IL POMO D'ORO
Festa teatrale.
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Libretto di Francesco SBARRA.
Musica di Antonio CESTI.
Prima esecuzione: 12 luglio 1668, Vienna.
Interlocutori:
La GLORIA AUSTRIACA |
soprano |
AMORE |
soprano |
HIMENEO |
contralto |
L' IMPERIO |
basso |
La monarchia di SPAGNA |
soprano |
L' AMERICA |
tenore |
Il regno d' UNGHERIA |
tenore |
Il regno di BOEMIA |
contralto |
Lo STATO PATRIMONIALE di Germania |
basso |
L' ITALIA |
contralto |
La SARDEGNA |
soprano |
GIOVE |
basso |
GIUNONE |
soprano |
PALLADE |
soprano |
VENERE |
soprano |
APOLLO |
contralto |
NETTUNO |
basso |
MARTE |
tenore |
BACCO |
basso |
MERCURIO |
contralto |
EBE |
soprano |
MOMO |
basso |
GANIMEDE |
contralto |
EOLO |
tenore |
ZEFFIRO |
soprano |
AUSTRO |
tenore |
EURO |
tenore |
VOLTURNO |
contralto |
Elemento del FOCO |
contralto |
Una delle tre grazie AGLAIE |
soprano |
Una delle tre grazie EUFROSINE |
soprano |
Una delle tre grazie PASITHEA |
contralto |
PLUTONE |
basso |
PROSERPINA |
soprano |
La DISCORDIA |
soprano |
CARONTE |
basso |
Una delle tre furie TESIFONE |
soprano |
Una delle tre furie ALETTO |
soprano |
Una delle tre furie MEGERA |
contralto |
SACERDOTE di Pallade |
basso |
PARIDE figlio del re di Troia |
tenore |
ENNONE amante riamata di Paride |
soprano |
FILAURA sua nutrice |
tenore |
AURINDO pastore innamorato d'Ennone |
contralto |
CECROPE re d'Atene |
basso |
ADRASTO suo tenente generale |
contralto |
ALCESTE sposa di Cecrope |
contralto |
Cori:
di Deità, di Soldati ateniesi, di Servi di Paride, di Ministri del tempio di Pallade.
Comparse:
di Belidi con Proserpina, di Spiriti e Mostri infernali con Plutone, di Semidei al convito di Giove, di Ninfe con Ennone, di Pastori con Paride, di Nereidi con Venere, di Donzelle con Alceste, di Tritoni con Nettuno, d'Arcieri con Cecrope, di Soldati con Adrasto, di Damigelle con Venere, di Soldati con Marte.
Dedica
Se tra i più chiari trofei del generoso Alcide vengono celebrati quegl'aurei, pomi che riportò l'invitta sua destra dagl'orti delle figlie d'Atlante a dispetto del feroce dragone, che ne contendeva l'ingresso; io se ben d'Ercole altro in me non ravviso, che l'essere stato gran tempo dall'implacabil Giunone d'una sorte maligna fieramente perseguitato, posso nondimeno gloriarmi in onta del velenoso serpe dell'invidia d'aver raccolto nei giardini, non dell'esperie donzelle, ma delle vergini castalie questo «Pomo d'oro», che ad imitazione dell'altro, che tra l'insegne imperiali risplende, viene ammesso dall'infinita, clemenza delle s. s. c. c. r. r. m. m. v. v. tra le pompe festive per le tanto bramate augustissime nozze. E se riuscì ad Ippomene di fermar, con un Pomo d'oro la fugace Atalanta, vagliami questo ancora ad arrestar per sempre, quella buona fortuna, che nel corso d'undici lustri della mia vita sempre da me fuggitiva, m'è finalmente sortito d'arrivare nella stimatissima grazia di servire attualmente alle s. s. c. c. r. r. m. m. v. v. alle quali augurando la continuazione delle grazie del cielo in una felicissima, e numerosa prole profondissimamente m'inchino.
Delle s. s. c. c. r. r. m. m. v. v. umiliss. devotiss. obbligatiss. ed osseq. servo
Francesco Sbarra
Argomento
La Discordia per mettere il cielo in scompiglio getta nel convito de gli dèi il Pomo d'oro con la sentenza registratavi «Diasi alla più bella».
