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| Gl'inimici del Tasso resero la sua vita una tela ordita tutta di sventure. | |
| Uno scrittore francese | |
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| Già scarsi al mio voler sono i sospiri; | |
| e queste due d'amor sì larghe vene | |
| non agguaglian le lagrime alle pene. | |
| Tasso Canzone XXXIII | |
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[Sinfonia] | N 
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Scena prima |
Atrio magnifico nel ducal palazzo in Ferrara. Fra le colonne si scorgono le porte degli appartamenti terreni. Il primo a destra è della duchessa Eleonora. Il secondo è della contessa Scandiano. A sinistra il primo è del Tasso, il secondo è di Geraldini. In fondo è quello del Duca, innanzi a cui passeggiano guardie svizzere. Alcuni Cavalieri si avanzano dalla porta dell'appartamento del Duca parlando sommessamente fra loro; indi Don Gherardo dal colonnato in fondo; poi Ambrogio dalle stanze del Tasso. |
Q 
guardie svizzere
<- cavalieri
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[N. 1- Introduzione e Cavatina] | N 
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CORO
Due rivali, un invidioso,
un poeta innamorato,
un ridicolo geloso
stanno in corte a recitar,
e ci fanno rallegrar.
Ma che al povero Torquato
si prepari una tempesta,
ho un sospetto nella testa,
e comincio a paventar,
che sia prossima a scoppiar.
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GHERARDO (di dentro; indi in scena) |
Come! No! Davvero? Niente?
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| <- Gherardo
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CORO (fra loro) |
Don Gherardo! Lo ascoltate?
Già comincia a interrogar,
e ha la febbre di ciarlar.
Sconcertata è la sua mente;
va di trotto alla follia;
ché una fredda gelosia
col continuo martellar
notte e dì lo fa tremar.
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| (i cortigiani si ritirano passeggiando fra le colonne; indi a poco a paco si avvicinano complimentando don Gherardo) | |
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GHERARDO
Fra tutti quanti i punti
ch'io metto in voce o scrivo,
all'interrogativo
la preminenza io do.
Senza di lui sol d'asini
pieno sarebbe il mondo;
dottor, se non interroga,
nessun mai diventò.
Così pescando al fondo
io vo d'ogni mistero;
così per bianco il nero
io mai non comprerò.
(scorgendo i cortigiani, e con somma volubilità, interrogando or l'uno, or l'altro)
Di qua passato è il Tasso!
Ebbe nessun invito?
Il duca è andato a spasso?
Il segretario è uscito?
Qual delle due Eleonore
finor cercò di me?
L'ambasciador di Mantova
udienza avrà solenne?
È cifra diplomatica?
Si sa per cosa venne?
Il duca è bieco od ilare?
E la Scandiano ov'è?
Ma almeno qualche sillaba
dal labbro sprigionate...
Per Bacco! Come statue
udite, e non parlate!
Che mummie da piramidi!
Mi fate rabbia affé!
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CORO |
Se respirar più liberi,
signor, non ci lasciate,
voi tanti imbrogli a chiederci,
invan vi affaticate.
Ma, zitto, o di rispondervi
possibile non è.
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GHERARDO |
Ma or che il domestico
del gran Torquato
stupido, stupido
vien da quel lato,
se qui l'interrogo
di buona grazia,
come un oracolo
risponderà.
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CORO |
Signor, giudizio!
Vi farà piangere
la vostra incommoda
curiosità.
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GHERARDO |
Eh! via, sciocchissimi!
Mi fate ridere.
Un uom di merito
sa quel che fa.
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| (don Gherardo afferra per un braccio Ambrogio, ch'esce dalle stanze del Tasso, e traendolo con violenza sull'innanzi della scena, rapidamente lo interroga) | <- Ambrogio
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GHERARDO |
Che fa Torquato ~ compone?
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AMBROGIO |
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GHERARDO |
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AMBROGIO |
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GHERARDO |
D'un'Eleonora ~ discorre?
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AMBROGIO |
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GHERARDO |
Ma quale adora? ~ Sai dirlo!
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AMBROGIO |
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GHERARDO |
Come in un'estasi ~ delira?
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AMBROGIO |
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GHERARDO |
Di me non brontola ~ geloso?
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AMBROGIO |
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GHERARDO |
Così laconico ~ rispondi?
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AMBROGIO |
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GHERARDO |
Ed altro dirmene ~ sapresti?
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AMBROGIO |
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GHERARDO |
Quell'economico
tragico stile
tutta sconvolgere
mi fa la bile!
