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[Sinfonia] | N
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Scena prima |
Eufemiano, con imaginarsi la consolazione de' parenti d'Adrasto nel suo ritorno, piange la propria infelicità, per esser quasi senza speranza di rivedere il figliuolo. |
Eufemiano
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O te felice, o genitor d'Adrasto,
ch'oggi tra le tue soglie
la bramata tua prole alfin s'accoglie,
e rivolgendo il ciglio
al generoso figlio
gl'aspettati diletti alfin pur godi,
io sol di pene estreme
miserabile oggetto,
privo d'ogni mia speme,
solo riserbo alle miserie il petto.
Lasso, ma che stupore,
se mai tregua non sente il mio dolore?
Quello, quello son io,
che con empio destino
son fatto all'Aventino
esempio di tormento atroce e rio.
Quello, quello son io.
Dunque o mia pena acerba,
o mia doglia infinita,
toglietemi la vita.
In sì lungo martire
mi sia vita il morire.
Dunque, o mia pena acerba,
o mia doglia infinita,
toglietemi la vita.
| Eufemiano ->
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Scena seconda |
Accenna il Demonio d'aver ordito una trama, per la quale spera che il santo sia costretto a scoprirsi ed a tornare alle delizie del secolo. |
<- Demonio
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DEMONIO |
Propizia arride al mio desir la sorte,
ond'ho la trama agl'altrui danni ordita.
D'Alessio ho la consorte
persuasa alla fuga,
e già le piante accinge
alla partita,
per ricercar il suo marito errante;
ond'ei sarà, per ritenerla, astretto
di palesarsi al fine.
Né soffrirà, ben che sia duro il petto,
ch'ella cerchi, vagando, altro confine.
E se bene a' miei sforzi ancor non cede
d'Alessio la costanza,
che con novello esempio ogn'altra eccede,
io già non più sento in me
con l'ardimento vacillar la speranza.
Tenterò nuovi assalti e nuova guerra
ché combattuta rocca alfin s'atterra.
Scena terza
Sposa in abito di pellegrina. Nutrice.
| Demonio ->
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Scena terza |
Sposa in abito di pellegrina. Nutrice. La Sposa, risoluta di andare cercando per il mondo il perduto Alessio, comparisce in abito di pellegrina, e mentre tra sé discorre di tal pensiero, è osservata dalla Nutrice, che senza scoprirsi a lei, ne porta l'avviso alla Madre. |
<- Sposa, Nutrice
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SPOSA |
A dio, Tebro, a dio, colli,
o patria, a dio.
E voi, di questo albergo
mura dilette, a dio,
ché pur siete dilette,
quantunque entr'a voi solo
sia nota la cagion del mio duolo.
Bramai viver in voi, ma il ciel non volle,
onde m'accingo omai per far partita,
ché qui, senza il mio ben,
senza il mio core,
aspra pena è la vita.
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NUTRICE |
Incauta giovinetta,
mal consigliata amante,
al dipartir s'affretta.
Ma poiché la sua fuga ho ben compresa,
già non permetterò sì vana impresa.
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SPOSA |
Ma dove a me sia duce il mio dolore?
Dove, l'amor, se l'uno e l'altro è cieco?
Ah, dove poss'io teco
trarre una volta, Alessio, i dì giocondi?
Dove, ah dove sei, dove t'ascondi?
A te rivolgo il piede.
Non sprezzar le mie fiamme e l'amor mio,
se poca è la beltà, molta è la fede.
A me, crudele, o dio,
tu così mal rispondi?
Dove, ah, dove sei,
dove t'ascondi?
Forse desii cangiasti,
o volubile amante?
O, qual fronda incostante,
nuova beltà ti piacque, e la bramasti?
E forse per tuo vanto ora a lei narri
la mia fiamma schernita,
la mia fede tradita,
i miei dolor profondi?
Dove, deh, dove sei,
dove t'ascondi?
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NUTRICE |
Devo scoprirmi o no?
No, ché possenti
non sono i preghi miei
a temperare i suoi desiri ardenti.
Megl'è ch'io faccia noto il suo disegno
a chi ponga ritegno al core, al piede.
