Atto secondo

 

Scena prima

Porto di mare.
Filaura, Aurindo.

Bozzetti

 Q 

<- Filaura, Aurindo

 

FILAURA

Tu sei pur importun.  

AURINDO

Tu sei pur cruda.

FILAURA

Farò darmi un bollore.

AURINDO

E nemica d'amore,

e di pietade ignuda.

FILAURA

Ignuda? Oh se una volta

tu m'avessi veduta,

io ti sarei, piaciuta,

adesso più che gl'anni

le fatiche, e gl'affanni

m'hanno fatto invecchiare.

AURINDO

Dimmi in grazia.

FILAURA

Che brami?

AURINDO

Ennone bella

sa pur quanto, ch'io l'ami?

FILAURA

E pur sempre sei lì;

già t'ho detto di sì;

che pretendi perciò?

AURINDO

D'esserne corrisposto.

FILAURA

Sai pur, ch'è preso il posto?

AURINDO

Io già lo so.

FILAURA

Ma se dunque lo sai,

perché in tanta mal'ora

non dismetti il pensier de' fatti suoi?

AURINDO

Non posso.

FILAURA

E se non puoi,

che vi posso far io?

AURINDO

Narra all'idolo mio

il mio stato infelice, e lacrimevole;

FILAURA

Oh tu sei pur stucchevole;

orsù farò il piacere;

ma tu fammene un altro.

AURINDO

Di quanto è in mio potere

promettetti di me.

FILAURA

Vattene via di qua,

ch'ho da far non so che; tu m'impedisci

AURINDO

Voglio ubbidirti.

FILAURA

Va';

non trattenerti più.

AURINDO

Già son partito.

Aurindo ->

 

FILAURA

Vattene ben discosto,  

e pur al fin questo tafan d'agosto

m'ho levato d'intorno,

che sempre mi molesta, e notte, e giorno,

or voglio rinvenire

quel, che dica la gente,

s'è ver, che per partire,

come Ennone presente

il suo Paride sia;

o fiera gelosia

come co' suoi tormenti

avvelena d'amor tutti i contenti!

 

Io che appresi da un gran saggio  

a non darle mai ricetto

nel mio petto

benché fosse di passaggio;

sotto pena della vita

l'ho sbandita,

perché piacemi in amare

il goder, non il penare.

A goder senza fastidi

co' miei vaghi sempre attesi;

e se intesi,

che mi fosser poco fidi,

io non volli disperarmi,

né sdegnarmi,

ma cercai con modi scaltri

provvedermene degl'altri.

Però donne vi consiglio,

che a quest'empia gelosia,

pesteria

intimiate omai l'esiglio;

se infedele, ed incostante

v'è un amante,

per passarvi ogni martello

voi trovatene un più bello.

 

Scena seconda

Momo, Filaura.

<- Momo

 

MOMO

Così far doverà  

Ennone ancor.

FILAURA

Perché?

MOMO

Già mancata la fé Paride l'ha?

FILAURA

Che dici?

MOMO

In questo giorno

a Sparta ei s'incammina,

per far d'Elena bella

amorosa rapina.

FILAURA

Ed è pur vero?

MOMO

Se qui tu fermi il piede,

vedrai presto l'infido

sciorr'il legno, e la fede

da quest'istesso lido

FILAURA

Oh dio, che sento?

Parto per non vedere

un sì gran tradimento.

Filaura ->

 

MOMO

Questi vaghi giovinetti  

zerbinetti

per avere i loro intenti

con scongiuri

con spergiuri

fan promesse, e giuramenti;

ma contenti

come son,

dan nel ballo del pianton.

Fanno pria li spasimati,

poi svogliati

mutan gusto, e cangian stile,

come un fiore

e l'amore,

o capriccio giovanile,

nell'aprile

dell'età

presto viene, e presto va;

ma Paride qua giunge

per andarsene via,

non voglio, che mi veda,

acciò, che non s'avveda,

ch'io gl'ho fatta la spia.

(si ritira)

 

Scena terza

Paride solo.