Bestiaccia inutile!
Vattene al diavolo!
Stupido, zotico,
bufalo...
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AMBROGIO |
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CORO (beffando Don Gherardo) |
Nell'acqua semina!
Sbagliò l'astuto!
Ah! Ah! Che ridere!
Nulla ha saputo.
Il nuovo oracolo
restò in silenzio.
Son tutte chiacchiere.
Nulla svelò.
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GHERARDO (ad Ambrogio, poi ai cavalieri) |
(Novello Tantalo
muoio di sete!)
Con me tu reciti?
(ai cavalieri)
Ma non ridete!
(Ah! Che una sincope
sento per aria.)
Son ciarle inutili.
Tutto saprò.
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AMBROGIO (da sé con aria di contegno politico) |
(Domande scarica!
Il sordo io faccio.
Segue ad insistere!
Sorrido e taccio.
Io son politico,
non casco in trappola;
da lui mi libero
col sì, col no.)
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| (i cavalieri si disperdono, e parte entrano nella sala del Duca, parte dalla duchessa) | cavalieri ->
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GHERARDO |
Scortese! A un don Gherardo,
che tien lincèo lo sguardo,
che tutto seppe, tutto penetrò,
secco, secco rispondi: un sì, o un no!
Dove vai? Perché vai?
Eleonora Scandian vedesti mai
muover furtiva il passo
alle stanze del Tasso?
L'Eleonora, che ha fitta nel pensiero
è quella? Non è vero?
L'enigma scioglier puoi? Perché negarlo?
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AMBROGIO |
Per far servo e non dir. Faccio e non parlo.
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| (entra nelle stanze di Roberto Geraldini, e ne chiude la porta) | Ambrogio ->
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GHERARDO |
Entrò da Geraldini? Ergo Torquato
l'avrà da lui mandato. ~ Ah! Se potessi
fiscaleggiar questo Roberto, a cui
anonima non è quella segreta
febbre d'amor che logora il poeta!
(tende l'orecchio, indi s'appressa vicinissimo alla porta di Geraldini per udire ciò che dicono in quelle stanze)
Che brutto vizio! Parlano fra i denti!
S'appressan:
(ripetendo, come udisse)
«Fra momenti
da Torquato verrò.»
Al varco, quando n'esce il coglierò.
E se non parla? ~ E se lo svela amante
dalla Scandian riamato?
Amato lui?... Perché?... Per quattro rime?
Son donne!... Ohimè! La gelosia mi opprime!
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| (entra nell'appartamento del Duca) | Gherardo ->
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| (Ambrogio nel tempo delle ultime parole di Don Gherardo esce dalle stanze di Geraldini, e ritorna in quelle di Torquato) | <- Ambrogio
Ambrogio ->
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Scena seconda |
Geraldini esce pensoso: indi dà uno sguardo agli appartamenti di Torquato. |
<- Geraldini
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GERALDINI |
Ah! non invan t'aspetto,
istante sospirato
del vindice furor che m'arde il petto!
Torquato, io t'odio; e tu cadrai, Torquato?
Il favore ch'ei gode,
l'eco della sua lode
lenta morte è per me. ~ Ma splendi, brilla
astro orgoglioso... sì... per poco, ancora.
Delle vendette mie verrà l'aurora.
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Quel tuo sorriso altiero,
que' tuoi trofei vantati,
cangiati ~ io voglio in lagrime.
Sì, lo giurai: lo spero.
Secondami, Fortuna:
tutti i tuoi sdegni aduna;
fa' che mi cada al piè.
Non tradirmi, o cara speme,
solo raggio a un cor che geme.
S'aura amica di favore
per Torquato tacerà,
sola alfin del duca in core
l'arte mia regnar potrà.
Io saprò di quell'audace
render vano ogni disegno,
e celar l'antico sdegno
sotto il vel dell'amistà.
Finch'ei brilla io non ho pace;
l'ira mia dormir non sa.
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| (entra nelle stanze di Torquato) | Geraldini ->
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Scena terza |
Appartamento del Tasso. Una porta laterale è la comune. Una in fondo conduce alle stanze interne. Tavola con recapito da scrivere, volumi, e carte sparse, ed un picciolo scrigno ferrato chiuso. Sedie. Torquato avanzasi lentamente come assorto in pensieri di amore. |
Q 
(nessuno)
<- Torquato
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Alma dell'alma mia, raggio soave
di non mortal beltate,
ah! nulla manca in te se non pietate;
né manca forse, no. Spesso pietosa
parli co' i muti tuoi labbri ridenti,
e per un riso oblìo mille tormenti!
