessa un'isola
da governare a mia disposizione.
IL DUCA
Del tuo signore il merto
or vedi quanto è raro,
d'un'isola vacante, che mi trovo,
a sua contemplazione,
governatore adesso ti dichiaro.
DON CHISCIOTTE
Mettiti Sancio in ginocchion davanti
al signor Duca; e per sì gran favore
baciagli i piè. Parla aggiustato, intendi?
Pensa, che infin tu sei governatore.
SANCIO
Signor, dice il proverbio,
(bacia i piedi al Duca)
che ha bene chi fa ben. Parlo in tal forma
per non dir troppo, e mal.
DON CHISCIOTTE
Bravo.
ALTISIDORA
Frattanto
il nostro buon governator novello
al pranzo potrà gir.
LA DUCHESSA
Vada, e ben e tosto
sollecito ritorni.
SANCIO
In due bocconi
spedisco la faccenda. Con licenza.
DON CHISCIOTTE
Sancio governator! Senno, e prudenza.
(Sancio e Grullo partono)
IL DUCA
Inver, che un sì bel giorno
con pietra bianca può segnarsi.
ALTISIDORA
O quanto
sarebbe più felice, e più sereno,
se Dulcinea la bella
fosse presente ancor.
DON CHISCIOTTE
S'ella vi fosse
per me renunzierei
l'ambrosia a Giove, e il nettare agli dèi.
LA DUCHESSA
Signor di sua bellezza adombra in parte
qualche più facil tratto.
DON CHISCIOTTE
A tanta impresa
bastevol non son io.
LA DUCHESSA
Pur non dispero,
che un dì veder la possa.
IL DUCA
Non bramar ciò, ben mio, ti pentiresti
del tropp'alto desire, e per vergogna
al comparir di lei t'asconderesti.
Vedesti mai le stelle
fuggirsi vergognose
allor che gigli, e rose
s'intesse al crin l'Aurora,
e il nuovo dì colora
nello spuntar che fa?
Tal quando infra le belle
comparirà quel volto,
che i raggi al sole ha tolto,
ciascuna per vergogna
tosto s'asconderà.
Vedesti mai le stelle
fuggirsi vergognose
allor che gigli, e rose
s'intesse al crin l'Aurora,
e il nuovo dì colora
nello spuntar che fa?
ALTISIDORA
Ma dimmi Cavalier, quando mandasti
Sancio con un tuo foglio al tuo bel nume,
m'è noto pur, che tal beltà non vide?
DON CHISCIOTTE
Ma tu però non sai
l'opra maligna de' crudeli incanti.
Anch'io son giorni, che la vidi, e pure
tanto diversa la trovai, che orrore
or mi fa tra me stesso il rammentare.
ALTISIDORA
Come?
DON CHISCIOTTE
Frestone incantator vigliacco
mio più crudel nemico
invidiosa la sua faccia bella
in orribil cambiò. Le trecce bionde,
ch'erano fila d'oro
son corde da chitarra. Il grato odore,
che traspirava dal suo piè leggero,
cinto di bel coturno,
e l'aure gareggianti
lo raccogliean sull'ali
per confortare i Cavalieri erranti
svenuti per amore,
or s'è fatta una cosa sì fetente
da far proprio venire un accidente.
Non vi dirò delle regali spoglie
di stelle trapuntate in campo azzurro,
in bel gruppo raccolte al molle fianco
davanti, e sciolte maestose a tergo,
ch'or son ridotte ad uso
di vesti d'una succida villana,
perché in asina nera convertita
vidi persino la sua bianca Alfana.
Grullo, e detti.
GRULLO
Presto, signori, presto, al vicin bosco
v'è un orso di statura gigantesca,
che manda fiamme dalla bocca, e gli urli,
che mette, son sì fieri, e spaventosi,
che si senton di qua.
(si alzano tutti dalla tavola)
ALTISIDORA
Che orrore.
LA DUCHESSA
Oh dio.
DON CHISCIOTTE
Non temano, che questo
è quel maligno mio persecutore.
Oh se del mago Atlante
avessi adesso l'incantato scudo,
o l'anel, che Melissa
fece torre a Brunel da Bradamante.
IL DUCA
Avea dell'Argalia
la celebrata lancia,
ma non è troppo, che ne feci dono
a un certo nuovo paladin di Francia.
DON CHISCIOTTE
Corpo di Florismarte.
Valeva almeno un regno,
e in così duro impegno,
se la tenevi appresso,
facevi da te stesso
in quattro o cinque botte,
quello, che Don Chisciotte
con una or or farà.
Vieni: starai da parte
sol tanto spettatore
dell'alto mio valore,
e a comparire, e vincere
vedrai come si fa.
Corpo di Florismarte.
Valeva almeno un regno,
e in così duro impegno,
se la tenevi appresso,
facevi da te stesso
in quattro o cinque botte,
quello, che Don Chisciotte
con una or or farà.
(parte)
IL DUCA
(alla Duchessa)
Ti seguo. Molto riderem.
(parte)
LA DUCHESSA
Se il fine
al principio risponde, ho gran timore
di potermi frenar. Si chiami Sancio,
e si appressin quei seggi.
GRULLO
Adesso.
(tira le sedie, e parte)
ALTISIDORA
È molto strana
la di costui follia.
LA DUCHESSA
Ma non è nuova.
Don Alvaro, e Laurindo
nel delicato lor vano puntiglio
n'han qualche specie anch'essi, e tu lo sai,
che ne sei la radice.
ALTISIDORA
Ambi son folli, ed io sono infelice.
LA DUCHESSA
La benda agli occhi
t'ha posta Amore,
ed il tuo core
penando va;
ma ride il nume
del tuo dolore,
che senza lume
stimi un rigore
la sua pietà.
La benda agli occhi
t'ha posta Amore,
ed il tuo core
penando va.
Sancio, e dette.
SANCIO
Signora eccomi qua.
LA DUCHESSA
Vieni, che teco
ho ben, che favellar.
SANCIO
Come volete,
se quell'orso gigante
dà una scappata all'isola vacante
caro governo ce ne andiamo in fumo.
LA DUCHESSA
Siedi.
SANCIO
E via, non facciamo cerimonie.
ALTISIDORA
Ubbidisci.
SANCIO
Ubbidisco. Si suol dire
che povertà non guasta gentilezza.
(si pongono a sedere)
LA DUCHESSA
Or che siamo qui soli, e niun ci sente,
voglio, che il mio signor governatore
vari dubbi mi scioglia.
SANCIO
Volentieri.
LA DUCHESSA
La storia, che va attorno
del signor don Chisciotte
dice, che Sancio non ha mai veduta
la bella Dulcinea.
SANCIO
Ma come c'entra
questa storia a sapere i fatti altrui?
ALTISIDORA
Anzi dice di più, che un certo foglio
ch'ebbe in Sierra Morena dal padrone
per consegnarsi a lei,
Sancio non lo portò, perché rimase
nel libro di memorie.
SANCIO
Andiamo avanti.
LA DUCHESSA
Or come adunque egli ebbe tanto ardire
di finger la risposta
ingannando il padrone, e mensognero
tradir la fedeltà di buon scudiero?
SANCIO
Pazienza adesso adesso.
(osserva attorno la sala se alcuno l'ascolta)
Gia che siamo sicuri,
risponderò con libertà; si dice:
chi l'ha fatta, si guardi, e buona cura
caccia la ria ventura,
ch'un disordin, che nasca ne fa cento.
Sappiate adunque in primo, ed antimonio,
ch'io penso, e penso il vero,
che il signor don Chisciotte mio padrone,
sebben talvolta dice
di molte cose buone,
tanto abbia il poverello
spedito per le poste il suo cervello.
ALTISIDORA
E di quel, che lo serve, cosa pensi?
SANCIO
Di grazia non saltiam di palo in frasca.
Stabilito, che sia matto spacciato,
io gli fo creder cose,
che in sé stesse non han capo né coda,
perché saran sei giorni,
(e questa cosa non la sa la storia)
ch'io gli feci pigliar per Dulcinea
una villana, che incontrai per via,
ed egli se la bevve, e la credette
convertita in villana per magia.
LA DUCHESSA
Per quel che tu m'hai detto,
un scrupolo or mi vien. Se don Chisciotte
privo è di senno, e Sancio lo conosce,
e nonostante ancor lo serve, e il segue,
senza dubbio di lui sarà più matto;
e mal farebbe il mio signore adesso,
se l'isola ti dasse a governare,
quando non sai ben governar te stesso.
SANCIO
Perdinci, che lo scrupolo è venuto
con parto dritto, e qui non v'è risposta.
Seguendo il mio padrone
son più matto di lui, questo è verissimo;
ma non saprei, non posso far di meno.
Gli voglio troppo bene;
siam d'un paese stesso,
ho mangiato il suo pane,
m'ha dato tre polledri; mi capite?
Son tutte cose... Vo' dir io, che il miele
si fa giusto leccar, perché l'è dolce.
Circa il governo poi me ne rimetto;
e sebben son balordo
io so, che per suo male,
alla formica vil nacquero l'ale.
LA DUCHESSA
No, non temer, che il Duca
la promessa terrà; ma per tornare
al discorso primier. Son ben sicura,
che quel che si credeva ingannatore
nell'inganno restò.
SANCIO
Ma come a dire?
LA DUCHESSA
Quella bifolca, che pigliar facesti
al tuo caro signor per Dulcinea,
era ella stessa, e per maligno incanto
ancor tu la vedesti
orrida in volto, e in così rozzo ammanto.
SANCIO
O diavol maledetto! O questa è bella!
Mi fai trasecolar!
ALTISIDORA
La cosa è certa.
SANCIO
Io lo credo d'avanzo. Questi maghi
sanno far di gran cose; e pur da prima
non ci credevo troppo, perché intende...
(incomincia a pigliar sonno)
Ma come l'hai saputo?
ALTISIDORA
Lo stesso incantatore, or son due giorni,
capitò nel castello, e un pieno conto
ci diè di tua follia.
Ma non dormir!
SANCIO
Sì... Eh?... Dite, v'ascolto.
Donna Rodrigues, e detti.
RODRIGUES
E ben, signora, v'è risposta alcuna?
Vorrei scrivere un verso a mia figliuola
con qualche buona nuova. Ti rammenta,
che qui si tratta di promessa.