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SPOSA |
Ah, gioventù fallace,
spergiura è la tua fede.
Misera, a chi mai
più creder poss'io?
Alessio fu mendace?
Lassa, dove trascorre il dolor mio?
Che parlo e che vaneggio?
Doler del mio destino,
Alessio mio,
ma non di te mi deggio,
ché dentr'al ciel latino,
là dove ogni virtù risplender suole,
di virtù fosti, e d'innocenza un sole.
Ma che più tardo?
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Scena quarta |
Madre, Sposa, Nutrice, S. Alessio, Marzio e Curzio. Tenta indarno la Madre d'impedire il disegno della Sposa: anzi, stimolata dall'esempio d'un'amor grande, si risolve d'imitarla, e di partirsi con lei. S. Alessio, intesa tal novità, raccomandasi prima al divino aiuto, cerca con varie ragioni di ritenerle dal destinato cammino. La Sposa, posta in molta ambiguità, e rinnovandosi in lei più che mai il dolore per l'assenza del marito, si vien meno. |
<- Madre, Sant'Alessio, Marzio, Curzio
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NUTRICE |
Affretta il piè, ché troppo
nocerebbe l'indugio.
Ecco già parte.
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MADRE |
Figlia, di queste luci a me più cara,
deh, dinne a me, quai voglie
ti fan cangiar le spoglie?
Forse a me nuovi danni
il ciel prepara
con tua partenza amara;
e vuol che resti a lagrimar sol io?
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SPOSA |
Sallo il ciel, sallo amore,
che dall'amato albergo
forza mi trae, cui contradir non posso.
E dentro al cor commosso
io sento sprone acuto,
ch'il piede affretta;
e forse il ciel mi spira,
perch'io trovi il consorte,
o la mia pur congiunga alla sua morte.
No, no, più non potrei
menarne qui tra' miei tormenti amari
i giorni solitari.
Ah, non sia ritenuto
dal cercar il suo cor chi l'ha perduto.
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SANT'ALESSIO |
Che sento, o ciel, che veggio?
Ah non sia vero
ch'errante ella piè muova.
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MADRE |
O di stabile amor ben degna prova.
Non che riprovar possa il tuo pensiero,
voglio seguirlo anch'io.
Cangerò vesti, e teco
ratta verrò
dovunque volga il sole
il luminoso aspetto,
ch'a ricercar la sospirata prole
non sia mai stanco il piede.
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SPOSA |
Ben son bastante io sola.
Entro il mio petto
ho tal valor, che compagnia non chiede.
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MADRE |
Con ragioni o con preghi
di rimuovermi, o figlia,
invan procuri.
Se compagna al cammino
esser mi neghi,
precorrer mi vedrai.
Andiamne omai,
ch'a secoli futuri
renderan forse questa età famosa
amor di genitrice,
amor di sposa.
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NUTRICE |
Misera me, che posso far, che deggio?
Ogni consiglio invano
omai per ritenerle esser m'avveggio.
Misero Eufemiano.
Di qual ruina acerba
nell'occaso degl'anni il ciel ti serba?
Deh s'impetrar può tanto,
non dirò questo pianto,
ma l'amor, ma la fede,
ch'in me provaste,
ah, ritenete alquanto
vostro rapido piede,
fin che sol pensiate
ove v'adduce
sconsigliato desire.
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MADRE E SPOSA |
A ritrovar Alessio,
o per morire.
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MARZIO |
Alla prova le voglio:
il terzo giorno so
che faran ritorno.
Credono che le strade in ogni loco
sian lastricate e piane,
come le vie romane.
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CURZIO |
Oh, quanti mali passi!
Quanto v'è da salir,
quanto da scendere.
Vadan pur, senza invidia.
Troppo la mia
dalla lor mente è varia.
Non mi curo per me di mutar aria.
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SANT'ALESSIO |
Or non mi manchi il ciel di sua virtude.
Sì ch'io m'opponga a quel voler fallace,
che dentro all'alme loro il desir chiude.
Già non prendete,
eccelse donne, a sdegno,
s'io di parlarvi indegno,
oggi mi scopro a favellarvi audace.
