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Il sant'Alessio

IL SANT'ALESSIO

Dramma musicale.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Giulio ROSPIGLIOSI.
Musica di Stefano LANDI.

Prima esecuzione: 8 marzo 1631, Roma.


Personaggi:

ROMA prologo

soprano

EUFEMIANO padre di sant'Alessio

tenore

ADRASTO cavagliere romano

contralto

SANT'ALESSIO

soprano

La SPOSA di sant'Alessio

soprano

La MADRE di sant'Alessio

soprano

La NUTRICE

soprano

MARZIO paggio

soprano

CURZIO paggio

soprano

L' ANGELO

soprano

La RELIGIONE

soprano

Il DEMONIO

basso

Il NUNZIO

contralto


Cori di Schiavi, di Domestici d'Eufemiano, di Angeli, di Demoni dentro alla scena, di Demoni che ballano, di Contadini che ballano, di Giovani Romani che ballano, di Virtù.



Prologo

[Sinfonia per introduzione del Prologo]

A tre violini, arpe, lauti, gravicembali, tiorbe, violini e lira. Si fa prima di calar la tenda.

Scena prima

Coro di Schiavi, Roma.
Roma, sopra un trofeo di spoglie circondata da diversi Schiavi, dopo aver sentito le lodi del serenissimo principe Alessandro Carlo di Polonia, il giubilo comune per la venuta di s. altezza, risolve di rappresentarle i casi di S. Alessio, quale tra i suoi cittadini fu non meno conspicuo nella gloria della santità, di quello che fossero molti nel valore dell'armi. E per accennare, come ella stima più d'ogni altro dominio l'esser regina de' cuori, ordina che i medesimi Schiavi rimangano liberi dalle catene.

Nello sparire della tenda si scopre Roma in un teatro sopra un foglio fabricato d'armi e d'insegne diverse. A piedi d'essa un coro di Schiavi, che cantano i versi seguenti:

CORO DI SCHIAVI

Chiaro giorno, lieta sorte,

ecco n'adduce.

Nuova luce oggi splende

al Tebro intorno.

D'onor lampi e lumi egregi

d'Alessandro sono i pregi

che diffonde in ogni lido

eccels'il nome

e glorioso il grido.

SCHIAVO

Quarto

Ei di rara virtute

nutre in petto regal

desiri ardenti,

e in giovinetta etate

tesse le palme alle corone aurate.

SCHIAVO

Terzo

Egli di varie genti

va mirando i costumi

e il modo ammira

negli atti suoi regali

meraviglie forane, opre immortali.

SCHIAVO

Quinto

Già mirasti, o reina,

il forte Vladislao,

che de' Barbari indomiti e feroci

l'alta fierezza ha doma,

il soglio riverir del grand'Urbano;

ora al nobil Germano,

a cui palme simili il ciel destina

fa lieta al suo venir l'onda latina.

CORO DI SCHIAVI

De gl'eroi ceda a lui

l'antica schiera.

Lode vera non si nieghi

ai vanti suoi.

D'onor lampi e lumi egregi

d'Alessandro sono i pregi,

che diffonde in ogni lido

eccels'il nome

e glorioso il grido.

[Ritornello strumentale]

Questo ritornello si replica fino che Roma discende dal trono e comincia a cantare

ROMA

Roma son io, ch'il soglio

di trionfi e di prede

omai sul Campidoglio.

Quella son io,

che già calcai col piede

de' miei famosi eroi

i campi mauritani, e i lidi eoi.

Ritornello strumentale

Né fur solo i miei figli

chiari nelle contese

dell'armi e de' perigli.

Ma molti han compiuto

vie più chiare imprese

dietro all'orme di Cristo

per di più stabil regno

eterno acquisto.

Ritornello

Tra quei, che per cotanto

valore il cielo accoglie,

suona d'Alessio il vanto.

Ché, se celato entr'alle patrie soglie

sì fe' vile e dimesso,

quanto ignoto ad altrui,

noto a sé stesso.

Ritornello

Presso alle pompe, agl'agi,

sprezzò ciò ch'altri apprezza

ne' fastosi palagi,

e ne lasciò l'invitta sua fermezza,

ond'altri esempi e rari

d'umiltà, di costanza il mondo impari.

Ritornello

Oggi su queste scene

con musici concenti

lo riporta Ippocrene:

e de' congiunti suoi

gl'aspri lamenti

faran, con meste note,

ch'alcun bagni di lacrime le gote.

Ritornello

Il non mostrar pietade

all'altrui gran dolore

sarebbe crudeltade.

Dunque se qui tra voi

si trova un core

cui pianger non aggrada

omai cangi pensiero,

o lungi vada.

Ritornello

Regal giovinetto,

ch'io riverente inchino,

qui volgi il chiaro aspetto

e non sdegnar nel lungo tuo cammino

entro a confin remoto

i casi udir d'un peregrin devoto.

Ritornello

Ma, se tanto son vaga

mostrar in mille modi

la pietà che m'appaga,

sciolgansi pur delle catene i nodi,

ché vogl'io, non severo,

solo ne' petti

un mansueto impero.

Ritornello

SCHIAVO

Sesto

Se libera è la...

indissolubil nodo ordisce amore.

Ritornello

CORO DI SCHIAVI

Là, fastosa guerriera,

donasti i nostri petti.

Or dedicato a Cristo,

spiegando della croce il gran vessillo.

Con impero tranquillo,

vincitrice adorata,

a lieti voti

reina sei de' nostri cor devoti.

Atto primo
Scena prima

Eufemiano, Adrasto.
Eufemiano, senator romano e padre di S. Alessio, incontratosi con Adrasto cavaliere romano, nuovamente venuto dalla guerra, si rallegra del suo ritorno; ed entrando a discorrere dei casi di Alessio, piglia occasione di raccontargli la partenza di lui seguita molti anni prima; e mentre si querela di tale avversità, è con particolare affetto compatito e consolato da Adrasto.

EUFEMIANO

Dopo tanti anni al fine

pur tu ritorni, Adrasto,

e nel patrio confine

riponi il piè

con generoso fasto.

Di mille palme e di trionfi altero

felice al fin tu riedi,

onde festoso

oggi il mio cor t'accoglie;

così 'l ciel sia propizio

alle tue voglie.

ADRASTO

Questi segni d'affetto e questi voti

merita l'amor mio; quindi è ch'io provo

nel rivederti il mio gioir maggiore.

Ma pur insieme in me si turba il petto

poiché teco non trovo,

per mio destin crudele,

Alessio tuo diletto

tra miei fidi compagni il più fedele.

EUFEMIANO

Acerba rimembranza.

Il ciel non vuole

ch'io consoli i miei danni

sul tramontar degli anni

con l'amata mia prole.

Così le mie sventure io piango

e solo io chieggio a tutte l'ore

che se termin al duolo

altro non è prescritto

dia la morte rimedio al mio dolore.

ADRASTO

A generoso core

Eufemiano invitto,

tra le miserie il suo valor non manca,

anzi più forza apprende

tra l'umane vicende.

E s'è pur ver che nelle doglie estreme

aura dolce di speme

le lagrime rasciuga

e il cor rinfranca

non mai prenda conforto

la sollecita mente,

ché di speranza a te novelle io porto.

All'or ch'in oriente

nobil vaghezza d'armi il piè ritenne

di rincontrar m'avvenne

i servi tuoi fedeli,

che, non lasciando in ciò consiglio ad arte,

sollecitati cercare

ove si celi

il tuo smarrito figlio

in ogni parte.

Intesi poscia

(e non sia vano il grido)

che da lontano lido

a rimirar la Palestina inteso

di santo zelo acceso

era là giunto un pellegrin devoto,

a cui largo sue grazie

il cielo infonde.

Et era forse quegli Alessio ignoto?

Partito ei di repente,

il seguiro i tuoi messi

certo sperando, ov'egli a lor s'appressi

che ben tosto in quei liti

come sì caro al cielo,

il ver m'additi. Ma non più udito,

e molto strano in vero

fu d'Alessio il pensiero.

Né comprender si può

qual cura, o voglia,

a lontano sentiero

il richiamar dalla paterna soglia.

EUFEMIANO

E così appunto Adrasto,

il suo partir inopinato e nuovo

fu sol per mio martire.