LA DUCHESSA
Taci.
Di poi ci parleremo.
SANCIO
È vero. Incanti... Perché no...
(dormendo)
ALTISIDORA
Signora.
Fa' che Rodrigues venga
dove a seder tu sei. Quando si sveglia
costui n'avrem piacer.
LA DUCHESSA
Venga: sol tanto
nascose osserverem. Senti Rodrigues
presso a quest'uom t'assidi
finché si vegli, mentre
son lungi, alcun de' servi
potrebbe fargli ingiuria, ed io non voglio.
RODRIGUES
Son timori fallaci.
LA DUCHESSA
D'altro non cerca, m'ubbidisci, e taci.
(partono la Duchessa e Altisidora)
RODRIGUES
Questo vuol dir la corte:
bisogna negar sempre
tutto quel che si vuol; se avete un'ora
di bene a vostro modo
fra l'anno, avete molto.
SANCIO
Dite, dite, signora, che v'ascolto.
RODRIGUES
Io so, che i cortigiani tutti quanti
son macinati in un mulin da vento.
SANCIO
Non erano mulini, eran giganti.
RODRIGUES
Ma come! una mia pari
ha da servir per guardia ad un villano,
che tal costui qui mi rassembra al volto?
SANCIO
Dite, dite, signora, che v'ascolto.
RODRIGUES
M'ascolti villanaccio: e che ti pensi,
ch'io sia la tua buffona?
Fuora di qui.
SANCIO
Signora?
RODRIGUES
Fuora di qui, dico.
SANCIO
Ade... Ma come?
RODRIGUES
Questo qui non è luogo da birbanti.
SANCIO
O ancora dormo, o questi sono incanti.
RODRIGUES
Fuora, ti dico, fuora.
SANCIO
Adesso, sì signora.
RODRIGUES
Adesso, presto, presto.
SANCIO
Ma diavol son pur desto?
RODRIGUES
Presto, ti dico, avanti.
SANCIO
Ah maledetti incanti,
né manco a una duchessa
la voglion perdonar.
RODRIGUES
Duchessa, o non duchessa,
il porco hai da pigliar.
Vattene in buona pace
facciamola finita,
che tu non la sai tutta.
SANCIO
Quanto me ne dispiace
vederti convertita
in una vecchia brutta.
RODRIGUES
Presto, ti dico, avanti,
ti costerà salata
s'io l'ho da replicar.
SANCIO
Ah maledetti incanti,
né manco a una duchessa
la voglion perdonar.
Bosco.
Altisidora, e Doralba.
ALTISIDORA
Ed ebbe tanto cor di profferire
sì risoluti accenti?
DORALBA
Purtroppo Altisidora.
ALTISIDORA
E poté dire,
ch'io di lui mi scordassi, e che a quest'occhi
dovessi impor la legge
di non vederlo più?
DORALBA
Tanto mi disse.
ALTISIDORA
Disumanato cor, Laurindo ingrato.
Dimmi, Doralba, quando
sciolse il perfido labbro, udisti il suono
della barbara voce, uscir tremante?
DORALBA
Avvertir non vi seppi.
ALTISIDORA
Almeno in volto
si cambiò, si confuse, o trasse almeno
represso per metà qualche sospiro
contro sua voglia ancor? Dimmi, che fece?
DORALBA
Ei nominò don Alvaro più volte...
ALTISIDORA
Ah don Alvaro iniquo.
DORALBA
In un istante,
poi sciolse il crudo accento e in sulla faccia
gli vidi il disperato, e non l'amante.
ALTISIDORA
Ei nominò don Alvaro più volte?
Dunque sol per don Alvaro mi sdegna.
DORALBA
Ma infin questo non toglie
l'ingiuria del rifiuto...
ALTISIDORA
E in volto ad esso
vedesti il disperato, e non l'amante.
DORALBA
Che pensi Altisidora? E tu vorrai
cercar chi ti disprezza,
chi ti fugge, seguir?
ALTISIDORA
Doralba, oh dio,
e che non puote amor? Con quest'oltraggio
sua forza in me raddoppia.
DORALBA
E tal viltade
nasconde il cor d'Altisidora in seno?
Ti sdegna, ti rifiuta, e tu sì folle
lo scusi, lo difendi, e ancor l'adori?
ALTISIDORA
Dimmi, che far poss'io?
DORALBA
L'ingiusto affetto...
ALTISIDORA
Ma se di poi... Chissà... forse potria,
se don Alvaro è quel... no, che l'ingrato
non merita pietà. Troppo son folle.
Torna, Doralba, a quel crudel, nascondi
la smania del cor mio. Digli... ma forse
a costo del suo duol… saria viltade.
Digli, ch'io l'odio pur, digli, che sai,
che il derisi fin'or, ma non l'amai.
DORALBA
Or sì, che nel tuo seno
ben ci vedo il tuo cor, se quel crudele
per te sentisse amore,
posto nel duro impegno
renduto si saria di te più degno.
No, che non ha per te
l'iniquo traditor,
del sospirato amor
lieve scintilla;
che almen dovea con me,
in prova di dolor
bagnar di caldo umor
la rea pupilla.
No, che non ha per te
l'iniquo traditor,
del sospirato amor
lieve scintilla.
(parte)
Altisidora.
E che facesti, Altisidora? Come
frenar saprai l'innamorato sguardo
a fronte del crudel, che ti tormenta?
Chi sa, ch'ei non si penta,
che in questo punto istesso
non sospiri per te, ch'ei non condanni
la sconsigliata sua vana follia
ripieno di dolor? Barbare stelle!
Don Alvaro tiranno,
iniquo, empio, crudel, tu solo, oh dio,
sei rapitor della mia pace, e sei
la barbara cagion del dolor mio.
Don Alvaro, e detta.
DON ALVARO
Signora, non temer; perché m'ascolti,
già parlo di Laurindo.
Ma tu non mi rispondi? In sul mio labro
forse un nome sì bello
perde i suoi pregi, e non ti par più quello?
ALTISIDORA
(Ancor vanta il trionfo.)
DON ALVARO
Ti rammenta
con quanta forza adori
d'amor Laurindo tuo,
che se di lui favello
ti par, che in me risplenda
un certo non so che, per cui fa d'uopo,
che a Laurindo tuo grazie ne renda.
ALTISIDORA
Malnato cavalier, togliti adesso
dalla presenza mia.
DON ALVARO
Come?
ALTISIDORA
Al tuo core
chiedi la colpa tua; ma intanto aspetta
dall'odio mio la più crudel vendetta.
Senti: col rio veleno
di fiera gelosia
togliesti all'alma mia
quel ben, che sospirò;
ma non andar fastoso
del superato impegno,
ch'odio, vendetta, e sdegno
sempre a tuo danno avrò.
Senti: col rio veleno
di fiera gelosia
togliesti all'alma mia
quel ben che sospirò.
Don Alvaro in atto, che Altisidora vuol partire la ferma.
DON ALVARO
Altisidora, ascolta:
se reo son io del tuo dolor, discenda
la fiamma ultrice del gran Giove irato,
e in faccia agli occhi tuoi venga percosso...
ma giugne il Duca; dispietate stelle!
Partir conviene, e favellar non posso.
(parte)
Il duca, La duchessa, Altisidora, Don Chisciotte, e Sancio con seguito di Cacciatori, che portano in trionfo una testa di cinghiale ucciso da Don Chisciotte.
IL DUCA
Prova del braccio tuo, tolto dal busto
ecco l'orrido teschio
del rabbioso cinghial.
LA DUCHESSA
Stupido il ciglio
restami ancor, nel rammentar la forza
del formidabil colpo.
DON CHISCIOTTE
Opra sì lieve
non merita stupore. Ah se quell'orso...
IL DUCA
Tuo smisurato ardir pose in spavento
l'incantator malvagio,
onde l'orso sparì.
SANCIO
Vada a buon viaggio.
DON CHISCIOTTE
Io dispiacer ne sento,
che questa mano avvezza
a combatter leoni,
non hai veduta ancor. Sancio, tu sai...
SANCIO
È vero, sì signor.
LA DUCHESSA
Livida rabbia
di chi mal vede entro di te raccolta
tanta virtù, vorrebbe
nascoso il tuo valor.
IL DUCA
Ma già la fama,
gl' Amadis, gli Splandiani, e i Florismarti
col suo gran nome oscura;
e la bella virtù, più che l'invidia
pensa a tenerla ascosa, e che l'offende
più si palesa, e tanto più risplende.
Denso fumo, più che tenta
di velar la fiamma pura,
più l'accende, e men l'oscura,
sparso al vento poi se n' va.
Cieca invidia più che spenta
di mirar virtù pretende,
men l'oscura, e più l'accende,
sé distrugge, e altro non fa.
Denso fumo, più che tenta
di velar la fiamma pura,
più l'accende, e men l'oscura,
sparso al vento poi se n' va.
S'ode strepito di strumenti militari, i quali costituiscono una marcia tetra, e nel tempo stesso si vede il bosco acceso per ogni parte; Grillo in abito di satiro, e detti.
LA DUCHESSA
Che mai sarà!
SANCIO
Signor...
IL DUCA
(a parte alla Duchessa)
Laurindo ha presa femminile spoglia.
Incantator Don Laurindo si finge,
Doralba Dulcinea,
ma questi no 'l ravviso. (Olà favella:
chi sei tu? d'onde vieni? e chi ti manda?
GRILLO
Merlin, di cui son servo,
dal regno della notte
qui mi manda a cercar Don Chisciotte.
LA DUCHESSA
(a parte al Duca)
È Grillo, e ben si adatta
la faccia satirina al grave suono
di sua terribil voce.
SANCIO
Ahimè padrone;
ah! maledetti incanti.
DON CHISCIOTTE
Non temere.
GRILLO
Dov'è questo guerrier?
IL DUCA
Come, tu vieni
dai tenebrosi abissi,
e da te stesso ravvisar no 'l sai?
GRILLO
Scusa, signore, ho tante cose in testa
ch'una ne dissi, e cento ne pensai.
DON CHISCIOTTE
Ministro tenebroso
parla, t'ascolto con sicuro ciglio.