Ché, se vostro disegno
pur come dianzi intesi,
è lungi andar dalla città di Marte,
cercando altri paesi,
io, che scorso del mondo ho sì gran parte,
ben posso come esperto
darvi consiglio, e farvi il vero aperto.
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NUTRICE |
Ascoltate per dio ciò, ch'ei favella,
ché sovente esser suole espresso il vero
in semplici parole.
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SPOSA |
Chiunque mi rappella
dal sentier destinato, a sdegno il piglio,
ché risoluto cor odia consiglio.
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MADRE |
Nelle pietose voci
di umil garzone
io provo al core
un non so che d'insolito e soave.
Ciò ch'ei n'accenna udir,
deh, non sia grave.
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CURZIO |
Sì, sì ben è il sentirlo.
Ch'è tuttavia buon'ora,
né farà gran dimora.
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MARZIO |
E se ben fanno una fermata corta
giungeranno stasera a Prima Porta.
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SANT'ALESSIO |
M'è noto il dolor vostro, e noto insieme
m'è lo sperar, ch'a dipartirne invita.
Ma se giusto è il dolor, vana è la speme;
ché forse in parte incognita e romita
si cela Alessio, e quanto più il cercate,
più da lui vi scostate
e forse sì cangiato è nel sembiante,
ch'ancor se lo vedeste,
no 'l riconoscereste.
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SPOSA |
Ciò non tem'io, ché dove alberga amore,
quando ciechi son gl'occhi, è Argo il core.
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SANT'ALESSIO |
Gli alpestri monti, e i sassi
ritarderan sovente i molti passi.
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MADRE |
Animoso desire
dona possanza
e fa lieve il martire.
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SANT'ALESSIO |
Chi per lungo sentier errar dispone
a ben mille perigli il petto espone.
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SPOSA |
A petto inerme e nudo
la virtù rocca e l'innocenza è scudo.
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SANT'ALESSIO |
Ma pur ne vieta incognite contrade
la legge d'onestade.
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MADRE |
In ogni loco è d'onestà ricetto
un generoso petto.
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SANT'ALESSIO |
Dovunque Alessio il senta, o voi ritrovi,
mai non sarà ch'il fuggir vostro approvi.
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SPOSA |
S'io lo voglio imitar, già non l'offendo.
Nella scola di lui la fuga apprendo.
Ma che parlo?
Ah non sia ch'a suoi desiri
per me si contradica.
Io, sento ch'Alessio istesso
ancor ch'a me lontano
par che mi parli al core
e che mi dica:
«Resta nel tuo tormento,
resta, ch'a me non piace
il tuo partir fugace.»
Dunque, rimango, ahi lassa,
esempio d'aspra sorte,
vilipesa consorte.
E sol per non spiacerti a te non vegno.
Ma se riman la salma,
a cercarti vien l'alma,
ond'al tremante piè manca il sostegno:
già moro per Alessio,
e già dal seno
se n' fugge l'alma
e il viver mio vien meno.
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NUTRICE |
Ah più non si sostiene e resta esangue,
e freddo gelo il suo vigore opprime.
Pur le palpita il cor, languido e lento
e la lingua dell'alma in fronte esprime
con voci di pietade il suo tormento.
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MADRE |
O mio dolore insano,
ben troppo lieve sei, se non m'uccidi.
Accorrete, miei fidi,
con le mediche cure a lei d'intorno,
onde se n' rieda ai languid'occhi il giorno.
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MARZIO |
Misero Marzio, ohimè tu sei spedito.
Che ti giova a costei l'aver servito,
c'è, s'ella muor senza testare avanti,
non ti lascia nemmeno un par di guanti?
| Sposa, Madre, Nutrice, Marzio, Curzio ->
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Scena quinta |
S. Alessio. S. Alessio per il travaglio miserabile dei parenti, agitato da diversi pensieri, considera tra sé medesimo se deve manifestarsi. |
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Alessio, che farai?
Userai crudeltade
a chi come ben sai,
vuol il ciel, vuol il mondo,
che tu mostri pietade?
Che fo? devo scoprirmi,
o pur m'ascondo?