Ah! mia! per sempre mia! Fatal distanza,
dagli occhi miei dilèguati. ~ Speranza,
non mi tradir. Se un solo istante, un solo
t'amo, mi dice, il core appien beato
tutti i spasimi suoi perdona al fato.
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| (come colpito da una immagine di contento si appressa rapidamente alla tavola in attitudine d'inspirazione) | |
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Scena quarta |
Ambrogio dalla comune precede Roberto, che gl'impedisce di annunziarlo scorgendo Torquato in un momento d'estro poetico. Geraldini, Torquato. |
<- Ambrogio, Geraldini
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GERALDINI |
Taci: mi lascia. All'estro sacro in preda
volano i suoi pensier. ~
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| (Ambrogio s'inchina, e parte) | Ambrogio ->
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Vate orgoglioso,
che il lume togli a ogni più chiaro ingegno,
t'eclisserò. ~ Breve ti resta il regno.
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TORQUATO |
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GERALDINI |
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TORQUATO |
Oh! mio contento!
Tutto il mondo è al mio piè. ~ Dell'universo,
se a tanto giungo, a me par vile il soglio.
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GERALDINI |
Sogni; io son desto, e te perduto io voglio.
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| (Torquato prende un foglio, afferra una penna, e scrive seduto, cantando con enfasi ciò che scrive) | |
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TORQUATO |
Quando sarà che d'Eleonora mia
possa godermi in libertade amore?
Ah! pietoso il destin tanto mi dia!
Addio, cetra; addio, lauri; addio, rossore!
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GERALDINI |
Incauto! ~ Che mai scrive? ~ In quelle carte
sta la sentenza sua.
(scoprendosi, e scuotendo Torquato)
Folle! deliri?
(con simulata affettuosa amicizia)
Son colpa in te i sospiri.
Arcano e dubbio amor svelato e certo
rende il Tasso così?
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TORQUATO |
(caldo d'entusiasmo, traendo a sé Roberto)
M'odi, Roberto.
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[N. 2 - Duetto] | N 
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TORQUATO |
In un'estasi, che uguale
non provò mai d'uomo il core,
io sognai, che armato d'ale
mi rendean fortuna e amore.
Sospirando la mia bella
io volai di stella in stella;
non mortal, ma genio o dea
entro al sole io la trovai;
mentre a me la man stendea,
mentre a lei la man baciai;
t'amo, disse: amo sol te.
Fu un momento! ~ A quell'accento
da me sparve Eleonora!
Ma in quel foglio espressi allora
il desìo che crebbe in me.
| S
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GERALDINI |
Di quei carmi al caro incanto
chi l'inspira appien ravviso.
La tua donna t'era accanto;
era fiamma il suo sorriso.
Poi sul foglio versò il core
quanto a te sperar fe' amore.
Non si finge, non si mente
quel piacer che inebria il seno,
quella smania così ardente,
quel furor che ha sciolto il freno,
quell'arcano non so che.
Ma, Torquato ~ sconsigliato!
A distruggerlo t'affretta;
o guizzar della vendetta
vedo il fulmine su te.
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TORQUATO |
(correndo a prendere il foglio; indi accennando due volumi sulla tavola)
Ah! di padre ho l'alma in petto!
Qui del cor la storia io vedo.
Desta in me soave affetto
più di Aminta e di Goffredo;
dall'ingegno uscian quei carmi;
questi 'l cor me li dettò.
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GERALDINI |
(con tono di viva, e tenera sollecitudine)
Fra l'invidia ed il sospetto
in periglio ognor ti vedo.
L'imprudenza dell'affetto
al tuo cor fatale io credo.
(Di sua man m'appresta l'armi;
con quei versi io vincerò.)
Bada... suon di passi... parmi.
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| (Torquato corre allo scrigno, vi getta il foglio, chiude, e ne trae la chiave) | |
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Scena quinta |
Ambrogio sulla porta di mezzo. |
<- Ambrogio
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AMBROGIO |
La duchessa vuol Torquato.
(s'inchina e parte)
| Ambrogio ->
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TORQUATO |
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GERALDINI |
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TORQUATO |
Oh! me beato!
Dir che m'ama or forse udrò!
Caro sogno lusinghiero!
L'alma mia non s'ingannò!
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GERALDINI |
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TORQUATO |
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GERALDINI |
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TORQUATO |
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| (risolvendosi improvvisamente, e dando la chiave dello scrigno a Geraldini mentre lo abbraccia) | |
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TORQUATO |
Ah! Non saria possibile
che ardessi i versi miei!
