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Torquato Tasso

TORQUATO TASSO

Melo-dramma.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Jacopo FERRETTI.
Musica di Gaetano DONIZETTI.

Prima esecuzione: 9 settembre 1833, Roma.


Personaggi:

Alfonso II DUCA di Ferrara

basso

ELEONORA sua sorella

soprano

Eleonora, contessa di SCANDIANO

mezzosoprano

TORQUATO Tasso

baritono

Roberto GERALDINI segretario del Duca

tenore

Don GHERARDO cortigiano del Duca

basso

AMBROGIO servo di Torquato

tenore


Cavalieri, Paggi, Svizzeri in armi.

Nell'atto primo: il palazzo di Ferrara nell'anno 1579. Nell'atto secondo: villa ducale di Bellosguardo, nello stesso anno. Nell'atto terzo: carcere di Torquato in Ferrara nel'anno 1586.

A' miei cortesi amici

La biografia dell'italiano Virgilio è sparsa di alcune nebbie così arcane, che in gran parte assomigliar la fanno ad un romanzo. Goldoni, Goethe, Duval, Tosini, e non ha guari il professor Rosini posero in scena le vicende di quel venerando prigioniero ora avvalendosi de' monumenti storici, ora delle tradizioni che più favorevoli rinvennero a colorire il loro disegno, ora delle recenti inattese scoperte d'inediti scritti usciti di mano a quello sventurato, e per lunga stagione o ignorati, o negletti, o a bello studio sepolti. Duolmi non aver potuto consultare un lavoro scenico del Nota su questo tema, di cui non sospetti giudici mi hanno favellato con somma lode.

Ora io verseggiatore mediocrissimo, ma innamorato fino dai miei più verdi anni della meravigliosa poesia, della svariata dottrina, e delle misteriose e lacrimevoli avventure dello scrittore di Aminta e di Goffredo, male avendo saputo resistere all'iterato invito d'essere il primo a consegnare arditamente questo sublime italiano alla scena melo-drammatica, che imperiosa esige tanti poetici sacrifici, mi sono giovato, per quanto mi si è permesso, degli altrui applauditi lavori, scostandomi il meno possibile dalla severa storica verità. L'epoca in cui succedono gli avvenimenti che si passano nell'atto primo e secondo, la storia li assegna all'anno 1579, si suppongono quindi trascorsi sette anni fino agli avvenimenti che si presentano nell'atto terzo, che offre le vicende di Torquato nell'anno 1586. La duchessa Eleonora, raro tipo di beltà e di virtù, logorata da lenta malattia spirò nell'anno 1581 ed io mi sono creduto non colpevole fingendo ignorata dal Tasso la di lei morte, per ottenere un migliore effetto nell'unica scena dell'atto terzo, non tenendo conto della fuga dal carcere, e delle talora capricciose peregrinazioni del mio protagonista prima che il duca Alfonso ve lo facesse nuovamente rinchiudere.

Che il Tasso vagasse ne' suoi amori; che un falso amico ne tradisse gelosi secreti, ch'era bello di tacere; che forzato fosse uno scrigno ove serbava carte improvvide destinate al fuoco; che questi troppo liberi scritti obbligassero il duca ad austere misure; che il Tasso non temperasse la soverchia sua bile anche nelle stanze della duchessa; che il Geraldini, (che nomossi Ascanio ed io nomo Roberto per iscompagnarlo da qualunque associazione d'idea che sapesse di triviale al volgo, (e sì grande è il volgo!) adoperato dal duca Alfonso in affari importanti, bassamente congiurasse contro Torquato; che della iniqua congiura fosse seme la fama altissima e l'invidiato favore in cui appo il duca, e le sorelle del duca era salito questo massimo poeta; che talora si abbandonasse Torquato al prepotente impero del suo fervido ingegno fino a dialogizzare con esseri invisibili creati dalla sua fantasia; che ciecamente credesse alle bizzarre persecuzioni d'un folletto, è tutto storico, e Manzi, Muratori, Serassi, Tiraboschi, Bettinelli, Compagnoni, Zuccàla, Giacomazzi, Maffei, Byron, Colleoni sono più o meno un'eco fedele dei medesimi racconti; solo però il Rosini, pare che presso una erudita lettera del Betti, cercando la statua dentro al marmo l'abbia meglio trovata.

Talvolta mi è riuscito far parlare Torquato con versi tolti qua e là dal suo bellissimo, e forse non abbastanza ammirato Canzoniere, e li fo stampare in carattere corsivo; benché la povertà de' miei riveli anche senza più spiegati cenni i coniati da quel rinomato fabro di splendidissimi versi. Virgolo le parole che scrissi per amore di evidenza, ma che non si cantano per studio di brevità. - Il melo-dramma è compito. Bergamasco è il protagonista; bergamasco chi le meschine mie parole arricchisce d'armonia; d'armonia che in questo argomento il core, e l'ingegno gl'inspirarono, e la cara inestinguibile rimembranza d'una patria illustre che adora.

A voi intanto, cortesi amici, gli estremi suoi melo-drammatici lavori raccomanda il vostro egro e vecchio amico

Giacopo Ferretti

Atto primo

[Sinfonia]

Scena prima

Atrio magnifico nel ducal palazzo in Ferrara. Fra le colonne si scorgono le porte degli appartamenti terreni. Il primo a destra è della duchessa Eleonora. Il secondo è della contessa Scandiano. A sinistra il primo è del Tasso, il secondo è di Geraldini. In fondo è quello del Duca, innanzi a cui passeggiano guardie svizzere.
Alcuni Cavalieri si avanzano dalla porta dell'appartamento del Duca parlando sommessamente fra loro; indi Don Gherardo dal colonnato in fondo; poi Ambrogio dalle stanze del Tasso.

[N. 1- Introduzione e Cavatina]

CORO

Due rivali, un invidioso,

un poeta innamorato,

un ridicolo geloso

stanno in corte a recitar,

e ci fanno rallegrar.

Ma che al povero Torquato

si prepari una tempesta,

ho un sospetto nella testa,

e comincio a paventar,

che sia prossima a scoppiar.

GHERARDO

(di dentro; indi in scena)

Come! No! Davvero? Niente?

Via, movetevi, cercate.

CORO

(fra loro)

Don Gherardo! Lo ascoltate?

Già comincia a interrogar,

e ha la febbre di ciarlar.

Sconcertata è la sua mente;

va di trotto alla follia;

ché una fredda gelosia

col continuo martellar

notte e dì lo fa tremar.

(i cortigiani si ritirano passeggiando fra le colonne; indi a poco a paco si avvicinano complimentando don Gherardo)

GHERARDO

Fra tutti quanti i punti

ch'io metto in voce o scrivo,

all'interrogativo

la preminenza io do.

Senza di lui sol d'asini

pieno sarebbe il mondo;

dottor, se non interroga,

nessun mai diventò.

Così pescando al fondo

io vo d'ogni mistero;

così per bianco il nero

io mai non comprerò.

(scorgendo i cortigiani, e con somma volubilità, interrogando or l'uno, or l'altro)

Di qua passato è il Tasso!

Ebbe nessun invito?

Il duca è andato a spasso?

Il segretario è uscito?

Qual delle due Eleonore

finor cercò di me?

L'ambasciador di Mantova

udienza avrà solenne?

È cifra diplomatica?

Si sa per cosa venne?

Il duca è bieco od ilare?

E la Scandiano ov'è?

Ma almeno qualche sillaba

dal labbro sprigionate...

Per Bacco! Come statue

udite, e non parlate!

Che mummie da piramidi!

Mi fate rabbia affé!

CORO

Se respirar più liberi,

signor, non ci lasciate,

voi tanti imbrogli a chiederci,

invan vi affaticate.

Ma, zitto, o di rispondervi

possibile non è.

GHERARDO

Ma or che il domestico

del gran Torquato

stupido, stupido

vien da quel lato,

se qui l'interrogo

di buona grazia,

come un oracolo

risponderà.

CORO

Signor, giudizio!

Vi farà piangere

la vostra incommoda

curiosità.

GHERARDO

Eh! via, sciocchissimi!

Mi fate ridere.

Un uom di merito

sa quel che fa.

(don Gherardo afferra per un braccio Ambrogio, ch'esce dalle stanze del Tasso, e traendolo con violenza sull'innanzi della scena, rapidamente lo interroga)

GHERARDO

Che fa Torquato ~ compone?

AMBROGIO

Sì.

GHERARDO

Innamorato sospira?

AMBROGIO

No.

GHERARDO

D'un'Eleonora ~ discorre?

AMBROGIO

Sì.

GHERARDO

Ma quale adora? ~ Sai dirlo!

AMBROGIO

No.

GHERARDO

Come in un'estasi ~ delira?

AMBROGIO

Sì.

GHERARDO

Di me non brontola ~ geloso?

AMBROGIO

No.

GHERARDO

Così laconico ~ rispondi?

AMBROGIO

Sì.

GHERARDO

Ed altro dirmene ~ sapresti?

AMBROGIO

No.

GHERARDO

Quell'economico

tragico stile

tutta sconvolgere

mi fa la bile!

Bestiaccia inutile!

Vattene al diavolo!

Stupido, zotico,

bufalo...

AMBROGIO

No.

CORO

(beffando Don Gherardo)

Nell'acqua semina!

Sbagliò l'astuto!

Ah! Ah! Che ridere!

Nulla ha saputo.

Il nuovo oracolo

restò in silenzio.

Son tutte chiacchiere.

Nulla svelò.

GHERARDO

(ad Ambrogio, poi ai cavalieri)

(Novello Tantalo

muoio di sete!)

Con me tu reciti?

(ai cavalieri)

Ma non ridete!

(Ah! Che una sincope

sento per aria.)

Son ciarle inutili.

Tutto saprò.

AMBROGIO

(da sé con aria di contegno politico)

(Domande scarica!

Il sordo io faccio.

Segue ad insistere!

Sorrido e taccio.

Io son politico,

non casco in trappola;

da lui mi libero

col sì, col no.)

(i cavalieri si disperdono, e parte entrano nella sala del Duca, parte dalla duchessa)

GHERARDO

Scortese! A un don Gherardo,

che tien lincèo lo sguardo,

che tutto seppe, tutto penetrò,

secco, secco rispondi: un sì, o un no!

Dove vai? Perché vai?

Eleonora Scandian vedesti mai

muover furtiva il passo

alle stanze del Tasso?

L'Eleonora, che ha fitta nel pensiero

è quella? Non è vero?

L'enigma scioglier puoi? Perché negarlo?

AMBROGIO

Per far servo e non dir. Faccio e non parlo.

(entra nelle stanze di Roberto Geraldini, e ne chiude la porta)

GHERARDO

Entrò da Geraldini? Ergo Torquato

l'avrà da lui mandato. ~ Ah! Se potessi

fiscaleggiar questo Roberto, a cui

anonima non è quella segreta

febbre d'amor che logora il poeta!

(tende l'orecchio, indi s'appressa vicinissimo alla porta di Geraldini per udire ciò che dicono in quelle stanze)

Che brutto vizio! Parlano fra i denti!

S'appressan:

(ripetendo, come udisse)

«Fra momenti

da Torquato verrò.»

Al varco, quando n'esce il coglierò.

E se non parla? ~ E se lo svela amante

dalla Scandian riamato?

Amato lui?... Perché?... Per quattro rime?

Son donne!... Ohimè! La gelosia mi opprime!

(entra nell'appartamento del Duca)

(Ambrogio nel tempo delle ultime parole di Don Gherardo esce dalle stanze di Geraldini, e ritorna in quelle di Torquato)

Scena seconda

Geraldini esce pensoso: indi dà uno sguardo agli appartamenti di Torquato.

GERALDINI

Ah! non invan t'aspetto,

istante sospirato

del vindice furor che m'arde il petto!

Torquato, io t'odio; e tu cadrai, Torquato?

Il favore ch'ei gode,

l'eco della sua lode

lenta morte è per me. ~ Ma splendi, brilla

astro orgoglioso... sì... per poco, ancora.

Delle vendette mie verrà l'aurora.

Quel tuo sorriso altiero,

que' tuoi trofei vantati,

cangiati ~ io voglio in lagrime.

Sì, lo giurai: lo spero.

Secondami, Fortuna:

tutti i tuoi sdegni aduna;

fa' che mi cada al piè.

Non tradirmi, o cara speme,

solo raggio a un cor che geme.

S'aura amica di favore

per Torquato tacerà,

sola alfin del duca in core

l'arte mia regnar potrà.

Io saprò di quell'audace

render vano ogni disegno,

e celar l'antico sdegno

sotto il vel dell'amistà.

Finch'ei brilla io non ho pace;

l'ira mia dormir non sa.

(entra nelle stanze di Torquato)

Scena terza

Appartamento del Tasso. Una porta laterale è la comune. Una in fondo conduce alle stanze interne. Tavola con recapito da scrivere, volumi, e carte sparse, ed un picciolo scrigno ferrato chiuso. Sedie.
Torquato avanzasi lentamente come assorto in pensieri di amore.

Alma dell'alma mia, raggio soave

di non mortal beltate,

ah! nulla manca in te se non pietate;

né manca forse, no. Spesso pietosa

parli co' i muti tuoi labbri ridenti,

e per un riso oblìo mille tormenti!

Ah! mia! per sempre mia! Fatal distanza,

dagli occhi miei dilèguati. ~ Speranza,

non mi tradir. Se un solo istante, un solo

t'amo, mi dice, il core appien beato

tutti i spasimi suoi perdona al fato.

(come colpito da una immagine di contento si appressa rapidamente alla tavola in attitudine d'inspirazione)

Scena quarta

Ambrogio dalla comune precede Roberto, che gl'impedisce di annunziarlo scorgendo Torquato in un momento d'estro poetico.
Geraldini, Torquato.

GERALDINI

Taci: mi lascia. All'estro sacro in preda

volano i suoi pensier. ~

(Ambrogio s'inchina, e parte)

Vate orgoglioso,

che il lume togli a ogni più chiaro ingegno,

t'eclisserò. ~ Breve ti resta il regno.

TORQUATO

Non m'inganno?

GERALDINI

Delira.

TORQUATO

Oh! mio contento!

Tutto il mondo è al mio piè. ~ Dell'universo,

se a tanto giungo, a me par vile il soglio.

GERALDINI

Sogni; io son desto, e te perduto io voglio.

(Torquato prende un foglio, afferra una penna, e scrive seduto, cantando con enfasi ciò che scrive)

TORQUATO

Quando sarà che d'Eleonora mia

possa godermi in libertade amore?

Ah! pietoso il destin tanto mi dia!

Addio, cetra; addio, lauri; addio, rossore!

GERALDINI

Incauto! ~ Che mai scrive? ~ In quelle carte

sta la sentenza sua.

(scoprendosi, e scuotendo Torquato)

Folle! deliri?

(con simulata affettuosa amicizia)

Son colpa in te i sospiri.

Arcano e dubbio amor svelato e certo

rende il Tasso così?

TORQUATO

(caldo d'entusiasmo, traendo a sé Roberto)

M'odi, Roberto.

[N. 2 - Duetto]

TORQUATO

In un'estasi, che uguale

non provò mai d'uomo il core,

io sognai, che armato d'ale

mi rendean fortuna e amore.

Sospirando la mia bella

io volai di stella in stella;

non mortal, ma genio o dea

entro al sole io la trovai;

mentre a me la man stendea,

mentre a lei la man baciai;

t'amo, disse: amo sol te.

Fu un momento! ~ A quell'accento

da me sparve Eleonora!

Ma in quel foglio espressi allora

il desìo che crebbe in me.

GERALDINI

Di quei carmi al caro incanto

chi l'inspira appien ravviso.

La tua donna t'era accanto;

era fiamma il suo sorriso.

Poi sul foglio versò il core

quanto a te sperar fe' amore.

Non si finge, non si mente

quel piacer che inebria il seno,

quella smania così ardente,

quel furor che ha sciolto il freno,

quell'arcano non so che.

Ma, Torquato ~ sconsigliato!

A distruggerlo t'affretta;

o guizzar della vendetta

vedo il fulmine su te.

TORQUATO

(correndo a prendere il foglio; indi accennando due volumi sulla tavola)

Ah! di padre ho l'alma in petto!

Qui del cor la storia io vedo.

Desta in me soave affetto

più di Aminta e di Goffredo;

dall'ingegno uscian quei carmi;

questi 'l cor me li dettò.

GERALDINI

(con tono di viva, e tenera sollecitudine)

Fra l'invidia ed il sospetto

in periglio ognor ti vedo.

L'imprudenza dell'affetto

al tuo cor fatale io credo.

(Di sua man m'appresta l'armi;

con quei versi io vincerò.)

Bada... suon di passi... parmi.

(Torquato corre allo scrigno, vi getta il foglio, chiude, e ne trae la chiave)

Scena quinta

Ambrogio sulla porta di mezzo.

AMBROGIO

La duchessa vuol Torquato.

(s'inchina e parte)

TORQUATO

Ella!

GERALDINI

Incauto!

TORQUATO

Oh! me beato!

Dir che m'ama or forse udrò!

Caro sogno lusinghiero!

L'alma mia non s'ingannò!

GERALDINI

Che mai speri!

TORQUATO

Io tutto spero.

GERALDINI

Ardi 'l foglio.

TORQUATO

Io stesso!... Ah!... no.

(risolvendosi improvvisamente, e dando la chiave dello scrigno a Geraldini mentre lo abbraccia)

TORQUATO

Ah! Non saria possibile

che ardessi i versi miei!

Mirando i figli in cenere

morir mi sentirei!

Ma cedo a te: son tuoi;

struggili tu, se vuoi.

Non verserò una lagrima;

m'affido all'amistà.

(No, non tradirmi, amore,

vola ai contenti 'l core.

Quest'alma fortunata,

amante riamata

d'invidia ai re sarà.)

GERALDINI

Serbar quel foglio improvvido,

Torquato, io non saprei;

le mura ancor qui parlano,

dell'aure io temerei.

Struggerlo tu non puoi?

Io l'arderò, se vuoi;

fin la memoria perdine;

ti affida all'amistà.

(Oh gioie del furore,

io tutto v'apro il core!

Passi di pena in pena,

e goda il dritto appena

di risvegliar pietà.)

(Torquato abbraccia Roberto, e parte dalla comune)

Scena sesta

Geraldini solo; indi don Gherardo dalla comune.

GERALDINI

O da lunghi anni attesa,

difficile vendetta, alfin... lo spero,

Sei vicina a scoppiar. Velai col manto

di pietosa amistà lo sdegno antico,

e l'incauto s'apriva al suo nemico.

Grande tu sei, superbo più. Qui regni,

poeta idolatrato;

ma lo stral per ferirti or tu m'hai dato.

(facendo alcuni passi verso lo scrigno, e cavando la chiave datagli da Torquato)

Che fo?... Ferir, ma non svelarsi è d'uopo.

Parer vile non voglio.

(scostandosi dal tavolino)

Un'altra mano

desti 'l sospetto, e se ne accusi.

(ripone la chiave in tasca)

Il mondo

creda vero il mio pianto

mentre del mio rival godo alle pene.

GHERARDO

Roberto? Permettete?

GERALDINI

(A tempo ei viene.)

GHERARDO

Il Tasso vi cercò;

dopo uscì, dove andò? ~ che mai volea?

Parlò di me? Della Scandian che disse?

GERALDINI

Ah! Non disse soltanto!

GHERARDO

E che fe'?

GERALDINI

Scrisse

liberi versi, ardite brame.

GHERARDO

In scritto!

Ma questo, amico...

GERALDINI

È un capital delitto.

GHERARDO

Dov'è il foglio?

GERALDINI

Mostrollo; indi geloso

lo chiuse.

GHERARDO

Dove?

GERALDINI

Là.

(accenna allo scrigno)

Ah! se il duca lo sa!

GHERARDO

Che credereste?

GERALDINI

Che imprudenze non ama,

che severo in sua corte austeri brama

i costumi de' suoi.

GHERARDO

Dunque pensate...

GERALDINI

Già, il Tasso voi l'amate?

GHERARDO

Bagatelle!

Ma siete persuaso

che se quel foglio a caso

del duca nella man fosse caduto,

il Tasso...

GERALDINI

Sventurato!... Era perduto!

(fa un cenno a don Gherardo di tacere, e parte)

Scena settima

Don Gherardo solo; indi Ambrogio.

GHERARDO

Perduto! E che desidero?

(si accosta allo scrigno frugandosi in tasca)

Potessi!... E perché no? ~ Lunge è la sala;

Ambrogio non udrà. ~ Farò pian piano.

(cava un grimaldello e forza la serratura dello scrigno, che nell'aprirsi fa un poco di rumore)

Mai sprovvisto non vo. ~ Stai salda invano.

Ho aperti altri segreti.

(cerca, trova il foglio, e lo prende)

È questo... è questo!

Il più l'ho in mano; il men da farsi è il resto.

AMBROGIO

Mi parve di sentir certo rumore!...

Cosa ha preso, signore?

GHERARDO

Io?... Niente affatto.

AMBROGIO

Come! e lo scrigno aperto?

GHERARDO

Eh! tu sei matto.

AMBROGIO

Un foglio ha preso.

GHERARDO

Che ho da far d'un foglio?

AMBROGIO

Eh! per curiosità...

GHERARDO

Termina o aspetta

che un mio pari risponda col bastone.

AMBROGIO

Il foglio...

(opponendosi, affinché non parta)

GHERARDO

Zitto.

(stornandolo con impeto e scortesia)

AMBROGIO

Lo saprà il padrone.

(don Gherardo s'invola, seguito da Ambrogio per la comune)

Scena ottava

Camera nobile nell'appartamento di donna Eleonora sorella del Duca, nelle cui pareti sono dipinti alcuni fatti espressi da Torquato nel Goffredo. Tre porte nel fondo adorne di ricche cortine. Tavolino con ricco tappeto, libri, ed un vaso di fiori. Sedie intorno.
Donna Eleonora si avanza con un volume del poema manoscritto di Torquato fra le mani.

ELEONORA

Fatal Goffredo! I versi tuoi fur strali

al mio povero cor! Sì, sì, Torquato,

per me l'amarti è fato;

né mi fu schermo il sangue avito e il trono.

Ah! invan lo nego... innamorata io sono.

[N. 3 - Cavatina]

Io l'udia ne' suoi bei carmi

ragionar d'illustri imprese;

ma cantando amori ed armi

parlò un guardo, e un cor l'intese.

No 'l sapendo, del suo fuoco

io pian pian m'accendea...

Ah! l'amor che sembra un gioco

poi divien necessità.

Egli pianse, ed io piangea;

sospiravo ai suoi sospiri;

ah! Torquato, se deliri

il mio cor delirerà.

Deh! t'invola, o soave

illusïon d'un disperato amore!

Sogno contenti, e m'avveleno il core.

Trono e corona involami

nel tuo furore, o sorte.

Solo quel core, ah! lasciami;

è mio fino alla morte.

Travolta in basso stato,

sorte, t'insulto e sfido.

Se resta a me Torquato,

tutto perdono a te.

Ah! sì: nell'urna gelida

palpiterà per me.

Ei tarda!... È lenta morte

il non vederlo! Ingiusta forse... in seno

un geloso sospetto...

Scena nona

La contessa Eleonora di Scandiano da una delle porte laterali, e detta.

SCANDIANO

O mia duchessa!

Piangente sempre!... Eh! via...

io scommetto che amore...

ELEONORA

Amore! Oh, mia

contessa di Scandiano,

no 'l vedete? Un arcano

languor mi strugge a poco a poco!

SCANDIANO

Andiamo

al verone, o duchessa. Una solenne

richiesta udienza ottenne

l'ambasciador di Mantova. Il precede,

l'accompagna, lo segue

un corteggio magnifico,

fiore di gioventù, bei cavalieri

su bizzarri destrieri.

ELEONORA

Ah! no. Questi occhi

odiano il sol: non ponno

soffrirne il vivo raggio. Amica, andate:

la lieta pompa a me parrà più bella

poi narrata da voi.

SCANDIANO

Ma sola intanto

voi ritornate al pianto?

ELEONORA

No: son tranquilla.

ELEONORA, SCANDIANO

Addio.

SCANDIANO

(La sventurata

ama il Tasso, e non spera esser riamata!)

(esce dalla porta laterale da cui entrò)

Scena decima

Eleonora sola, indi il Tasso che si arresta sulla porta di mezzo.

ELEONORA

(guardando la Scandiano mentre parte, e soffocando un sospiro)

Ah! Torquato l'amo! ~ Mio cor... tu tremi?

È il noto suon de' passi suoi! Soave

rimbalzo ignoto in sen provai repente...

e chi esprimer lo può, no, non lo sente.

(Torquato fa due passi, e guardando la duchessa rimane in silenzio)

ELEONORA

Torquato?... Immobil! Muto!

TORQUATO

Ah! Tal mi rende

il rispetto, il timor.

ELEONORA

Timor! Son io

terribil tanto, che gli accenti agghiaccio?

TORQUATO

Un nume siete, e i numi adoro e taccio.

ELEONORA

Cortese troppo!

TORQUATO

Ah! no: Tasso non mente.

Di rispettoso amor la fiamma ardente

l'alma e i sensi m'ha vinto;

ma il viver bramo anzi che il foco estinto.

ELEONORA

L'egra salute mia

un conforto desìa. Ne' vostri carmi

sempre il trovò.

TORQUATO

Questo è il maggior mio vanto!

ELEONORA

Ma i poveri occhi miei... (che pianser tanto!)

più non son quei d'un dì.

TORQUATO

(Fatali sempre!)

ELEONORA

Voi che pari all'ingegno il core avete,

nel Goffredo scegliete

qual più tratto a voi piace, e a me, pietoso

voi lo leggete, e scenda

(dandogli il manoscritto)

la vostra voce a serenarmi 'l core.

(Che tanto palpitò!)

TORQUATO

(sfogliando il poema)

(M'assisti, amore.)

(leggendo)

Canto secondo: ottava

decimasesta. Il tratto

scelgo d'Olindo... Il cor lo scrisse.

ELEONORA

E a udirlo

tutto s'apre il mio core. (Ei sé in Olindo,

me in Sofronia dipinse! Ah! della scelta

il secreto perché ravviso appieno!)

TORQUATO

(Che di me parlo, ah! comprendesse almeno!)

(Torquato in piedi comincia a leggere, Eleonora seduta in udirlo è presa da viva e crescente agitazione fino che balza in piedi, e gli toglie il volume di mano)

[N. 4 - Duetto]

TORQUATO

Colei Sofronia, Olindo egli si appella,

d'una cittade entrambi, e d'una fede;

ei che modesto è sì, com'essa è bella,

brama assai, poco spera, e nulla chiede,

né sa scoprirsi, e non ardisce, ed ella

o lo sprezza...

(Eleonora toglie con amorosa impazienza il volume al Tasso)

ELEONORA

Non ti sprezzo, e se lo credi

troppo, ah! troppo ingiusto sei.

Tacqui, è ver; ma gli occhi miei

favellavano per me.

TORQUATO

Non mi sprezzi? Oh, me beato!

Fortunati affanni miei,

se pietà trovaste in lei

gioia egual per me non v'è!

ELEONORA

Crudel son io?

TORQUATO

No 'l penso.

ELEONORA

E il labbro tuo m'accusa!

Lo può il tuo cor?

TORQUATO

L'immenso

lungo soffrir mi scusa.

A notti in duol vegliate

dì succedean d'orrore.

Le smanie disperate

io soffocavo in core.

ELEONORA

(con dolce rimprovero)

Pur altre amasti...

TORQUATO

Ah! mai.

No, mai: velai ~ l'affetto,

che il caro tuo sembiante

arder mi fea nel petto.

Parvi amator vagante;

ma non amai che te.

Vederti, e ad altra volgersi...

no, forza d'uom non è.

Insieme

TORQUATO

Vederti, e ad altra volgersi...

no, forza d'uom non è

ELEONORA

Udirti, e ad altro volgermi...

no, forza in me non è!

ELEONORA

Taci.

TORQUATO

No 'l posso.

ELEONORA

Ah! taci.

Torquato... Siamo in corte:

le mura son loquaci;

taci, o mi dai la morte.

TORQUATO

Sì tacerò, ma pria...

ELEONORA

T'affretta...

TORQUATO

Anima mia,

dimmi...

ELEONORA

Saper che brami?

TORQUATO

Dal labbro tuo se m'ami.

ELEONORA

Cessa.

TORQUATO

Eleonora!

ELEONORA

Lasciami.

TORQUATO

M'ami? Di': m'ami?

ELEONORA

Ah! sì.

ELEONORA E TORQUATO

L'affanno in cui penai

non chiamo più tiranno,

se prezzo è dell'affanno

questa felicità!

Se accanto a te, mia vita,

spirar mi fa la sorte,

bella per me la morte,

anima mia, sarà!

TORQUATO

Sogno fedel!

Scena undicesima

Un paggio del Duca presentasi sulla porta di mezzo con un plico suggellato. La duchessa parla ora al paggio, ed ora furtivamente al Tasso.

ELEONORA

Torquato!

Mira. ~ Il fratel t'invia? ~

Ah! guarda!

TORQUATO

(da sé ma con energia)

(Io son riamato!)

ELEONORA

Porgimi il foglio, e va'.

(il paggio parte. Eleonora rompe i suggelli, legge un foglio, indi cava dal seno dello stesso la carta in cui scrisse Torquato nella scena quarta)

ELEONORA

(leggendo)

Vedi come i poeti

serbar sanno i segreti,

sorella! ~ Oh ciel! Che fia?

TORQUATO

Tremo!

ELEONORA

(scorrendo l'altro foglio)

Quando sarà

che d'Eleonora mia

goder...

TORQUATO

Che ascolto! Oh cielo!

ELEONORA

Tasso! È pur tuo lo scritto!

TORQUATO

Chi mi tradì?

ELEONORA

Delitto

fia questo al duca!

TORQUATO

Ah! certo

è il traditor Roberto!

Lo svenerò.

ELEONORA

S'appressa.

(guardando verso la porta; indi risoluta e dignitosa a Torquato)

Simula: il vo'.

Scena dodicesima

Geraldini dal mezzo, indi la duchessa, e don Gherardo.

GERALDINI

Duchessa!

Di Mantova il sovrano

al duca mio signore

chiese la vostra mano.

Insieme

ELEONORA

Quando?

TORQUATO

(Gelo!)

GERALDINI

L'ambasciadore,

che ier fra noi se 'n venne,

or che l'udienza ottenne

al duca ne parlò.

ELEONORA

E mio fratello!

GERALDINI

A voi

nunzio me scelse.

TORQUATO

(Indegno!)

SCANDIANO

(abbracciando la duchessa, che rimane astratta)

Cara! Rapita a noi

passate in altro regno!

ELEONORA

Ma il duca?

SCANDIANO

Il duca v'ama.

Sciorsi da voi gli duole;

ma queste nozze brama;

ma implora un sì.

GERALDINI

Lo vuole.

GHERARDO

(entrando, con estrema volubilità, mentre nessuno gli bada)

(alla duchessa)

Ferrara abbandonate?

È chiacchiera? È mistero?

Che a Mantova n'andate,

donna Eleonora, è vero?

(alla Scandiano)

Spacciar la posso! ~ È sorda!

Perché la duchessina

udienza non accorda?

Che ha questa mattina?

Fa il quarto della luna?

Medesima fortuna! ~

(a Geraldini)

Cavalierin Roberto

voi lo sapete, certo,

il prence mantovano

ha chiesta la sua mano;

risposto avrà smorfiosa:

non voglio farmi sposa?

Così restare io voglio! ~

Duro come uno scoglio! ~

E nulla ancor pescai! ~

Bel tema da sonetto!

(a Torquato)

Ma non ne scrissi mai!

Torquato, ci scommetto,

già un canto epitalamico

ex-tempore pensò.

L'ho indovinata?

TORQUATO

(afferrandogli, e crollandogli la mano)

No.

GHERARDO

(indietreggiando impaurito)

Misericordia! Idrofobo

il vate diventò!

(la Scandiano è presso la duchessa. Torquato trae a sé Geraldini. Don Gherardo osserva curiosamente)

[N. 5 - Finale I]

TORQUATO

Alma ingrata! Traditore!

Così fede a me serbasti?

I misteri dell'amore

eran sacri, e li svelasti!

Perché aprirmi tal ferita,

e non togliermi la vita?

Esecrato in tutti i secoli

il tuo nome resterà.

GERALDINI

Calma, calma il tuo furore;

no, Torquato ingiusto sei.

Parla a me sul labbro il core;

non ho infranti i giuri miei.

Mi avvelena il tuo sospetto;

ma cangiar non so d'aspetto;

innocente è in sen quest'anima;

tutto il tempo scoprirà.

SCANDIANO

(Se un sorriso di favore

non m'invola la fortuna

sarà mio del Tasso il core;

non avrò rivale alcuna;

e immortal ne' carmi suoi,

come il nome degli eroi,

a sfidar l'oblio de' secoli

il mio nome passerà.)

ELEONORA

(Lui scordar! Cangiar d'amore!

Mentir gioia immersa in pianto!

Io lasciarlo? Ah! non ho core!

Io lasciarlo? E m'ama tanto!

Consumar, morir mi sento;

morte invoca il mio tormento.

Ah! d'amore in me una vittima

poi la storia accennerà.)

GHERARDO

(Ah! perché non son pittore!

Che bel quadro interessante!

(guardando la duchessa, il Tasso, poi la Scandiano, indi Geraldini)

Quella sviene per amore;

questo d'ira è tremolante

la contessa si consola

perché spera restar sola;

ma quest'altro da che reciti...

per adesso non si sa.)

TORQUATO

(a Geraldini)

Falso amico! Al duca in mano

tu non desti i versi miei?

GERALDINI

No: lo giuro!

TORQUATO

Un vil tu sei!

GHERARDO

(Or capisco!)

GERALDINI

Forsennato!

TORQUATO

(snudando la spada)

Mano all'armi!

GHERARDO

(da lontano)

Ma si freni!

SCANDIANO

Imprudente!

ELEONORA

Ah! no, Torquato!

TORQUATO

Menti!

ELEONORA

Cessa.

TORQUATO

Ch'io lo sveni!

ELEONORA E SCANDIANO

Per pietà!

TORQUATO

Più non intendo.

ELEONORA E SCANDIANO

Ah! Roberto!

GERALDINI

(dignitoso, avendo snudata la spada)

Io mi difendo.

ELEONORA

Don Gherardo, riparate.

SCANDIANO

Dividete, don Gherardo.

GHERARDO

Quando piovono stoccate

volentieri io non m'azzardo.

TORQUATO

Vile!

GERALDINI

Trema!

GHERARDO

Eh! Via, ragazzi!

(alla Scandiano)

Contessina! Se mi sbuca

per voi moro.

SCANDIANO

Siete pazzi?

TORQUATO E GERALDINI

Trema.

ELEONORA, GHERARDO E SCANDIANO

Ferma!

Scena tredicesima

Paggi e Cortigiani dalla porta di mezzo, precedendo il Duca.

CORO

Il duca.

GERALDINI, ELEONORA, TORQUATO, GHERARDO E SCANDIANO

Il duca!

DUCA

Fra due dame, e in corte mia?

(a Geraldini)

Cavalier?

GERALDINI

(rispettoso)

Mi difendea.

DUCA

Così stolta cortesia

in voi, Tasso, non credea!

TORQUATO

Duca!... È ver. Fu un punto. Ho errato.

Ma...

ELEONORA

Fratello!

DUCA

È perdonato.

(dando da baciare la mano a Torquato, indi volgendosi con simulata disinvoltura ad Eleonora)

Già sentiste da Roberto,

che di Mantova il signore

sa, per fama, il vostro merto;

e da voi vuol mano e core.

ELEONORA

Ma, fratello...

DUCA

Anch'io lo bramo.

ELEONORA

Ma se...

DUCA

V'amo. ~ V'amo, e regno.

ELEONORA

Ma languente...

DUCA

Voi vorrete

dal mio core amor, non sdegno.

ELEONORA E TORQUATO

(Cieli! Qual lampo!)

DUCA

Riflettete.

Lo comprendo: è serio il passo.

Ma... venite a Belriguardo,

venga unito don Gherardo,

la Scandian, Roberto, il Tasso.

In quell'aura assai più pura,

fra il sorriso di natura,

voi, che saggi ognor pensate,

la duchessa consigliate

che si pieghi al voler mio.

Tutti meco. Lo desìo.

Tutti lieti.

GHERARDO

Oh! Certamente!

(V'è del buio?)

SCANDIANO E GERALDINI

(È allegro o mente?)

ELEONORA E TORQUATO

(Non mi fido!)

GHERARDO

A che tardiamo?

DUCA

(Veglio al varco.) Andiamo.

CORO

Andiamo.

DUCA

(a Geraldini, a Torquato)

Voi tornate in amistà.

Insieme

ELEONORA E TORQUATO

(Ah che il cor morir mi fa.)

GERALDINI

(L'ira sua lo colpirà.)

SCANDIANO E GHERARDO

(L'alma incerta in sen mi sta.)

DUCA

(Questo vel si squarcerà.)

Insieme

TORQUATO

(Non v'è strazio, non v'è affanno

che sia pari al mio tormento!

L'alma in sen morir mi sento,

e non posso, oh dio! morir.

Ma del mio destin tiranno

questo cor sarà più forte;

chiamerà lei sola in morte

con l'estremo mio sospir.)

ELEONORA

(Non v'è strazio, non v'è affanno

che sia pari al mio tormento!

L'alma in sen morir mi sento,

e non posso, oh dio! morir.

Ma del mio destin tiranno

questo cor sarà più forte;

chiamerà lui solo in morte

con l'estremo mio sospir.)

GERALDINI

(Già un baleno di vendetta

rende certo il mio contento!

L'alma brilla al suo lamento,

è mia gioia il suo sospir.

D'un destin che gli sorride

l'ira mia sarà più forte;

è segnata la sua sorte:

bramar morte e non morir.)

DUCA E CORO

A Belriguardo andiamo:

ponete all'ire un freno.

Alle delizie in seno

la calma tornerà.

(gli altri ciascuno da sé agitato da diversi affetti)

ELEONORA

Rendermi 'l cor beato,

perché, destin spietato,

per poi cangiarmi in lagrime

tanta felicità?

Quel mentitor sorriso

velar sa l'ire appieno;

ma guai se al riso in seno

il turbin scoppierà!

GERALDINI

Da mille invidiato

non sarai più, Torquato.

Vedrò cangiarsi in lagrime

la tua felicità.

Quel mentitor sorriso

velar sa l'ire appieno;

ma forse al riso in seno

il turbin scoppierà!

SCANDIANO

Invano il cor piagato

le geme per Torquato;

cessi dal suo delirio;

o a lei crudel sarà.

Quel mentitor sorriso

velar sa l'ire appieno;

ma guai se al riso in seno

il turbin scoppierà!

TORQUATO

Un punto sol beato

visse il tuo cor, Torquato;

ecco cangiarsi in lagrime

la tua felicità!

Velar non sa il sorriso

l'ira che m'arde in seno.

Ma per sfogarmi appieno

l'istante spunterà.

GHERARDO

Capisco che l'imbroglio

è l'opera del foglio,

che il duca come un fulmine

ha balestrato qua;

pur di domande e dubbi

empir ne posso un tomo...

ma il tempo è galantuomo,

e tutto scoprirà.

(i paggi ed i cortigiani si schierano in due ale per far passare dalla porta di mezzo il Duca, la duchessa, e la Scandiano; in questo si cala la tenda)

Atto secondo
Scena prima

Galleria terrena in Belriguardo con vista di parte dei ducali giardini. Manca poco alla sera.
I Cortigiani, da diverse parti entrano in scena, e con precauzione si aggruppano sull'innanzi parlando fra loro.

[N. 6 - Introduzione]

PRIMA PARTE DEL CORO

Ma lo scrigno di Torquato

chi ha forzato?

SECONDA PARTE DEL CORO

Non si sa.

Ma quel foglio a lui rubato

che diceva?

PRIMA PARTE DEL CORO

Non si sa.

CORO

Certo sta, che da quel foglio

si sviluppa un grand'imbroglio;

pur ciascuno ci risponde

serio serio un: non si sa.

Ah! il cervel ci si confonde,

e agli antipodi se n' va!...

Ma perché il duca

qui a Belriguardo

ridente il labbro,

lieto lo sguardo

all'improvviso

volar ci fe'?

Non lo ravviso;

ma v'è un perché!

PRIMA PARTE DEL CORO

Quasi direi...

SECONDA PARTE DEL CORO

Scommetterei...

CORO

Che cova in petto

cupo un progetto...

Ma l'ore passano;

si scoprirà;

quel ch'è enigmatico

chiaro sarà.

PRIMA PARTE DEL CORO

Dunque, pazienza...

SECONDA PARTE DEL CORO

Ma non cessate...

PRIMA PARTE DEL CORO

Con gran prudenza

interrogate.

CORO

E pria dell'alba,

dubbio non v'è;

ci saran cogniti

tutti i perché.

Scena seconda

S'ode la voce della contessa di Scandiano, ch'entra in scena volendo sfuggire don Gherardo. I Cortigiani in attenzione si ritirano, e a quando a quando si avanzano per udire.

GHERARDO

Contessa! Avete torto.

SCANDIANO

Io non ho torto mai.

GHERARDO

Ma...

SCANDIANO

L'altrui scrigno

forzar, trarne gelose

segretissime carte, e del più grande

italïan poeta

farsi vil delatore,

nero è delitto.

GHERARDO

Il delinquente è amore.

SCANDIANO

Amore? E che sognasti?

GHERARDO

Io mi credea

che l'autor del Goffredo

delirasse per voi. D'Eleonora

il nome m'ingannò; ma il signor duca

sa legger meglio, e vide che favella

della duchessa...

SCANDIANO

(con energia)

No.

GHERARDO

(con tono di sicurezza)

Della sorella.

SCANDIANO

No: sbaglia il duca. Ama sol me. Lo svela

il suo pudor se a me s'appressa. Il caldo

immenso affetto d'altro nome ei vela

che propizia fortuna or gli offre in corte;

sa come sospettoso è il mio consorte.

GHERARDO

Dunque...

SCANDIANO

M'ama, e il cor mio

cela le oneste sue fiamme profonde;

ma con l'amore all'amor suo risponde.

GHERARDO

Laonde io son...

SCANDIANO

Scartato.

GHERARDO

Ed il mio caso...

SCANDIANO

È un caso disperato.

(parte rapidamente)

GHERARDO

Oh, rabbia!

(nel volgersi s'incontra nel Duca)

Scena terza

Il Duca e detto, e i Cortigiani nascosti.

DUCA

Don Gherardo? Eleonora

vedeste?

GHERARDO

Altezza, no.

DUCA

E sapete ove stia?

GHERARDO

Davvero no 'l so.

DUCA

Impossibile par! Tutto sapete!

GHERARDO

Eh! non fo per lodarmi...

ma scoprir so gran cose!

E quel foglio del Tasso, quello scandalo

che da me fu scoperto,

fu un'impresa sublime.

DUCA

Oh! certo... Certo.

Degna di voi.

GHERARDO

Grazie, mio prence!

DUCA

Ed amo

che voi sappiate, e chi v'imita...

GHERARDO

Dica.

DUCA

Che nel mio petto ho un'alma

della viltà nemica;

che regno, e regnar so.

GHERARDO

Capisco.

DUCA

Sdegno

mi destano i curiosi, e aborro a morte

i delatori, e non li voglio in corte.

(parte dando un'occhiata severa a don Gherardo; i Cortigiani, che da lunge hanno visto ed udito, lentamente avanzandosi, circondano don Gherardo)

[N. 7 - Aria]

CORO

Don Gherardo! Il vaticinio

alla fin restò compito.

Il curioso fu punito

della sua curiosità.

Vi compiango. Il caso è strano!

La Scandiano ~ v'ha scartato.

A un poeta, ad un Torquato

v'ha posposto la beltà!

GHERARDO

(scuotendosi dall'umiliazione in cui era rimasto)

Io posposto ad un Torquato,

io che sono un titolato,

che per stipite discesi

da tre conti e sei marchesi,

e per linea trasversale

son di razza baronale?

A un bisbetico, a un astratto,

perdigiorno, chiacchierone,

imprudente, mezzo-matto,

che si crede un Cicerone,

io posposto? Io che son critico,

diplomatico, politico,

numismatico, geografo,

archeologo, istoriografo,

metafisico, idrostatico,

nel digesto cattedratico

epigrafico, botanico,

anatomico, meccanico,

algebraico, pubblicista,

finanziere, economista,

e intendente di perfette

cerimonie ed etichette?

Mia bellissima Scandiano,

nello scegliere t'inganni...

CORO

Forse sol vi tien lontano

per i vostri sessant'anni...

GHERARDO

Che sessanta! Cinquantotto;

e ad un nobile, e ad un dotto

non si conta mai l'età.

CORO

Son momenti ancora i secoli

se li guardano i sapienti;

ma son secoli i momenti

se li guarda la beltà.

GHERARDO

Ma poniam, che sian sessanta;

fra i più giovani campioni

come me chi mai si vanta

di cartocci, e cavazioni?

Nessun balla, e ci scommetto,

più maestoso il minuetto.

Se vo a piedi, ai piedi ho l'ale,

e a cavallo ho un certo orgoglio,

che rassembro tale e quale

Marc'Aurelio in Campidoglio.

Fresco, vegeto, robusto,

io mi abbiglio di buon gusto,

ed il Tasso, poverino!

Magro, magro, sottilino,

ogni dì fa una gran via

verso l'asma e l'etisìa.

Lo compiango, e l'ho con lei

che fu cieca ai merti miei,

e si crede idolatrata,

e non sa ch'è corbellata;

ché a riflettere ben bene,

quelle scuse, quei lamenti,

quelle smorfie, quelle scene,

quei languor, quei svenimenti

provan, proprio ad evidenza,

che nel cor la preferenza

come a un idolo d'amore

delle nostre Eleonore

dona il Tasso solo a quella,

che del duca è la sorella,

e quell'altra equivocò,

e veder gliela farò,

e vendetta appien n'avrò.

CORO

Qual vendetta?

GHERARDO

Cercherò.

CORO

Che farete?

GHERARDO

Ancor no 'l so.

Ma instancabile sarò

finché a capo ne verrò.

Amici! Ah! voi solleciti

d'intorno pur guardate:

gli angoli più reconditi,

le mura interrogate,

e dalle mute tenebre

il vero scoppierà,

e l'orgogliosa femmina

di stucco resterà.

CORO

Sguardi, domande, indagini

noi non risparmieremo.

Fin del silenzio interpreti

il vero cercheremo,

e questa cifra incognita

alfin si scioglierà.

Tardi l'altera femmina

delusa piangerà.

(partono tutti da varie bande divisi, ma richiamati parecchie volte i cavalieri da don Gherardo, s'impazientano e gridano)

Ma di ciarlar cessate.

Partir, deh! ci lasciate.

Ché se restiamo immobili

mai nulla si saprà.

GHERARDO

Andate, andate, andate:

d'un cavalier pietà.

(partono)

Scena quarta

La Duchessa, ed Ambrogio.

ELEONORA

Tu non m'inganni?

AMBROGIO

Altezza!

Con gli occhi il vidi.

ELEONORA

Il cavalier Roberto

accusarsi non può?

AMBROGIO

No, no: per certo!

Io sono intimamente persuaso

che don Gherardo è il ladro; ed ecco il caso.

Perché da lei se n' venga,

come bramò, stamane, o mia signora,

da me chiamato, accelerando il passo,

esce dalle sue stanze il signor Tasso;

e solo il cavalier vi resta allora.

Del cavaliere in traccia

nella più interna stanza

il curioso s'avanza. Geraldini

parte; io lo complimento

fin sulla porta; torno e un botto sento,

un crac! Fo un salto; corro dentro, e miro

lo scrigno spalancato...

E il mio padron lo chiude. Un certo foglio

tien don Gherardo; invan riaver lo voglio;

ché, pieno d'insolenza

minaccia bastonarmi in mia presenza.

M'attraverso, mi spinge, scappa via,

lo seguo, entra dal duca...

Felicissima notte!

Esamino lo scrigno... era forzato;

dunque del foglio che ne fu rubato

solo il curioso sospettar conviene...

Mi pare, altezza, di concluder bene.

ELEONORA

Tutto svelasti al Tasso?

AMBROGIO

Dall'a fino alla zeta io gliel'ho detta.

ELEONORA

Ed egli?

AMBROGIO

Sbuffa, e medita vendetta

su don Gherardo.

ELEONORA

No... digli...

(nel momento che vuole esprimere ciò che dée dire al Tasso, mostra di cangiar pensiero, e traendo Ambrogio sull'innanzi gli dice sottovoce)

Roberto...

cerca, e segreto a me lo invia... ma taci

con Torquato... m'intendi?

AMBROGIO

(con tono di capacità e malizia)

Capisco quel che vuole:

son uom di mondo, e bastan due parole.

(parte)

Scena quinta

Eleonora sola, indi Geraldini.

ELEONORA

Misera! ~ Un bivio orrendo

si presenta al mio cor. ~ L'amor di Tasso

più mistero non è. Se resto... Oh, dio!

Conosco il fratel mio;

gelar mi fa! ~ Se parto...

Ah! conosco quel core!

Il Tasso si dispera!... Il Tasso muore!

Bivio crudel! ~ No: sceglier non mi fido.

O sdegno il duca, o il caro amante uccido.

GERALDINI

(con umile, e modesto contegno)

Duchessa?

ELEONORA

(con simulata dolcezza)

Tutto io so.

GERALDINI

Scuso Torquato.

Era giusto il furor.

ELEONORA

Sì; ma imprudente

cavalier, tutto io so. Siete innocente.

Ma quell'incauto foglio...

GERALDINI

Era chiuso. In mia man n'era la chiave.

Ché, a gran stento, l'amico,

che a me il mostrò, cesse ai consigli miei;

partito don Gherardo, arso l'avrei.

ELEONORA

Ah! fu destino. Io bramo,

voglio sopiti i vostri sdegni.

GERALDINI

Ah! forse

no 'l crederà!

ELEONORA

Tutto svelava il servo.

GERALDINI

(Io trionfo!)

ELEONORA

M'udite:

Eleonora vi prega. ~ Ite dal Tasso,

l'abbracciate, e a lui dite,

che se m'ama... già tutto,

(quasi pentita, indi interamente fidandosi a lui)

sì, tutto è noto a voi...

GERALDINI

Sublime arcano!

Nemmen l'aura il saprà.

ELEONORA

Dite ch'io voglio

che a voi ritorni amico.

GERALDINI

Oh! caro nome!

Se a me lo rende io son felice appieno!

ELEONORA

Tanto l'amate?

GERALDINI

Oh! Mi leggeste in seno!

Io volo...

ELEONORA

Udite ancor se in sen vi parla

vera amistà per l'infelice. ~ Io deggio

scegliere odiate nozze,

o l'ira del fratello,

e risolvere non so. ~ L'estrema volta

favellar con Torquato,

udir che mi consiglia è mio desìo

per restar qui nel pianto... o dirgli addio.

Ma...

GERALDINI

Intendo.

ELEONORA

A lui...

GERALDINI

Lo svelerò.

ELEONORA

Roberto!...

È un gran segreto!

GERALDINI

Orgoglio

sento che a me si affida.

ELEONORA

(pregando)

A tutti oscuro

impenetrabil sempre...

GERALDINI

(dignitoso)

A tutti: il giuro.

[N. 8 - Duetto]

ELEONORA

Quando alla notte bruna

nel bosco degli allori

da un raggio della luna

temprati fian gli orrori,

ove la fonte mormora

che crebbe al nostro pianto,

nell'ombra e nel silenzio

venga a quell'onda accanto;

ma in cor le smanie prema;

ma solo a me verrà:

là, per la volta estrema,

pianger con me potrà.

GERALDINI

Del vostro cor, signora,

tutto l'affanno io sento.

Pensando a chi vi adora

è vostro il suo tormento.

Vi piomba in seno il palpito

dell'amator riamato;

ma di celar le lagrime,

crudel, v'impera il fato,

e in sen ristretto il pianto

morire il cor vi fa;

così vi strazia intanto

amor, dover, pietà.

ELEONORA

Ma se un destin spietato

mi forzi a dirgli addio!

Al povero Torquato

chi resta?

GERALDINI

(con simulato entusiasmo)

Un core. Il mio.

ELEONORA

Se un cor gli resta, vittima

dei vili non sarà.

Versar potrà le lagrime

dell'amistà nel seno,

di me che resto a gemere

potrà parlare almeno.

Voi calmerete i spasimi

d'un disperato amore;

nei giorni del dolore

è un nume l'amistà.

GERALDINI

Aperto alle sue lagrime

sempre sarà il mio seno;

d'un cor pietoso il misero

avrà il conforto almeno.

Se appien calmare i spasimi

io non saprò d'amore,

dividerne il dolore

l'anima mia saprà.

ELEONORA

Meno infelice or sono;

tutto al destin perdono.

Lo affido a te.

GERALDINI

(Fia polvere,

che il vento sperderà.)

ELEONORA

A glorïoso segno

guida l'illustre ingegno;

maggior non v'è. L'Italia

l'avrà per te.

GERALDINI

(Cadrà.)

Insieme

ELEONORA

Se d'invidia all'arti, e all'armi

involar saprai Torquato

del tesoro de' suoi carmi

l'universo a te fia grato.

Ti rammenta d'Eleonora,

che per lui pietade implora,

e miei voti, i pianti miei

fin che vivi, ah! non scordar.

GERALDINI

(Al trionfo, ah! sì, lo spero,

la fortuna alfin m'affretta.

Spiegherò su quell'altiero

un sorriso di vendetta.)

Non temer ch'io non rammenti

i tuoi voti, i tuoi tormenti:

come il cor per te s'affanni

non potresti immaginar.

(partono)

Scena sesta

Il Duca solo, concentrato ne' suoi pensieri; indi Geraldini.

Io veglio. ~ Incauti. ~ Una vendetta illustre,

misteriosa io devo a me; l'aspetta

il mio cor... la sospira;

l'otterran congiurati ingegno ed ira. ~

Debole donna! Io ti compiango. Al core

non si comanda; il so... ma il Tasso... il Tasso

ne' miei lacci cadrà. ~ Misero! Io l'amo,

l'amo; ma forte, o più prudente il bramo.

Di politica nebbia

s'adombri orribil vero,

ed ai posteri sia fola, o mistero.

Gelosi, invidi, vili,

che odiate il gran poeta,

io mi giovo di voi, ma vi conosco.

La sua colpa è il suo merto...

Stolti e maligni! ~ Ecco il più rio. ~ Roberto?

All'antica amistà tornò Torquato?

GERALDINI

(con malizia, ma simulando schiettezza)

La duchessa il volea,

e negarmi ei potea

un amplesso implorato? ~ Il caro cenno

fu in suo cor più possente

che incolpabil sapermi ed innocente.

DUCA

(Innocente!) E fra queste

aure sì liete ancor solingo geme?

GERALDINI

Del vostro sdegno ei teme;

ed or che all'ombra bruna

nel bosco degli allori

temprati fian gli orrori

dal raggio della luna, ei là s'avvia

presso l'onde cadenti

per insegnare all'eco i suoi lamenti.

DUCA

Solo?

GERALDINI

Lo credo... Almen. ~ Signor!... Non oso.

DUCA

Parla.

GERALDINI

Inatteso a lui, mentre sospira

del perdon vostro incerto,

mostrarvi, e con soavi

parole confortarlo

com'è vostro real dolce costume

con chi s'affanna... opra sarìa d'un nume.

DUCA

(Infernal arte!) Quel tuo cor pietoso

mai smentirsi non sa. ~ Bello è il consiglio;

lo seguirò.

GERALDINI

(baciando la mano al Duca)

Grato, o mio prence!... (O gioia!)

DUCA

(prendendolo per mano)

Del piacer non sperato

dal dolente Torquato

spettator vieni.

GERALDINI

(Oh! Non previsto scoglio!

Me diran traditore!) Ah! Prence...

DUCA

(severo)

Il voglio.

(partono insieme)

Scena settima

Boschetto di allori. In fondo un Apollo citaredo in marmo sopra una gran fonte da cui sgorgano limpide, e copiose acque.
La luna dirada alquanto l'ombra della notte.
Torquato lentamente s'inoltra. Don Gherardo da lontano lo segue guardingo; indi la Duchessa.

[N. 9 - Finale II]

TORQUATO

Notte che stendi intorno

il fosco manto in quest'oscuro cielo

mentr'io di vero amore avvampo e gelo,

e tu pietosa luna,

che tempri co' bei raggi 'l muto orrore

all'ombra della notte umida e bruna,

a pianger vengo ove m'invita amore;

ma l'onda sola e il vento

risponde mormorando al mio lamento.

GHERARDO

(Solo! ~ A quest'ora! ~ E qui! ~ Dorma chi vuole.

Un perché vi sarà. ~ La fida io sono

ombra del corpo suo; non l'abbandono.)

ELEONORA

(chiamando dolcemente)

Torquato!

GHERARDO

(Crescon gl'interlocutori.)

TORQUATO

Sei tu?

ELEONORA

Non mi ravvisi?

GHERARDO

(La duchessina! ~ La Scandian si avvisi.)

(Don Gherardo traversa la scena in fondo in punta di piedi)

ELEONORA

Tasso!

TORQUATO

Ah! di': non è questa

una beata illusïon fallace?

Ma se tu sei, d'amor stella verace,

che dolce splendi a inebriarmi il seno,

il mio audace pensier chi tiene a freno?

ELEONORA

Assai si delirò. ~ D'amari accenti

in sì cari momenti

non s'oda il suon; ma ci tradiva entrambi

un improvvido amor. ~ Spezzato il core

dirlo non osa... e dirlo è forza! ~ O mio...

o mio fedel...

TORQUATO

Segui, mia vita...

ELEONORA

Addio.

TORQUATO

E m'ami?

ELEONORA

E perché t'amo

noi... lo dirò... noi ci dobbiam lasciare.

TORQUATO

Poco dunque ti pare

che infelice io sia,

che a crescer vieni la miseria mia?

ELEONORA

Mai d'altri non sarà; ma tua, Torquato,

esser non può Eleonora.

TORQUATO

Oh, morte!

ELEONORA

Il vuole

cauta prudenza; onde in oblio sian posti

i miei deliri, e i tuoi...

Tasso!... Tu déi partir!

TORQUATO

Dirlo... tu puoi?

Ohimè! Ben son di sasso

poiché questa novella non m'uccide!

ELEONORA

I cor che amore unì, destin divide!

TORQUATO

Solo... deserto!... Ah! meco vieni: fuggi.

ELEONORA

Follia sarebbe.

TORQUATO

E a me che resta?

ELEONORA

Il vivo

sublime ingegno... e il pianto mio.

TORQUATO

Né vuoi

a me d'empia fortuna orrendo gioco,

premio alla fede, e refrigerio al fuoco

lasciar nulla... o crudele?

ELEONORA

(gli dà un anello)

In oro avvolti

t'abbi i capelli miei.

TORQUATO

O non sperato

invidïabil dono!

D'ardenti nodi or sono

cinto per sempre.

ELEONORA

Rapidi gl'istanti

e inosservati fuggono agli amanti.

Fa' cor... (Oh, strazio!)

TORQUATO

E che dir vuoi, mio bene?

ELEONORA

Che crudo è il fato... E dirci addio conviene.

TORQUATO

Sì... per sempre!

ELEONORA

Ah! m'odi: m'odi.

Già la morte è nel mio core;

ma una lagrima d'amore

il mio cener bagnerà.

Di'... lo spero?

TORQUATO

Oh, cruda! E godi

nel mirarmi 'l core infranto?

Ma prometter non può il pianto

chi più lagrime non ha.

ELEONORA E TORQUATO

(con improvviso slancio di entusiasmo)

Ah! Se resta un sol momento,

se un addio comanda il fato,

ai deliri del contento

si abbandoni 'l cor beato.

A te accanto io tutto oblìo,

le mie pene, il destin mio.

Tuo per sempre è questo core,

il tuo cor sol mio sarà;

questo palpito d'amore

morte sola spegnerà.

Scena ottava

Da una parte comparisce fra gli alberi il Duca, al cui fianco è Geraldini, e da un'altra parte la Scandiano condotta per mano da don Gherardo.

(fra loro sottovoce)

GERALDINI

Solo ei non è.

DUCA

Silenzio.

GHERARDO

È vero, o non è vero?

SCANDIANO

Tacete.

TORQUATO

(ad Eleonora)

Io di dividermi

forza non ho, né spero.

GHERARDO

(alla Scandiano)

Vi basta?

ELEONORA

Ah! parti: ah! lasciami.

SCANDIANO

(Infido.)

TORQUATO

Il chiedi invano.

GERALDINI

(al Duca)

Dalla Scandian dividesi.

DUCA

(a Geraldini con ironia)

Credi?

TORQUATO

Su questa mano

io pria lasciar vo' l'anima.

GHERARDO

(alla Scandiano)

È poco ancor?

ELEONORA

Più barbaro

fai questo addio, mia vita.

TORQUATO

Sei mia. Sfido le folgori.

ELEONORA

Lasciami, o imploro aita.

TORQUATO

Vieni. Mi segui. Involati

da chi ti opprime.

DUCA

(con voce terribile)

Olà.

(al grido del Duca la scena s'empie di svizzeri armati e di paggi con doppieri accesi. Quadro)

DUCA

Sventura orrenda! Ahi, misero!

Di senno uscì Torquato!

(alle guardie)

Voi lo traete in carcere.

Dì e notte sia vegliato.

TORQUATO

(ricusando la spada ad una guardia)

Il brando! No.

ELEONORA

(a mezza voce)

Vuoi perdermi?

DUCA

(serio)

Duchessa!

TORQUATO

(gettando la spada a piedi di Eleonora)

Il brando a te.

DUCA

Traetelo.

GERALDINI

Placatevi.

DUCA

È stolto.

TORQUATO

Io stolto!

ELEONORA

Oh, dio!

SCANDIANO

Pietà.

ELEONORA

Per queste lacrime.

GHERARDO E GERALDINI

Signor!

