Prendendo a svolgere in forma di melodramma I promessi sposi di A. Manzoni, non credo essermi affidato ad una ipotesi troppo ardita supponendo che tutti quanti gli spettatori recheranno in teatro la piena conoscenza del romanzo. Questa convinzione mi ha dato coraggio e mi ha, in certa guisa, appianata la via. Il pubblico (mi son detto) riempirà co' le proprie reminiscenze le inevitabili lacune del melodramma, e sulle poche scene, sui pochi quadri che io gli andrò esponendo, ricostruirà tutto intero il romanzo. Ho dunque curato, nei tratti che mi fu dato riprodurre, di attenermi fedelmente all'originale; ho fatto quanto era da me acciò le situazioni e i personaggi non apparissero falsati. Qualche volta ho copiato quasi testualmente; e sempre, poi, mi sono studiato di imitare, fin dove i versi lo consentono, quella naturalezza e semplicità di linguaggio, di che il Manzoni è maestro insuperabile. Ragioni ed esigenze che facilmente si indovineranno da chi abbia pratica di teatro, mi imposero di lasciare nella penombra la interessante figura del cardinale Federico Borromeo e di omettere il sublime dialogo della conversione. Quell'episodio, che in ogni modo doveva far parte del melodramma, io fui costretto, per non ingrossare l'elenco già soverchio dei personaggi, a rappresentarlo nelle sue conseguenze e quasi di riflesso. A mio vedere, il cardinale Federigo non poteva figurare in un libretto d'opera se non a patto di essere una parte primaria o una muta apparizione.
A. Ghislanzoni