GRILLO
Quel che mi sforza co' suoi tanti circoli
a pigliar corpo a un tempo, e voce aerea
a te mi manda cavalier terribile,
con ordine preciso impreteribile,
che in questo luogo tu l'attenda immobile,
qual se tu fossi appunto una piramide.
Or or qui lo vedrai venir sollecito
con Dulcinea, ch'è la tua stella Fosforo,
perché a riguardo de' tuoi tanti meriti
render la vuole d'ogni incanto libera,
e vuol che torni nello stato pristino,
nel qual si trova già per privilegio,
con che l'esempio non trapassi ai posteri.
Questo è quel tanto, che dovea concludere;
tu poi non ti confondere,
e dimmi presto quel ch'ho da rispondere.
DON CHISCIOTTE
Demone tutelar della mia bella
torna a lui, che ti manda,
l'inchina per mia parte, e digli ch'io
a piè fermo l'attendo già disposto
a far quanto comanda;
se l'opra mia sia d'uopo al disincanto,
venga: accenni il nemico,
e questi poi s'elegga o spada, o lancia,
son sempre don Chisciotte della Mancia.
GRULLO
Or or sarai servito.
(parte)
SANCIO
(Perdiana la Duchessa ha detto il vero.)
LA DUCHESSA
(a parte al Duca)
Sancio è molto confuso.
IL DUCA
(a parte alla Duchessa)
E Don Chisciotte
ha che pensare anch'esso.
LA DUCHESSA
(anche a parte fra loro)
Altisidora
con sì turbato ciglio
incontri un tal piacer?
ALTISIDORA
Signora, il volto
raro scompagna il cor.
DON CHISCIOTTE
Stava pensando,
che simili avventure
recan sempre con sé danno, o periglio:
fia ben, che tutti mi venghiate a tergo,
ch'io di tutti sarò scudo, e difesa,
non perché in voi possa cader timore,
ma perché basto solo a tanta impresa.
Doralba, e Don Alvaro in carro trionfale rappresentante l'una Dulcinea, e l'altro Merlino Incantatore. Grillo con seguito di Satiri, e detti.
Nel tempo che viene il carro, segue una soave armonia di pifferi, flauti, oboe, etc.
DON ALVARO
Dalle caverne affumicate, e nere
dell'Erebo profondo,
a te stupor del mondo
famoso cavaliero de' Leoni
mi porta la pietà, ch'ho per costei,
quantunque odiar dovessi
questo sesso protervo,
che ad onta ancor de' miei temuti incanti
l'ebbi sempre nemico, ed or m'ha posto
fra i più infelici, e disperati amanti.
ALTISIDORA
Un falso incantatore
sa meritarsi l'odio, e non l'amore.
DON CHISCIOTTE
Taci, non sai qual possa abbia Merlino:
tu no 'l conosci ancora.
ALTISIDORA
Anzi per questo
ch'or lo conosco ben, così favello.
DON CHISCIOTTE
Signora, ti capisco,
ma l'è tempo perduto, parlo chiaro.
Mia Dulcinea son fido. Don Merlino
già tu sai tutto, intendi tutto: avanti.
DON ALVARO
Perché si disincanti
qui ti condussi il sospirato bene,
ma i fati, ch'han di lui cura, e pensiero
ne destinar l'impresa al tuo scudiero.
SANCIO
Questa sarebbe bella: come a dire?
DON CHISCIOTTE
Sancio, felice te. Sentiamo il modo.
DON ALVARO
Lo dica il caposatiro Astarotte;
Sancio eseguisca, e ascolti don Chisciotte.
GRILLO
Quando Sancio s'avrà date
tremila cinquecento bastonate
la bella delle belle
alla primiera pelle
per sempre tornerà.
Tenga ben l'orecchio attento:
il numero è tremila cinquecento,
numero già segnato
nel volume del fato,
e in questo libro eterno
defalco non si fa.
Quando Sancio s'avrà date
tremila cinquecento bastonate
la bella delle belle
alla primiera pelle
per sempre tornerà.
S'ode una sinfonia flebile di pifferi, flauti, oboe, e un tamburo scordato. Laurindo figurante la contessa Dolorida, con seguito di Matrone, e detti.
SANCIO
Signore, questa pillola...
DON ALVARO
Sta' quieto.
LAURINDO
(s'inginocchia)
Potentissimo Duca, un'infelice
posta ai tuoi piè, dolente
colle compagne sue chiede soccorso.
IL DUCA
Sorgi.
DON CHISCIOTTE
E taci, che giugni inopportuna.
LA DUCHESSA
Lascia, che spieghi, il doloroso accento.
SANCIO
Il numero è tremila cinquecento.
DON CHISCIOTTE
Ma la gran Dulcinea
non ha parlato ancor.
DON ALVARO
Fu per mia colpa,
che l'incantata lingua
non le snodai. Favella.
DORALBA
Caro mio sol, mia stella,
mio conforto, mio lume, e mio riposo,
mia speranza, mio cor, dolce mia vita
don Chisciotte adorato...
DON CHISCIOTTE
Basta, basta: mi sento venir meno,
melliflua Dulcinea.
DORALBA
La dura impresa
del disincanto mio
voglio sperar, che il tuo gentil scudiero
sul dorso la torrà.
DON CHISCIOTTE
Non se ne dubita.
SANCIO
Ne dubito ben io.
DON CHISCIOTTE
Taci, animal, se replicar ti sento...
SANCIO
Signore, son tremila cinquecento.
DON CHISCIOTTE
Ebben? Se fosser centomila, tanto
l'hai da pigliar, son bagatelle, amico.
Le torrà, le torrà. Segui mio nume.
DORALBA
Poi, che pietoso le torrà, già vedi
ch'io per me son sicura.
SANCIO
O tu stai fresca.
DORALBA
Ma se le mie pupille
hanno l'antica forza in sé raccolta,
per poterti obbligar, pronto ad ogn'opra
per mio voler quell'infelice ascolta.
Per tutt'altri inesorabile
sentirai, che Malambruno
al tuo braccio formidabile
certa impresa riserbò.
Tanto è ver, che a tale oggetto,
per varcar l'accese sfere,
già quel magico architetto
un caval ti fabbricò.
Per tutt'altri inesorabile
sentirai, che Malambruno
al tuo braccio formidabile
certa impresa riserbò.
DON CHISCIOTTE
Parla signora incognita.
LAURINDO
Dolorida è il mio nome. Io son contessa
nel regno di Candaia.
SANCIO
Son giusto trentacinque centinaia.
LAURINDO
Il terzo lustro avea compiuto appena,
che nella corte il mio destin mi trasse.
DON CHISCIOTTE
La corte è una gran scuola. Andiamo avanti
LAURINDO
Donna Magunzia, celebre regina
di quel sì vasto impero,
tutto il favor mi diè.
DON CHISCIOTTE
Bene.
LAURINDO
Per questo
in ultimo commise
alla mia cura Antonomasia bella
unica figlia sua.
DON CHISCIOTTE
Bella, e regina
son due gran cose.
LAURINDO
Or di costei s'accese
uom di matura età, gran siniscalco
di corte.
DON CHISCIOTTE
È naturale.
LAURINDO
Ma la real donzella
senz'amarlo il soffriva. Indi a non poco
giunse d'Italia un cavalier privato...
DON CHISCIOTTE
Domando, il cavaliero
era di corte, o cavaliero errante?
LAURINDO
Errante.
DON CHISCIOTTE
Bravo. Io già lo stimo.
LAURINDO
Or questi
in nodo d'amistà forte si strinse
col real siniscalco.
SANCIO
E in quel libraccio non si fa defalco.
LAURINDO
Agli occhi dell'Infanta non dispiacque
l'italo cavalier.
ALTISIDORA
(Sotto allo scherzo
già si parla di me.)
LAURINDO
Su quei bei lumi
nascoso amor già l'attendeva al varco.
ALTISIDORA
Per derider, cred'io, quel folle amante,
non per ferir.
DON ALVARO
Deriso
fu il vecchio siniscalco.
DON CHISCIOTTE
Se lo dice Merlino sarà vero.
ALTISIDORA
Ma questo fu deriso
fin d'allor, che all'Infanta
mostrò il suo folle ardor la prima volta.
LAURINDO
Tu l'istoria non sai: taci, ed ascolta.
IL DUCA
(a parte alla Duchessa)
Questo è nuovo piacer; la lor favella
doppio senso nasconde.
DON CHISCIOTTE
Presto, che Sancio
si deve flagellar.
SANCIO
Sulle mie spalle
i conti non si fan tanto sicuri.
DON CHISCIOTTE
Come? Vigliacco.
DORALBA
Don Chisciotte, e questo
è l'orecchio, che porgi a mio riguardo
all'afflitta matrona? Attendi ad essa,
né mi guardare.
DON CHISCIOTTE
Oh dio... Dica, Contessa.
LAURINDO
Il cavalier vide il cimento appena,
che a difesa si armò.
ALTISIDORA
La storia è falsa,
che donzella real raro si pone
a combattere un cor vile ed abbietto,
se luce di dovere ha in sé raccolta.
LAURINDO
Tu l'istoria non sai: taci ed ascolta.
Valoroso pugnò, vinse, e il trionfo
al misero costò pianto, e sospiri.
ALTISIDORA
Io so, che la donzella
in questo lo tenea per mentitore.
DON ALVARO
Glie 'l disse è ver, ma in quel medesmo istante
l'error del labbro lo corresse il core.
DON CHISCIOTTE
Se lo dice Merlino sarà vero.
IL DUCA
Sollecita il racconto.
LAURINDO
Infin l'amico,
che lo credea rival, d'ira s'accese,
e con prudenza la coprì da saggio.
DON ALVARO
Ma sin da quel momento si dispose
all'amico rival d'esser cortese.
ALTISIDORA
Ambo siete mendaci.
DON CHISCIOTTE
Ma tu non sai l'istoria: ascolta, e taci.
LA DUCHESSA
Il contrasto è gentil.
LAURINDO
Da Malambruno
incantator cugino di Magunzia
portossi il cavalier. Nota gli fece
questa dolente istoria, e perché volle
al siniscalco amico
dar prova di sua fé, d'esser mutato,
chiese in duro macigno.
DON CHISCIOTTE
Oh grand'eroe!
LAURINDO
L'incantator lo consolò, ma insieme
la donzella converse in fiero drago,
in coccodrillo il siniscalco, e a noi
senza saper perché, le molli guance
di quest'ispido pel ci ricoperse.