Mirando i figli in cenere
morir mi sentirei!
Ma cedo a te: son tuoi;
struggili tu, se vuoi.
Non verserò una lagrima;
m'affido all'amistà.
(No, non tradirmi, amore,
vola ai contenti 'l core.
Quest'alma fortunata,
amante riamata
d'invidia ai re sarà.)
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GERALDINI |
Serbar quel foglio improvvido,
Torquato, io non saprei;
le mura ancor qui parlano,
dell'aure io temerei.
Struggerlo tu non puoi?
Io l'arderò, se vuoi;
fin la memoria perdine;
ti affida all'amistà.
(Oh gioie del furore,
io tutto v'apro il core!
Passi di pena in pena,
e goda il dritto appena
di risvegliar pietà.)
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| (Torquato abbraccia Roberto, e parte dalla comune) | Torquato ->
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Scena sesta |
Geraldini solo; indi don Gherardo dalla comune. |
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GERALDINI |
O da lunghi anni attesa,
difficile vendetta, alfin... lo spero,
Sei vicina a scoppiar. Velai col manto
di pietosa amistà lo sdegno antico,
e l'incauto s'apriva al suo nemico.
Grande tu sei, superbo più. Qui regni,
poeta idolatrato;
ma lo stral per ferirti or tu m'hai dato.
(facendo alcuni passi verso lo scrigno, e cavando la chiave datagli da Torquato)
Che fo?... Ferir, ma non svelarsi è d'uopo.
Parer vile non voglio.
(scostandosi dal tavolino)
Un'altra mano
desti 'l sospetto, e se ne accusi.
(ripone la chiave in tasca)
Il mondo
creda vero il mio pianto
mentre del mio rival godo alle pene.
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| <- Gherardo
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GHERARDO |
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GERALDINI |
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GHERARDO |
Il Tasso vi cercò;
dopo uscì, dove andò? ~ che mai volea?
Parlò di me? Della Scandian che disse?
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GERALDINI |
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GHERARDO |
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GERALDINI |
Scrisse
liberi versi, ardite brame.
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GHERARDO |
In scritto!
Ma questo, amico...
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GERALDINI |
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GHERARDO |
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GERALDINI |
Mostrollo; indi geloso
lo chiuse.
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GHERARDO |
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GERALDINI |
Là.
(accenna allo scrigno)
Ah! se il duca lo sa!
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GHERARDO |
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GERALDINI |
Che imprudenze non ama,
che severo in sua corte austeri brama
i costumi de' suoi.
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GHERARDO |
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GERALDINI |
Già, il Tasso voi l'amate?
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GHERARDO |
Bagatelle!
Ma siete persuaso
che se quel foglio a caso
del duca nella man fosse caduto,
il Tasso...
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GERALDINI |
Sventurato!... Era perduto!
(fa un cenno a don Gherardo di tacere, e parte)
| Geraldini ->
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Scena settima |
Don Gherardo solo; indi Ambrogio. |
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GHERARDO |
Perduto! E che desidero?
(si accosta allo scrigno frugandosi in tasca)
Potessi!... E perché no? ~ Lunge è la sala;
Ambrogio non udrà. ~ Farò pian piano.
(cava un grimaldello e forza la serratura dello scrigno, che nell'aprirsi fa un poco di rumore)
Mai sprovvisto non vo. ~ Stai salda invano.
Ho aperti altri segreti.
(cerca, trova il foglio, e lo prende)
È questo... è questo!
Il più l'ho in mano; il men da farsi è il resto.
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| <- Ambrogio
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AMBROGIO |
Mi parve di sentir certo rumore!...
Cosa ha preso, signore?
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GHERARDO |
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AMBROGIO |
Come! e lo scrigno aperto?
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GHERARDO |
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AMBROGIO |
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GHERARDO |
Che ho da far d'un foglio?
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AMBROGIO |
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GHERARDO |
Termina o aspetta
che un mio pari risponda col bastone.
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AMBROGIO |
Il foglio...
(opponendosi, affinché non parta)
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GHERARDO |
Zitto.