<- Paride

 

O del ben, che acquisterò    

cara, e bella amata idea,

se tua vista oggi mi bea

e che fia quando l'avrò?

Se contemplo tal beltà,

se ne parlo, o se vi penso,

tal piacer m'inebria il senso,

il goderla, e che sarà?

Passiam pur, passiamo il mar,

non si teman flutti, o venti,

che nel porto dei contenti

ho ben presto d'arrivar.

S

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Scena quarta

Ennone, Filaura, Paride.

<- Ennone, Filaura

 

ENNONE

Che nel porto dei contenti  

hai ben presto d'arrivar?

PARIDE

Che veggio? Ennone è qui?

Fingi mio cor; sì, sì,

che ritrovar io spero

amoroso nocchiero

dalle tue luci scorto

entro al tuo sen delle mie gioie il porto.

ENNONE

Ah Paride, ben credo,

o a creder mi lusinga

il mio semplice amore,

che d'essermi signore

forse un tempo godessi;

ma poi, che furo impressi

nel tuo tenero core altri sembianti

da bellezze celesti,

temo, ch'Ennone, ahimè,

scancellata ne resti, e più non fia

qual era già il mio seno

un tempo a te sì caro,

e che il sol rammentarti

delle dolcezze tue, ti sembri amaro.

PARIDE

Onde sì gran querele?

ENNONE

Dal sentir, che t'appresti idolo mio,

senza pur dirmi addio,

a far da me partita.

PARIDE

Partir dalla mia vita?

ENNONE

Anzi si dice,

che tu sia per andare

corseggiando per mare.

PARIDE

Io corsaro? E di che?

FILAURA

Di certa mercanzia,

che da quei, che non l'ha, si brama e chiede;

ma quei, che la possiede,

più conto non ne tiene,

come Paride fa,

che per altra beltà

abbandona colei, ch'era il suo bene.

PARIDE

Io lasciarla? E per chi?

FILAURA

Per altra donna.

ENNONE

Per la bella di Sparta

fortunata regina.

PARIDE

Paride non s'inchina ad altro scettro,

ch'a quello del tuo amore,

e chi dice altrimente

io sosterrò, che mente.

FILAURA

Con le buone,

che non vogliam questione.

PARIDE

E chi presume

di renderti sospetto

il mio sincero affetto?

Chi diede quest'avviso?

ENNONE

Filaura.

PARIDE

Onde l'avesti?

FILAURA

Da un cert'uomo sì fatto,

ch'è vestito da matto.

PARIDE

Ed ai matti si crede?

FILAURA

Par che meritin fede,

sentendo dir da tutti,

che l'indovinan sempre, e pazzi, e putti;

e questi io t'assicuro,

che discorre sul saldo.

PARIDE

O menzognero.

FILAURA

Può star, che sia ribaldo;

ma professa però di dire il vero.

PARIDE

O spirito perverso,

di calunnie, e di frodi

scellerato architetto.

ENNONE

Dunque è vano il sospetto,

ch'io di perderti avea?

PARIDE

Vanissimo, o mia dèa;

e come dar si può,

ch'io ti lasci giammai? Questo poi no;

prima del sole i rai

di tenebroso velo

saran coperti, ed oscurato il cielo,

che si macchi il candore

della mia pura fede,

un maligno impostore è chi lo dice,

semplice chi lo crede.

 

ENNONE

O me infelice.  

ENNONE

Sol di Paride son io.

Sì mia vita, sì cor mio.

Insieme

PARIDE

Solo d'Ennone son io.

Sì mia vita, sì cor mio.

 

PARIDE

Vivi lieta, o mia diletta,

né sospetta

ti si renda la mia fede,

quei, che all'ombre presta fede,

mai non gode gioia vera;

la chimera

tu sai bene;

che d'inferno è tra le pene.

ENNONE

Lunge pur, lunge si stia

gelosia,

che alla fin non è che un'ombra,

già se n' fugge, già si sgombra

ogni nube dal mio seno,

già sereno

fa ritorno

di mie gioie il chiaro giorno.