IL DUCA
Or perciò, che domandi?
LAURINDO
Alla primiera
forma tornar ci puote
quel celebre campion; solo a quel forte
(accenna don Chisciotte)
riserba Malambrun l'audace impresa;
la tenti ogni altra mano,
ch'alla grand'opra si cimenta invano.
IL DUCA
Or quest'impegno è tuo.
DON CHISCIOTTE
Dulcinea lo comanda; e tanto basta.
SANCIO
Signor, facciam baratto:
io servirò Dolorida barbuta,
e tu sarai contento
di quella bagatella
del numero tremila cinquecento.
DORALBA
Sancio gentil, tal cambio
far non si può.
SANCIO
Se non si può, ti accerto
che torni una villana come prima.
DORALBA
Ed avrai tanto cor?
SANCIO
L'avrò benissimo.
DORALBA
E spargerò le mie preghiere al vento?
SANCIO
Che non si fa defalco, ti rammento.
IL DUCA
Or si tronchi il garrir. Sancio t'eleggi:
o tu perdi il governo, o ti percuoti!
SANCIO
Signore, andiam bel bello.
DON CHISCIOTTE
Io non ne posso più. Nume adorato,
ti svenerò l'iniquo.
(pone furiosamente la lancia in resta contro di Sancio)
SANCIO
(spaventato)
Ah poveretto!
Signor me ne darò settanta mila.
DORALBA
Ma ti convien giurar.
DON CHISCIOTTE
Su questa lancia
metti le mani, e giura.
LA DUCHESSA
Poi non temer, che l'isola è sicura.
SANCIO
Già che deve andar così:
giuro, che me le darò.
Ma da me stesso
lo voglio fare
quando mi pare,
e un libriccino
tenga Merlino,
dove le segni
di mano in mano
che me le do.
Già che deve andar così:
giuro, che me le darò.
Si trasforma il carro in un cavallo.
Il duca, La duchessa, Altisidora, Laurindo, Don Chisciotte, Sancio, e Grullo.
DON CHISCIOTTE
Viene con questo bacio... Dulci... Oh dio,
che strana metamorfosi è mai questa?
Sancio spergiuro. Ah cara Dulcinea...
(corre furioso verso Sancio)
LAURINDO
Ferma.
DON CHISCIOTTE
Che ferma? L'empio scellerato
giurò con labbro pieno di menzogna.
SANCIO
Signore, non è vero.
DON CHISCIOTTE
(a Sancio)
Che non è ver? Merlino
pe 'l falso giuramento
ha cambiato in cavallo il mio tesoro;
l'hai da pagar. Bucefalo adorato
farò le tue vendette.
(vuol correr nuovamente; e Laurindo lo trattiene)
LAURINDO
Ascolta...
DON CHISCIOTTE
Astolfo
almeno almeno fu cambiato in mirto;
ma la mia cara in un caval di legno
è cosa troppo dura. Ah Sancio infame
spergiuro traditor...
LAURINDO
Condanni a torto
il fido tuo scudier. Questo è il cavallo
che mandò Malambrun, come ti disse
la stessa Dulcinea.
DON CHISCIOTTE
Ma come a un tratto
dagli occhi miei sparì?
IL DUCA
La bella diva
t'ebbe pietà; non avea Sancio appena
dato fine al solenne giuramento,
ch'ella a volo n'andò per far men grave
col foco de' suoi sguardi
nell'atto del partire il tuo tormento.
DON CHISCIOTTE
Questa pietà richiede
un sospiro ardentissimo, e poi subito
un bacio rispettoso all'aer vano,
che qui la circondò.
SANCIO
Chiede un malanno.
DON CHISCIOTTE
Sancio, mi scusa: amore
trasporta tutti quanti,
ma più degli altri i cavalieri erranti.
LAURINDO
Or Clavilegno ascendi,
che tale è il nome del destrier; per aria
ei porteratti al regno di Candaia.
DON CHISCIOTTE
Ma dimmi, come regolar lo debbo?
LAURINDO
Girando il ferro, che si trova in fronte.
In groppa teco il tuo scudier ti prendi;
che senza lui non puoi tentar impresa.
SANCIO
Io gli darò il buon viaggio.
DON CHISCIOTTE
Vieni Sancio fedel: senno, e coraggio.
SANCIO
Ah! maledetti incanti!
E pur ci vuol pazienza.
LAURINDO
Convien bendarsi avanti,
che l'occhio fral nella region del foco
perduto resteria.
DON CHISCIOTTE
Come ti piace.
SANCIO
Ancor questo di più.
GRILLO
Sono a servirli.
(Grullo li benda ambedue)
ALTISIDORA
(a Laurindo)
Vedi quegl'infelici?
Più cieco, e folle ancor di lor tu sei.
LAURINDO
Se tal non fossi, un traditor sarei.
(parte)
IL DUCA
(in tempo che salgono a cavallo)
Giove vi regga in cielo, anime grandi.
SANCIO
Mia signora Duchessa, schiavo, schiavo.
LA DUCHESSA
Addio governatore.
SANCIO
Signor Duca, garbato servitore.
DON CHISCIOTTE
Sancio amico forte forte,
che potresti di Fetonte
far la morte.
Sancio amico, reddo reddo.
(Grullo in compagnia d'altri servi fanno loro del vento con dei soffietti)
SANCIO
Uh che freddo, uh che freddo.
DON CHISCIOTTE
La region dell'aria è questa.
Qui si forma ogni tempesta
pioggia, neve, gelo, e vento.
SANCIO
Già lo sento, già lo sento.
DON CHISCIOTTE
Ed il come ciò succeda
scesi a terra te 'l dirò.
Sancio amico, saldo, saldo.
SANCIO
Uh che caldo, uh che caldo.
(cambiano i soffietti in facelle accese)
DON CHISCIOTTE
Noi varchiam l'accese sfere
son quassù le parti assunte
più sottili, e più leggere
di quell'aria crassa, e grave,
che poc'anzi si varcò.
Il duca, La duchessa, Altisidora, Don Chisciotte, e Sancio. Sparisce il cavallo.
DON CHISCIOTTE
Arrivati già siam. Grazie agli dèi.
SANCIO
Quel che vuol dir volare!
S'è fatto questo viaggio in un baleno.
(si sbendano)
DON CHISCIOTTE
Ma sparì Clavilegno, e inoltre parmi,
che siam nel luogo stesso.
SANCIO
Ah! maledetti incanti.
CORO
Evviva il fior de' cavalieri erranti.
IL DUCA
Leggi il cartello, o valoroso, e mira,
come ti prezzi Malambruno il saggio.
LA DUCHESSA
Leggi, o guerrier, tue lodi:
«per vincer ogni impresa
basta di don Chisciotte il sol coraggio».
DON CHISCIOTTE
Don Malambruno mi fa troppo onore.
La contessa dov'è?
LA DUCHESSA
Allor, che a volo
gisti pe 'l ciel, tornata al primo aspetto
da' nostri occhi si tolse.
IL DUCA
E le compagne
seco n'andar lodando
tuo ardire incomparabile,
che supera sin quel del conte Orlando.
CORO
Viva viva don Chisciotte
grand'onor di nostra età.
IL DUCA
Viva viva il gran guerriero.
LA DUCHESSA
Quel sì prode.
ALTISIDORA
Quel valente
DON CHISCIOTTE
Non è niente, non è niente.
TUTTI
Viva insieme il suo scudiero,
che poggiò sino alle stelle.
SANCIO
Bagatelle, bagatelle.
TUTTI
Ogni più remota gente
di loro opre eccelse, e belle
stupefatta parlerà.
Insieme
DON CHISCIOTTE
Non è niente, non è niente.
SANCIO
Bagatelle, bagatelle.
DON CHISCIOTTE
Qualche cosa di più degno.
SANCIO
Qualche cosa al mio governo.
Forse forse accaderà.
Sala.
Altisidora, e Don Alvaro.
DON ALVARO
Scorgo ben, che mentisce.
ALTISIDORA
Perché no 'l sai mirar cogl'occhi miei,
ch'egli è un tiranno, e il mentitor tu sei.
DON ALVARO
Io mentitor, che vedo,
che amor forza non vuol, che già m'è noto,
ch'egli t'adora, ch'egli è tuo, che tieni
la sua giurata fede, e che lo debbo
smentir se nega amore,
io sono il falso, io sono il mentitore?
ALTISIDORA
Per vincer quel crudel tutto t'infinsi;
ed egli a tanto affetto
con superbo rifiuto alfin rispose
per tuo consiglio, traditor.
DON ALVARO
Se il dice,
col ferro il sosterrà.
Laurindo, e detti.
LAURINDO
Questa mia vita
è disposta per te. Chi mai t'offende?
DON ALVARO
Il nemico sei tu.
LAURINDO
Come?
DON ALVARO
Un'ingiuria
vantar per mio consiglio?
LAURINDO
Io non t'intendo?
DON ALVARO
Conto ne vo' da te.
ALTISIDORA
Laurindo, parti.
LAURINDO
Ch'io parta colla taccia
d'aver mancato al mio dover? Non soffro
onta sì vergognosa.
DON ALVARO
Ah mentitore.
LAURINDO
Caro mi fai costar ciò, che ti devo.
ALTISIDORA
Don Alvaro m'ascolta...
DON ALVARO
Come? Indegno
del nome sei di cavalier, se pensi,
che per quel poco, che mi devi, or voglia
sopra di te vantaggio.
LAURINDO
E tale ancora
sei tu, se credi, che Laurindo possa
macchiare il proprio onore.
ALTISIDORA
E tanto ardisci
contro d'un, che divise
teco sostanze, e cor? Laurindo, parti.
LAURINDO
E reo mi debbo far, se reo non sono?
Posso soffrir, che ingrato
esser non gli vogl'io; ma...
DON ALVARO
La viltade
non coprir con virtù.
LAURINDO
Senza delitto...
DON ALVARO
Codardo, non hai cor.
ALTISIDORA
Laurindo, parti.
DON ALVARO
Sei vile, e mentitore.
LAURINDO
Già che lo vuoi, decida
la tua, la spada mia
il vile, e il mentitor fra noi qual sia.
ALTISIDORA
Fermi, folli che siete.