(stornandolo con impeto e scortesia)
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AMBROGIO |
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| (don Gherardo s'invola, seguito da Ambrogio per la comune) | Gherardo, Ambrogio ->
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Scena ottava |
Camera nobile nell'appartamento di donna Eleonora sorella del Duca, nelle cui pareti sono dipinti alcuni fatti espressi da Torquato nel Goffredo. Tre porte nel fondo adorne di ricche cortine. Tavolino con ricco tappeto, libri, ed un vaso di fiori. Sedie intorno. Donna Eleonora si avanza con un volume del poema manoscritto di Torquato fra le mani. |
Q 
Eleonora
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ELEONORA |
Fatal Goffredo! I versi tuoi fur strali
al mio povero cor! Sì, sì, Torquato,
per me l'amarti è fato;
né mi fu schermo il sangue avito e il trono.
Ah! invan lo nego... innamorata io sono.
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[N. 3 - Cavatina] | N 
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Io l'udia ne' suoi bei carmi
ragionar d'illustri imprese;
ma cantando amori ed armi
parlò un guardo, e un cor l'intese.
No 'l sapendo, del suo fuoco
io pian pian m'accendea...
Ah! l'amor che sembra un gioco
poi divien necessità.
Egli pianse, ed io piangea;
sospiravo ai suoi sospiri;
ah! Torquato, se deliri
il mio cor delirerà.
Deh! t'invola, o soave
illusïon d'un disperato amore!
Sogno contenti, e m'avveleno il core.
Trono e corona involami
nel tuo furore, o sorte.
Solo quel core, ah! lasciami;
è mio fino alla morte.
Travolta in basso stato,
sorte, t'insulto e sfido.
Se resta a me Torquato,
tutto perdono a te.
Ah! sì: nell'urna gelida
palpiterà per me.
| S
(♦)
(♦)
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| |
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Ei tarda!... È lenta morte
il non vederlo! Ingiusta forse... in seno
un geloso sospetto...
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Scena nona |
La contessa Eleonora di Scandiano da una delle porte laterali, e detta. |
<- Scandiano
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SCANDIANO |
O mia duchessa!
Piangente sempre!... Eh! via...
io scommetto che amore...
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ELEONORA |
Amore! Oh, mia
contessa di Scandiano,
no 'l vedete? Un arcano
languor mi strugge a poco a poco!
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SCANDIANO |
Andiamo
al verone, o duchessa. Una solenne
richiesta udienza ottenne
l'ambasciador di Mantova. Il precede,
l'accompagna, lo segue
un corteggio magnifico,
fiore di gioventù, bei cavalieri
su bizzarri destrieri.
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ELEONORA |
Ah! no. Questi occhi
odiano il sol: non ponno
soffrirne il vivo raggio. Amica, andate:
la lieta pompa a me parrà più bella
poi narrata da voi.
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SCANDIANO |
Ma sola intanto
voi ritornate al pianto?
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ELEONORA |
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ELEONORA, SCANDIANO |
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SCANDIANO |
(La sventurata
ama il Tasso, e non spera esser riamata!)
(esce dalla porta laterale da cui entrò)
| Scandiano ->
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Scena decima |
Eleonora sola, indi il Tasso che si arresta sulla porta di mezzo. |
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ELEONORA |
(guardando la Scandiano mentre parte, e soffocando un sospiro)
Ah! Torquato l'amo! ~ Mio cor... tu tremi?
È il noto suon de' passi suoi! Soave
rimbalzo ignoto in sen provai repente...
e chi esprimer lo può, no, non lo sente.
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| (Torquato fa due passi, e guardando la duchessa rimane in silenzio) | <- Torquato
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ELEONORA |
Torquato?... Immobil! Muto!
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TORQUATO |
Ah! Tal mi rende
il rispetto, il timor.
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ELEONORA |
Timor! Son io
terribil tanto, che gli accenti agghiaccio?
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TORQUATO |
Un nume siete, e i numi adoro e taccio.
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ELEONORA |
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TORQUATO |
Ah! no: Tasso non mente.
Di rispettoso amor la fiamma ardente
l'alma e i sensi m'ha vinto;
ma il viver bramo anzi che il foco estinto.
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ELEONORA |
L'egra salute mia
un conforto desìa. Ne' vostri carmi
sempre il trovò.
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TORQUATO |
Questo è il maggior mio vanto!
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ELEONORA |
Ma i poveri occhi miei... (che pianser tanto!)
più non son quei d'un dì.
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TORQUATO |
| |
ELEONORA |
Voi che pari all'ingegno il core avete,
nel Goffredo scegliete
qual più tratto a voi piace, e a me, pietoso
voi lo leggete, e scenda
(dandogli il manoscritto)
la vostra voce a serenarmi 'l core.
(Che tanto palpitò!)
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TORQUATO |
(sfogliando il poema)
(M'assisti, amore.)