ENNONE

Sol di Paride son io.

Sì mia vita, sì cor mio.

Insieme

PARIDE

Solo d'Ennone son io.

Sì mia vita, sì cor mio.

Ennone, Paride ->

 

FILAURA

O ben, così mi piace,  

ch'ogni rissa d'amor termini in pace.

Filaura ->

 

Scena quinta

Momo solo.

 

 

Io malvagio? Io maligno?  

Scellerato? Impostore?

Per aver detto il vero?

E Paride, ch'è un furbo, un traditore,

si stima un uom sincero?

 

Il mondo così va;  

quei, che meglio la sa

dar ad intendere,

può per oro più fino il piombo spendere.

O Giove, che fai tu?

Degl'affari di quaggiù

sei poco pratico,

o perdut'hai il cervello, o sei lunatico.

Tu stimi, che costui

sia più giusto d'ogn'altri,

ed arbitro lo rendi

fin degl'istessi dèi;

poco pratico sei.

Ed ecco, che corrotto

da prezzo infame la giustizia vende,

e te, che l'eleggesti,

e le dive celesti oltraggia e offende;

tradisce chi l'adora,

e per sfogar sue voglie,

vuol rubar ad un re l'istessa moglie;

così quest'uom sì giusto,

ecco ch'oggi si scopre

adultero, infedel, ladrone, e ingiusto;

se queste sono l'opre,

ch'ei sa fare in un giorno,

in progresso dell'anno

quante più belle da sentir se n'hanno!

Momo ->

 
 

Scena sesta

Bocca d'inferno.
S'apre la terra, dalla quale, sorgendo una grandissima, e mostruosa testa, che occupa tutta la scena, spalanca le fauci in una vasta voragine, in cui si vede il fiume infernale, con Caronte in barca alla riva, ed in lontananza la città di Dite tutta cinta di fiamme.

Bozzetti

 Q 

<- Caronte

 

CARONTE

E così  

sfaccendato

tutto il dì?

Vagabondo, ed ozioso

a riposo

devo star?

Non ho pure un sol denar

in tutt'oggi guadagnato;

e così

sfaccendato tutto il dì?

E starà

sempre in pace

quest'età?

Nessun capita al mio lito,

è fallito

il mestier,

e per dire il mio pensier,

seguitarlo non mi piace;

e starà

sempre in pace

quest'età?

 

 

Ecco una bella schiera,  

Aletto con Tesifone, e Megera;

e che vogliono qua

le tre grazie d'Averno?

 

Scena settima

Aletto, Tesifone, Megera, con fasci in mano. Caronte.

<- Aletto, Tesifone, Megera

 

MEGERA

Olà Caronte, olà  

vieni a passar.

CARONTE

Passate

sopra quest'acque a volo.

TESIFONE

Vogliam passar in barca.

CARONTE

Perché non pagan nolo

mi daranno da fare,

se non fossero franche

traghetterian per aria.

ALETTO

Olà spedisci.

MEGERA

E che non la finisci?

TESIFONE

E che si aspetta?

CARONTE

Piano, non tanta fretta

quando si passa a scrocco.

ALETTO

Temerario, arrogante.

MEGERA

Indiscreto, furfante.

TESIFONE

Basta sia barcaiolo.

CARONTE

Che forse non è vero?

Mentre un obolo solo

da tutte voi non spero,

né mai sperar lo posso.

ALETTO

E che sì, che quel Remo

or or ti rompo addosso?

CARONTE

Questi son i guadagni di Caronte

che sempre dalle furie

vien pagato d'ingiurie, oltraggi, ed onte.

ALETTO

Pur venisti una volta.

CARONTE

Scusatemi o signore,

io certo non credei,

che offender vi dovesse il far menzione

de' vostri privilegi,

che son diritti, e pregi

di chi serve a Plutone;

ma quel ch'è stato, è stato;

dev'essere scusato

questo semplice errore.

MEGERA

Io lo condono.