Tal per vano puntiglio
per me s'usa rispetto?
DON ALVARO
Dunque dovrò soffrire,
che il superbo rifiuto
del tuo perduto amore
lo spacci effetto reo del mio consiglio?
LAURINDO
Io ciò non dissi, e questo braccio ancora
in altro luogo a sostenerlo è pronto.
Generoso ti fui, né ciò che feci,
benché costi al mio cor penoso affanno,
pentimento mi sveglia. Assai maggiore
del tuo si chiude in questo petto il core.
DON ALVARO
Che dici Altisidora?
ALTISIDORA
Amor pietoso
volle per non mi tor d'ogni speranza
con tal sospetto mitigar l'offesa.
DON ALVARO
Scusa, amico fedele:
prender mi fe' costei
la tua virtù per colpa, e ingiurioso
ti fui per sua cagione. Essa corregga
con altrettanto ardor pe 'l tuo bel core
questo mio fallo. Io lieto
ti cedo all'amor suo. Rimanti avvinto
in così dolce nodo, e ver non sia,
che il mio dover da tua virtù sia vinto.
LAURINDO
L'opra degna è di te. Ceder bisogna
infine al tuo gran cor. Per me non sono
atto a trovar compenso a tanto dono.
DON ALVARO
In pace alfin restate
anime innamorate,
e in più tenace nodo
amor vi allacci.
Sarebbe crudeltà
negarvi libertà,
or che del van rispetto,
al vostro dolce affetto
infransi i lacci.
In pace alfin restate
anime innamorate,
e in più tenace nodo
amor vi allacci.
(parte)
Altisidora, e Laurindo.
ALTISIDORA
Quanto è mai ver, Laurindo,
che spesso anco da i mali,
come lampi da nubi, escono i beni.
Chi mai creduta avria
in sì feroce cor tanta pietade?
Ora non più saranno
gli sguardi, e i sospir tronchi
interpreti dell'alma.
Per via di chiari accenti
sfogar potrà la lingua i suoi tormenti.
LAURINDO
T'inganni, Altisidora. Il caro amico
a troppo costo suo cede a quel bene,
che sospirar lo fa. Men generoso
esser non debbo ad onta
ancor del mio cordoglio;
ti ritorno al suo amore, e non ti voglio.
(parte)
Altisidora.
Oh dio! Questo crudel non ebbe mai
per me punto d'amor. Crudo inumano
per tormentarmi con più forza, veste
la fierezza a virtù. L'avessi udito
nel rinnovare il barbaro rifiuto
mandar dal petto un misero sospiro
per deridermi ancor; fiero tiranno
perché tanto rigore?
Perché barbaro ingrato? almen per poco
senti pietà, se tu non senti amore.
O non hai core in seno,
o l'hai di forte scoglio,
se a tanto mio cordoglio
non hai pietà di me.
Crudel, potessi almeno
lasciarti, ma non posso,
che sento a mio dispetto
occulta forza in petto,
che mi trattien con te.
O non hai core in seno,
o l'hai di forte scoglio,
se a tanto mio cordoglio
non hai pietà di me.
(parte)
Il duca, e La duchessa.
LA DUCHESSA
Don Alvaro deriso
io lo vidi partir tinto di rabbia,
e ben potea Laurindo
lo scherzo moderar.
IL DUCA
Giovane amante
raro frenar si può. Ben sai, che amore
vuol solo dominar.
LA DUCHESSA
Ma può virtude
tenerlo in più riguardo.
IL DUCA
Agevol cosa
anco a virtù non è, che due begl'occhi
fan violenza, e la virtù si perde.
LA DUCHESSA
Se questo fosse, invano
data c'avrian gli dèi
libertà di voler.
IL DUCA
Gli dèi la diero,
ma congiunta col ben. Poi il mal, che forge
per nostra colpa, certa forza accoglie
in noi, che quasi libertà ci lega,
ciechi ci rende, e al buon cammin ci toglie.
Il pellegrino
per la foresta,
finché sta desta
l'amica luce,
che lo conduce,
dal buon cammino
non toglie il piè.
Ma quando notte
suo vel distende
perduto il raggio,
se al viaggio attende,
senza consiglio
dietro al periglio
corre da sé.
Il pellegrino
per la foresta,
finché sta desta
l'amica luce,
che lo conduce,
dal buon cammino
non toglie il piè.
Donna Rodrigues, e detti.
RODRIGUES
Signora, se ti pare,
questo sarebbe il tempo
di dire al signor Duca la faccenda.
LA DUCHESSA
Di' pur con libertà.
IL DUCA
Parla; che chiedi?
RODRIGUES
Già sa la vossignoria
l'affar di mia figliuola.
IL DUCA
Sotto promessa di future nozze
so, che un suddito mio
tolse a tua figlia assai miglior partito.
LA DUCHESSA
E la stolta ingannata
da più fiorita guancia
sedur lasciossi, e pose in abbandono
un ben sicuro per un mal più certo.
RODRIGUES
L'hanno detta a capello
come un libro stampato.
Or questo scellerato,
il qual non ha coscienza,
adesso si ritira;
dice, che non ha data la parola,
e dice, ch'è contento
di pigliar sopra questo, se bisogna
al tribunal qualunque giuramento.
IL DUCA
T'assiston prove della fé giurata?
RODRIGUES
Signor, se quella matta spiritata
non ha avuto cervello.
Ancora a me successe una tal cosa
col mio primo marito,
che in ciel riposi in pace;
ma io la feci dritta,
perché quest'uominacci son demoni,
onde quando mi fece la promessa
volli presenti sette testimoni.
IL DUCA
Or perciò che domandi?
RODRIGUES
Altro non chiedo,
se non che quest'indegno la mariti.
LA DUCHESSA
Ma se l'è un uom cattivo, e perché vuoi
dar tua figlia ad un tal uom.
RODRIGUES
Dice benissimo.
Ma la Giulia n'è tanto incapricciata,
che s'ella con costui non si marita,
io la vedo in due giorni seppellita.
IL DUCA
Ma forzar no 'l poss'io.
RODRIGUES
Colla promessa
mi è stato detto, che si può forzare.
IL DUCA
E di questa promessa, che supponi,
chi ne può far la fede?
RODRIGUES
La figliuola,
che non direbbe una bugia giocosa
se si pensasse diventar duchessa.
Oh in quanto a poi, non fo per dir, che sia
parto di questo seno, è una ragazza
che val proprio un Perù; savia, modesta,
colle sue mani poi
sa far la cruna all'ago:
del viso non ne parlo: ognun mi dice,
che quella faccia sua così pienotta,
che par di latte e sangue,
l'aveva io, quand'era giovanotta.
LA DUCHESSA
Che si potrebbe far, per consolarla?
IL DUCA
Un solo scampo vi ritrovo; e questo
d'affanno la torrà. Corri veloce
dal signor don Chisciotte. Ad esso esponi
questa disgrazia tua; poscia lo prega,
che siccome ei professa
d'esser lo scudo della gente oppressa,
così per via dell'armi
in singolar tenzone
forzi quest'uomo indegno
a mantenere il coniugale impegno.
RODRIGUES
Ma adesso dormirà questo signore.
LA DUCHESSA
Non può dormir, che appunto il suo scudiero,
che questa notte parte pe 'l governo,
tolse da noi congedo,
e da lui si portò. Corri, che in tempo
senza dubbio sarai.
IL DUCA
Gli aggiungi ancora,
che s'egli a mio riflesso
toglie sopra di me cotanto affare,
gran favor mi farà. L'iniquo intanto
che si arresti farò, perché non tenti
la fuga. Al chiaro giorno
fra lor combatteranno,
e campo aperto nel castello avranno.
RODRIGUES
Per non perder più tempo adesso vado.
Il ciel vi renda il bene, che mi fate.
(parte)
Il duca, e La duchessa.
IL DUCA
Materia è questa di novel piacere.
LA DUCHESSA
Quel, che nel bosco oggi godemmo, ancora
riso mi desta, e maraviglia insieme.
IL DUCA
S'uniron tanti don Chisciotti a un punto,
che fra copie sì belle
distinguer non sapea l'originale.
LA DUCHESSA
Misera Altisidora,
v'ebbe sua parte anch'essa.
IL DUCA
Molto fu combattuta, e molto grato
mi fu vederla in quell'impegno.
LA DUCHESSA
Amore
allor, ch'ha posta la servil catena
pone l'amante in disperato affanno;
il dritto lume di ragion gli vela,
e di mite signor divien tiranno.
Che non fece quel crudele,
quando col tuo dolce sguardo,
pe 'l mio core il primo dardo
dalla mano uscir lasciò?
So ben io, qual fier tormento
mi costar le tue pupille:
so ben io, quante faville
quel tuo sguardo in me portò.
Che non fece quel crudele,
quando col tuo dolce sguardo,
pe 'l mio core il primo dardo
dalla mano uscir lasciò?
Camera interna di don Chisciotte.
Don Chisciotte, e Sancio in abito di governatore, che siedono.
DON CHISCIOTTE
Sancio amico, e figliol, varia è la sorte,
volubile, e leggera.
Quel che veste il mattin, spoglia la sera,
chi re si addormentò, servo si desta.
SANCIO
Signor, dice benissimo.
DON CHISCIOTTE
Or s'ella a suo piacer dona, e ritoglie,
ti dia sempre timor questo suo dono,
che l'è men tuo, quanto più tuo lo pensi.
SANCIO
Io non ci penso niente.
DON CHISCIOTTE
Quel niente poi l'è troppo;
c'hai da pensar, ma non perché ti debba
tal cosa insuperbir, ch'ella ti venne
senza merito alcuno.
SANCIO
Lo conosco.
DON CHISCIOTTE
Un buon principio abbiam, se lo conosci,
Sancio governatore.
A questa conoscenza unisci il senno,
che il senno sol rende fortuna stabile.
SANCIO
Signore, a chi ha ventura
poco senno gli basta;
la nave, che ha buon vento, arriva al porto;
assai ben balla a chi fortuna suona;
e a chi la va seconda, sembra savio
DON CHISCIOTTE
I soliti proverbi. In tua buon'ora
lascia star quest'inezie, e attento ascolta
ciò, che ti dice il tuo novel Catone,
per trarti a salvamento
dal procelloso mar, dove t'ingolfi.