Altra cagion del suo partir non trovo.

Era la notte, ahi notte a me fatale,

in cui sperai ch'ei rimanesse avvinto

con nodo maritale.

Quando egli (ah figlio)

a dipartirsi accinto,

senza punto curar la data fede,

occulto trasse in altra parte il piede.

Né tra quell'ombre, al suo fuggir feconde,

discoprir lo potea

la face d'Imeneo.

ADRASTO

Gran meraviglia in vero

ch'oggi pur non si sappia ov'ei s'asconde.

EUFEMIANO

E tra cotanti, ch'io già spedii d'intorno,

sollecitando il piede

con prodiga mercede,

altri fece ritorno,

togliendomi ogni speme

del desiato avviso,

senz'Alessio tornare altri non volle.

Così non m'è concesso

per volger d'anni,

o per girar di stelle,

del mio figlio più certe udir novelle.

ADRASTO

O disperato affanno.

La fama che sovente

non che le voci e l'opre,

anco i pensier discopre,

in questo suolo al fin

tace a tuo danno,

o degno di pietà, padre dolente.

EUFEMIANO

Lasso, da indi in poi la notte e 'l giorno

risuonò l'Aventino ai miei dolori.

E nel partire e nel tornar del sole

la perduta mia prole

chiamai con voci languide e tremanti.

Il Tebro udì, pietoso de' miei pianti.

ADRASTO

Il non sapersi

in quale fortuna

Alessio or viva

accresce il male.

EUFEMIANO

Ah sapessi pur io, sapessi al meno,

qual duro sasso accoglie

entro al gelido seno

le sospirate spoglie!

Colà n'andrei, colà morrei felice.

Ma già sperar cotanto a me non lice.

Vuole il ciel ch'io sospiri in ogni loco

e sfoghi in ogni loco i miei lamenti,

stimando che sia poco s'è prescritta

una tomba a' miei tormenti.

ADRASTO

Il ciel pietoso

i tuoi dolor consoli,

ché ben merta pietade

in tormento sì grave

la tua canuta etade,

dio ti darà conforto.

E spero ben ch'in breve

ei n'aprirà delle miserie il porto.

Scena seconda

S. Alessio.

Contemplando S. Alessio la vanità degli uomini e la caducità delle cose mondane desidera di esser libero dalla carcere del mondo e perciò ricorre a dio con l'orazione:

SANT'ALESSIO

Sopra salde colonne erger, che vale

eccelse mura alle caduche spoglie,

se poca terra al fine in se n'accoglie?

O desir cieco, o vanità mortale,

o dal senso ingannati

e dal diletto

lusingati desiri,

io per me trovo

sotto alle patrie scale

angusto sì,

ma placido ricetto.

Qui soggiornando i sensi,

a contemplar sovente il pensier muovo

del cielo i regni immensi.

E spero ben,

che questa ov'io mi copro

sarà scala al fattor,

s'io ben l'adopro.

[Arietta ad una voce]

Se l'ore volano,

e seco involano

ciò ch'altri ha qui,

chi l'ali a me darà

tanto ch'all'altro polo

io prenda il volo,

e mi riposi là?

[Sinfonia]

Segue s. Alessio (Arietta ad una voce)

Nel mondo instabile,

altro durabile

ch'il duol non è.

Chi l'ali a me darà

tanto ch'all'altro polo

io prenda il volo,

e mi riposi là?

Ritornello come sopra

Quei rai che splendono

qui l'alme offendono;

né serban fé.

Chi l'ali a me darà,

tanto ch'all'altro polo

io prenda il volo,

e mi riposi là?

Ritornello come sopra

Scena terza

S. Alessio, Marzio, Curzio.

Marzio e Curzio, paggi d'Eufemiano, col vedere S. Alessio, stimato da loro un forestiero mendico e per carità alloggiato in quel palazzo, non lasciano di schernirlo ascoltati da S. Alessio con umiltà e sofferenza.

[Arietta a due voci]

CURZIO E MARZIO

Poca voglia di far bene,

viver lieto, andar a spasso,

fresco e grasso mi mantiene.

La fatica m'è nemica.

E mentr'io vivo così,

è per me fest'ogni dì.

Di ri di ri di ri...

Vada il mondo come vuole.

Lascio andar, né mi molesto.

Tutt'il resto son parole.

Pazzo è bene da catene

chi fastidio mai si dà

per saper quel che sarà.

Di ri, di ri, ecc.

CURZIO

Ma colà mesto e solitario io vedo

quel pellegrin, mendico,

ch'in questo albergo il mio signor mantiene;

e per quanto io vi credo,

per nostro gusto il tiene,

ch'ei quasi è mentecatto:

onora chi l'offende,

né s'altri lo disprezza

a sdegno il prende.

Però qualunque volta in lui m'abbatto

or con opre il dileggio

or con parole.

E quasi folle al par di lui divento,

perché ben dir si suole

ch'un matto ne fa cento.

MARZIO

Deh, qual mordace cura

t'offende, e per qual duolo

porti la fronte oscura,

onde qui te ne stai tacito e solo?

SANT'ALESSIO

Che altro far poss'io, vile e dimesso?

Io che son della terra inutil pondo,

di mille colpe impresso;

poi ch'altro non so far

fuggo e m'ascondo.

CURZIO

Non trattiam di fuggire,

ché quella fuga sol gloria richiede

che si fa con la voce e non col piede.

MARZIO

Se vuoi mostrarti intrepido e sicuro,

odi che far dovresti.

Già si tocca, si tocca tamburo.

Andiam a pigliar soldo, agili e presti.

E con la piuma alteri,

tosto fatti guerrieri,

passeggiarem con maestade il campo.

SANT'ALESSIO

A che cercar in terra

di nuove guerre inciampo

se la vita mortale

anch'essa è guerra?

CURZIO

Discorsi cotant'alti

io per me non intendo.

Ma molto ben comprendo

che da nemici assalti,

tu sei stato chiarito

però fuggì l'invito.

MARZIO

Costui, per dirne il vero,

alle parole, all'abito, al sembiante,

mi sembra un soldato,

che, già deposto il minacciar primiero

ritorni svaligiato.

CURZIO

Se vuoi parer valente altro bisogna.

Ma tu gloria non curi o gran vergogna!

CURZIO E MARZIO

O gran vergogna!

MARZIO

In vero io te 'l confesso:

quand'io ti sono appresso,

sempre voglia mi viene

darti la turba, in fede mia, ma taccio.

CURZIO

Tu che sei sì codardo

con sollecito piè,

con umil guardo,

di qui sgombra e t'invola

e senza più tardar prendi altra via.

CURZIO E MARZIO

Vada, vossignoria.

Scena quarta

Demonio.
Coro di Demoni dentro alla scena. Un altro Coro, che balla.
Sollecitato il Demonio da i cori infernali, che promettendo gran vittoria, fanno allegrezza con balli si mette all'impresa di tentare e sedurre la costanza del Santo.
Si muta la scena in un inferno e nella lontananza si rappresentano le pene dei dannati. Si canta l'aria che segue, e da un coro di Demoni è accompagnata con diverse mutanze.

[Aria]

DEMONIO

Si disserrino

l'atre porte

della morte.

Su su su su.

S'atterrino

d'Alessio i pregi

alle prede, alle palme,

ai vanti, ai fregi.

Più non durino

le bell'opre

ch'ei ne scopre,

se si oscurino

suoi fatti egregi.

Alle prede, ecc.

Alla notte profonda,

ove correndo il torbido Acheronte

unisce con terror la fiamma e l'onda,

pur oggi ergo la fronte

a' cenni mosso del tartareo duce,

mal mio grado a mirar l'aurata luce.

Ché se ben delle stelle

noi già dall'alto regno

fulminate cademmo, alme rubelle,

restando il vano ardir vinto e deluso,

non ancora però spento è lo sdegno;

ma anco il varco alle nostre armi è chiuso,

ben ch'ai segni di vita

aspiri l'uomo e la sua speme affissi.

Non è non è smarrita

la forza degli abissi

per ordir a suo danno

tradimento, rigor, forza ed inganno.