ALETTO

Ti scuso.

TESIFONE

Ti perdono.

CARONTE

Io vi son servitore;

ma ditemi per grazia,

(se però domandar vi si può)

ove sì frettolose

incamminate siete?

Che negozio importante è quel, che avete?

ALETTO

Orsù, che del passaggio

la mancia vogliam darti

con la miglior novella,

che potesse arrivarti.

TESIFONE

La Discordia ha già posto

tutto il cielo in scompiglio,

e noi per suo consiglio in terra andiamo

con le faci infernali

per accenderle in sen fiamme mortali.

CARONTE

Una gran nova è questa,

or sì sperar poss'io

di far il fatto mio.

TESIFONE

Contento resta,

che in breve passerai

l'innumerabil turba degl'estinti

e vincitori, e vinti.

MEGERA

E noi non più tardiamo.

Ad accender gl'ardori

de' bellici furori.

ALETTO, TESIFONE E MEGERA

Andiam, voliamo.

(volano via dalla bocca dell'inferno)

Aletto, Tesifone, Megera ->

 

CARONTE

Sta pur lieto Caronte,  

che s'ha da guadagnar,

se ti vedrai sudar

spesso la fronte;

consolerà tua pena

il ritrovarti una gran borsa piena.

Alla scola di Marte

corra pur ogn'età,

che per noi sol si fa

così bell'arte;

poiché serve la guerra

a empir l'inferno, e spopolar la terra.

 
La bocca d'inferno si racchiude, e riconcentrandosi nelle viscere della terra, si vede di nuovo la scena antecedente di porto di mare con un vascello alla vela per Paride.

Caronte ->

 
 

Scena ottava

Porto di mare.
Paride, coro di suoi Servi.

 Q 

<- Paride, servi

 

PARIDE

Su presti  

s'appresti

quel legno sul mare,

che in breve

mi deve

a Sparta portare.

Il fato

beato

e pur mi destina

d'avere,

godere

bellezza divina.

Già pronte

la fronte

inclinano l'onde,

già sento

del vento

le piume seconde.

L'abete

sciogliete

su dunque, o miei fidi,

andiamo,

lasciamo

omai questi lidi.

Paride, servi ->

 

Scena nona

Venere, Amore sopra un carro in aria.

<- Venere, Amore

 

VENERE

Ecco Paride il giusto,  

che a Sparta s'incammina

per l'acquisto bramato

della bella regina, a te s'aspetta

d'accenderle nel core

delle tue faci il più possente ardore,

onde in breve si veda

questa vaga beltà fatta sua preda.

AMORE

Vada pur Paride, vada,

faccia pur ogni sua parte,

per averla, ei, che sa l'arte,

può trovar la vera strada.

VENERE

Per lui o caro figlio

d'impiegarti oggi mi neghi?

AMORE

Non occorre ch'io m'impieghi,

già gl'ho dato il mio consiglio;

sull'età, che più s'apprezza

egli è bello, e ricco, e grande,

se la prega, e spende, e spande,

otterrà sì gran bellezza.

Con maniere così accorte

una donna tanto amata

ogni dì sollecitata

è impossibil che stia forte.

VENERE

Già purtroppo m'è noto,

che per domar l'orgoglio

d'ostinato rigor queste son l'armi;

ma perché grata io voglio

a Paride mostrarmi,

vattene pure a Sparta, e fa' che almeno

ei creda opra d'Amore

l'accendersi nel seno

d'Elena bella l'amoroso ardore.

 

AMORE

Anderò,  

spaccerò

per fattura

del mio foco

quell'arsura,

che tra poco

sorgerà

sì luminosa,

e sarà tanto famosa,

ch'oggidì

fa così

qualche ingegno de' più scaltri,

nello spacciar per sue l'opre degl'altri.

(parte Amore da solo)

Amore ->

 

VENERE

Ah quanto è vero,  

che il nudo arciero

forza non ha;

il nostro core

ogni vigore

solo gli dà.