SANCIO
L'udirò senza manco rifiatare.
DON CHISCIOTTE
Primieramente, Sancio, abbi timore
del ciel, di poi conosci ben te stesso.
Non ti recare ad onta, e disonore,
se nascer grande non ti fu concesso.
Virtù fa nobiltade, e lo splendore
degl'avi senza questa è un van riflesso;
così risplender fe' il roman bifolco
il consolare aratro in mezzo al solco.
SANCIO
(Non l'intendo: ma so, che dice bene.)
DON CHISCIOTTE
In fra i lamenti del mendico, e i doni
del ricco, cerca di scoprire il vero;
i rei castiga, e ricompensa i buoni;
ascolta tutti, e taci il tuo pensiero.
Bilancia delle parti le ragioni,
né giudice indulgente, né severo.
A sollevar gli oppressi alza la mano,
né ti far legge il tuo capriccio invano.
SANCIO
Quest'altra è più farina pe 'l mio sacco.
DON CHISCIOTTE
Se bella donna ad informar ti viene
con flebil voce, e lagrimoso ciglio,
governatore amico, ti conviene
subito di pensare al tuo periglio.
Le donne belle son tante sirene,
che allettano per trar dal bon consiglio,
onde con qualsisia vaga donzella
gli occhi ai piedi, e gl'orecchi alla favella.
SANCIO
Queste son tutte cose belle, e buone;
ma il punto, signor mio,
sta nel tenerle a mente.
DON CHISCIOTTE
A tale oggetto
te le ho scritte in un foglio.
SANCIO
Imbroglio sopra imbroglio.
DON CHISCIOTTE
Perché?
SANCIO
Perché legger non so, siccome
ella sa molto ben.
DON CHISCIOTTE
Che gran difetto
l'è quel dell'ignoranza
in un, che deve giudicar!
SANCIO
Signore,
quanti governatori ci saranno
che a dirla fra di noi con confidenza,
di me ancor meno forse ne sapranno!
DON CHISCIOTTE
Quando parli del mal, pensa a te stesso!
Quando parli del ben, pensa al compagno.
SANCIO
Chi ben pensa, ben opra, dice il vero;
ma il grano non si dà senza la paglia,
e Giove è solo in ciel senza difetto.
Basta con tutto questo,
tanto nel mio governo
procurerò di fare il mio dovere.
DON CHISCIOTTE
Giustizia è il tuo dover.
SANCIO
Questo è sicuro.
Per me gli stracci non andranno all'aria,
che le borse, e le some andran del pari.
DON CHISCIOTTE
Segui, segui.
SANCIO
Suol dirsi
danari, ed amicizia,
non curan la giustizia.
Ma si suol dire ancora
caro mi vendi, e giusto mi misura.
Non giudicar per legge, né per carte,
se non ascolti l'una, e l'altra parte.
DON CHISCIOTTE
Qualche altro proverbio, che son pochi.
SANCIO
Signor, se non mi posso trattenere;
ma non ne vo' più dir da galantuomo.
Sebbene in casa piena
presto si fa da cena,
facciamo patti chiari,
e siamo amici chiari.
Per dare, e per avere
cervello è di mestiere.
DON CHISCIOTTE
Uh, che affogar ti possa
con questi maledetti tuoi strambotti,
sciocco importuno. Or via prendi, e t'accheta.
Questi sono i ricordi.
Legger te li farai sera, e mattina;
e sappi, ch'oltre a quelli, che t'ho detto,
spettanti al tuo mestiero,
in più dimesso stile
te n'ho segnato molti, acciò che impari
il necessario pe 'l trattar civile.
SANCIO
Obbligato gli son signor padrone.
Ma sarà tempo ormai, che la finisca,
e che la lasci riposare in pace.
Se mi vuol dar la mano
a baciare uh-uh-uh scoppiar mi sento.
DON CHISCIOTTE
Animo, amico Sancio. Il molle pianto
(tenerezza mi fa) tosto rasciuga.
Eccoti un bacio in fronte.
SANCIO
Non piango, non Signore: m'è venuto
per accidente un poco di singhiozzo.
Gli domando perdono uh-uh- di quanto
l'ho fatto tribolar.
DON CHISCIOTTE
Sorgi figliuolo.
(Muover mi sento anch'io.) Pe 'l nuovo grado
umiliar tanto non ti devi. Sorgi.
Amadis non permise a Candalino
suo famoso scudiero
quando all'Isola ferma il mandò Conte
un atto così abbietto; e fe' lo stesso
con il suo Casaballo Galaorre.
Sorgi, ti dico, non intendi ancora,
che il conte Candalino non lo fece?
SANCIO
Il conte Candalino mi perdoni;
o non avea creanza,
o non avea l'amor di Sancio Panza.
Addio signor padrone.
Uh-uh- che gran dolore:
scoppiar mi sento il core,
crepo non posso più.
In questa valigetta
c'avete una calzetta,
quattro camicie rotte,
un berrettin da notte,
un ago, e tre bottoni,
le staffe, e gli speroni,
un ferro da cavallo,
e quel butirro giallo,
che voi chiamar solete
balsamo del Perù.
Addio signor padrone.
Uh-uh- che gran dolore:
scoppiar mi sento il core,
crepo non posso più.
(parte)
Don Chisciotte, e poi Donna Rodrigues.
DON CHISCIOTTE
Se più si tratteneva,
il troppo affetto m'averia tradito.
Ho caro il ben di Sancio,
ma perdo un gran scudiero.
Già s'è percosso trentacinque volte
a onor di Dulcinea. Che bella prova
d'intiera fedeltà! Me ne stupisco.
RODRIGUES
Mio Signore, e padron, la riverisco.
DON CHISCIOTTE
Questa è qualche fantasma, o qualche fata.
Dimmi, chi sei?
RODRIGUES
Non tema.
DON CHISCIOTTE
Affetto ignoto
è il timore per me.
RODRIGUES
Son la matrona
di corte.
DON CHISCIOTTE
Indietro, indietro.
Tempo notturno, un'ora stravagante...
Solo con sola... vo' dir io son cose...
In dietro, mi perdoni.
RODRIGUES
Si compiaccia
d'ascoltarmi di grazia. Il signor Duca
è quello, che mi manda.
DON CHISCIOTTE
Il signor Duca?
Non ho che replicar; dica, l'ascolto;
ma tre passi lontana.
RODRIGUES
Io sto in sospetto
se sappia, ch'io son dama.
DON CHISCIOTTE
È dama?
RODRIGUES
Certo.
DON CHISCIOTTE
Dunque s'accosti un passo. Colle dame
sta sempre la virtù. Parli.
RODRIGUES
Mi trovo
una figliuola, ch'è piuttosto bella.
DON CHISCIOTTE
Ne godo: ma per me sono impegnato.
RODRIGUES
No, signor, non si metta in apprensione,
ch'è impegnata ancor essa.
DON CHISCIOTTE
Andiam del pari.
RODRIGUES
Ma non è altro, che quell'uomo indegno,
che le ha promesso di sposarla, adesso
non vuol più mantener la sua parola;
e io vedo disperar la mia figliuola.
DON CHISCIOTTE
Il signor Duca forse mi comanda,
ch'io costringa costui?
RODRIGUES
Di questa grazia
la prega a mio favore,
e la battaglia doverà seguire
qui nel castello adesso al nuovo giorno.
DON CHISCIOTTE
Or ben, senz'altro accetto
per la donzella offesa
l'impegno di difesa.
RODRIGUES
E come potrò mai
corrispondere a tanta gentilezza?
DON CHISCIOTTE
Signora, i complimenti
son superflui, e vani tutti quanti.
Questo è il dover de' cavalieri erranti.
Venga pure in campo armato
quest'amante rinnegato:
don Chisciotte il punirà.
Vado a torre in questo punto
l'elmo forte di Mambrino,
lancia, spada, e Ronzinante.
Venga, venga il falso amante,
che l'ingiuria pagherà.
Venga pure in campo armato
quest'amante rinnegato:
don Chisciotte il punirà.
(parte)
Grullo, e detta.
GRULLO
Signora, mi rallegro.
RODRIGUES
Di che cosa?
GRULLO
Che la vostra figliuola sarà sposa.
Ho già sentito questo cavaliero
pronto alla sua difesa.
RODRIGUES
Co' suoi favori proprio m'ha sorpresa.
GRULLO
Non si è fatto pregare?
RODRIGUES
Niente affatto.
GRULLO
(Adesso è il tempo, che bel bel qualcosa
cavi a costei di mano.)
RODRIGUES
Cosa pensi?
GRULLO
Per dirvela signora,
questa promessa sua mi dà sospetto.
RODRIGUES
Come sarebbe a dire?
GRULLO
Io so di certo,
che senza sentir prima il suo scudiero
cos'alcuna non fa.
RODRIGUES
Se m'ha promesso.
GRULLO
Bene, l'averà fatto
così per cerimonia,
ma sarà andato intanto
a ritrovarlo per sentir, che dice.
RODRIGUES
Ma lo scudier partì già pe 'l governo.
GRULLO
Non è partito ancor.
RODRIGUES
Se questo è vero,
Grullo mio, son perduta.
GRULLO
Come?
RODRIGUES
Ingiuria
gli feci dopo il pranzo, e in questo caso
ei si vorrà scontar.
GRULLO
Questo è probabile.
RODRIGUES
Ma credi tu, che non ci sia rimedio?
GRULLO
(Adesso te la ficco.) Col danaro,
signora, si fa tutto.
RODRIGUES
Una doppietta
la spendo volentieri.
GRULLO
Addio rimedio.
Signora, non c'è verso:
una misera doppia è tempo perso.
GRULLO
Ce ne vorranno almeno
secondo i conti miei...
RODRIGUES
Da quattro, cinque, o sei?
GRULLO
Ma che non si vergogna?
RODRIGUES
Oh quante ne bisogna?
Presto figliuol, che peno.
GRULLO
Ce ne vorranno almeno...
RODRIGUES
Così una dozzinetta
per torlo pe 'l suo verso?
GRULLO
Signora, è tempo perso.
Ce ne vorranno almen trenta, o quaranta.
RODRIGUES
Oh poveretta me! costui mi spianta.
GRULLO
Si tratta d'un affare,
ch'è quasi disperato.
RODRIGUES
Lo credo, ma compare,
costa però salato.