Ed ecco, or più d'ogni altro,

il suo pensier

rivolge Alessio ad onta pur di noi,

al celeste sentiero,

né de' congiunti suoi

omai ritrarre il ponno

i sospir con le lagrime interrotti,

ché senza cibo i giorni, e senza sonno

tragge intiere le notti.

O se tal ora ei posa il corpo lasso,

è sua morbida piuma un duro sasso.

Ma s'altro oggi non son da quel ch'io soglio,

rammollirò quel core

d'adamantino scoglio: io, d'ogni frode autore,

spinto da fiero sdegno all'alta impresa,

non trarrò neghittoso i giorni e l'ore,

ma contra il duro petto,

movendo aspra contesa,

sotto mentito aspetto

celerò così l'arti,

che d'ogni frode adempirò le parti.

Continuando a cantare dietro all'Inferno, i sopra detti Demoni fanno una moresca con i tizzoni che portano in mano.

[Moresca e Coro di Demoni]

CORO DI DEMONI

Sdegno orribile

alla luce

ne conduce.

Su, su, terribile

l'abisso s'armi.

Alle pugne, alle stragi, all'armi, all'armi.

S'hanno a prendere

di mille alme

liete palme.

Già già d'offendere niun si risparmi.

Alle pugne, alle stragi, all'armi, all'armi.

L'ombre tuonino, frema il lito di Cocito,

sì, sì, risuonino

sol fieri carmi.

Alle pugne, alle stragi, all'armi, all'armi.

Scena quinta

Madre, Sposa, Nutrice, Marzio, Curzio.
La Madre e la Sposa di S. Alessio piangono l'assenza di lui, consolate invano dalla Nutrice, per consiglio della quale si volgono a pregare dio, ché lo prosperi ovunque sia.

NUTRICE

Deh, raffrenate alquanto,

omai dopo tant'anni,

i vostri acerbi affanni.

A che, senz'alcun pro,

struggervi in pianto?

Qual può sperar mercede

il sempre lagrimar per chi no 'l vede?

SPOSA

Lasciate pur ch'io pianga,

omai, nutrice,

troppo misera sorte un petto preme,

cui nelle doglie estreme

pur lagrimar non lice.

MADRE

So ben anch'io che vane,

o mai fedele,

all'aure sorde, a' venti

fuggono le querele.

E so, che nei lamenti,

ohimè, possiamo solo

l'una con l'altra accumulare il duolo.

Ma se il non udire

novella del mio figlio

rinnova ciascun giorno il mio martire,

come si può mai tranquillare il ciglio?

La notte ancor, che del riposo è madre,

si mostra a me, con larve e con portenti,

torbida e tempestosa,

orrida e spaventosa.

E per mandarne in bando ogni conforto,

o quante volte, o quante, agli occhi miei,

offre, in ben mille modi atroci e rei,

nel sonno Alessio, or moribondo, or morto?

Così, la notte il giorno,

mentre che molto bramo e nulla spero,

m'affligge il falso, e non m'appaga il vero.

SPOSA

Riporti Apollo, o pur nasconda il lume,

già le mie cure in me dormir non ponno,

e mi sembran le piume

spine pungenti ad involarmi il sonno,

ond'io co' miei pensier miseri e lassi,

con sospiri interrotti,

vo misurando i passi

delle tacite notti.

MARZIO

Or la cagion conosco

onde nasce ch'io dormo a tutte l'ore.

Allor ch'il sonno in questa casa arriva,

ognun lo scaccia fuori ed ei si mette

a far sol contro me le sue vendette.

SPOSA

Amara, infida notte,

all'afflitte mie luci,

tenendo sempre il mio bel sole ascoso,

le tenebre radduci.

Perché teco non porti il riposo?

MADRE

Se tu sentissi, Alessio, i miei tormenti,

so che pietà n'avresti.

Perciò, dovunque or sei,

in ciel, fra l'onde, o in terra,

potrai de' dolor miei

il numero mirar ch'ivi si serra,

ché tanti son, quante tu puoi mirare

stelle in ciel fronde in terra, arene in mare.

SPOSA

Perché privarmi, o dio, degl'occhi tuoi?

MADRE

Come crudel abbandonar mi puoi?

SPOSA

Quanto, oh quanto fugace

avesti, Alessio, il piè?

MADRE

Quanto, oh quanto fallace,

fortuna, è la tua fé.

SPOSA

Teco sperai gioir, son senza te.

MADRE

Sperai d'esser felice, e piango ohimè.

SPOSA

Interrotti desiri

sconsolate dolcezze.

MADRE

Eterni miei martiri,

mie funeste amarezze.

MADRE E SPOSA

Oh, de' mortali antiveder fallace,

tant'il ben fugge più, quanto più piace.

CURZIO

Ohimè, quel sospirar,

quel pianger sempre,

è un pessimo esercizio,

ch'in esso il tempo, e l'opera si perde.

Ti manda in precipizio,

e in dieci giorni ti riduce al verde.

SPOSA

Io t'ho perduto, Alessio,

e temo, ahi sorte, temo,

ch'il nodo adamantino e forte,

onde il mio cor già restò teco involto

abbia l'acerba morte

con empia man disciolto.

NUTRICE

Sian vani gl'auguri al core impressi,

giova all'afflitta mente

lo sperar sempre prosperi successi,

perché il bene sperar non sempre è vano.

MADRE

Chi di mortal miseria il calle preme

troppo ne va lontano

dal sentier della speme.

NUTRICE

In sì grave dolor,

voi, per l'amato pegno,

siasi pur morto o vivo,

al ciel volgete

i vostri prieghi e 'l core,

che voleranno alle celesti sfere

con ali di pietà vostre preghiere.

Coro di Domestici d'Eufemiano. Discorrendo sopra la varietà de gli accidenti del mondo, ricorre alla divina pietà per aiuto.

[Coro di Domestici]

CORO DI DOMESTICI

Dovunque stassi,

dolce Gesù,

d'Alessio i passi

deh sorgi tu,

ché sempre piegasi

là dove pregasi

tua gran virtù.

Ritornello. Seconda stanza

Se pellegrino

errando va,

piano il cammino

tu per lui fa.

Dovunque accolgasi,

dovunque volgasi,

trovi pietà.

Ritornello

S'all'onde, audace,

commetta il piè,

del mar la pace

non cangi fé.

Dei venti il fremito,

dell'onde il gemito,

fugga ond'egli è.

Le vostre doglie

il cielo udì.

Torni alle soglie

ond'ei partì.

Per lui s'accendino

per lui risplendino

sereni i dì.

a sei

Con miserabil sorte

ogni mortale, ovunque muova il piede,

rapida corre ad incontrar la morte,

ch'ognor di nuove prede

andar superba e trionfar si vede.

a due

Non è cittade o via

così remota,

ove d'altere spoglie

su formidabil trono

ella non sia.

Né tra riposte soglie

altri, celato, al suo furor si toglie.

Non è loco sì cinto di larghi fossi,

impenetrabil mura,

che di morte al furor non resti vinto.

Indi a ragion natura

fa ch'ogni loco all'uom è sepoltura.

a sei

Nel periglioso campo,

in cui vive ciascun,

sol quell'aita

ch'al ciel si chiede

incontro a morte è scampo.

Dunque l'alta infinita

pietà l'ascolti

e serbi Alessio in vita.

Scena sesta

Aggiunta per introduzione di un ballo.
Trasferitosi Curzio per diporto alle ville del suo Padrone, va pensando di prepararvi alcuni trattenimenti, per servirsene poi a scherno del Pellegrino; il disegno di condurvi i Rustici di quelle selve porge occasione di una danza piacevole.
Si muta la scena in una selva.

CURZIO

La più bella che sia,

è la profession d'andare a spasso.

A me piace ben tanto in fede mia,

che quando trovo il tempo, no 'l lasso.

Ond'è che spesso in queste selve amene

vo fuggendo la scuola,

ché, quando io sono in Roma,

non ho mai veramente ora di bene.

A pena posso dire una parola,

e bisogna, ch'io stia,

mentre sono a servir la mia padrona,

addolorato per conversazione.

Ma qui le cose in altro modo vanno,

ch'io vado a caccia, e sempre, che ci sono,

s'io non mi do bel tempo,

sia mio danno.