L'accesa face,

per cui si sface

misero sen,

è sol del senso

l'ardore intenso,

ch'è senza fren.

Quegli aurei lacci

gravosi impacci

di servitù,

non altro sono,

che d'aureo dono

l'alte virtù.

Venere ->

 
 

Scena decima

Piazza d'armi.
Cecrope, Adrasto, coro di Soldati.

Bozzetti

 Q 

Cecrope, Adrasto, soldati

 

CECROPE

Se gli spirti guerrieri  

dagli studi più fieri

per gran tempo ritolti,

d'un'oziosa pace

nel letargo sinor giacquer sepolti;

è ben tempo, che desti

dai comandi celesti

della saggia diva

ne' suoi nemici debellati, e vinti

facciano altrui vedere,

ch'eran sopiti sì, ma non estinti.

 

Pugneremo,  

vinceremo

sì miei fidi, sì miei forti,

ne' travagli quali siete,

mi sarete

ne' trionfi anche consorti.

 

CORO DI SOLDATI

Mentre scorti

noi sarem dal tuo valore,

del trionfo avrem l'onore.

 

Scena undicesima

Cecrope, Pallade sopra un carro per aria, Adrasto, coro di Soldati.

<- Pallade

 

CECROPE

Ma verso me se n' viene  

la bella dèa d'Atene?

E che onor io ricevo

adorato mio nume? Ah quanto devo

alla tua gran bontà

ch'oggi degno mi fa

di poterti servire,

vedi dove t'aggrada,

che s'impieghi mia spada.

 

PALLADE

O mio caro io sono offesa;    

troppo è lesa

mia divina maestà,

ad un nume non può già

farsi ingiuria la maggiore,

del mio onore

devi prender la difesa;

o mio caro io sono offesa.

L'aureo pomo ad altri è dato,

terminato

così resta, e tolto a me,

e da Paride si diè

la sentenza così rea,

ch'è l'idea

d'un ingiusto giudicato;

l'aureo pomo ad altri è dato.

Troppo è grave un tale affronto;

vanne pronto

quest'iniquo a castigar,

arma pure in terra, e in mar,

togli a lui la vita, e 'l regno,

che ben degno

dell'oltraggio sia lo sconto;

troppo è grave un tal affronto.

S

Sfondo schermo () ()

 

CECROPE

I miei guerrier, che sparti  

eran per varie parti,

a tuoi cenni ho raccolti,

che ingombran, come vedi,

e piani, e monti, e valli, ecco di nuovo

che s'armano di fanti, e di cavalli

numerose falangi;

onde a guisa d'un fiume

impetuoso, e vasto

poss'io qual altro Xerse

senza trovar contrasto

inondar le campagne;

Paride ovunque sia ben troverò,

non scamperà no, no, per opra mia

con lui, con la sua stirpe, il vasto regno

dell'assaraco sangue

cadrà vittima esangue al tuo gran sdegno.

PALLADE

Tanto spero in quest'armi. Io torno al cielo;

tu vanne a vendicarmi.

CECROPE

In breve aspetta

degna di sì gran torto aspra vendetta.

Pallade ->

 

 

Su squadre mie liete  

dell'Asia al gran regno,

che oggetto più degno

sperar non potete.

Ha d'Ilio la fede

gran gemme, e grand'ori,

sì ricchi tesori

saran vostre prede.

ADRASTO

Ad Ilio su su,

ad Ilio si vada,

non può nostra spada

bramare di più,

ad Ilio su su.

CORO DI SOLDATI

Su dunque all'impresa,

quegl'ori, e quegl'ostri

acquisti sien nostri,

e non sua difesa;

su dunque all'impresa.

Adrasto, soldati ->

 

Scena dodicesima

Cecrope, Alceste sua sposa.

<- Alceste

 

ALCESTE

Dove, dove o mio sposo?  

CECROPE

Ove m'impone

il comando celeste.

ALCESTE

E la tua fida Alceste

tra solitarie piume

abbandonar vorrai? Così mio nume

ricompensi la fé di chi t'adora?