(leggendo)
Canto secondo: ottava
decimasesta. Il tratto
scelgo d'Olindo... Il cor lo scrisse.
| |
ELEONORA |
E a udirlo
tutto s'apre il mio core. (Ei sé in Olindo,
me in Sofronia dipinse! Ah! della scelta
il secreto perché ravviso appieno!)
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TORQUATO |
(Che di me parlo, ah! comprendesse almeno!)
| |
| |
| (Torquato in piedi comincia a leggere, Eleonora seduta in udirlo è presa da viva e crescente agitazione fino che balza in piedi, e gli toglie il volume di mano) | |
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[N. 4 - Duetto] | N 
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TORQUATO |
Colei Sofronia, Olindo egli si appella,
d'una cittade entrambi, e d'una fede;
ei che modesto è sì, com'essa è bella,
brama assai, poco spera, e nulla chiede,
né sa scoprirsi, e non ardisce, ed ella
o lo sprezza...
| S
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| |
| (Eleonora toglie con amorosa impazienza il volume al Tasso) | |
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ELEONORA |
Non ti sprezzo, e se lo credi
troppo, ah! troppo ingiusto sei.
Tacqui, è ver; ma gli occhi miei
favellavano per me.
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TORQUATO |
Non mi sprezzi? Oh, me beato!
Fortunati affanni miei,
se pietà trovaste in lei
gioia egual per me non v'è!
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ELEONORA |
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TORQUATO |
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ELEONORA |
E il labbro tuo m'accusa!
Lo può il tuo cor?
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TORQUATO |
L'immenso
lungo soffrir mi scusa.
A notti in duol vegliate
dì succedean d'orrore.
Le smanie disperate
io soffocavo in core.
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ELEONORA (con dolce rimprovero) |
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TORQUATO |
Ah! mai.
No, mai: velai ~ l'affetto,
che il caro tuo sembiante
arder mi fea nel petto.
Parvi amator vagante;
ma non amai che te.
Vederti, e ad altra volgersi...
no, forza d'uom non è.
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TORQUATO
Vederti, e ad altra volgersi...
no, forza d'uom non è
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Insieme
ELEONORA
Udirti, e ad altro volgermi...
no, forza in me non è!
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ELEONORA |
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TORQUATO |
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ELEONORA |
Ah! taci.
Torquato... Siamo in corte:
le mura son loquaci;
taci, o mi dai la morte.
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TORQUATO |
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ELEONORA |
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TORQUATO |
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ELEONORA |
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TORQUATO |
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ELEONORA |
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TORQUATO |
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ELEONORA |
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TORQUATO |
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ELEONORA |
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ELEONORA E TORQUATO
L'affanno in cui penai
non chiamo più tiranno,
se prezzo è dell'affanno
questa felicità!
Se accanto a te, mia vita,
spirar mi fa la sorte,
bella per me la morte,
anima mia, sarà!
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TORQUATO |
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Scena undicesima |
Un paggio del Duca presentasi sulla porta di mezzo con un plico suggellato. La duchessa parla ora al paggio, ed ora furtivamente al Tasso. |
<- paggio
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ELEONORA |
Torquato!
Mira. ~ Il fratel t'invia? ~
Ah! guarda!
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TORQUATO (da sé ma con energia) |
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ELEONORA |
Porgimi il foglio, e va'.
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| (il paggio parte. Eleonora rompe i suggelli, legge un foglio, indi cava dal seno dello stesso la carta in cui scrisse Torquato nella scena quarta) | paggio ->
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ELEONORA |
(leggendo)
Vedi come i poeti
serbar sanno i segreti,
sorella! ~ Oh ciel! Che fia?
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TORQUATO |
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ELEONORA |
(scorrendo l'altro foglio)
Quando sarà
che d'Eleonora mia
goder...
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TORQUATO |
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ELEONORA |
Tasso! È pur tuo lo scritto!
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TORQUATO |
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ELEONORA |
Delitto
fia questo al duca!
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TORQUATO |
Ah! certo
è il traditor Roberto!
Lo svenerò.
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ELEONORA |
S'appressa.
(guardando verso la porta; indi risoluta e dignitosa a Torquato)
Simula: il vo'.
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Scena dodicesima |
Geraldini dal mezzo, indi la duchessa, e don Gherardo. |
<- Geraldini
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GERALDINI |
Duchessa!
Di Mantova il sovrano
al duca mio signore
chiese la vostra mano.
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ELEONORA |
Insieme
TORQUATO |
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GERALDINI |
L'ambasciadore,
che ier fra noi se 'n venne,
or che l'udienza ottenne
al duca ne parlò.
