Atto quinto

 

Scena prima

Iro solo.

Iro

 

 

O dolor, o martir che l'alma attrista!  

O mesta rimembranza

di dolorosa vista!

Io vidi i proci estinti;

i proci furo uccisi. Ah, ch'io perdei

le delizie del ventre e della gola!

Chi soccorre il digiun, chi lo consola?

Oh flebile parola!

I proci, Iro, perdesti,

i proci, i padri tuoi.

Sgorga pur quante vuoi

lagrime amare e meste,

ché padre è chi ti ciba e chi ti veste.

Chi più della tua fame

satollerà le brame?

Non troverai chi goda

empir del vasto ventre

l'affamate caverne;

non troverai chi rida

del ghiotto trionfar della tua gola.

Chi soccorre il digiun, chi lo consola?

Infausto giorno a mie ruine armato:

poco dianzi mi vinse un vecchio ardito,

or m'abbatte la fame,

dal cibo abbandonato.

L'ebbi già per nemica,

l'ho distrutta, l'ho vinta; or troppo fora

vederla vincitrice.

Voglio uccider me stesso e non vo' mai

ch'ella porti di me trionfo e gloria!

Chi si toglie al nemico ha gran vittoria.

Coraggioso mio core,

vinci il dolore! E pria

ch'alla fame nemica egli soccomba

vada il mio corpo a disfamar la tomba.

Iro ->

 
 

Scena seconda

Deserto con Ombre de' proci, Mercurio.

Immagine d'epoca ()

 Q 

Mercurio, ombre de' proci

 
[La si lascia fuori per essere malinconica.]
 

MERCURIO

Dell'umana tragedia è questo il fine.  

Regni, bellezza, amore

nel transito dissolve,

lo spirto vola e non riman che polve.

La morte è dèa possente,

abbatte ogni vivente

né ria speranza giova.

Chi non crede all'esempio

al fin non può negar fede alla prova.

Voi già proci superbi or placid'ombre,

prima principi illustri, or alme oscure

per man d'Ulisse il forte

gran ministro del ciel estinti foste,

ed or dopo goduta

la vagabonda libertà di morte

andrete profondati ove chi regna

a incrudelir insegna.

Chiaman le vostre colpe

precipizi d'averno,

voragini d'inferno,

ch'a' perfidi e crudeli

quando l'eterno danno ha il ciel prefisso

s'apre così l'abisso.

 
Qui s'apre scena infernale e si profondano l'Ombre de' proci.

ombre de' proci ->

Mercurio segue.
 

MERCURIO

Imparate mortali,  

sono di vostri brevissimi piaceri

i castighi immortali.

Stolti, sin che vivete,

vostri umani diletti

hanno la reggia in polve.

Mentre godono sol la carne, e i sensi,

e poi che morti siete

passa allo spirto un immortal

duro cambio infelice

gioir farfalla e tormentar fenice.

Vostra vita è un passaggio,

non ha stato e fermezza;

se mai giunge bellezza

tramonta allor, ch'appena mostra un saggio.

Vivi cauto, o mortale,

che cammina la vita e 'l tempo ha l'ale,

e dove ingorda speme

vivendo non s'acquieta

dell'umana pazzia questa è la meta.

 
 

Scena terza

Reggia.
Melanto, Penelope.

 Q 

Melanto, Penelope

 

MELANTO

E quai nuovi rumori,  

e che insolite stragi,

e che tragici amori.

Chi fu, chi fu l'ardito

che osò con nuova guerra

la pace intorbidar ch'hai tu negli occhi,

e trar disfatti a terra

quei templi che ad Amor furon eretti

in quei focosi petti?

PENELOPE

Vedova amata, vedova regina,

nuove lagrime appresto;

insomma all'infelice

ogni amore è funesto.

MELANTO

Così all'ombra de' scettri anco pur sono

malsicure le vite;

vicino alle corone

son le destre esecrande ancor più ardite.

PENELOPE

Moriro i proci, e queste

da lor chiamate stelle

furon di quelle morti

assistenti facelle.

MELANTO

Penelope, il castigo

dell'immortale fato

non consigliar che con lo sdegno e l'ira,

ché maestade offesa

esser giusta non può se non s'adira.

PENELOPE

Dell'occhio la pietate

si risente all'eccesso,

ma concitar il core

a sdegno ed a dolor non m'è concesso.

Melanto ->

 

Scena quarta

Eumete e Penelope.

<- Eumete

 

EUMETE

Forza d'occulto affetto  

raddolcisce il tuo petto.

Chi con un arco solo

isconosciuto diede

a cento morti il duolo,

quel forte, quel robusto

che domò l'arco e fe' volar gli strali,

colui che i proci insidiosi e felli

valoroso trafisse

rallegrati regina, egli era Ulisse!

PENELOPE

Sei buon pastore Eumete,

se persuaso credi

contro quello che vedi.

EUMETE

Il canuto, l'antico,

il povero, il mendico

che co' proci superbi

coraggioso attaccò mortali risse,

rallegrati regina, egli era Ulisse.

PENELOPE

Credulo è il volgo e sciocco,

è la tromba mendace

della fama fallace.

EUMETE

Ulisse io vidi, sì,

Ulisse è vivo, è qui!

PENELOPE

Relator importuno,

consolator nocivo!

EUMETE

Dico che Ulisse è qui.

Lo stesso 'l vidi e 'l so.

Non contenda il tuo no con il mio sì:

Ulisse è vivo, è qui!

PENELOPE

Io non contendo teco

perché sei stolto e cieco.

 

Scena quinta

Telemaco e detti.

<- Telemaco

 

TELEMACO

È saggio Eumete, è saggio,  

è ver quel ch'ei racconta:

Ulisse, a te consorte ed a me padre,

ha tutte uccise le nemiche squadre.

Il comparir sotto mentito aspetto,

sotto vecchia sembianza,

arte fu di Minerva e fu suo dono.

PENELOPE

Troppo egli è ver che gli uomini qui in terra

servon di gioco agli immortali dèi.

Se ciò credi ancor tu lor gioco sei.

TELEMACO

Vuole così Minerva:

per ingannar con le sembianze finte

gli inimici d'Ulisse.

PENELOPE

Se d'ingannar gli dèi prendon diletto

chi far fede mi puote

che non sia mio l'inganno,

se fu mio tutto il danno?

TELEMACO

Protettrice de' Greci

è, come sai Minerva,

e più che gli altri

Ulisse a lei fu caro.

PENELOPE

Non han tanto pensiero

gli dèi lassù nel cielo

delle cose mortali.

Lasciano ch'arda il foco e agghiacci il gelo,

figlian le cause lor piaceri e mali.

TELEMACO

Togliti in pace il nero.

EUMETE

Io lo dirò, ti seguirò.

Penelope, Eumete, Telemaco ->

 
 

Scena sesta

Marittima.
Minerva e Giunone.

 Q 

Minerva, Giunone

 

MINERVA

Fiamma è l'ira, o gran dèa, foco è lo sdegno.  

Noi sdegnose ed irate

incenerito abbiam di Troia il regno,

offese da un troian, ma vendicate;

il più forte fra' Greci ancor contende

col destin, con il fato:

Ulisse addolorato.

GIUNONE

Per vendetta che piace

ogni prezzo è leggero.

Vada il troiano impero

anco in peggio di polvere fugace.

MINERVA

Dalle nostre vendette

nacquero in lui gli errori;

delle stragi dilette

son figli i suoi dolori.

Convien al nostro nume

il vindice salvar, placar gli sdegni

del dio de' salsi regni.

GIUNONE

Procurerò la pace,

ricercherò il riposo

d'Ulisse glorïoso.

MINERVA

Per te del sommo Giove

e sorella e consorte

s'aprono nove in ciel divine porte.

 

Scena settima

Giunone, Giove, Nettuno, Minerva, Coro di Celesti e Coro marittimo.

<- Giove, Nettuno, coro di celesti, coro marittimo

 

GIUNONE

Gran Giove, alma de' dèi, dio delle menti,  

mente dell'universo,

tu che 'l tutto governi e tutto sei,

inchina le tue grazie a' prieghi miei.

 

Ulisse troppo errò,  

troppo, ahi, troppo soffrì;

tornalo in pace un dì:

fu divin il voler che lo destò.

 

GIOVE

Per me non avrà mai  

vota preghiera Giuno,

ma placar pria conviensi

lo sdegnato Nettuno.

Odimi, o dio del mar:

fu scritto qui, dove il destin s'accoglie,

dell'eccidio troiano il fatal punto.

Or ch'al suo fine il destinato è giunto

sdegno ozioso un gentil petto invoglia.

Fu ministro del fato Ulisse il forte:

soffrì, vinse, pugnò, campion celeste.

Per lui, mentre di cenere si veste,

cittadina di Troia errò la morte.

Nettun, pace o Nettun, Nettun, perdona

il suo duolo al mortal, ch'afflitto il rese.

Ecco scrive il destin le sue difese;

non è colpa dell'uom se 'l cielo tuona.

NETTUNO

Son ben quest'onde frigide,

son ben quest'onde gelide,

ma sentono l'ardor di tua pietà.

Nei fondi algosi ed infimi

nei cupi acquosi termini

il decreto di Giove anco si sa.

Contro i feaci arditi e temerari,

mio sdegno si sfogò:

pagò il delitto pessimo

la nave che restò.

Viva felice pur,

viva Ulisse sicur!

 

CORO DI CELESTI

Giove amoroso  

fa il ciel pietoso

nel perdonar.

CORO MARITTIMO

Benché abbia il gelo,

non men del cielo

pietoso il mar.

ENTRAMBI I CORI

Prega, mortal, deh, prega,

che sdegnato e pregato un dio si piega.

 

GIOVE

Minerva or fia tua cura  

d'acquetar i tumulti

de' sollevati Achivi

che per vendetta degli estinti proci

pensano portar guerra

all'itacense terra.

 

MINERVA

Rintuzzerò quei spirti,  

smorzerò quegli ardori,

comanderò la pace,

Giove, come a te piace.

 
 

Scena ottava

Reggia.
Ericlea sola.

 Q 

Ericlea

 

 

Ericlea, che vuoi far?  

Vuoi tacer o parlar?

Se parli tu consoli,

obbedisci se taci.

Sei tenuta a servir, obbligata ad amar.

Vuoi tacer o parlar?

Ma ceda all'obbedienza la pietà;

non si dée sempre dir ciò che si sa.

 
Sinfonia
 

 

Medicar chi languisce, o che diletto!  

Ma che ingiurie e dispetto

scoprir l'altrui pensier;

bella cosa talvolta è un bel tacer.

È ferità crudele

il poter con parole

consolar chi si duole e non lo far;

ma del pentirsi alfin

assai lunge è il tacer più che 'l parlar.

Ritornello

 

Bel segreto taciuto

tosto scoprir si può;

una sol volta detto

celarlo non potrò.

Ericlea, che farai, tacerai tu?

Insomma un bel tacer mai scritto fu.

Ritornello
 

Scena nona

Penelope, Telemaco, Eumete, Ericlea.

<- Penelope, Telemaco, Eumete

 

PENELOPE

Ogni nostra ragion se n' porta il vento.  

Non ponno i nostri sogni

consolar le vigilie

dell'anima smarrita.

Le favole fan riso e non dan vita.

TELEMACO

Troppo incredula!

EUMETE

Incredula troppo!

TELEMACO

Troppo ostinata!

EUMETE

Ostinata troppo!

TELEMACO

È più che vero.

EUMETE

Di vero è più

che 'l vecchio arciero

Ulisse fu.

TELEMACO

Eccolo che se n' viene

e la sua forma tiene.

EUMETE

Ulisse egli è!

TELEMACO

Eccolo affé!

 

Scena decima

Sopraggiunge Ulisse in sua forma, e detti.

<- Ulisse

 

ULISSE

O delle mie fatiche  

meta dolce e soave,

porto caro amoroso

dove corro al riposo.

PENELOPE

Fermati, cavaliero,

incantator o mago!

Di tue finte sembianze io non m'appago.

ULISSE

Così del tuo consorte,

così dunque t'appressi

a' lungamente sospirati amplessi?

PENELOPE

Consorte io sono, ma del perduto Ulisse,

né incantesimo o magie

perturberan la fé, le voglie mie.

ULISSE

In onor de tuoi rai

l'eternità sprezzai,

volontario cangiando e stato e sorte.

Per serbarmi fedel son giunto a morte.

PENELOPE

Quel valor che ti rese

ad Ulisse simile

care mi fa le stragi

degli amanti malvagi.

Questo di tua bugia

il dolce frutto sia.

ULISSE

Quell'Ulisse son io

delle ceneri avanzo,

residuo delle morti,

degli adulteri e ladri

fiero castigator e non seguace.

PENELOPE

Non sei tu 'l primo ingegno

che con nome mentito

tentasse di trovar comando o regno.

ERICLEA

Or di parlar è tempo.

È questo Ulisse,

casta e gran donna; io lo conobbi all'ora

che nudo al bagno venne, ove scopersi

del feroce cinghiale

l'onorato segnale.

Ben ti chieggio perdon se troppo tacqui:

loquace femminil garrula lingua

per comando d'Ulisse

con fatica lo tacque e non lo disse.

PENELOPE

Credere ciò ch'è desio m'insegna amore;

serbar costante il sen comanda onore.

Dubbio pensier, che fai?

La fé negata a' prieghi

del buon custode Eumete,

di Telemaco il figlio,

alla vecchia nutrice anco si nieghi,

ché il mio pudico letto

sol d'Ulisse è ricetto.

ULISSE

Del tuo casto pensiero io so 'l costume,

so che 'l letto pudico

che tranne Ulisse solo altro non vide

ogni notte da te s'adorna e copre

con un serico drappo

di tua mano contesto, in cui si vede

col virginal suo coro

Diana effigiata.

M'accompagnò mai sempre

memoria così grata.

PENELOPE

Or sì ti riconosco, or sì ti credo,

antico possessore

del combattuto core.

Onestà mi perdoni,

dono tutto ad amor le sue ragioni.

ULISSE

Sciogli la lingua, sciogli

per allegrezza i nodi!

Un sospir, un ohimè, la voce snodi.

 

PENELOPE

Illustratevi o cieli,    

rinfioratevi o prati, aure gioite!

Gli augelletti, cantando,

i rivi mormorando or si rallegrino!

Quell'erbe verdeggianti,

quell'onde sussurranti or si consolino,

già ch'è sorta felice

dal cenere troian la mia fenice.

S

Sfondo schermo () ()

 

ULISSE

Sospirato mio sole!    

S

PENELOPE

Rinnovata mia luce!

ULISSE

Porto quieto e riposo!

PENELOPE, ULISSE

Bramato sì, ma caro.

PENELOPE

Per te gli andati affanni

a benedir imparo.

ULISSE

Non si rammenti

più de' tormenti.

Tutto è piacer.

PENELOPE

Fuggan dai petti

dogliosi affetti!

Tutto è goder!

PENELOPE E ULISSE

Del piacer, del goder venuto è 'l di.

Sì, sì, vita, sì, sì core, sì, sì!

 
 

Aggiunta al finale

Coro degli Itacesi, talvolta eseguito in teatro.
(Monteverdi, VIII libro di madrigali)

 

CORO

Pugna spesso con l'uom fortuna e sorte:  

spesso ei vede il destin di sdegno armato,

ma cede la fortuna e arride il fato

se s'arma di virtù l'uom saggio e forte.

 

Fine (Atto quinto)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto
Iro
 

O dolor, o martir che l'alma attrista!

Iro ->

Deserto.

Mercurio, ombre de' proci
 

Dell'umana tragedia è questo il fine

(qui s'apre scena infernale)

Mercurio
ombre de' proci ->

Imparate mortali

Reggia.

Melanto, Penelope
 

E quai nuovi rumori

Penelope
Melanto ->
Penelope
<- Eumete

Forza d'occulto affetto

Penelope, Eumete
<- Telemaco

È saggio Eumete, è saggio

Penelope, Eumete, Telemaco ->

Marittima.

Minerva, Giunone
 

Fiamma è l'ira, o gran dèa, foco è lo sdegno

Minerva, Giunone
<- Giove, Nettuno, coro di celesti, coro marittimo

Gran Giove, alma de' dèi, dio delle menti

Per me non avrà mai

Coro di Celesti e Coro Marittimo
Giove amoroso

Minerva or fia tua cura

Reggia.

Ericlea
 

Ericlea, che vuoi far?

Medicar chi languisce, o che diletto!

Ericlea
<- Penelope, Telemaco, Eumete

Ogni nostra ragion se n' porta il vento

Ericlea, Penelope, Telemaco, Eumete
<- Ulisse

(Ulisse in sua forma)

O delle mie fatiche

Ulisse e Penelope
Sospirato mio sole!
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Aggiunta al finale
Cielo. Reggia. Marittima. Reggia. Boscareccia. Reggia. Boscareccia. Reggia. Deserto. Reggia. Marittima. Reggia.
Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto

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