Or che non saprei

fare altro di buono,

i rustici vogl'io del mio padrone,

ch'ordiscano una danza

conforme a loro usanza,

onde il romeo, ch'è pazzo afflitto ed egro,

diventi un pazzo allegro.

Diman poi vo' condurlo in questi boschi,

dove rider farollo a suo dispetto.

Or cominciate, amici,

qualche gentil mutanza;

e vi prometto,

ogni volta che a casa

mi verrete a vedere

menarvi al fonte,

e farvi dar da bere.

[Ballo]

Escono otto Contadini vestiti all'uso di quei tempi, e si trattengono con un ballo composto di vari scherzi.

CURZIO

Già veggo, il tutto è lesto;

diman col pellegrin sarò qui presto.

Atto secondo

[Sinfonia]

Scena prima

Eufemiano, con imaginarsi la consolazione de' parenti d'Adrasto nel suo ritorno, piange la propria infelicità, per esser quasi senza speranza di rivedere il figliuolo.

O te felice, o genitor d'Adrasto,

ch'oggi tra le tue soglie

la bramata tua prole alfin s'accoglie,

e rivolgendo il ciglio

al generoso figlio

gl'aspettati diletti alfin pur godi,

io sol di pene estreme

miserabile oggetto,

privo d'ogni mia speme,

solo riserbo alle miserie il petto.

Lasso, ma che stupore,

se mai tregua non sente il mio dolore?

Quello, quello son io,

che con empio destino

son fatto all'Aventino

esempio di tormento atroce e rio.

Quello, quello son io.

Dunque o mia pena acerba,

o mia doglia infinita,

toglietemi la vita.

In sì lungo martire

mi sia vita il morire.

Dunque, o mia pena acerba,

o mia doglia infinita,

toglietemi la vita.

Scena seconda

Accenna il Demonio d'aver ordito una trama, per la quale spera che il santo sia costretto a scoprirsi ed a tornare alle delizie del secolo.

DEMONIO

Propizia arride al mio desir la sorte,

ond'ho la trama agl'altrui danni ordita.

D'Alessio ho la consorte

persuasa alla fuga,

e già le piante accinge

alla partita,

per ricercar il suo marito errante;

ond'ei sarà, per ritenerla, astretto

di palesarsi al fine.

Né soffrirà, ben che sia duro il petto,

ch'ella cerchi, vagando, altro confine.

E se bene a' miei sforzi ancor non cede

d'Alessio la costanza,

che con novello esempio ogn'altra eccede,

io già non più sento in me

con l'ardimento vacillar la speranza.

Tenterò nuovi assalti e nuova guerra

ché combattuta rocca alfin s'atterra.

Scena terza

Sposa in abito di pellegrina. Nutrice.

Scena terza

Sposa in abito di pellegrina. Nutrice.
La Sposa, risoluta di andare cercando per il mondo il perduto Alessio, comparisce in abito di pellegrina, e mentre tra sé discorre di tal pensiero, è osservata dalla Nutrice, che senza scoprirsi a lei, ne porta l'avviso alla Madre.

SPOSA

A dio, Tebro, a dio, colli,

o patria, a dio.

E voi, di questo albergo

mura dilette, a dio,

ché pur siete dilette,

quantunque entr'a voi solo

sia nota la cagion del mio duolo.

Bramai viver in voi, ma il ciel non volle,

onde m'accingo omai per far partita,

ché qui, senza il mio ben,

senza il mio core,

aspra pena è la vita.

NUTRICE

Incauta giovinetta,

mal consigliata amante,

al dipartir s'affretta.

Ma poiché la sua fuga ho ben compresa,

già non permetterò sì vana impresa.

SPOSA

Ma dove a me sia duce il mio dolore?

Dove, l'amor, se l'uno e l'altro è cieco?

Ah, dove poss'io teco

trarre una volta, Alessio, i dì giocondi?

Dove, ah dove sei, dove t'ascondi?

A te rivolgo il piede.

Non sprezzar le mie fiamme e l'amor mio,

se poca è la beltà, molta è la fede.

A me, crudele, o dio,

tu così mal rispondi?

Dove, ah, dove sei,

dove t'ascondi?

Forse desii cangiasti,

o volubile amante?

O, qual fronda incostante,

nuova beltà ti piacque, e la bramasti?

E forse per tuo vanto ora a lei narri

la mia fiamma schernita,

la mia fede tradita,

i miei dolor profondi?

Dove, deh, dove sei,

dove t'ascondi?

NUTRICE

Devo scoprirmi o no?

No, ché possenti

non sono i preghi miei

a temperare i suoi desiri ardenti.

Megl'è ch'io faccia noto il suo disegno

a chi ponga ritegno al core, al piede.

SPOSA

Ah, gioventù fallace,

spergiura è la tua fede.

Misera, a chi mai

più creder poss'io?

Alessio fu mendace?

Lassa, dove trascorre il dolor mio?

Che parlo e che vaneggio?

Doler del mio destino,

Alessio mio,

ma non di te mi deggio,

ché dentr'al ciel latino,

là dove ogni virtù risplender suole,

di virtù fosti, e d'innocenza un sole.

Ma che più tardo?

Scena quarta

Madre, Sposa, Nutrice, S. Alessio, Marzio e Curzio.
Tenta indarno la Madre d'impedire il disegno della Sposa: anzi, stimolata dall'esempio d'un'amor grande, si risolve d'imitarla, e di partirsi con lei. S. Alessio, intesa tal novità, raccomandasi prima al divino aiuto, cerca con varie ragioni di ritenerle dal destinato cammino. La Sposa, posta in molta ambiguità, e rinnovandosi in lei più che mai il dolore per l'assenza del marito, si vien meno.

NUTRICE

Affretta il piè, ché troppo

nocerebbe l'indugio.

Ecco già parte.

MADRE

Figlia, di queste luci a me più cara,

deh, dinne a me, quai voglie

ti fan cangiar le spoglie?

Forse a me nuovi danni

il ciel prepara

con tua partenza amara;

e vuol che resti a lagrimar sol io?

SPOSA

Sallo il ciel, sallo amore,

che dall'amato albergo

forza mi trae, cui contradir non posso.

E dentro al cor commosso

io sento sprone acuto,

ch'il piede affretta;

e forse il ciel mi spira,

perch'io trovi il consorte,

o la mia pur congiunga alla sua morte.

No, no, più non potrei

menarne qui tra' miei tormenti amari

i giorni solitari.

Ah, non sia ritenuto

dal cercar il suo cor chi l'ha perduto.

SANT'ALESSIO

Che sento, o ciel, che veggio?

Ah non sia vero

ch'errante ella piè muova.

MADRE

O di stabile amor ben degna prova.

Non che riprovar possa il tuo pensiero,

voglio seguirlo anch'io.

Cangerò vesti, e teco

ratta verrò

dovunque volga il sole

il luminoso aspetto,

ch'a ricercar la sospirata prole

non sia mai stanco il piede.

SPOSA

Ben son bastante io sola.

Entro il mio petto

ho tal valor, che compagnia non chiede.

MADRE

Con ragioni o con preghi

di rimuovermi, o figlia,

invan procuri.

Se compagna al cammino

esser mi neghi,

precorrer mi vedrai.

Andiamne omai,

ch'a secoli futuri

renderan forse questa età famosa

amor di genitrice,

amor di sposa.

NUTRICE

Misera me, che posso far, che deggio?

Ogni consiglio invano

omai per ritenerle esser m'avveggio.

Misero Eufemiano.

Di qual ruina acerba

nell'occaso degl'anni il ciel ti serba?

Deh s'impetrar può tanto,

non dirò questo pianto,

ma l'amor, ma la fede,

ch'in me provaste,

ah, ritenete alquanto

vostro rapido piede,

fin che sol pensiate

ove v'adduce

sconsigliato desire.

MADRE E SPOSA

A ritrovar Alessio,

o per morire.

MARZIO

Alla prova le voglio:

il terzo giorno so

che faran ritorno.

Credono che le strade in ogni loco

sian lastricate e piane,

come le vie romane.

CURZIO

Oh, quanti mali passi!

Quanto v'è da salir,

quanto da scendere.

Vadan pur, senza invidia.

Troppo la mia

dalla lor mente è varia.