GRULLO
Se non ne vuol far niente,
non sono il suo trastullo;
faccia a suo modo,
e canti pur chi canta.
RODRIGUES
Dicevo solamente...
Vieni, il mio caro Grullo:
eccoti qui la borsa
tutta quanta.
Campagna aperta con veduta del castello da una parte, e dall'altra un fosso, che corrisponde in una grotta.
Don Chisciotte, e Sancio nel fosso.
DON CHISCIOTTE
Angelica si pose ad un balcone,
perch'Orlando vedesse sua bellezza,
quando in Albracca a singolar tenzone
fu col forte Agrican di Tartaria;
ora che mai saria,
che Dulcinea la bella
nel mentre pugnerò col falso amante,
grazia cotanto mi facesse anch'ella.
DON CHISCIOTTE
Sì, Dulcinea, mia vita
porgimi aita.
SANCIO
Aita.
DON CHISCIOTTE
Senti che fino l'eco
dal solitario speco
per me ti prega da pietà commossa.
Sì, Dulcinea, mia vita
porgimi aita.
SANCIO
Aita, che son dentro in questa fossa.
DON CHISCIOTTE
Ma questo eco non è.
SANCIO
Misericordia.
DON CHISCIOTTE
Chi sei tu, che domandi il mio soccorso?
SANCIO
Signor padron, son io.
DON CHISCIOTTE
Freston vigliacco,
tu non m'inganni. Sancio andò al governo.
Don Alvaro con Soldati, e detti.
DON ALVARO
Sparsi, e divisi in cerca
gite di quel meschin: voleva il Duca
il solo suo timor, non il suo danno.
SANCIO
Caro signor don Cavolo
pietà d'un poverel.
DON ALVARO
(a Don Chisciotte)
Grazie agli dèi,
che alfin si ritrovò. Porgiamgli aita.
DON CHISCIOTTE
Ferma, non ti fidare: in simil guisa
quel vecchio mago, che allevò Ruggiero,
deluse il fior de' cavalieri erranti.
DON ALVARO
È Sancio; non lo vedi?
SANCIO
Sì signore,
son io: misericordia.
Per Dulcinea la chiedo.
DON CHISCIOTTE
Scellerato,
non profanar quel riverito nome
colla fetente lingua: il tergo tutto
già ti rivolgo, e non ti ascolto.
DON ALVARO
Aita
gli porgerò ben io. Vieni.
DON CHISCIOTTE
Il periglio
è più che certo, né costui lo teme.
SANCIO
Vi ringrazio dugento mila volte.
Perché pe 'l mio padron potea crepare.
DON CHISCIOTTE
Ma sei tu veramente
Sancio governatore?
SANCIO
Così non fossi.
DON ALVARO
Cosa t'avvenne mai? Stette in gran pena
il mio signor per te.
SANCIO
Dugento mori
con dugento grandissimi bastoni,
nel uscir dal castel con tutta forza
m'hanno dato il buon viaggio in sulle spalle.
DON ALVARO
Povero disgraziato!
SANCIO
L'asino mio fedel buona memoria
(perché s'è rotto il collo)
siccome, poverello,
è stato forse più di me percosso,
posta ha fra i piedi l'onorata testa,
e m'ha precipitato dentro al fosso.
DON ALVARO
Ringrazia il ciel, che benché infranto, e pesto
come tu sei, potea seguir di peggio.
SANCIO
Sia ringraziato il ciel, ma non di questo.
DON CHISCIOTTE
Penso all'ingiuria delle bastonate
date ad un mio scudiero.
SANCIO
Ed io pensavo,
che se il nostro Merlino l'ha segnate,
i conti son saldati tutti quanti,
che bastan per trecento disincanti.
DON CHISCIOTTE
Queste non han che fare
con quelle del prestato giuramento.
DON ALVARO
Solleciti partite. Impaziente
ambo il Duca vi attende.
DON CHISCIOTTE
Andiamo Sancio:
di quest'affare parlerem per via:
combatter debbo, e il sole in ciel già splende.
SANCIO
Andiam. Povero Ruccio,
proprio la tua disgrazia il cor mi tocca.
Che ben che mi volea!
È morto quasi col mio nome in bocca.
Laurindo, e Don Alvaro.
DON ALVARO
Laurindo.
LAURINDO
Amico.
DON ALVARO
E nel tuo vano impegno
sei forte ancor, né la ragion ti vince?
LAURINDO
Io penso al mio dover, d'altro non curo.
DON ALVARO
Se pensi al tuo dover, pensa a te stesso.
LAURINDO
A me stesso pensai, quando ti resi,
grato, amor per amor, fede per fede;
torna all'antico affetto,
né mi tentar di più. Se tu sapessi
questo dover quanto mi costa; oh dio.
DON ALVARO
Ti costa perché vuoi.
LAURINDO
Sol voglio ciò che debbo.
DON ALVARO
Ogni virtude,
amico, ha i suoi confini,
e quando n'esce fuor, nel vizio cade.
LAURINDO
Con questa in fine, sol me stesso offendo.
DON ALVARO
Quel che nuoce a sé stesso, e altrui non giova
è stoltezza seguir. Qual ne ricavo
da' replicati tuoi vani rifiuti
profitto pe 'l mio cor? Sei forse certo,
che lasciato quel ben, per cui sospiri,
possa tosto quel ben donarmi amore?
LAURINDO
Certo son io, che non ti faccio offesa.
DON ALVARO
Tu rifiuti un mio dono, e un don che tanto
si accorda col tuo cor: lungi mi fai
da legge d'onestà; per te divengo
ingiusto in faccia al mondo; infin mi rendi
sospetto a lei, che t'ama,
e ardisci dir di poi, che non m'offendi?
LAURINDO
Don Alvaro, perdona in cor sincero:
è più ingegnoso il tuo parlar, che vero.
Lasciami al mio dolor,
e godi pur quel ben,
che a te si aspetta.
Il tempo sanerà
la piaga del mio cor,
e spezzerà d'amor
la rea saetta.
Lasciami al mio dolor,
e godi pur quel ben,
che a te si aspetta.
(parte)
Don Alvaro, e Doralba.
DON ALVARO
Tanta virtù d'ira m'accende il seno;
vincer no 'l posso, e superar dispero
ormai sì duro impegno.
Ch'altro far più non so. Tutto ho tentato.
DORALBA
Don Alvaro, m'impone
il Duca, che da te senta i suoi cenni.
Ti vidi dal castello in questo loco,
e in questo loco a ritrovar ti venni.
Rodrigues già partì.
DON ALVARO
La volle il Duca
lontana, in quanto è d'uopo
di finger tutto per goder. Tu dunque
mostrar dovrai sotto d'un vel nascosa
la tradita donzella, e don Chisciotte,
che Dulcinea ti crede,
darà grato piacere. Io poi sul campo
d'amante traditor farò figura.
DORALBA
La faresti miglior da appassionato.
DON ALVARO
Fatta un tempo l'avria, ma non adesso.
DORALBA
Così non dice Altisidora offesa.
DON ALVARO
Quanto s'inganna mai. Se tu poc'anzi
m'avessi udito favellar col fiero
suo sconsigliato amante
veduto averesti allor...
DORALBA
Negar non posso,
che ho pena del suo duol, ma poi non lodo
la scelta di Laurindo. Oh quanto meglio
avria fatto a seguir l'antico impegno.
Un uom di te più degno
ritrovar no 'l potrà.
DON ALVARO
Così favelli,
perché non senti amor; si vivo affetto
nasce in noi senza noi; né può l'amante
scegliersi a suo voler l'amato oggetto.
DORALBA
Io di ciò non m'intendo:
dico solo quello, che per me farei,
quando mi fossi in lei.
DON ALVARO
Ma veramente lo faresti?
DORALBA
È certo.
DON ALVARO
Avverti ben che dici.
DORALBA
Intesi di parlar s'io fossi in quella,
e ciò supposto, il detto mio confermo.
DON ALVARO
Tanto mi basta. Or torna
a lei, che stima spenta
per me la speme sua; dille, che in breve
col sospirato ben sarà contenta.
A dispetto del vento, e dell'onda,
ch'al naviglio contrasta il riposo,
sarà tratto dal mar tempestoso,
e suo scampo il suo scoglio sarà.
Sorse in cielo benigna la stella,
cangia aspetto l'orribil procella,
già la calma formando si va.
A dispetto del vento, e dell'onda,
ch'al naviglio contrasta il riposo,
sarà tratto dal mar tempestoso,
e suo scampo il suo scoglio sarà.
Cortile ad uso di steccato per la pugna e ringhiere all'intorno magnificamente adornate.
Il duca, La duchessa, Laurindo, e Sancio.
IL DUCA
Raffrena il pianto: agevol cosa parmi
tuo danno riparar.
SANCIO
Cento somari
non vagliono il mio Ruccio: poverino.
LA DUCHESSA
Ma col dolerti no 'l ritorni in vita.
SANCIO
Signora, dite bene,
ma il sangue non è acqua;
non posso far di meno,
è un colpo troppo grande.
LAURINDO
Povero Sancio mio, ti compatisco.
SANCIO
Che bestia di giudizio! m'intendeva,
ch'era proprio una cosa da stordire;
e quando gli mettevo la cavezza,
volendomi mostrare il suo buon cuore,
cominciava a ragliar per tenerezza.
IL DUCA
Consolati, al governo
ne troverai più d'un.
SANCIO
Se l'ho da dire,
ho pensato ben bene all'accidente,
che m'è successo, e con sì tristo augurio
non voglio governar. Quel che t'avviene
sempre per meglio tiene;
perché dice il proverbio, che alle volte
pensiam comprar la vigna,
e si compra con essa o lite, o tigna.
IL DUCA
No, non temer, sicuro
sarai da nuovi insulti.
LA DUCHESSA
Il mio signore
scortar ben ti farà.
LAURINDO
Sarebbe un danno
del popol, che giammai
più buon governator sortir potea.
SANCIO
Tal sembra in vista agnel, che dentro è lupo,
sarà meglio per loro:
che un uom cattivo, se buono è tenuto,
può far del mal, che poi non gli è creduto.
LA DUCHESSA
Signor, costui ben spesso
con questi motti suoi parla da saggio.
