Scena prima |
Iro solo. |
Iro |
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O dolor, o martir che l'alma attrista! O mesta rimembranza di dolorosa vista! Io vidi i proci estinti; i proci furo uccisi. Ah, ch'io perdei le delizie del ventre e della gola! Chi soccorre il digiun, chi lo consola? Oh flebile parola! I proci, Iro, perdesti, i proci, i padri tuoi. Sgorga pur quante vuoi lagrime amare e meste, ché padre è chi ti ciba e chi ti veste. Chi più della tua fame satollerà le brame? Non troverai chi goda empir del vasto ventre l'affamate caverne; non troverai chi rida del ghiotto trionfar della tua gola. Chi soccorre il digiun, chi lo consola? Infausto giorno a mie ruine armato: poco dianzi mi vinse un vecchio ardito, or m'abbatte la fame, dal cibo abbandonato. L'ebbi già per nemica, l'ho distrutta, l'ho vinta; or troppo fora vederla vincitrice. Voglio uccider me stesso e non vo' mai ch'ella porti di me trionfo e gloria! Chi si toglie al nemico ha gran vittoria. Coraggioso mio core, vinci il dolore! E pria ch'alla fame nemica egli soccomba vada il mio corpo a disfamar la tomba. | Iro -> |
Scena seconda |
Deserto con Ombre de' proci, Mercurio. |
(♦) Mercurio, ombre de' proci |
[La si lascia fuori per essere malinconica.] | ||
MERCURIO |
Dell'umana tragedia è questo il fine. Regni, bellezza, amore nel transito dissolve, lo spirto vola e non riman che polve. La morte è dèa possente, abbatte ogni vivente né ria speranza giova. Chi non crede all'esempio al fin non può negar fede alla prova. Voi già proci superbi or placid'ombre, prima principi illustri, or alme oscure per man d'Ulisse il forte gran ministro del ciel estinti foste, ed or dopo goduta la vagabonda libertà di morte andrete profondati ove chi regna a incrudelir insegna. Chiaman le vostre colpe precipizi d'averno, voragini d'inferno, ch'a' perfidi e crudeli quando l'eterno danno ha il ciel prefisso s'apre così l'abisso. | |
Qui s'apre scena infernale e si profondano l'Ombre de' proci. | ombre de' proci -> | |
Mercurio segue. | ||
MERCURIO |
sono di vostri brevissimi piaceri i castighi immortali. Stolti, sin che vivete, vostri umani diletti hanno la reggia in polve. Mentre godono sol la carne, e i sensi, e poi che morti siete passa allo spirto un immortal duro cambio infelice gioir farfalla e tormentar fenice. Vostra vita è un passaggio, non ha stato e fermezza; se mai giunge bellezza tramonta allor, ch'appena mostra un saggio. Vivi cauto, o mortale, che cammina la vita e 'l tempo ha l'ale, e dove ingorda speme vivendo non s'acquieta dell'umana pazzia questa è la meta. | |
Scena terza |
Reggia. |
Melanto, Penelope |
MELANTO |
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PENELOPE |
Vedova amata, vedova regina, nuove lagrime appresto; insomma all'infelice ogni amore è funesto. | |
MELANTO |
Così all'ombra de' scettri anco pur sono malsicure le vite; vicino alle corone son le destre esecrande ancor più ardite. | |
PENELOPE |
Moriro i proci, e queste da lor chiamate stelle furon di quelle morti assistenti facelle. | |
MELANTO |
Penelope, il castigo dell'immortale fato non consigliar che con lo sdegno e l'ira, ché maestade offesa esser giusta non può se non s'adira. | |
PENELOPE |
Dell'occhio la pietate si risente all'eccesso, ma concitar il core a sdegno ed a dolor non m'è concesso. | Melanto -> |
Scena quarta |
Eumete e Penelope. |
<- Eumete |
EUMETE |
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PENELOPE |
Sei buon pastore Eumete, se persuaso credi contro quello che vedi. | |
EUMETE |