Giunone, Pallade, e Venere pretendono a gara di conseguirlo; Giove ne rimette il giudizio a Paride figlio di Priamo re di Troia stimato tra tutti i mortali il più giusto, e che per mantenersi tale se ne viveva lontano dalla reggia paterna tra le solitudini del monte Ida; passavano reciprochi amori tra lui ed Ennone bellissima ninfa, e figlia del fiume Xanto, onde ella sprezzava Aurindo pastore, che ardentemente l'amava. All'avviso, che Mercurio porta a Paride dell'elezione fatta da Giove di lui per arbitro di questa lite, Ennone si turba, ma Paride l'assicura della costanza del suo affetto. Si presentano avanti di lui le tre dive procurando a guadagnare il suo voto con promettere Giunone di farlo signore dell'Asia, e dell'Europa, e Pallade di renderlo il più glorioso capitano de suoi tempi; ma Venere offerendoli il possesso delle bellezze d'Elena regina di Sparta, ottiene la sentenza in suo favore, che insieme col pomo Paride le concede; indi per riportarne il premio promessoli, risolve di navigare a Sparta; Ennone lo presente, e seco se ne duole, ma egli con nuove lusinghe ingannatala, s'imbarca senza di lei saputa.
Per questa sentenza Giunone, e Pallade sdegnate con Paride vanno macchinando contro di lui le proprie vendette, Giunone con richieder Eolo a farlo naufragare col mezzo dei venti, e Pallade con imporre a Cecrope re d'Atene suo devoto di perseguitarlo con l'armi. Venere resoluta d'aiutarlo prega Marte ad assisterli, ond'egli disfida Cecrope a ritrovarsi seco in luogo determinato con un numero prefisso dei suoi per sostenerli con la spada la giustizia della sentenza data in favor di Venere.
Paride mentre naviga con prospero vento tutto allegro per le speranze di conseguir Elena, adulato da suoi seguaci per tal impresa, viene assalito da fiera tempesta, dalla quale essendo per restar sommerso, con invocar l'aiuto di Venere vien da lei soccorso con l'opera di Nettuno, che a preghiere di lei, e su le promesse di fargli ottenere l'amata Anfitrite, tranquilla il mare.
Segue l'abbattimento tra Marte, e Cecrope, e questi restando perditore divien prigioniero di Marte, onde Pallade esacerbata mentre si stava in Atene implorando co sacrifici il suo favore nel tempio a lei dedicato, con un terremoto l'atterra, indi comparsa agl'ateniesi sbigottiti per questo accidente, li dà parte della prigionia del re, e gl'instiga ad andare a liberarlo a forza d'armi, ed a recuperar il Pomo d'oro, l'uno, e l'altro custoditi in una fortezza di Marte.
Giunone sdegnata con Nettuno perché abbia impedito il naufragio di Paride, ricorre alla sfera del foco, facendo istanza a quell'elemento, che voglia discendere sopra il regno di Nettuno, e distruggerlo. Quegli nega di farlo, per essere contra l'ordine del fato, ond'ella maggiormente commossa a sdegno, dopo l'assersi doluta con Giove dell'avere rimessa ad altri la cognizione di questa causa, e non giudicatala egli stesso come doveva, sfoga la sua rabbia per l'aria mettendola tutta sossopra con pioggie, grandine, lampi, tuoni, e tempeste, onde ne riman distrutta la deliziosa villa di Paride, del quale avendo Ennone più volte ricercato, ma invano, intesa finalmente la sua partenza, e la cagione, che a ciò l'ha spinto, svenuta prima per estremo dolore, indi a poco disperata si vuol uccidere; ma da Aurindo, che sopraggiunge, impedita, a lui dopo qualche repulsa rivolge l'affetto.