Non mi curo per me di mutar aria.

SANT'ALESSIO

Or non mi manchi il ciel di sua virtude.

Sì ch'io m'opponga a quel voler fallace,

che dentro all'alme loro il desir chiude.

Già non prendete,

eccelse donne, a sdegno,

s'io di parlarvi indegno,

oggi mi scopro a favellarvi audace.

Ché, se vostro disegno

pur come dianzi intesi,

è lungi andar dalla città di Marte,

cercando altri paesi,

io, che scorso del mondo ho sì gran parte,

ben posso come esperto

darvi consiglio, e farvi il vero aperto.

NUTRICE

Ascoltate per dio ciò, ch'ei favella,

ché sovente esser suole espresso il vero

in semplici parole.

SPOSA

Chiunque mi rappella

dal sentier destinato, a sdegno il piglio,

ché risoluto cor odia consiglio.

MADRE

Nelle pietose voci

di umil garzone

io provo al core

un non so che d'insolito e soave.

Ciò ch'ei n'accenna udir,

deh, non sia grave.

CURZIO

Sì, sì ben è il sentirlo.

Ch'è tuttavia buon'ora,

né farà gran dimora.

MARZIO

E se ben fanno una fermata corta

giungeranno stasera a Prima Porta.

SANT'ALESSIO

M'è noto il dolor vostro, e noto insieme

m'è lo sperar, ch'a dipartirne invita.

Ma se giusto è il dolor, vana è la speme;

ché forse in parte incognita e romita

si cela Alessio, e quanto più il cercate,

più da lui vi scostate

e forse sì cangiato è nel sembiante,

ch'ancor se lo vedeste,

no 'l riconoscereste.

SPOSA

Ciò non tem'io, ché dove alberga amore,

quando ciechi son gl'occhi, è Argo il core.

SANT'ALESSIO

Gli alpestri monti, e i sassi

ritarderan sovente i molti passi.

MADRE

Animoso desire

dona possanza

e fa lieve il martire.

SANT'ALESSIO

Chi per lungo sentier errar dispone

a ben mille perigli il petto espone.

SPOSA

A petto inerme e nudo

la virtù rocca e l'innocenza è scudo.

SANT'ALESSIO

Ma pur ne vieta incognite contrade

la legge d'onestade.

MADRE

In ogni loco è d'onestà ricetto

un generoso petto.

SANT'ALESSIO

Dovunque Alessio il senta, o voi ritrovi,

mai non sarà ch'il fuggir vostro approvi.

SPOSA

S'io lo voglio imitar, già non l'offendo.

Nella scola di lui la fuga apprendo.

Ma che parlo?

Ah non sia ch'a suoi desiri

per me si contradica.

Io, sento ch'Alessio istesso

ancor ch'a me lontano

par che mi parli al core

e che mi dica:

«Resta nel tuo tormento,

resta, ch'a me non piace

il tuo partir fugace.»

Dunque, rimango, ahi lassa,

esempio d'aspra sorte,

vilipesa consorte.

E sol per non spiacerti a te non vegno.

Ma se riman la salma,

a cercarti vien l'alma,

ond'al tremante piè manca il sostegno:

già moro per Alessio,

e già dal seno

se n' fugge l'alma

e il viver mio vien meno.

NUTRICE

Ah più non si sostiene e resta esangue,

e freddo gelo il suo vigore opprime.

Pur le palpita il cor, languido e lento

e la lingua dell'alma in fronte esprime

con voci di pietade il suo tormento.

MADRE

O mio dolore insano,

ben troppo lieve sei, se non m'uccidi.

Accorrete, miei fidi,

con le mediche cure a lei d'intorno,

onde se n' rieda ai languid'occhi il giorno.

MARZIO

Misero Marzio, ohimè tu sei spedito.

Che ti giova a costei l'aver servito,

c'è, s'ella muor senza testare avanti,

non ti lascia nemmeno un par di guanti?

Scena quinta

S. Alessio.
S. Alessio per il travaglio miserabile dei parenti, agitato da diversi pensieri, considera tra sé medesimo se deve manifestarsi.

Alessio, che farai?

Userai crudeltade

a chi come ben sai,

vuol il ciel, vuol il mondo,

che tu mostri pietade?

Che fo? devo scoprirmi,

o pur m'ascondo?

Ah, silenzio crudele,

cagion d'aspre querele.

Io già me n' volo a far palese il tutto.

Fermo che sol chi giunge all'ultime ore

con immutabil core

delle fatiche sue raccoglie il frutto.

Tu, che tanto hai sofferto,

del ciel non curi più l'alta mercede?

Tu, che per dio cercar, fuggisti il mondo,

or per sentiero incerto

volgi di nuovo (ah folle)

al mondo il piede?

Chi sì mal ti consiglia?

Ah, segui, segui il tuo cammin primiero.

Ma pur forza ripiglia

dolorosa pietà nel core impressa,

che mi richiama, ovunque il pensier muovo.

Pietade, omai deh cessa

di tormentarmi il seno.

Ah, quale io provo

nel teatro del cor dura battaglia.

O dio clemente,

il tuo favor mi vaglia.

Tu la palma a me serba,

ch'io già per me non basto

a sì fiero contrasto.

Né l'alma ho di diamante,

che veder possa in aspra doglia acerba

e la madre e la sposa a me davante.

Ma chi sarà costui,

che con luci serene

maestoso in sembiante a me ne viene?

Scena sesta

S. Alessio, Demonio, in forma di Eremita.
In questa varietà di pensieri viene incontrato dal Demonio, il quale sotto abito di vecchio Eremita procura con diverse ragioni d'indurre il Santo a scoprirsi a' parenti. Egli però restando più confuso che persuaso, non lascia di dubitare che sia illusione dell'inferno, onde chiede a dio che in tanto bisogno non l'abbandoni.

DEMONIO

Umil servo, ed indegno

del ciel son io,

che da' riposti orrori

di lontane pendici

erme sì ma felici,

sol per giovarti, Alessio, a te ne vegno.

SANT'ALESSIO

Qual mia ventura, o quale,

dio di somma pietade,

da' solitari chiostri

pur oggi agl'occhi miei fa' che ti mostri?

DEMONIO

Dio messagger mi manda.

Io la sua mente, Alessio, a te rivelo

perché di folle zelo

ripieno il core ardente;

per dio cercar da dio ne vai lontano,

onde tu soffri e t'affatichi invano.

Poiché, mentre dolente

la consorte abbandoni, a lui non piaci.

E qual legge t'insegna aspro e crudele

con promesse fallaci

ingannar nobil donna a te fedele?

E qual torbida cura

della mente il seren così t'oscura,

che sì vaga consorte,

mentre per te si duole,

tu, tiranno crudele,

condanni a morte?

Non l'approva la terra, il ciel no 'l vuole,

l'aborrisce natura.

Dunque, colei per te sospira e piange,

e tu puoi dar soccorso e dare il nieghi?

Per te lacera il seno, e il crin si frange,

e tu, spietato, il miri, e non ti pieghi?

E senso hai di pietade?

E spirto in te s'accoglie

di mansuete voglie

come di dio la legge impera e vuole?

Ma se ogni altra ragion vana a te pare,

volgi il pensier alla diletta prole

che con sembianze a te gradite e care

se no 'l ricusi, in breve

nascer di te pur deve.

Fingiti intorno, Alessio, i dolci figli,

e dalle voci lor prendi i consigli.

Torna, deh torna alla tua sposa amante,

porta alla cara madre omai riposo;

rendi te stesso al genitor doglioso.

Frena il desir errante,

ché suol vana costanza

sol di perfidia aver nome e sembianza.

E saggio è quello, in cui,

vinto il proprio voler, cede all'altrui.

Credi, vanne, obbedisci,

vago degl'antri foschi.

Ti lascio in tanto,

e me ne torno a i boschi.

SANT'ALESSIO

Attonito, e confuso

rimango a questi detti,

né par, ch'ad obbedirlo

il cor m'affretti,

temendo dall'inferno esser deluso;

ch'ad ogni passo ordisce un nuovo inganno

degli abissi il tiranno.

Dunque, a me porgi aita

...eterna fede

con pietade infinita

doni stabil soccorso a chi lo chiede.