CECROPE

Breve fia la dimora.

ALCESTE

Ah che per me

d'amorosi tormenti

sono secoli ahimè,

della tua lontananza anche i momenti,

ma dimmi, ed in qual parte

esporti devi, oh dio

d'un sanguinoso Marte ai dubbi eventi?

CECROPE

Per vendicar l'offese

del mio nume sdegnato,

contro il sangue reale

del superbo Ilion mi sono armato.

ALCESTE

Contro sì gran nemico, e sì possente

d'oro, d'armi, e di gente?

CECROPE

Da Pallade assistito

non ho di che temer.

ALCESTE

Temo ben io,

perché sempre d'amore

è seguace il timore; ah sposo mio,

se il ciel non mi permette

il poterti impedire

sì periglioso incontro,

il poterti seguire

mi si conceda almeno,

per farti del mio seno,

di questo seno ignudo

un usbergo animato, un vivo scudo.

 

CECROPE

Cari affetti.  

ALCESTE

Puri affetti.

CECROPE E ALCESTE

Della fede che n'avvinse.

Di quel nodo,

per cui godo,

il più saldo Amor non strinse.

 

ALCESTE

Dunque se a te congiunta  

per sempre Amor mi rese,

nelle belliche imprese

non devo esser da te giammai disgiunta.

CECROPE

Divider non ci può nemmen la morte,

sempre teco sarà l'anima mia.

 

ALCESTE

E questa ad ogn'ora    

pur segueti ancora

mio sposo, mio re;

ma so, che bastante

a un'anima amante

ristoro non è.

Seguirti col piè

deh non mi si nieghi;

ecco il cor te ne invia per gl'occhi i prieghi.

S

CECROPE

Care stelle,

luci belle

di mia vita astri fatali

ai vitali

vostri rai tranquille, e liete

deh rendete

il bel sereno,

che dolenti,

e piangenti

se vi miro, io vengo meno.

ALCESTE

O teneri sensi,

ma senza pietà,

che troppo sostiensi

la tua ferità,

se non mi concede

che al par del mio cor, ti segua il piede.

 

CECROPE

A chi dell'alma mia l'impero tiene  

il contraddir non lice.

 

ALCESTE

Ti seguo?

CECROPE

Sì mio bene.

ALCESTE

O me felice.

CECROPE

Cari affetti.

ALCESTE

Puri affetti.

CECROPE

Della fede che n'avvinse.

Di quel nodo,

per cui godo,

il più saldo Amor non strinse.

Cecrope, Alceste ->

 
 

Scena tredicesima

Palude tritonia.
Due Padrini con due squadriglie di Donzelle armate a guisa di amazzoni.

Bozzetti

 Q 

due padrini, due squadriglie di donzelle

 

PADRINO Iº

D'ogni altra più fastosa,  

e più chiara, e nobil riva,

ch'all'invitta nostra diva

diè l'origine famosa.

PADRINO IIº

Ceda il mar per tal ventura,

ceda pur, ceda a quest'acque,

che se là Venere impura,

qui la dèa più casta nacque.

PADRINO Iº E PADRINO IIº

Or voi donzelle

non men, che belle

pudiche, e caste,

che a festeggiare

con dolci gare

oggi n'armaste,

di scudi, e d'aste

in sì bel loco,

con lieto gioco

e marziale

celebrate di Palla il gran natale.

 
Segue l'armeggiamento delle Donzelle conforme erano solite di fare nel giorno natalizio di Pallade.
 

Scena quattordicesima

S'apre una nuvola, dentro la quale si vede Pallade armata.
Li 2 Padrini con le Squadriglie.

<- Pallade

 

PALLADE

Non più pugne giocose, altri contrasti,  

altri assalti, altre guerre oggi vogl'io;

vilipeso, oltraggiato è il nume mio

da un iniquo mortal, tanto vi basti.

Contro l'empio fellone a vendicarmi

le sue forze raccoglie il re d'Atene,

quei, che di mio devoto il nome tiene,

unito seco a mia difesa s'armi.