Sotto la spoglia di pietà mentita
si nasconde talvolta un cor malvagio,
che tal giammai si crede, ond'è che intento
ad ammassar delitti,
termina un male, col pensier di cento.
Col rostro ancor vermiglio
dell'innocente preda,
ch'ha sull'adunco artiglio,
così fa spesso infido lo sparviero.
E mentre volge altrove
a un tempo e volo, e ciglio,
sulle sparse colombe ha il suo pensiero.
Col rostro ancor vermiglio
dell'innocente preda,
ch'ha sull'adunco artiglio,
così fa spesso infido lo sparviero.
Don Chisciotte, Don Alvaro armato con visiera calata, Altisidora, Doralba coperta con velo, e detti.
DON CHISCIOTTE
Presto, signor, che m'agita
il marziale spirito.
IL DUCA
Ogni breve dimora al valoroso
ch'è in atto di pugnar, divien tormento.
LA DUCHESSA
Si vede in don Chisciotte
un uom ch'è nato all'armi.
ALTISIDORA
E quel ch'è più stupore,
Marte all'armi rassembra, al volto Amore.
DON CHISCIOTTE
Le tenerezze a parte,
più che mi tenti, tanto più resisto,
perché son forte appunto
mi chiamo il cavalier de' Leoni.
SANCIO
Ed io la calamita de' bastoni.
IL DUCA
Or tu, Laurindo, intanto
della pugna fatal dichiara i patti;
la tradita donzella in alto ascenda,
prendano il campo i cavalieri, e ognuno
dalle trombe guerriere il cenno attenda.
LA DUCHESSA
I patti già son chiari.
Se don Chisciotte vincerà, l'ignoto
guerrier sposar dovrà quest'infelice;
se cederà, che il giusto ciel non voglia,
costui dal noto impegno allor si scioglia.
DON CHISCIOTTE
Presto, che il cor di don Chisciotte freme.
IL DUCA
Segua la pugna. Assiso,
giudice, e spettator m'avrete insieme.
(s'incammina il Duca per salire nelle ringhiere, Don Alvaro lo trattiene)
DON ALVARO
Ferma signor.
IL DUCA
(a don Alvaro a parte)
Don Alvaro, ma come
tu stesso...
DON ALVARO
(al Duca a parte)
Or or l'alta cagion saprai.
A fronte posto di sì grand'eroe
freddo timor le vene mi ricerca,
onde mi do per vinto.
SANCIO
L'amico ha le budella in un paniere.
LA DUCHESSA
(Don Alvaro è il guerriero!)
DON ALVARO
Don Chisciotte,
tu per altro riserba il tuo coraggio
a dieci forti cavalieri erranti,
ch'or pugneran con te.
DON CHISCIOTTE
Vengano avanti.
IL DUCA
Che mai tentar vorrà!
DON ALVARO
Prima conviene,
che della nostra pugna al patto adempia.
Se la donzella non dissente, io pronto
fuor d'ogni scherzo le darò la fede,
e colla fede il cor. Tu che rispondi?
DORALBA
Parli il Duca per me.
IL DUCA
Più non distinguo
dal falso il ver. Don Alvaro, che fai?
DON ALVARO
Adempio al mio dovere.
ALTISIDORA
(a Doralba)
Or ben comprendo
ciò che poc'anzi mi dicesti.
LA DUCHESSA
(Ancora
questo nuovo viluppo non l'intendo.)
DON CHISCIOTTE
I dieci cavalieri quanto stanno?
DON ALVARO
Taci, e tue forze aduna, or or verranno.
SANCIO
Così venir potesse il mio somaro.
DON ALVARO
Ebben, signor, consenti,
ch'a Doralba gentil porga la mano?
IL DUCA
Parli da senno?
DON ALVARO
Parlo
in fé di cavalier.
IL DUCA
S'ambo contenti siete
del vostro amore, amor vi stringa.
LAURINDO
Sto in dubbio ancor, se dica il vero, o finga.
DON ALVARO
Togliti il velo dalla faccia bella,
che mia sposa or tu sei. Laurindo, adesso
ti trovi in libertà. Non venni a caso
armato in campo il trasportato ardire.
(al Duca)
Scusa signore, o tu sposar dovrai
l'amante Altisidora,
da te sinor schernita,
o alcun di noi qui lascerà la vita.
LAURINDO
(Oh dio, che deggio far.)
SANCIO
Signor padrone,
la sposa di don Ravolo
par giusto Dulcinea.
DON CHISCIOTTE
Son tutti incanti.
DON ALVARO
Risolviti, Laurindo.
LAURINDO
Amico hai vinto,
e puoi pensar, se questo cor trafitto
da quei vivaci lumi,
nelle perdite sue trovi la pace.
LA DUCHESSA
Così bella virtù quanto mi piace.
IL DUCA
Orsù felici amanti
s'uniscan vostre destre,
e dalle vostre gare,
che cosa sia dell'amistà la legge,
e la bella onestà, ciascuno impare.
ALTISIDORA
Per te son io felice.
LAURINDO
(a don Alvaro)
Per te son io contento.
Insieme
LAURINDO
Ed ecco del tormento la mercede.
DON CHISCIOTTE
E questa turba errante non si vede.
ALTISIDORA, LAURINDO, DON ALVARO E DORALBA
In doppio nodo stringa
quattr'alme, ed un sol core
sempre uguale amore, e un'ugual fede.
DON CHISCIOTTE
E questa turba errante non si vede.
ALTISIDORA, LAURINDO, DON ALVARO E DORALBA
In doppio nodo stringa
quattr'anime, ed un sol core
sempre uguale amore, e un'ugual fede.
Grullo figurante uno scudiero de' dieci cavalieri, e detti.
GRULLO
A battaglia, a battaglia
signor de' Leoni
la forza ti vaglia,
a battaglia, a battaglia.
Son giunti dieci cavalier terribili,
signor, per arte magica,
che chiedon di combattere
in cambio di don Alvaro,
col cavalier fanatico,
che don Chisciotte appellasi,
e di provare intendono,
ch'è un matto spacciatissimo.
In primis per quel titolo,
ch'egli ha voluto assumere
di cavaliero errantico
senz'esser nato nobile,
con sommo vituperio
di tutto quanto l'Ordine;
e poi per la ridicola
sua Dulcinea fantastica
ch'è una villana misera,
brutta, fetente, e lurida
con altre cose eccetera,
che le tralascio, perché a dirla schietta
i cavalieri aspettano, ed han fretta.
DON CHISCIOTTE
Oh che bestemmie orribili.
Vengan questi malevoli
vo' cavar loro l'anima.
IL DUCA
Vengano pur, che proveran, se il braccio
d'un così grand'eroe sa ben punire,
e noi dall'alto gli vedrem perire.
Vedremo se a fronte
d'un uom così degno,
la forza all'impegno
risponder saprà.
Dal braccio guerriero
d'eroe sì pregiato
l'orgoglio malnato
depresso cadrà.
(vanno tutti nelle ringhiere, e restano Don Chisciotte, e Sancio)
SANCIO
Signor, si raccomandi a Dulcinea,
s'ella ne vuol uscire a salvamento,
che son dieci persone.
DON CHISCIOTTE
Sarian poche per me, se fosser cento.
SANCIO
Comanda ch'io lo faccia, anderò sopra?
DON CHISCIOTTE
Dove?
SANCIO
Dalla signora Dulcinea.
DON CHISCIOTTE
Quanto sei sciocco: quella
è figlia della vecchia, e per incanto
ha la sembianza della mia signora.
E l'altro, che Don Alvaro ti sembra
è il traditor amante.
SANCIO
Questi maghi son pur la gran canaglia.
(vengono i cavalieri condotti da Grullo)
GRULLO
A battaglia, a battaglia.
SANCIO
Signori, colle buone,
siete dieci persone.
DON CHISCIOTTE
Vengano tutti quanti.
CORO
Evviva il fior de' cavalieri erranti.
DON CHISCIOTTE
Ma che vedo! De' secoli già scorsi
questi sono i guerrieri più famosi.
Orlando il primo viene ad assaltarmi.
GRULLO
Meno ciarle signore, all'armi, all'armi.
DON CHISCIOTTE
Sancio, Orlando è già vinto,
e cede afflitto, ed egro.
Successivamente tutti i Cavalieri cedono a don Chisciotte.
SANCIO
Bravo, me ne rallegro.
GRULLO
Amadisse è quest'altro.
DON CHISCIOTTE
E anch'esso incontra
meco un ugual destino.
SANCIO
Vuol dispiacere al conte Candalino.
GRULLO
Quest'altro è il forte Palmerin d'uliva,
DON CHISCIOTTE
Già l'è caduto a terra.
SANCIO
Evviva, evviva.
GRULLO
Ecco il famoso Argante,
Grifone, ed Aquilante,
ed il celebratissimo Tancredi.
DON CHISCIOTTE
Io me gli veggio ai piedi
ripieni di spavento.
SANCIO
Sarian pochi per lei, se fosser cento.
GRULLO
È questo il pro Dudone,
che va unito al signor di Montalbano.
SANCIO
Gli dia di soprammano;
bravo signor padrone.
GRULLO
L'ultimo è Florismarte,
dell'armi onore, e gloria.
DON CHISCIOTTE
Perde il coraggio anch'esso.
SANCIO
Si può cantar vittoria,
che il signor don Chisciotte
gli ha vinti tutti quanti.
CORO
Evviva il fior de' Cavalieri Erranti.
Viva, viva Don Chisciotte,
viva il fior d'ogni gagliardo,
grand'onor di nostra età.
(i cavalieri vinti formano un trofeo delle loro armi, e poi coronano don Chisciotte)
PARTE DEL CORO
Coi più bei simboli
della vittoria
tosto coronisi
campion sì celebre,
che seppe vincere
la turba errantica,
di cui l'istoria
con tanto credito
parlando va.
CORO
Viva, viva Don Chisciotte,
viva il fior d'ogni gagliardo,
grand'onor di nostra età.
PARTE DEL CORO
Col solo spirito
donchisciottiaco
s'arriva a cingere
serti di gloria;
ogni altro merito
è merto inutile,
che il mondo pascesi
di vanità.
CORO
Viva, viva Don Chisciotte,
viva il fior d'ogni gagliardo,
grand'onor di nostra età.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 23/12/2017
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(W)