DEMONIO

Ahi, che di qui mi scaccia

con poderosa mano

scendendo dalle stelle

angelo sovrano,

e col suo lume ogni mia speme agghiaccia.

Omai qui di fermarmi a lui d'appresso

dal ciel non m'è permesso.

Scena settima

Angelo, S. Alessio
Apparendogli un Angelo, l'assicura che quello Eremita era il Demonio, e che le ragioni da lui addotte devono disprezzarsi da S. Alessio, che con particolare ispirazione è chiamato da dio per una strada piuttosto ammirabile, che imitabile. Gli rivela la vicina sua morte e la grandezza del premio preparatogli in cielo. E l'esorta ad aspettare quel passaggio con animo intrepido. Dal che confortato, il Santo invita la morte, e va meditando la tranquillità che in essa ritrovano i giusti.
Viene l'Angelo volando dal cielo.

ANGELO

Alessio, Alessio, a me rivolgi il guardo.

Colui ch'alla tua sposa or ti rappella

con sembiante bugiardo,

è l'avversario antico,

implacabil nemico.

Per sentier non usato iddio t'appella,

ché non soggiace a comun legge il giusto.

E sia ch'il tuo desire

raro altro segua e che ciascun l'ammiri.

Quella palma sovrana,

che a te destina il ciel (prendi conforto),

da te non è lontana.

Celeste messaggero,

d'alta letizia a te novelle apporto.

All'immortale impero

ti chiama alto decreto.

Vieni, Alessio, pur lieto,

e vedrai come alfin fruttano i semi

delle lagrime in ciel corone e premi.

SANT'ALESSIO

Riverente t'inchino, angel di luce.

Ecco pur giunta è l'ora

che si chiuda in gioir lieto tormento.

Ecco che fuor di torbide procelle

colà sopra le stelle

pur vedrò senza occaso il mio contento.

Grazie ti rendo, o dio,

e provo ch'a ciascuno

giunge favor del ciel sempre opportuno.

Ma quando, d'ogni miseria in bando,

che l'alma voli al ciel,

quando ciò, quando?

ANGELO

Breve sarà l'indugio.

Prendi ristoro e speme.

E giunto all'ore estreme,

non paventar di morte il varco ombroso,

ché a chi pene soffrì, morte è riposo.

Questa, all'alme più fide,

onde salgon veloci

alle rote immortali,

gran ministro del cielo impenna l'ali.

Questa da un mar di pene

disserra il varco

all'infinito bene.

Su, dunque, or che s'appressa,

per te ritrar dalla mortal prigione

di gioia sii, non di spavento impresso.

Lieto l'attendi, ed ella,

tra palme, e tra corone

perché trionfi il tuo valor superno,

ti farà scorta al Campidoglio eterno.

SANT'ALESSIO

O morte gradita,

ti bramo, ti aspetto,

dal duolo al diletto

tuo calle n'invita.

O morte, o morte,

o morte gradita,

dal carcere umano

tu sola fai piano

il varco alla vita.

O morte soave,

de' giusti conforto,

tu guidi nel porto

d'ogni alma la nave,

o morte soave,

il viver secondo

tu n'apri nel mondo,

con gelida chiave,

o morte soave.

Alla fine della scena il velo sparisce.

Scena ottava

Demonio e Marzio.
Ritorna il Demonio, risoluto di fare ogni sforzo per superare Alessio nel breve spazio che gli rimane di vita. È sopraggiunto da Marzio il quale, credendolo un Eremita e volendo burlarlo come era solito fare con Alessio entra seco in discorso. Adiratosi con lui, procura di ritenerlo, ma viene in diversi modi schernito dal Demonio.

DEMONIO

Già con desir costante

alla sua morte Alessio il cor dispone.

Nell'ultima tenzone

dunque non resti scemo

d'arte, o di forza il mio disegno audace,

però che un'alma in fino a punto estremo

ai perigli soggiace.

Ah, se nel franger del corporeo velo

in questo irreparabile momento

da cui dipende eternità di pene,

colui che bramai tanto,

rapir potessi eternamente al cielo

oh, che chiaro trionfo, oh, che gran vanto.

MARZIO

Non so quel che d'intorno in rozzo manto

qui se ne stia facendo un eremita.

Fors'hai la via smarrita?

DEMONIO

Ben altra volta, ohimè, smarrii la strada.

Ma qui so molto ben, dove io mi vada.

MARZIO

Per venir di lontano,

lasci la casa abbandonata e sola?

DEMONIO

Anzi, ch'in mia magione è tanta gente,

che par quasi infinita.

MARZIO

E come vi si vive?

DEMONIO

Allegramente.

Chi sa, tu ne potresti far la prova.

MARZIO

Non mi piace l'usanza.

Io, perché di cantar ogn'or son vago,

colà, per quelle selve ombrose, e spesse,

non vorrei, che il catarro m'offendesse.

DEMONIO

Non dubitar di questo,

ché subito una stanza ti darò,

la più calda che vi sia.

MARZIO

Io ti ringrazio; è troppa cortesia.

Tornatene pur solo

alle selve lontane.

E se cerchi limosina agl'alberghi

aspetta qui, ch'io porterò del pane.

DEMONIO

Fame non sento io no, più tosto ho sete;

e sento addosso un caldo che m'abbrugia.

MARZIO

E perché non bevete?

Non avete del vino in questa fiasca?

DEMONIO

Lascia star

ché ti farà mal gioco.

MARZIO

Ahi, ahi, mi scotta, ohimè, vecchio indiscreto.

Perché vi tieni il foco,

così chiuso, e segreto,

ch'altri non lo discerne?

Servono forse i fiaschi per lanterne?

Ohimè, mi duole ancora.

Mentre, il fuoco ascondendo, or fai dimora

qualch'inganno ti passa per la testa.

Ma la gente sia presta

a discoprirti, e io fermarti voglio.

Ohimè, misero me,

tutto mi doglio.

A stringerlo mi mossi e strinsi il vento,

ma pur non mi contento,

se non mi torno prima a vendicare.

Io ti terrò sì forte

che non mi fuggirai.

Il Demonio essendo ritenuto da Marzio si trasforma in un orso.

Marzio, volendo abbracciar l'Eremita, cade per terra.

DEMONIO

Prima ch'io più t'offenda, lasciami andare

ché te ne pentirai.

Lasciami, che mi preme altra faccenda.

MARZIO

E che far mi potrai? fermati qui

non ti partire, ahi, ahi, ahi, ahi, ahi.

Scena nona

Religione.
Comparisce la Religione per assistere al devoto transito d'Alessio, e, gloriandosi dell'opera di lui ormai giunto al premio meritato, invita il mondo a seguitare la virtù.
La Religione passa per l'aria in un carro cinto di nuvole.

RELIGIONE

Io, di vera pietà madre e reina,

su la spiaggia latina

crescer sino a le stelle

veggo pur oggi i miei trionfi alteri,

poiché da le procelle

omai pur giunge Alessio

dove il regno superno

porge a' disagi altrui riposo eterno.

Ei, qual novello Alcide,

scorse vari sentieri.

Ma pure il mondo il vide

mostri domar più fieri,

vero trionfator

d'Averno, e Pluto.

Onde è ragion che alfine

del suo valor sia Campidoglio il cielo.

Anime peregrine,

che solcate del mondo il mar fallace,

ah, non volgete il corso

dietro a scorta mendace

di quel piacer, ch'è duolo.

Io sola addito al cammin vostro il polo.

Quei, che sospirano senza conforto

alfin pur mirano

là fra le stelle ai flutti loro il porto.

Al mio cenno fedele

ogni dubbio dilegui.

Chi può seguir il sol, l'ombra non segua.

Del gioir labile

non prezzi il lampo

chi brama stabile

aver nel cielo alla sua pace il campo.

Da mille pene in terra

un cor mai non ha tregua.

Chi può seguir il sol, l'ombra non segua.

Scena decima

Eufemiano, Adrasto, Nunzio.
Mentre Eufemiano si duole delle sue sventure in compagnia di Adrasto, sente avviso, come nella chiesa maggiore si era udita una voce dal cielo che richiamava alle stelle l'anima travagliata nel mondo. Perciò rallegratosi, raccoglie che anch'esso potrebbe consolarsi una volta con il ritorno del figlio; e che per qualsivoglia miseria non si deve mai perdere la speranza.