 
(si racchiude la nuvola)

Pallade ->

 

PADRINO Iº

Un uomo sì ardito  

d'offender un nume?

PADRINO IIº

Non vada impunito

chi tanto presume.

PADRINO Iº E PADRINO IIº

Su dunque a noi s'aspetta

il far di tanti oltraggi aspra vendetta.

due padrini, due squadriglie di donzelle ->

 

Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

Porto di mare.

<- Filaura, Aurindo

Tu sei pur importun / Tu sei pur cruda

Filaura
Aurindo ->

Vattene ben discosto

Filaura
<- Momo

Così far doverà

Momo
Filaura ->

(Momo si ritira)

Momo
<- Paride
Momo, Paride
<- Ennone, Filaura

Che nel porto dei contenti

Ennone e Paride
O me infelice
Momo, Filaura
Ennone, Paride ->

O ben, così mi piace

Momo
Filaura ->

(Momo si avanza)

Io malvagio? Io maligno?

Momo ->

Bocca d'inferno.

(s'apre la terra, dalla quale sorge una mostruosa testa, che occupa tutta la scena, spalanca le fauci in una vasta voragine, in cui si vede il fiume infernale, con Caronte in barca alla riva, ed in lontananza la città di Dite tutta cinta di fiamme.)

<- Caronte

Ecco una bella schiera

Caronte
<- Aletto, Tesifone, Megera

Olà Caronte, olà

(Aletto, Tesifone e Megera volano via)

Caronte
Aletto, Tesifone, Megera ->

(la bocca d'inferno si racchiude, e si riconcentra nelle viscere della terra)

Caronte ->

Porto di mare con un vascello alla vela.

<- Paride, servi
Paride, servi ->

(Venere e Amore sopra un carro in aria)

<- Venere, Amore

Ecco Paride il giusto

Venere
Amore ->
Venere ->

Piazza d'armi.

Cecrope, Adrasto, soldati
 

Se gli spirti guerrieri

(Pallade sopra un carro per aria)

Cecrope, Adrasto, soldati
<- Pallade

Ma verso me se n' viene

I miei guerrier, che sparti

Cecrope, Adrasto, soldati
Pallade ->
Cecrope, Adrasto, Coro
Su squadre mie liete
Cecrope
Adrasto, soldati ->
Cecrope
<- Alceste

Dove, dove o mio sposo? / Ove m'impone

Cecrope e Alceste
Cari affetti

Dunque se a te congiunta

Alceste e Cecrope
E questa ad ogn'ora

A chi dell'alma mia l'impero tiene

 
Cecrope, Alceste ->

Palude tritonia.

due padrini, due squadriglie di donzelle
 

(Segue l'armeggiamento di donzelle conforme erano solite di fare nel giorno natalizio di Pallade.)

(s'apre una nuvola, dentro la quale si vede Pallade)

due padrini, due squadriglie di donzelle
<- Pallade

Non più pugne giocose, altri contrasti

(si racchiude la nuvola)

due padrini, due squadriglie di donzelle
Pallade ->
due padrini, due squadriglie di donzelle ->
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima
Teatro della Gloria austriaca, in cui si vedono dipinte, e scolpite l'imprese sue intrecciate con vari... Reggia di Plutone. Reggia di Giove con convito. Selva d'Ida. Cortile del palazzo di Paride. Giardino del piacere. Porto di mare. Bocca d'inferno. Porto di mare con un vascello alla vela. Piazza d'armi. Palude tritonia. Caverna d'Eolo. Valle col fiume Xanto. Arsenale di Marte. Mare. Antiteatro. Cedrara. Tempio di Pallade in Atene. Aerea con la via lattea, e sopra la sfera del foco. Atrio del palazzo di Venere. Fortezza di Marte. Villa deliziosa di Paride. Piazza del castello di Marte col suo palazzo nel prospetto e nel mezzo una torre isolata Si cangia la scena inferiore in una gran piazza di ricchi e superbi edifici col mare nel prospetto
Prologo Atto primo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

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