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ELEONORA |
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GERALDINI |
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TORQUATO |
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| <- Scandiano
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SCANDIANO |
(abbracciando la duchessa, che rimane astratta)
Cara! Rapita a noi
passate in altro regno!
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ELEONORA |
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SCANDIANO |
Il duca v'ama.
Sciorsi da voi gli duole;
ma queste nozze brama;
ma implora un sì.
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GERALDINI |
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| <- Gherardo
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GHERARDO (entrando, con estrema volubilità, mentre nessuno gli bada)
(alla duchessa)
Ferrara abbandonate?
È chiacchiera? È mistero?
Che a Mantova n'andate,
donna Eleonora, è vero?
(alla Scandiano)
Spacciar la posso! ~ È sorda!
Perché la duchessina
udienza non accorda?
Che ha questa mattina?
Fa il quarto della luna?
Medesima fortuna! ~
(a Geraldini)
Cavalierin Roberto
voi lo sapete, certo,
il prence mantovano
ha chiesta la sua mano;
risposto avrà smorfiosa:
non voglio farmi sposa?
Così restare io voglio! ~
Duro come uno scoglio! ~
E nulla ancor pescai! ~
Bel tema da sonetto!
(a Torquato)
Ma non ne scrissi mai!
Torquato, ci scommetto,
già un canto epitalamico
ex-tempore pensò.
L'ho indovinata?
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TORQUATO |
(afferrandogli, e crollandogli la mano)
No.
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GHERARDO |
(indietreggiando impaurito)
Misericordia! Idrofobo
il vate diventò!
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| (la Scandiano è presso la duchessa. Torquato trae a sé Geraldini. Don Gherardo osserva curiosamente) | |
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[N. 5 - Finale I] | N 
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TORQUATO |
Alma ingrata! Traditore!
Così fede a me serbasti?
I misteri dell'amore
eran sacri, e li svelasti!
Perché aprirmi tal ferita,
e non togliermi la vita?
Esecrato in tutti i secoli
il tuo nome resterà.
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GERALDINI |
Calma, calma il tuo furore;
no, Torquato ingiusto sei.
Parla a me sul labbro il core;
non ho infranti i giuri miei.
Mi avvelena il tuo sospetto;
ma cangiar non so d'aspetto;
innocente è in sen quest'anima;
tutto il tempo scoprirà.
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SCANDIANO |
(Se un sorriso di favore
non m'invola la fortuna
sarà mio del Tasso il core;
non avrò rivale alcuna;
e immortal ne' carmi suoi,
come il nome degli eroi,
a sfidar l'oblio de' secoli
il mio nome passerà.)
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ELEONORA |
(Lui scordar! Cangiar d'amore!
Mentir gioia immersa in pianto!
Io lasciarlo? Ah! non ho core!
Io lasciarlo? E m'ama tanto!
Consumar, morir mi sento;
morte invoca il mio tormento.
Ah! d'amore in me una vittima
poi la storia accennerà.)
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GHERARDO |
(Ah! perché non son pittore!
Che bel quadro interessante!
(guardando la duchessa, il Tasso, poi la Scandiano, indi Geraldini)
Quella sviene per amore;
questo d'ira è tremolante
la contessa si consola
perché spera restar sola;
ma quest'altro da che reciti...
per adesso non si sa.)
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TORQUATO (a Geraldini) |
Falso amico! Al duca in mano
tu non desti i versi miei?
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GERALDINI |
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TORQUATO |
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GHERARDO |
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GERALDINI |
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TORQUATO |
(snudando la spada)
Mano all'armi!
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GHERARDO (da lontano) |
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SCANDIANO |
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ELEONORA |
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TORQUATO |
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ELEONORA |
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TORQUATO |
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ELEONORA E SCANDIANO |
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TORQUATO |
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ELEONORA E SCANDIANO |
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GERALDINI |
(dignitoso, avendo snudata la spada)
Io mi difendo.
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ELEONORA |
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SCANDIANO |
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GHERARDO |
Quando piovono stoccate
volentieri io non m'azzardo.
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TORQUATO |
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GERALDINI |
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GHERARDO |
Eh! Via, ragazzi!
(alla Scandiano)
Contessina! Se mi sbuca
per voi moro.
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SCANDIANO |
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TORQUATO E GERALDINI |
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ELEONORA, GHERARDO E SCANDIANO |
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Scena tredicesima |
Paggi e Cortigiani dalla porta di mezzo, precedendo il Duca. |
<- paggi, cortigiani, Duca
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CORO |
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GERALDINI, ELEONORA, TORQUATO, GHERARDO E SCANDIANO |
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DUCA |
Fra due dame, e in corte mia?