Il canuto, l'antico, il povero, il mendico che co' proci superbi coraggioso attaccò mortali risse, rallegrati regina, egli era Ulisse. | |
PENELOPE |
Credulo è il volgo e sciocco, è la tromba mendace della fama fallace. | |
EUMETE |
Ulisse io vidi, sì, Ulisse è vivo, è qui! | |
PENELOPE |
Relator importuno, consolator nocivo! | |
EUMETE |
Dico che Ulisse è qui. Lo stesso 'l vidi e 'l so. Non contenda il tuo no con il mio sì: Ulisse è vivo, è qui! | |
PENELOPE |
Io non contendo teco perché sei stolto e cieco. | |
Scena quinta |
Telemaco e detti. |
<- Telemaco |
TELEMACO |
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PENELOPE |
Troppo egli è ver che gli uomini qui in terra servon di gioco agli immortali dèi. Se ciò credi ancor tu lor gioco sei. | |
TELEMACO |
Vuole così Minerva: per ingannar con le sembianze finte gli inimici d'Ulisse. | |
PENELOPE |
Se d'ingannar gli dèi prendon diletto chi far fede mi puote che non sia mio l'inganno, se fu mio tutto il danno? | |
TELEMACO |
Protettrice de' Greci è, come sai Minerva, e più che gli altri Ulisse a lei fu caro. | |
PENELOPE |
Non han tanto pensiero gli dèi lassù nel cielo delle cose mortali. Lasciano ch'arda il foco e agghiacci il gelo, figlian le cause lor piaceri e mali. | |
TELEMACO |
Togliti in pace il nero. | |
EUMETE |
Io lo dirò, ti seguirò. | Penelope, Eumete, Telemaco -> |
Scena sesta |
Marittima. |
Minerva, Giunone |
MINERVA |
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GIUNONE |
Per vendetta che piace ogni prezzo è leggero. Vada il troiano impero anco in peggio di polvere fugace. | |
MINERVA |
Dalle nostre vendette nacquero in lui gli errori; delle stragi dilette son figli i suoi dolori. Convien al nostro nume il vindice salvar, placar gli sdegni del dio de' salsi regni. | |
GIUNONE |
Procurerò la pace, ricercherò il riposo d'Ulisse glorïoso. | |
MINERVA |
Per te del sommo Giove e sorella e consorte s'aprono nove in ciel divine porte. | |
Scena settima |
Giunone, Giove, Nettuno, Minerva, Coro di Celesti e Coro marittimo. |
<- Giove, Nettuno, coro di celesti, coro marittimo |
GIUNONE |
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GIOVE |
vota preghiera Giuno, ma placar pria conviensi lo sdegnato Nettuno. Odimi, o dio del mar: fu scritto qui, dove il destin s'accoglie, dell'eccidio troiano il fatal punto. Or ch'al suo fine il destinato è giunto sdegno ozioso un gentil petto invoglia. Fu ministro del fato Ulisse il forte: soffrì, vinse, pugnò, campion celeste. Per lui, mentre di cenere si veste, cittadina di Troia errò la morte. Nettun, pace o Nettun, Nettun, perdona il suo duolo al mortal, ch'afflitto il rese. Ecco scrive il destin le sue difese; non è colpa dell'uom se 'l cielo tuona. | |
NETTUNO |
Son ben quest'onde frigide, son ben quest'onde gelide, ma sentono l'ardor di tua pietà. Nei fondi algosi ed infimi nei cupi acquosi termini il decreto di Giove anco si sa. Contro i feaci arditi e temerari, mio sdegno si sfogò: pagò il delitto pessimo la nave che restò. Viva felice pur, viva Ulisse sicur! | |
CORO DI CELESTI |
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CORO MARITTIMO |
Benché abbia il gelo, non men del cielo pietoso il mar. | |
ENTRAMBI I CORI |
Prega, mortal, deh, prega, che sdegnato e pregato un dio si piega. | |
GIOVE |
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MINERVA | ||
Scena ottava |
Reggia. |
Ericlea |
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Sinfonia | ||
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Ritornello | ||
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Bel segreto taciuto tosto scoprir si può; una sol volta detto celarlo non potrò. Ericlea, che farai, tacerai tu? Insomma un bel tacer mai scritto fu. | |