ADRASTO

Talor che men s'attende,

pietoso il cielo il suo favor comparte

all'umane vicende.

EUFEMIANO

Ti parlo il vero, Adrasto:

in ogni parte

vedevo, oh, sì, delle speranze il seno

ché l'alma, ognor tra mille dubbi avvolta,

una voce ascoltar vorrebbe al meno,

che mi dica una volta:

«È morto Alessio, il tuo figliuolo è morto.»

Ah, folle, che ragiono?

Viva pur, viva il figlio,

lunge d'ogni periglio.

ADRASTO

La lunga etade insegna

porre il freno alla tigre aspra, e feroce

che per natia fierezza i lacci sdegna

ma non già porre il freno al duolo atroce.

Quindi non è stupore

se d'insanabil piaga

mostra ognor nuovi segni il dolore.

Ma veggio, ch'anelante

con festoso sembiante,

con sollecito piè Sofronio arriva.

Udiam ciò ch'ei ne porti.

NUNZIO

In ogni riva

oggi risuona di letizia il Tebro.

E voi pur qui con la sembianza mesta

ve ne state in disparte,

e forse intese

non avete quai grazie il ciel n'appresta.

ADRASTO

Deh, fanne, amico, il tutto a noi palese.

NUNZIO

Stava pur dianzi accolto

dentro al tempio maggiore il popol folto,

quando dal ciel s'udì placida e chiara

risonar una voce in queste note:

vengano a me coloro,

ch'anelar fa delle fatiche il pondo,

laggiù nel cieco mondo;

ch'io gli darò ristoro.

Resta ciascuno al sacro altare avante

con le palpebre immote.

Dall'attonite genti

ciò che n'accenni il ciel ben non s'intende.

Ma pur ciascun ne prende

di fortunati eventi

non incerti presagi.

E sperar lice

ch'esser pur deva Roma ancor felice.

EUFEMIANO

Non abbandona il cielo

alma, ch'in lui confida,

colma d'invitto zelo.

Or, se celeste voce

precorre il gioir nostro

o fidi amici,

rassereniamo il cor con lieti auspici.

[Ritornello per l'aria di «Questo Egeo»]

Si replica il principio solamente alla prima stanza, e non alle altre tre

Questo Egeo ch'è stabil campo

d'aspri nembi e di procelle

delle stelle mira pur

talora il lampo,

e propizio il ciel sovviene,

se fremente Austro s'avanza.

Chi s'aggira in mar di pene,

dia le vele alla speranza.

Ritornello

Il Coro sopra detto con canti, e un altro di giovani Romani con balli fanno festa per le nuove allegrezze della città consolata.

CORO DI GIOVANI ROMANI

Il ciel pietoso

in suon giocondo

promett'al mondo

dolce riposo

di grazie nuove.

Un largo nembo

a Roma in grembo

oggi ne piove.

[Ritornello strumentale]

Questo ritornello si fa dopo ciascuna stanza del balletto

Sul carro adorno

con vivi rai

non giunse mai

così bel giorno.

L'alba e la sorte

n'apron per noi

dai lidi eoi

al dì le porte.

Ritornello

Con l'onde chiare

oltre il costume,

festoso il fiume

se n' corre al mare.

Muove il sentiero

suoi molli argenti

più di contenti

che d'acque altero.

Di queste mura

cresce oggi il vanto,

poiché son tanto

al ciel in cura.

Dunque, in sembianza

di grati affetti,

il piè s'affretti

a liete danze.

Ritornello

Atto terzo

[Sinfonia]

Scena prima

Demonio, e coro di Demoni.
Il Demonio, avendo invano usato ogni opera contro il Santo, pieno di confusione precipita all'inferno.

DEMONIO

Mal si resiste a fermo core, e male

contra dio si contende.

Non può forza infernale

di un'alma trionfar

ch'il ciel difende.

Io, d'Alessio sperando aver la palma,

che non fei, che non dissi

perché de' ciechi abissi

fosse trofeo quell'alma?

E pur or veggio alfine

ogni speranza mia dispersa al vento.

Tornerò dunque ov'ogni lume è spento

all'orrido confine.

CORO DI DEMONI

Omai ritorno

qui faccia il piè,

ove del giorno

luce non è.

Sotto i piedi del Demonio manca all'improvviso la terra, egli trabocca in una voragine di fuoco.

DEMONIO

Cedo fuggo, son vinto.

Alessio, godi,

che solo in danno mio tornan le frodi.

CORO DI DEMONI

Qui dove loco

non ha pietà,

seggio di foco

per te sarà.

Scena seconda

Adrasto, Coro, Nunzio
Adrasto, per aver veduto diverse genti incamminarsi alla casa d'Eufemiano va in compagnia di altri per certificarsi della ragione e, incontratosi in uno della stessa casa sente da lui la morte, la ricognizione di S. Alessio, e dal medesimo viene introdotto nella stanza dove giace il suo corpo.

ADRASTO

Dovunque io volgo il ciglio

per la città tra il popolo commosso,

di mirar parmi un tacito bisbiglio,

né qual sia la cagion intender posso.

CORO

S'ode d'intorno tutto

risonar l'Aventino

di tristezza e di lutto.

Qual sia, ch'oggi ne turbi empio destino?

NUNZIO

Rifugge il piè dal lagrimoso albergo,

perché non soffre il core

omai di rimirar tanto dolore.

Forse ancor tu ne vieni, amico Adrasto,

perché a parte esser vuoi

del più strano spettacolo e dolente,

ch'esser mai possa oggetto agl'occhi tuoi.

ADRASTO

Sospesa è l'alma in tristi dubbi avvolta.

Né ben anco raccoglio,

amico, la cagion del tuo cordoglio.

Deh, narra il tutto.

NUNZIO

Eccomi pronto, ascolta.

Poiché s'udì dal ciel suono celeste,

che dalla mortal veste

richiamava alle stelle

chi per dio s'affatica,

s'udì nel tempio istesso

novella voce amica

in cotal suono espresso:

d'Eufemiano il tetto

l'umil servo n'accoglie a dio diletto.

A tai note Innocenzo, il gran pastore

che porta il crin di tre corone onusto,

e seco Onorio, il glorioso Augusto,

d'immobile stupore il core impresso

vennero a questo albergo,

e quivi in bassa stanza

uom trovar da gel di morte oppresso

che coperta tenea col manto istesso

la pallida sembianza.

CORO

Omai ciascuno attonito, smarrito,

dalla tua bocca pende e chi sia questo

cotanto nel morire al ciel gradito?

NUNZIO

Narrerò a pieno il tutto. Udite il resto.

Stretto avea nella man vergato foglio,

che, da Innocenzio aperto

ohimè, ben tosto certo

ne fe' col nome suo l'altrui cordoglio.

Questi era Alessio, il sospirato Alessio,

che tant'anni presente,

sott'abito mal noto,

pianto fu come assente.

Da sì nuovo accidente i cor delusi,

perdon, fatti di sasso, e voce e moto.

Per altro calle, attoniti e confusi,

alfin tutti partiro

et i parenti insieme

qui restar soli alle doglianze estreme.

ADRASTO

Misero padre, i casi tuoi sospiro,

non d'Alessio la morte,

ch'egli passò, morendo, a miglior sorte.

NUNZIO

Egli, poi ch'altro il suo dolor non puote,

disfoga in pianti acerbi i suoi tormenti.

E gl'occhi lassi a lagrimar intenti

par che trovin conforto,

in rileggendo le pietose note.

Ma se ti trae pur voglia

di veder la cagion di dolor tanto,

seguimi in questa soglia,

ond'esce un suono misto

di gridi e di femineo pianto.

Scena terza

Eufemiano, Sposa, Madre, Marzio, Curzio, Adrasto e Coro d'Angeli dentro la scena.
I Parenti acerbamente piangono la morte di Alessio. Si legge la lettera scritta da lui prima di morire.
Mutandosi la scena, appariscono le logge e il giardino del palazzo, nel quale, sotto alle scale, giace il corpo del Santo.

SPOSA, MADRE E EUFEMIANO

Ohimè, ch'un'ora sola

e lo rende e l'invola.