(a Geraldini)
Cavalier?
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GERALDINI (rispettoso) |
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DUCA |
Così stolta cortesia
in voi, Tasso, non credea!
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TORQUATO |
Duca!... È ver. Fu un punto. Ho errato.
Ma...
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ELEONORA |
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DUCA |
È perdonato.
(dando da baciare la mano a Torquato, indi volgendosi con simulata disinvoltura ad Eleonora)
Già sentiste da Roberto,
che di Mantova il signore
sa, per fama, il vostro merto;
e da voi vuol mano e core.
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ELEONORA |
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DUCA |
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ELEONORA |
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DUCA |
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ELEONORA |
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DUCA |
Voi vorrete
dal mio core amor, non sdegno.
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ELEONORA E TORQUATO |
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DUCA |
Riflettete.
Lo comprendo: è serio il passo.
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Ma... venite a Belriguardo,
venga unito don Gherardo,
la Scandian, Roberto, il Tasso.
In quell'aura assai più pura,
fra il sorriso di natura,
voi, che saggi ognor pensate,
la duchessa consigliate
che si pieghi al voler mio.
Tutti meco. Lo desìo.
Tutti lieti.
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GHERARDO |
Oh! Certamente!
(V'è del buio?)
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SCANDIANO E GERALDINI |
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ELEONORA E TORQUATO |
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GHERARDO |
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DUCA |
(Veglio al varco.) Andiamo.
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CORO |
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DUCA (a Geraldini, a Torquato) |
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ELEONORA E TORQUATO
(Ah che il cor morir mi fa.)
SCANDIANO E GHERARDO
(L'alma incerta in sen mi sta.)
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Insieme
GERALDINI
DUCA
(Questo vel si squarcerà.)
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TORQUATO
(Non v'è strazio, non v'è affanno
che sia pari al mio tormento!
L'alma in sen morir mi sento,
e non posso, oh dio! morir.
Ma del mio destin tiranno
questo cor sarà più forte;
chiamerà lei sola in morte
con l'estremo mio sospir.)
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Insieme
ELEONORA
(Non v'è strazio, non v'è affanno
che sia pari al mio tormento!
L'alma in sen morir mi sento,
e non posso, oh dio! morir.
Ma del mio destin tiranno
questo cor sarà più forte;
chiamerà lui solo in morte
con l'estremo mio sospir.)
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GERALDINI |
(Già un baleno di vendetta
rende certo il mio contento!
L'alma brilla al suo lamento,
è mia gioia il suo sospir.
D'un destin che gli sorride
l'ira mia sarà più forte;
è segnata la sua sorte:
bramar morte e non morir.)
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DUCA E CORO |
A Belriguardo andiamo:
ponete all'ire un freno.
Alle delizie in seno
la calma tornerà.
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| (gli altri ciascuno da sé agitato da diversi affetti) | |
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ELEONORA |
Rendermi 'l cor beato,
perché, destin spietato,
per poi cangiarmi in lagrime
tanta felicità?
Quel mentitor sorriso
velar sa l'ire appieno;
ma guai se al riso in seno
il turbin scoppierà!
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GERALDINI |
Da mille invidiato
non sarai più, Torquato.
Vedrò cangiarsi in lagrime
la tua felicità.
Quel mentitor sorriso
velar sa l'ire appieno;
ma forse al riso in seno
il turbin scoppierà!
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SCANDIANO |
Invano il cor piagato
le geme per Torquato;
cessi dal suo delirio;
o a lei crudel sarà.
Quel mentitor sorriso
velar sa l'ire appieno;
ma guai se al riso in seno
il turbin scoppierà!
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TORQUATO |
Un punto sol beato
visse il tuo cor, Torquato;
ecco cangiarsi in lagrime
la tua felicità!
Velar non sa il sorriso
l'ira che m'arde in seno.
Ma per sfogarmi appieno
l'istante spunterà.
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GHERARDO |
Capisco che l'imbroglio
è l'opera del foglio,
che il duca come un fulmine
ha balestrato qua;
pur di domande e dubbi
empir ne posso un tomo...
ma il tempo è galantuomo,
e tutto scoprirà.
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| (i paggi ed i cortigiani si schierano in due ale per far passare dalla porta di mezzo il Duca, la duchessa, e la Scandiano; in questo si cala la tenda) | Duca, Eleonora, Scandiano ->
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