Ritornello | ||
Scena nona |
Penelope, Telemaco, Eumete, Ericlea. |
<- Penelope, Telemaco, Eumete |
PENELOPE |
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TELEMACO |
Troppo incredula! | |
EUMETE |
Incredula troppo! | |
TELEMACO |
Troppo ostinata! | |
EUMETE |
Ostinata troppo! | |
TELEMACO |
È più che vero. | |
EUMETE |
Di vero è più che 'l vecchio arciero Ulisse fu. | |
TELEMACO |
Eccolo che se n' viene e la sua forma tiene. | |
EUMETE |
Ulisse egli è! | |
TELEMACO |
Eccolo affé! | |
Scena decima |
Sopraggiunge Ulisse in sua forma, e detti. |
<- Ulisse |
ULISSE |
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PENELOPE |
Fermati, cavaliero, incantator o mago! Di tue finte sembianze io non m'appago. | |
ULISSE |
Così del tuo consorte, così dunque t'appressi a' lungamente sospirati amplessi? | |
PENELOPE |
Consorte io sono, ma del perduto Ulisse, né incantesimo o magie perturberan la fé, le voglie mie. | |
ULISSE |
In onor de tuoi rai l'eternità sprezzai, volontario cangiando e stato e sorte. Per serbarmi fedel son giunto a morte. | |
PENELOPE |
Quel valor che ti rese ad Ulisse simile care mi fa le stragi degli amanti malvagi. Questo di tua bugia il dolce frutto sia. | |
ULISSE |
Quell'Ulisse son io delle ceneri avanzo, residuo delle morti, degli adulteri e ladri fiero castigator e non seguace. | |
PENELOPE |
Non sei tu 'l primo ingegno che con nome mentito tentasse di trovar comando o regno. | |
ERICLEA |
Or di parlar è tempo. È questo Ulisse, casta e gran donna; io lo conobbi all'ora che nudo al bagno venne, ove scopersi del feroce cinghiale l'onorato segnale. Ben ti chieggio perdon se troppo tacqui: loquace femminil garrula lingua per comando d'Ulisse con fatica lo tacque e non lo disse. | |
PENELOPE |
Credere ciò ch'è desio m'insegna amore; serbar costante il sen comanda onore. Dubbio pensier, che fai? La fé negata a' prieghi del buon custode Eumete, di Telemaco il figlio, alla vecchia nutrice anco si nieghi, ché il mio pudico letto sol d'Ulisse è ricetto. | |
ULISSE |
Del tuo casto pensiero io so 'l costume, so che 'l letto pudico che tranne Ulisse solo altro non vide ogni notte da te s'adorna e copre con un serico drappo di tua mano contesto, in cui si vede col virginal suo coro Diana effigiata. M'accompagnò mai sempre memoria così grata. | |
PENELOPE |
Or sì ti riconosco, or sì ti credo, antico possessore del combattuto core. Onestà mi perdoni, dono tutto ad amor le sue ragioni. | |
ULISSE |
Sciogli la lingua, sciogli per allegrezza i nodi! Un sospir, un ohimè, la voce snodi. | |
PENELOPE | ||
ULISSE |
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PENELOPE |
Rinnovata mia luce! | |
ULISSE |
Porto quieto e riposo! | |
PENELOPE, ULISSE |
Bramato sì, ma caro. | |
PENELOPE |
Per te gli andati affanni a benedir imparo. | |
ULISSE |
Non si rammenti più de' tormenti. Tutto è piacer. | |
PENELOPE |
Fuggan dai petti dogliosi affetti! Tutto è goder! | |
PENELOPE E ULISSE |
Del piacer, del goder venuto è 'l di. Sì, sì, vita, sì, sì core, sì, sì! | |
Aggiunta al finale |
Coro degli Itacesi, talvolta eseguito in teatro. |
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CORO |
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O dolor, o martir che l'alma attrista!
Deserto.
Dell'umana tragedia è questo il fine
(qui s'apre scena infernale)
Reggia.
Marittima.
Fiamma è l'ira, o gran dèa, foco è lo sdegno
Gran Giove, alma de' dèi, dio delle menti
Reggia.
Medicar chi languisce, o che diletto!
Ogni nostra ragion se n' porta il vento
(Ulisse in sua forma)