Ah, silenzio crudele,
cagion d'aspre querele.
Io già me n' volo a far palese il tutto.
Fermo che sol chi giunge all'ultime ore
con immutabil core
delle fatiche sue raccoglie il frutto.
Tu, che tanto hai sofferto,
del ciel non curi più l'alta mercede?
Tu, che per dio cercar, fuggisti il mondo,
or per sentiero incerto
volgi di nuovo (ah folle)
al mondo il piede?
Chi sì mal ti consiglia?
Ah, segui, segui il tuo cammin primiero.
Ma pur forza ripiglia
dolorosa pietà nel core impressa,
che mi richiama, ovunque il pensier muovo.
Pietade, omai deh cessa
di tormentarmi il seno.
Ah, quale io provo
nel teatro del cor dura battaglia.
O dio clemente,
il tuo favor mi vaglia.
Tu la palma a me serba,
ch'io già per me non basto
a sì fiero contrasto.
Né l'alma ho di diamante,
che veder possa in aspra doglia acerba
e la madre e la sposa a me davante.
Ma chi sarà costui,
che con luci serene
maestoso in sembiante a me ne viene?
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Scena sesta |
S. Alessio, Demonio, in forma di Eremita. In questa varietà di pensieri viene incontrato dal Demonio, il quale sotto abito di vecchio Eremita procura con diverse ragioni d'indurre il Santo a scoprirsi a' parenti. Egli però restando più confuso che persuaso, non lascia di dubitare che sia illusione dell'inferno, onde chiede a dio che in tanto bisogno non l'abbandoni. |
<- Demonio
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DEMONIO |
Umil servo, ed indegno
del ciel son io,
che da' riposti orrori
di lontane pendici
erme sì ma felici,
sol per giovarti, Alessio, a te ne vegno.
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SANT'ALESSIO |
Qual mia ventura, o quale,
dio di somma pietade,
da' solitari chiostri
pur oggi agl'occhi miei fa' che ti mostri?
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DEMONIO |
Dio messagger mi manda.
Io la sua mente, Alessio, a te rivelo
perché di folle zelo
ripieno il core ardente;
per dio cercar da dio ne vai lontano,
onde tu soffri e t'affatichi invano.
Poiché, mentre dolente
la consorte abbandoni, a lui non piaci.
E qual legge t'insegna aspro e crudele
con promesse fallaci
ingannar nobil donna a te fedele?
E qual torbida cura
della mente il seren così t'oscura,
che sì vaga consorte,
mentre per te si duole,
tu, tiranno crudele,
condanni a morte?
Non l'approva la terra, il ciel no 'l vuole,
l'aborrisce natura.
Dunque, colei per te sospira e piange,
e tu puoi dar soccorso e dare il nieghi?
Per te lacera il seno, e il crin si frange,
e tu, spietato, il miri, e non ti pieghi?
E senso hai di pietade?
E spirto in te s'accoglie
di mansuete voglie
come di dio la legge impera e vuole?
Ma se ogni altra ragion vana a te pare,
volgi il pensier alla diletta prole
che con sembianze a te gradite e care
se no 'l ricusi, in breve
nascer di te pur deve.
Fingiti intorno, Alessio, i dolci figli,
e dalle voci lor prendi i consigli.
Torna, deh torna alla tua sposa amante,
porta alla cara madre omai riposo;
rendi te stesso al genitor doglioso.
Frena il desir errante,
ché suol vana costanza
sol di perfidia aver nome e sembianza.
E saggio è quello, in cui,
vinto il proprio voler, cede all'altrui.
Credi, vanne, obbedisci,
vago degl'antri foschi.
Ti lascio in tanto,
e me ne torno a i boschi.
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SANT'ALESSIO |
Attonito, e confuso
rimango a questi detti,
né par, ch'ad obbedirlo
il cor m'affretti,
temendo dall'inferno esser deluso;
ch'ad ogni passo ordisce un nuovo inganno
degli abissi il tiranno.
Dunque, a me porgi aita
...eterna fede
con pietade infinita
doni stabil soccorso a chi lo chiede.
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DEMONIO |
Ahi, che di qui mi scaccia
con poderosa mano
scendendo dalle stelle
angelo sovrano,
e col suo lume ogni mia speme agghiaccia.
Omai qui di fermarmi a lui d'appresso
dal ciel non m'è permesso.
| Demonio ->
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Scena settima |
Angelo, S. Alessio Apparendogli un Angelo, l'assicura che quello Eremita era il Demonio, e che le ragioni da lui addotte devono disprezzarsi da S. Alessio, che con particolare ispirazione è chiamato da dio per una strada piuttosto ammirabile, che imitabile. Gli rivela la vicina sua morte e la grandezza del premio preparatogli in cielo. E l'esorta ad aspettare quel passaggio con animo intrepido. Dal che confortato, il Santo invita la morte, e va meditando la tranquillità che in essa ritrovano i giusti. Viene l'Angelo volando dal cielo. |
<- Angelo
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ANGELO |
Alessio, Alessio, a me rivolgi il guardo.
Colui ch'alla tua sposa or ti rappella
con sembiante bugiardo,
è l'avversario antico,
implacabil nemico.
Per sentier non usato iddio t'appella,
ché non soggiace a comun legge il giusto.
E sia ch'il tuo desire
raro altro segua e che ciascun l'ammiri.
Quella palma sovrana,
che a te destina il ciel (prendi conforto),
da te non è lontana.
Celeste messaggero,
d'alta letizia a te novelle apporto.
All'immortale impero
ti chiama alto decreto.
Vieni, Alessio, pur lieto,
e vedrai come alfin fruttano i semi
delle lagrime in ciel corone e premi.
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SANT'ALESSIO |
Riverente t'inchino, angel di luce.
Ecco pur giunta è l'ora
che si chiuda in gioir lieto tormento.
Ecco che fuor di torbide procelle
colà sopra le stelle
pur vedrò senza occaso il mio contento.
Grazie ti rendo, o dio,
e provo ch'a ciascuno
giunge favor del ciel sempre opportuno.
Ma quando, d'ogni miseria in bando,
che l'alma voli al ciel,
quando ciò, quando?
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ANGELO |
Breve sarà l'indugio.
Prendi ristoro e speme.
E giunto all'ore estreme,
non paventar di morte il varco ombroso,
ché a chi pene soffrì, morte è riposo.
Questa, all'alme più fide,
onde salgon veloci
alle rote immortali,
gran ministro del cielo impenna l'ali.
Questa da un mar di pene
disserra il varco
all'infinito bene.
Su, dunque, or che s'appressa,
per te ritrar dalla mortal prigione
di gioia sii, non di spavento impresso.
Lieto l'attendi, ed ella,
tra palme, e tra corone
perché trionfi il tuo valor superno,
ti farà scorta al Campidoglio eterno.
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SANT'ALESSIO
O morte gradita,
ti bramo, ti aspetto,
dal duolo al diletto
tuo calle n'invita.
O morte, o morte,
o morte gradita,
dal carcere umano
tu sola fai piano
il varco alla vita.
O morte soave,
de' giusti conforto,
tu guidi nel porto
d'ogni alma la nave,
o morte soave,
il viver secondo
tu n'apri nel mondo,
con gelida chiave,
o morte soave.
| (♦)
(♦)
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Alla fine della scena il velo sparisce. | Sant'Alessio, Angelo ->
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Scena ottava |
Demonio e Marzio. Ritorna il Demonio, risoluto di fare ogni sforzo per superare Alessio nel breve spazio che gli rimane di vita. È sopraggiunto da Marzio il quale, credendolo un Eremita e volendo burlarlo come era solito fare con Alessio entra seco in discorso. Adiratosi con lui, procura di ritenerlo, ma viene in diversi modi schernito dal Demonio. |
<- Demonio, Marzio
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DEMONIO |
Già con desir costante
alla sua morte Alessio il cor dispone.
Nell'ultima tenzone
dunque non resti scemo
d'arte, o di forza il mio disegno audace,
però che un'alma in fino a punto estremo
ai perigli soggiace.
Ah, se nel franger del corporeo velo
in questo irreparabile momento
da cui dipende eternità di pene,
colui che bramai tanto,
rapir potessi eternamente al cielo
oh, che chiaro trionfo, oh, che gran vanto.
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MARZIO |
Non so quel che d'intorno in rozzo manto
qui se ne stia facendo un eremita.
Fors'hai la via smarrita?
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DEMONIO |
Ben altra volta, ohimè, smarrii la strada.
Ma qui so molto ben, dove io mi vada.
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MARZIO |
Per venir di lontano,
lasci la casa abbandonata e sola?
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DEMONIO |
Anzi, ch'in mia magione è tanta gente,
che par quasi infinita.
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MARZIO |
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DEMONIO |
Allegramente.
Chi sa, tu ne potresti far la prova.
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MARZIO |
Non mi piace l'usanza.
Io, perché di cantar ogn'or son vago,
colà, per quelle selve ombrose, e spesse,
non vorrei, che il catarro m'offendesse.
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DEMONIO |
Non dubitar di questo,
ché subito una stanza ti darò,
la più calda che vi sia.
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MARZIO |
Io ti ringrazio; è troppa cortesia.
Tornatene pur solo
alle selve lontane.
E se cerchi limosina agl'alberghi
aspetta qui, ch'io porterò del pane.
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DEMONIO |
Fame non sento io no, più tosto ho sete;
e sento addosso un caldo che m'abbrugia.
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MARZIO |
E perché non bevete?
Non avete del vino in questa fiasca?
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DEMONIO |
Lascia star
ché ti farà mal gioco.
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MARZIO |
Ahi, ahi, mi scotta, ohimè, vecchio indiscreto.
Perché vi tieni il foco,
così chiuso, e segreto,
ch'altri non lo discerne?
Servono forse i fiaschi per lanterne?
Ohimè, mi duole ancora.
Mentre, il fuoco ascondendo, or fai dimora
qualch'inganno ti passa per la testa.
Ma la gente sia presta
a discoprirti, e io fermarti voglio.
Ohimè, misero me,
tutto mi doglio.
A stringerlo mi mossi e strinsi il vento,
ma pur non mi contento,
se non mi torno prima a vendicare.
Io ti terrò sì forte
che non mi fuggirai.
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Il Demonio essendo ritenuto da Marzio si trasforma in un orso. | |
Marzio, volendo abbracciar l'Eremita, cade per terra. | |
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DEMONIO |
Prima ch'io più t'offenda, lasciami andare
ché te ne pentirai.
Lasciami, che mi preme altra faccenda.
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MARZIO |
E che far mi potrai? fermati qui
non ti partire, ahi, ahi, ahi, ahi, ahi.
| Demonio, Marzio ->
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Scena nona |
Religione. Comparisce la Religione per assistere al devoto transito d'Alessio, e, gloriandosi dell'opera di lui ormai giunto al premio meritato, invita il mondo a seguitare la virtù. La Religione passa per l'aria in un carro cinto di nuvole. |
<- Religione
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RELIGIONE |
Io, di vera pietà madre e reina,
su la spiaggia latina
crescer sino a le stelle
veggo pur oggi i miei trionfi alteri,
poiché da le procelle
omai pur giunge Alessio
dove il regno superno
porge a' disagi altrui riposo eterno.
Ei, qual novello Alcide,
scorse vari sentieri.
Ma pure il mondo il vide
mostri domar più fieri,
vero trionfator
d'Averno, e Pluto.
Onde è ragion che alfine
del suo valor sia Campidoglio il cielo.
Anime peregrine,
che solcate del mondo il mar fallace,
ah, non volgete il corso
dietro a scorta mendace
di quel piacer, ch'è duolo.
Io sola addito al cammin vostro il polo.
Quei, che sospirano senza conforto
alfin pur mirano
là fra le stelle ai flutti loro il porto.
Al mio cenno fedele
ogni dubbio dilegui.
Chi può seguir il sol, l'ombra non segua.
Del gioir labile
non prezzi il lampo
chi brama stabile
aver nel cielo alla sua pace il campo.
Da mille pene in terra
un cor mai non ha tregua.
Chi può seguir il sol, l'ombra non segua.