Ciechi e miseri noi,

s'una breve ora

con ombre tenebrose

mostra ciò che nascose

di mille giorni il lume.

Lassi noi, che, trovando il nostro bene,

di lui perdiam la speme.

ADRASTO

Ahi, fato acerbo, e triste,

dopo tant'anni io ti ritrovo a pena,

Alessio e ti riveggio, e non son visto.

Ma non si deve a te lamento, o pena,

ché di somma virtù vestigi lasci,

e se mori nel mondo, in ciel rinasci.

EUFEMIANO

Dunque, dunque, è pur vero,

che senza mai trovarti,

due volte t'ho perduto?

Ed è pur vero, e il provo

che mio tu fosti allor, ch'io ti perdei,

ed or ch'io ti ritrovo,

ohimè, più mio non sei?

SPOSA

Che pensieri furo i tuoi, Alessio?

e con quali lumi

mirasti i lumi altrui,

per te conversi in fiumi?

MADRE

Del mio fiero dolore

rigido spettatore,

tu pure, ohimè, distrutto,

mirasti il viver mio col ciglio asciutto?

EUFEMIANO

Ho visto, per pietà de' miei martiri,

risponder questi marmi ai tristi accenti.

Ho visto a' miei sospiri

spirar pietosi i venti.

Tu solo, o figlio,

all'or ch'in pianto sciolsi,

i miei dolor funesti,

tu solo, o figlio, avesti

chiuse l'orecchie al pianto, ond'io mi dolsi.

MARZIO

O mia cieca follia,

che trascorresti ad oltraggiar sovente

un giusto, un innocente!

Quanto fu grave, ohimè, la colpa mia.

Deh pria ch'in me l'ira del ciel discenda,

pietà di me ti prenda,

ché, se pentito or sono,

dalla tua gran pietà spero il perdono.

CURZIO

Troppo, ohimè, troppo errai,

e troppo ohimè, t'offesi.

Ma tu condona i falli,

alma clemente,

poiché spirto celeste ira non sente.

SPOSA, MADRE E EUFEMIANO

O luci, voi ch'erraste

col non conoscer mai l'amato pegno

piangete il fallir vostro,

ché di sua stirpe l'unico sostegno

mirar più non potrete in questo chiostro.

Ohimè ch'un'ora sola

e lo rende e l'invola.

EUFEMIANO

Foglio, ch'in te racchiudi

memoria che al mio cor sia sempre amara,

pur tua vista m'è cara.

E se capace è di conforto il duolo,

in udir le tue note io mi consolo.

Deh, leggi, amico, tu ciò ch'ei n'esprime.

UNO DEL CORO

(legge la lettera)

«Alla Sposa, alla madre, al genitore.

Dell'ultim'ore

al desiato punto

Alessio giunto,

sofferenza e pace

prega verace.»

EUFEMIANO

Come, pace a me preghi?

Se quando parti, o figlio, e quando torni,

con soverchio rigor pace mi nieghi?

UNO DEL CORO

«Prima ch'io chiuda i lumi

in breve foglio

noti far voglio

i casi miei diversi,

ciò che soffersi

e quali in vario corso

parti ho trascorso.

Io già d'essa alla remota sede

rivolsi il piede,

e d'adorar fui vago

celeste imago,

e poscia ad altre sponde

varcai per l'onde.

Ma da venti agitato, e sopra fatto,

qua fui ritratto,

e il genitor m'accoglie

in queste soglie,

ove gl'altrui lamenti

fur miei tormenti.»

EUFEMIANO

Oh, d'invitta fermezza esempio vero,

tra miserie cotante,

come potesti, o figlio, esser costante?

UNO DEL CORO

«Ora che l'alma in ciel torna e riposa,

o madre, o sposa,

o genitore, il duolo,

se n' fugga a volo,

e il cor prenda conforto,

ch'io giungo in porto.»

SPOSA, MADRE E EUFEMIANO

Pianti, o doglie estreme,

dal cui rigore ogn'altra doglia è vinta.

Non speri più da quella bocca estinta

udir d'Alessio i casi il cor che geme.

Scena quarta

Coro d'Angeli, dentro alla scena. Eufemiano, Madre, Sposa.
Gli Angeli, accompagnando l'anima del Santo persuadono i parenti, che a torto, si dolgono nel mondo per la morte di chi è ricevuto nel cielo con tanto giubilo.

CORO D'ANGELI

Lasciate il pianto,

poi che dal ciel le schiere

con lieto canto

chiaman l'alma d'Alessio all'alte sfere,

ed ei festoso,

giunto al riposo,

di stelle ha la corona e d'oro il manto;

lasciate il pianto.

EUFEMIANO

O mia consorte, o figlia,

se felice quell'alma

dopo tanti tormenti

gode corona e palma,

non offuschiam col duolo i suoi contenti.

MADRE

Poich'a lasciare il pianto il ciel n'invita,

abbia in me tregua il duolo.

SPOSA

Nel suo gioir, il mio dolor consolo.

Scena quinta

Religione, Coro di Virtù, Coro d'Angeli.
Comparisce dalla casa del Santo la Religione e seco viene un coro di Virtù figurate per l'otto beatitudini, quali furono mezzi ad Alessio per ottenere la gloria. La Religione rallegrandosi dell'acquisto fatto dal cielo in S. Alessio gli destina il tempio, che dagli antichi Romani fu dedicato a Ercole. Partesi poi la Religione, incamminandosi a consacrare il tempio a S. Alessio e mentre dagli Angeli si continuano i canti, festeggiano le Virtù coi balli.

RELIGIONE

Vive Alessio, che morto al mondo visse,

vive colui, che più d'Alcide invitto

fu gli ampi abissi a superar potente.

Ora vogl'io che della nobil alma

si riponga la salma

nel vicin tempio,

ove pietade insana

d'Ercole venerar fece i trionfi.

Vera pietà romana

qui sciolga i preghi

e quindi grazie attenda.

Qui concorra devoto

fin dal Istro remoto

il popol fido.

Giunger a questo lido

veggio poscia Adalberto,

quel, ch'all'Europa estrema

con la voce e con l'opre

n'additerà del cielo il cammin certo.

Ei ne' vicini chiostri

il piè ritirerà.

E mentre al cielo il suo cammino intende

lui piange e sospirerà,

lui d'Alessio l'inulta fuga apprende.

Or voi felici ancelle

che rendete soave anco il dolore,

e in mezzo anco alle spine

fate spuntar delle virtudi il fiore;

voi che alle stelle alfine

conduceste l'eroe per erti calli

or con festosi balli

gioite a' suoi trionfi,

celebrate i suoi casi, e, poich'il cielo

gradì d'Alessio il pianto,

di letizia or s'oda il canto.

Spariscono alcune nuvole e vedesi nel paradiso il Santo, circondato da molti Angeli, che con suoni e canti l'accompagnano.

Liuti, tiorbe, arpe, 3 violini suonino sopra i soprani che cantano, e tutti stanno nelle nuvole

CORO D'ANGELI

Il ciel vagheggia

alma beata omai,

e l'alta reggia

rimira, adorna di lucenti rai.

Dei sommi giri

godi i zaffiri

ove senza accidente il sol lampeggia.

[Balletto delle Virtù]

Godi pur alma gradita

presso i rai d'eterno re,

che nel regno della vita

avrà premio la tua fé.

Qui fé durabile

mai sempre stabile

trova mercé.

Balletto delle Virtù

Tanto già fatto giocondo

quanto il cor prima soffrì,

che fuggendo il cieco mondo

al ristoro in ciel salì,

dove risplendon lumi,

che rendono eterno il dì.

Balletto delle Virtù

Delle stelle il nobil trono

vagheggiare oggi puoi tu,

e provar quai seggi sono

preparati a gran virtù.

Per te festeggiano,

per te lampeggiano

le stelle or più.

Balletto delle Virtù

Felice Roma,

che grazie impetrar puoi

da lui, ch'or noma

festoso il ciel in fra gli eletti suoi.

Con pregi tanti

cresci i tuoi vanti,

e di pietoso allor

cingi la chioma,

felice Roma.

Fine del libretto.

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Locandina Prologo Scena prima Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta