Atto secondo

 

Scena prima

Giardini di Flora.
Flora.

 Q 

Flora

 

 

Fiori odorati  

stelle de' prati,

de' miei giardini

gemme pompose,

viole, e gigli,

ligustri, e rose

germinate,

pullulate.

 

Zefiro mio gentile,  

Zefiretto soave

è già passato Aprile

e tu non riedi ancora?

T'aspetta la tua Flora.

Deh vieni amato vento

a temprar col tuo fiato

l'ardor del mio tormento,

ritorna a chi t'adora,

t'aspetta la tua Flora.

Amor da questo petto

esci volando, trova

il mio pigro diletto.

E digli, che dimora?

T'aspetta la tua Flora.

 

 

Che veggio? L'aure a volo  

hanno quivi portato

giovanetto assonnato.

Ei si sveglia, e risorge,

e l'ignote vaghezze

del fiorito giardin stupido ammira,

parla con l'aure, e ver me i passi gira.

Voglio nascosta udire

qual caso, o voglia il mena

in questa parte occidentale amena.

 

Scena seconda

Titone, Aura prima, Aura seconda.

<- Titone, Aura prima, Aura seconda

 

TITONE

Ove son io? Chi siete?  

Dormo ancora, o son desto?

Non son, non son già queste

le patrie idee foreste:

qual invidia mi toglie

alle mie cacce liete

ove son io? Chi siete?

 

AURA PRIMA E AURA SECONDA

Noi siam due verginelle  

prigioniere d'Amore,

e le tue chiome belle

n'incatenaro il core.

Noi siam due verginelle

prigioniere d'Amore.

 

TITONE

Contro tante lascive  

Diana oggi m'aiti.

AURA PRIMA

Vedi come son vaga.

AURA SECONDA

Mira come son bella.

AURA PRIMA

Ho nel labbro il rubin.

AURA SECONDA

Porto l'oro nel crin.

AURA PRIMA

Di zaffiri pregiati

ho gli occhi fabbricati.

AURA SECONDA

Ho di perle la bocca

che stilla ambrosia, e fiocca,

AURA PRIMA E AURA SECONDA

Questi natii tesori,

ch'avare altrui neghiamo

prodighe a te doniamo

o re de' nostri cori.

TITONE

Col rifiuto scortese

parer già non vogl'io

d'esser stato nutrito

tra selvagge capanne,

ovver tra giunchi e canne.

Vostre ricchezze accetto,

e perché il tempo, ingordo

del nostro bello umano,

ladro non me lo rubi,

le vo' dal vostro volto

or ora sradicarle,

e racchiuse serbarle.

AURA PRIMA

Sono le nostre gioie

a sembianza d'un fiore,

che dal materno stelo

reciso, langue, infracidisce, e more.

Godile ove son nate

appunto pria, ch'il vecchio

da prestissimi voli

né le calpesti, o involi:

prendi, prendi di loro

con le labbra il possesso,

bacia, e fuggi baciando,

acciò che resti impresso

della tua signoria, il segno anima mia.

TITONE

T'arretra, olà t'arretra

baldanzosa lasciva,

se della mia faretra

non vuoi nel seno ricettare un telo,

t'ingoi la terra, e incenerisca il cielo.

AURA SECONDA

Così sdegnoso, e crudo

sei tu verso chi t'ama?

Eccoti il petto ignudo,

anch'io t'amo, ferisci,

ferisci a tuo talento

o mio dolce tormento.

Questo seno

morbidetto,

questo latte

candidetto,

queste poma acerbe, e intatte

la natura ha per te fatte.

Impiaga, ma sia

saetta la lingua,

arciera la bocca,

che tardi, che tardi quadrelle deh scocca.

Aura prima, Aura seconda ->

 

Scena terza

Flora, Titone.

 

FLORA

Impudiche, sfacciate  

questi casti soggiorni

più del folgore preste abbandonate.

Ite o sozze di Cipro

alle lascive, e disoneste sponde

a disfamar le vostre brame immonde.

TITONE

A tempo qui giungesti

ch'aveva spezzato il freno

alla pazienza mia coppia sì rea,

di sì adorne contrade o genio, o dea.

Ma dimmi, ove son io,

qui venni, e non so come,

fammi noto il tuo nome.

FLORA

Flora son io, de' fiori

produttrice, e reina,

quivi con la tua schiera

de' venti occidentali

meco Zefiro impera.

TITONE

Ohimè, che narri o diva?

Terra così remota

dalla troiana riva,

dalla Frigia soggetta

al re mio genitore, ahi mi ricetta?

Qual turbine maligno addormentato

mi portò qui sui vanni?

Lasso quando andrò mai

peregrino inesperto

senza guida, o compagno,

per sì lungo viaggio,

e sconosciute strade

alla reggia del padre?

Forse più non vedrai

la giovanetta prole

o cara genitrice

di Troia imperatrice,

troppo vasti confini,

tratti d'immensi mari

ci dividono, oh sorte,

venga, venga la morte.

FLORA

L'umido ciglio asciuga

giovine sconsolato,

dal mio Zefiro alato,

che riederà ben tosto

ai desiati nidi,

ti prometto di farti

sopra delle sue penne

condurti al patrio regno,

prendi mia destra in pegno.

 

Scena quarta

Zefiro, Flora, Titone.

<- Zefiro

 

ZEFIRO

Prendi mia destra in pegno?  

Ohimè col vago alato

così dunque raccolto

da te perfido io vegno?

Prendi mia destra in pegno?

 

FLORA

Acchetati mio core,  

né gelosia ti morda

con le vipere il seno.

Questi che miri.

ZEFIRO

Taci

spergiura, udir non voglio

le tue scuse mendaci.

Così mentre ch'è intento

agl'officii del mondo

il tuo sposo, il tuo vento,

ne suoi tetti raccogli

traditrice, incostante

un delicato amante?

TITONE

Del geloso adirato

voglio involarmi a' sdegni.

Titone ->

 

Scena quinta

Flora, Zefiro.

 

FLORA

Amor del mio consorte,  

fede candida, e pura,

onestade incorrotta,

ch'indivisibilmente

ognor m'accompagnate

narrate voi, narrate

se colpevole è Flora, od innocente.

ZEFIRO

Senti, senti i lor gridi,

che t'accusano rea

degli misfatti infidi.

In tal guisa impudica

l'amor mio guiderdoni?

Così ad altri ti doni

spenta la fiamma antica?

Io, che ti fei de' fiori,

ingratissima Clori,

dominatrice, alfine

ho per premio le spine?

Io ti resi immortale,

perché fossero eterne

l'alte vergogne mie?

Sfingi, pitoni Arpie

venite a mille, a mille

dalle spelonche averne

a sbranare quel petto

d'infedeltà ricetto.

Perché foco non spiro

qual Mongibello ardente

per abbruciar l'indegna?

Sdegno, rabbia, rancor solo in me regna.

Timido, fuggitivo

ecco di già partito

il novo Ganimede,

ma indarno egli commette

la sua salute al piede.

Vo' pria vedermi sazio

col dovuto suo strazio,

e poi di qui sì ratto

andar tanto lontano,

ch'il nome non arrivi

dei tuoi falli lascivi.

Resta malvagia, resta,

e teco l'odio mio se n' resti insieme,

né mai di rivedermi aver più speme.

Zefiro ->

 

Scena sesta

Flora.

 

 

Flora infelice, Flora  

qual grave pena, e dura

di non pensato errore

ria stella, empia sciagura

t'arreca ingiusta al core?

Mostro nero infernale,

che turbi, e avveleni?

D'amor le paci vere,

tra gl'orridi confini

del Tartaro tremendo

ti chiuda il re severo

di quel profondo impero,

e qual Tizio novello

ti facci divorare

da famelico augello,

con eterno dolore,

l'invidioso core,

in quella guisa appunto,

che tu squarci agl'amanti

le viscere, crudele,

e le spargi di fele.