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Scena decima |
Eufemiano, Adrasto, Nunzio. Mentre Eufemiano si duole delle sue sventure in compagnia di Adrasto, sente avviso, come nella chiesa maggiore si era udita una voce dal cielo che richiamava alle stelle l'anima travagliata nel mondo. Perciò rallegratosi, raccoglie che anch'esso potrebbe consolarsi una volta con il ritorno del figlio; e che per qualsivoglia miseria non si deve mai perdere la speranza. |
<- Eufemiano, Adrasto, Nunzio
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ADRASTO |
Talor che men s'attende,
pietoso il cielo il suo favor comparte
all'umane vicende.
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EUFEMIANO |
Ti parlo il vero, Adrasto:
in ogni parte
vedevo, oh, sì, delle speranze il seno
ché l'alma, ognor tra mille dubbi avvolta,
una voce ascoltar vorrebbe al meno,
che mi dica una volta:
«È morto Alessio, il tuo figliuolo è morto.»
Ah, folle, che ragiono?
Viva pur, viva il figlio,
lunge d'ogni periglio.
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ADRASTO |
La lunga etade insegna
porre il freno alla tigre aspra, e feroce
che per natia fierezza i lacci sdegna
ma non già porre il freno al duolo atroce.
Quindi non è stupore
se d'insanabil piaga
mostra ognor nuovi segni il dolore.
Ma veggio, ch'anelante
con festoso sembiante,
con sollecito piè Sofronio arriva.
Udiam ciò ch'ei ne porti.
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NUNZIO |
In ogni riva
oggi risuona di letizia il Tebro.
E voi pur qui con la sembianza mesta
ve ne state in disparte,
e forse intese
non avete quai grazie il ciel n'appresta.
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ADRASTO |
Deh, fanne, amico, il tutto a noi palese.
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NUNZIO |
Stava pur dianzi accolto
dentro al tempio maggiore il popol folto,
quando dal ciel s'udì placida e chiara
risonar una voce in queste note:
vengano a me coloro,
ch'anelar fa delle fatiche il pondo,
laggiù nel cieco mondo;
ch'io gli darò ristoro.
Resta ciascuno al sacro altare avante
con le palpebre immote.
Dall'attonite genti
ciò che n'accenni il ciel ben non s'intende.
Ma pur ciascun ne prende
di fortunati eventi
non incerti presagi.
E sperar lice
ch'esser pur deva Roma ancor felice.
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EUFEMIANO |
Non abbandona il cielo
alma, ch'in lui confida,
colma d'invitto zelo.
Or, se celeste voce
precorre il gioir nostro
o fidi amici,
rassereniamo il cor con lieti auspici.
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[Ritornello per l'aria di «Questo Egeo»] | N
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Si replica il principio solamente alla prima stanza, e non alle altre tre | |
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Questo Egeo ch'è stabil campo
d'aspri nembi e di procelle
delle stelle mira pur
talora il lampo,
e propizio il ciel sovviene,
se fremente Austro s'avanza.
Chi s'aggira in mar di pene,
dia le vele alla speranza.
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Ritornello | |
Il Coro sopra detto con canti, e un altro di giovani Romani con balli fanno festa per le nuove allegrezze della città consolata. | <- romani
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CORO DI GIOVANI ROMANI |
Il ciel pietoso
in suon giocondo
promett'al mondo
dolce riposo
di grazie nuove.
Un largo nembo
a Roma in grembo
oggi ne piove.
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[Ritornello strumentale] | N
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Questo ritornello si fa dopo ciascuna stanza del balletto | |
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Sul carro adorno
con vivi rai
non giunse mai
così bel giorno.
L'alba e la sorte
n'apron per noi
dai lidi eoi
al dì le porte.
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Ritornello | |
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Con l'onde chiare
oltre il costume,
festoso il fiume
se n' corre al mare.
Muove il sentiero
suoi molli argenti
più di contenti
che d'acque altero.
Di queste mura
cresce oggi il vanto,
poiché son tanto
al ciel in cura.
Dunque, in sembianza
di grati affetti,
il piè s'affretti
a liete danze.
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Ritornello | |
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