ELEONORA

Fratello mio!

TORQUATO

Io stolto?

DUCA

Sì.

TORQUATO

(al Duca)

Vo al carcere; ma pria rispondi a me.

O tu, che danni amore,

di sasso il cor sortisti, o non hai core.

Sei belva in uman volto,

se chi schiavo è d'amor tu chiami stolto;

ma no; ché nelle selve

sospirano d'amore anche le belve.

Vuoi sangue? Inerme è il petto;

ma tormi il ben non puoi dell'intelletto.

Il senno è don di dio;

finché dio non me 'l toglie il senno è mio.

ELEONORA

(guardando Geraldini)

(Ah! Fui tradita! Il perfido

gode in segreto intanto.

Gli frutti sangue il pianto

che a noi versar farà.)

GERALDINI

(Ei cadde alfin. Dileguasi

de' sogni suoi l'incanto!

Mentir m'è forza il pianto,

e simular pietà.)

GHERARDO

(toccandosi gli occhi)

(Ohimé! Questa è una lagrima

che in giù mi gronda intanto!

Piango, non uso al pianto;

l'odio, e mi fa pietà.)

SCANDIANO

(Morir mi fa quel pianto;

né può trovar pietà.)

DUCA

(D'amore il nodo infranto

il tempo renderà.)

TORQUATO

(tergendosi con dispetto una lagrima)

(Si celi agli empi il pianto;

lo crederian viltà.)

ELEONORA

Ah! fratel mio!...

TORQUATO

Che tenti?

Non t'abbassare ai prieghi.

Risparmia i tuoi lamenti;

quell'aspro cor non pieghi.

GERALDINI

Torquato!...

TORQUATO

No, no. Guardami.

Ti leggo in cor.

GERALDINI

Ma credi...

TORQUATO

Credo che in me la vittima

del tuo furor tu vedi.

GERALDINI, GHERARDO

Oh, ciel!

TORQUATO

Vili! Lasciatemi.

Tradirmi, e pietà fingere

eccesso è d'empietà.

DUCA

Si compia il cenno. Al carcere.

ELEONORA

Morendo il cor mi sta.

TORQUATO

(guardando Eleonora che piange)

Ah! per quel pianto, il carcere

chi non m'invidierà?

ELEONORA E TORQUATO

(Le smanie di quest'anima,

la crudeltà del fato,

fremente in cor la storia

col sangue scriverà.

E il non mertato fulmine,

l'addio così spietato

farà versar le lacrime

in più lontana età.)

DUCA

(A paventarmi imparino

quei che scordar ch'io regno;

sarebbe con gl'incauti

fatal la mia pietà.

Pe' i vili, ch'or trionfano

maturasi il mio sdegno;

chi sogna in alto ascendere,

destandosi cadrà.)

GERALDINI

(Or che lo vedo in polvere

io son contento appieno;

di favorito orgoglio

più pompa non farà;

ma pure a quelle lagrime

commosso ho il core in seno;

ma pur non so reprimere

un moto di pietà.)

GHERARDO

(alla Scandiano)

Contessa! Nell'ipotesi

che sia 'l cervel smarrito,

fuggite dal pericolo,

tiratevi più in qua;

che se divien frenetico

tutto è per voi finito.

Guardate come è torbido!

Prudenza, per pietà.)

SCANDIANO

(No, che a novello strazio

loco non ha Torquato.

Ma pur l'insulta un perfido

con simular pietà!

A pene troppo orribili

lo riserbava il fato...)

(a don Gherardo)

Ma piangere lasciatemi

almen con libertà.

TORQUATO

Addio, mia vita, addio!

In ciel ti rivedrò.

ELEONORA

M'affretto al ciel, ben mio;

io là t'aspetterò.

DUCA

Si tronchi quell'addio.

Compito il cenno io vo.

(il Tasso è circondato dagli svizzeri, Eleonora cade svenuta in braccio alla Scandiano; il Duca con un'occhiata fiera e maestosa umilia la gioia atroce di Geraldini, e l'esultanza di don Gherardo)

Atto terzo
Scena unica

Camera destinata in carcere a Torquato. Nel fondo una grata di sbarre di ferro, ed una porta, che mette all'interno del locale. Uno scaffale di libri in disordine. Lateralmente una porta che introduce alla stanza attigua di Torquato. Un rozzo tavolino con fasci di carte, volumi, e recapito da scrivere. Una scranna. Dall'alto pende una lampada che illumina debolmente l'oscurità delle vecchie mura.
Torquato esce dalla stanza attigua concentrato in melanconica meditazione; indi coro di Cavalieri della corte del Duca Alfonso II in lontananza, e poi in scena.

[N. 10 - Aria]

TORQUATO

Qual son! ~ qual fui? ~ che chiedo? ~ ove mi trovo?

Chi mi guidò? ~ chi chiuse?

Lasso! chi mi affidò? chi mi deluse?

Per me pietade è spenta, e dove langue

vil volgo ed egro, per pietà raccolto,

in carcer tetro e sotto aspro governo,

fatto d'ingorda plebe e preda e scherno

io qui languisco a morte

favola e gioco vil d'avversa sorte!

Sull'Arno i miei nemici

congiuran contro me; l'irrequïeto

demone ignoto non mi dà mai pace;

stolto me giura il mondo... e amor non tace!

Perché dell'aure in sen

non volano i sospir?

A te de' miei martir

l'eco verrebbe almen,

mio dolce amore!

Stolto mi chiama, il so,

chi al carcer mi dannò;

ma s'ama, e sempre te,

no, stolto il cor non è;

ragiona il core.

TORQUATO

Varcato è un lustro!... E un anno!... E un anno ancora!...

Forse più a me non penserà Eleonora!

Forse... ahi! rabbia!... dà fede

all'empio grido e delirar me crede!

Empio grido fatal, per cui tradito,

vergognando, son chiuso in queste soglie,

ed ella piange, e i lacci miei non scioglie!

(comincia ad udirsi da lontano un coro che va mano mano avvicinandosi alle mura del carcere)

CORO

Viva il Tasso!

TORQUATO

Lontan... lontan... m'inganno?

echeggiava il mio nome!

CORO

In Campidoglio

crebber lauri alla sua chioma.

TORQUATO

Che ascolto!

Si apre con fragore la porta in fondo, ed entrano in folla i Cavalieri, e circondano il Tasso.

CORO

Da quel colle ov'ebbe il soglio

la sua man ti stende Roma.

Là veloce affretta il passo;

ché al tuo crin serbata è, o Tasso,

l'invidiata eterna fronda

che Petrarca incoronò;

né del Tebro sulla sponda

d'altro vate il crin cerchiò.

Sciolto sei; serena il ciglio

dell'Orobia illustre figlio;

che di principi un senato

sul Tarpeo t'ha destinato

sempre-verde ambito serto,

cui sfrondar non può l'età.

Sarà emblema del tuo merto

un allor che non morrà.

TORQUATO

Ah! ~ ch'io respiri! ~ È troppa gioia! Meco

Goffredo è sul Tarpeo! Fra tante e tante,

che per lui, m'ebbi in cor barbare spine

una fronda d'alloro io colgo alfine! ~

Eleonora! Ora nel dirti: addio,

pari a te sono, ho una corona anch'io.

CORO

Vieni.

TORQUATO

Verrò; ma da lei volo. Io voglio

da lei saper se a lei m'innalza questa

rara, non compra, ardua corona...

CORO

(arrestandolo)

Arresta.

Non rispondono gli estinti

dell'avel dai muti marmi;

né per lagrime, o per carmi

cener freddo mai parlò.

TORQUATO

(dolorosamente colpito all'annunzio inatteso)

Ella spenta! ~ Io l'ho perduta? ~

Son deserto sulla terra?... ~

Ah! per voi fia sempre muta;

nel mio cor l'ascolterò.

Parlerà. Ne' sogni miei

lascerà la terza stella;

meno altera e assai più bella

al suo fido tornerà.

Ah! la veggo!... Ah! sì... tu sei!

(inginocchiandosi)

Ecco il lauro a' piedi tuoi.

Fu il sospiro degli eroi;

ma, te spenta, orror mi fa.

CORO

(facendo sorgere Torquato)

Piangesti assai, Torquato:

apri alla gloria il core.

Mira del tempo alato

il genio voratore.

Del sacro allor coll'ègida

sfida il poter degli anni;

rompi l'oblìo de' secoli

con gl'indomati vanni.

E l'epico tuo verso

per l'aere echeggerà

fin quando l'universo

come minuta polvere

disciolto crollerà.

TORQUATO

Invidi, dileguatevi;

Roma immortal mi fa.

Tomba di lei, che rendermi

seppe beato e misero,

un fiore ed una lagrima

io spander vo' su te.

CORO

Vieni al Tarpeo: non piangere;

onor t'impenni 'l piè.

TORQUATO

Sì: dell'onor al grido

volo del Tebro al lido...

non vi sdegnate, o cesari;

v'è un lauro ancor per me.

CORO

T'affretta; il fato barbaro

si cangia alfin per te.

Quadro.

Fine del libretto.

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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Atto terzo Scena unica