Fiori, miei vaghi germi,

s'avesse per nutrici

mattutine rugiade

or rugiade stillate,

e meco lagrimate:

spargete, ohimè spargete

arabiche fragranze,

odorosi sospiri

a' miei fieri martiri.

 

Zefiro ascolta, ascolta  

la tua Flora innocente,

né dar fede ti prego

all'empia fraudolente,

che tra l'anime amanti

germina risse, e pianti

qual Eumenida stolta.

Zefiro ascolta, ascolta.

Flora ->

 

Scena settima

L'Aurora.

<- L'aurora

 

Amoretti sbendati  

raccogliete le penne,

qui, qui la coppia ribellante venne.

Qui, qui l'aure predaci

il tesoro involato,

se la fama è verace, hanno portato.

Tra questi giardinetti

il bel Titon s'annida,

e forse in grembo, ohimè d'un'aura infida.

Forse a tante vaghezze

raddolcito 'l rigore

fuori, ohimè, del mio seno arde d'amore.

O in clima così puro

diva imperante, o Flora

a te la vita sua chiede l'Aurora.

Per riaver il furto

e le ladre, al tuo regno

de' crepuscoli miei sull'ali io vegno.

Ma da Flora, che spero?

Interna voce io sento,

che dice di Titon Flora è 'l contento.

Se quest'è ver, ch'indugio?

Cada chi mi s'oppone,

mi renderà la forza il mio Titone?

L'aurora ->

 

Scena ottava

La Gelosia.

<- Gelosia

 

 

A quest'ali vermiglie  

tutt'orecchie, e tutt'occhi,

alla veste intessuta

di sì vari colori,

alle spine, a' pallori

d'esser riconosciuta

da mille amanti io credo,

ma perch'agl'atti io vedo,

ch'a chi non sente amore

ancor nota io non sono,

voglio dir qual mi sia,

io son la gelosia.

Spiritello volante

d'aere formato io fui,

e qual Ate ho le piante

sì molli, e tenerelle,

che quasi sempre albergo

nel sen di donne belle,

ovver me n' sto tra cori

di veraci amatori.

Tutta gelo son io,

eppur il ghiaccio mio

del fanciullin di Gnido

rende il foco maggiore,

e gl'accresce calore.

Zefiro ingelosito,

dopo brevi intervalli,

godrà con più dolcezza

dell'alma sua bellezza,

e di Titon l'Aurora,

tocca dalla mia sferza

rigorosa, e pungente

s'accende maggiormente.

 

Amor pigro, amor lento  

punto da queste spine

sfido a correre il vento:

ei per me vive, e in fasce

con le mie nevi si nutrisce, e pasce.

Tra le cure mordaci,

tra i sospetti, e i pensieri

rendo più dolci i baci;

sferzo, e sferzando apporto

alimento al piacer, esca al conforto.

Chi è di saper bramoso

s'i vanti miei son veri

ami, e venga geloso.

Grande è la gloria mia.

Viva, viva d'amor la gelosia.

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Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Giardini di Flora.

Flora
 

Fiori odorati

Che veggio? L'aure a volo

(Flora nascosta)

Flora
<- Titone, Aura prima, Aura seconda
Aura prima e Aura seconda
Noi siam due verginelle

Contro tante lascive

Flora, Titone
Aura prima, Aura seconda ->

(Flora si rivela)

Impudiche, sfacciate

Flora, Titone
<- Zefiro

Acchetati mio core

Flora, Zefiro
Titone ->

Amor del mio consorte

Flora
Zefiro ->

Flora infelice, Flora

Flora ->
<- L'aurora
L'aurora ->
<- Gelosia

A quest'ali vermiglie

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava
Abitazione del Sonno. Selva idea. Giardini di Flora. Alpestra. Prati.
Prologo Atto primo Atto terzo

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