Gl'ateniesi guidati da Alceste sposa di Cecrope si portano all'assalto del castello di Marte; ma rigettati da lui vien fatto animo da Pallade, quale sgridata da Giove perché metta il tutto sossopra per questo Pomo d'oro, nel voler sostenere quel che fa, viene a contrasto con Giunone, onde Giove per toglier tante contese delibera di ripigliare il pomo, fulmina perciò la torre,
ove era racchiuso, e la dirocca commettendo all'aquila, che vada a prenderlo, ed ella partendosi a volo, ritrovatolo tra quelle rovine, lo riporta a Giove. Giunone, e Pallade fanno a gara instanza di averlo, mentre Venere portandosi al cielo, si rammarica, che voglia ritrattarsi una sentenza sì giustamente data da un arbitro eletto da Giove. Egli dice, che vuol renderle tutte contente, e soddisfatte, riserbando questo Pomo d'oro alla maggior principessa, che sia mai per nascere al mondo, figlia, e sposa de i maggiori monarchi della terra, la più bella, e saggia d'ogn'altra, in cui perciò unite le glorie di Giunone per la grandezza del sangue, e degli stati, i pregi di Venere per la sua bellezza, e le prerogative di Pallade per lo suo gran spirito, potrà ciascuna di queste tre dive gloriarsi d'aver conseguito il Pomo d'oro. Impone perciò all'aquila il conservarlo a questa grande eroina per darglielo allora, che eletta a propagare d'augustissimi eroi la più chiara, e gloriosa stirpe dell'universo, si vedrà unita a la grand'aquila imperiale. Ciò detto, Giove apre i più riposti nascondigli del fato, ove tra le idee di tutti gl'imperatori, re, ed altri principi dell'augustissima casa d'Austria, si vedono l'immagini di s. m. c. e. dell'imperatrice Margherita con numerosa prole. Le tre dive ammirandola, se l'inchinano mostrandosi contentissime del decreto di Giove, e per darne segni evidenti, comanda Giunone agli spirti aerei, Pallade alli cavalieri suoi seguaci, e Venere alle sirene e tritoni, che per tal causa unitamente festeggino, onde cangiatasi la scena inferiore in una vastissima piazza di superbi, e ricchi edifici col mare nel prospetto, ne seguono tre gran balli.
Di spiritelli in aria.
Di cavalieri in terra.
Di sirene, e tritoni in mare.
Teatro della Gloria austriaca, in cui si vedono dipinte, e scolpite l'imprese sue intrecciate con vari trofei, e con le statue equestri di tutti gl'imperatori dell'augustissima casa.
La Gloria austriaca sopra il caval Pegaso in aria; li suoi felicissimi Stati in due cori, nell'uno l'Imperio, il regno d'Ungheria, l'Italia, e la Sardegna, nell'altro la Spagna, l'America, il regno di Boemia, e lo Stato patrimoniale di Germania; Amore, ed Himeneo sopra due nubi.
AMORE, HIMENEO E TUTTI I CORI
Di feste, e di giubili
sia tutto ripieno,
spariscano i nubili
dal regio tuo seno,
e in cielo sereno
più chiara, che mai
diffondi austriaca gloria
i dolci rai.
PRIMO CORO
Là 've 'l sol tramonta, e muore
il tuo sol più bello è sorto.
SECONDO CORO
Onde il pregio assai maggiore
dée l'occaso aver dell'orto.
AMORE
Io dell'aquila affissai
l'alte luci a sì bel sole.
HIMENEO
Ma per me ne godi omai
d'alta speme augusta prole.
GLORIA AUSTRIACA
Amore, Himeneo.
AUSTRO
Per voi gioisco, e godo,
sol è vostro trofeo
così bel nodo.
Con questo avvinta sia
la volubile rota
della fortuna mia.
AMORE E HIMENEO
Se di glorie sempre onusto,
se di palme ogn'or ferace
forte in guerra, e chiaro in pace.
È l'austriaco tronco augusto,
è ben giusto,
che s'ammiri anche dal mondo
di rinascenti germi oggi fecondo.
UNO DEL CORO
O che stuol d'invitti eroi
Gloria austriaca indi n'aspetti.
Per unire a te soggetti
co' gl'Esperii i lidi eoi.
ALTRO DEL CORO
De' ridolfi, e degli alberti
e degl'altri avi sì grandi
si vedran dopo i fernandi
rinnovarsi i nomi, e i merti.
GLORIA AUSTRIACA
Sì, sì giubilate
o regni felici,
degl'astri nemici
son l'ire cessate,
già stelle beate
piovon sopra di voi da raggi loro.
Con le grazie del cielo un secol d'oro.
TUTTI I CORI
Godiamo
noi regni,
che degni
ne siamo,
godiamo,
che il fato
benigno n'ha dato
di stirpe sì augusta
sotto l'ombra posar clemente, e giusta.
SPAGNA
Già parmi
tra l'armi
la fama risuone,
felici
vittrici
l'ibere corone.
STATO PATRIMONIALE
Già liete
quiete
son l'artiche rive.
SARDEGNA
Mie sponde
tra l'onde rimbomban festive.
BOEMIA
Gioisce,
fruisce
il regno boemo.
UNGHERIA
Del trace
rapace
gl'insulti non temo.
IMPERIO
Festeggia
la reggia
del soglio romano.
ITALIA
Già sento
contento
l'Insubre, e 'l Sicano.
AMERICA
Si mira,
s'ammira
di gioie fecondo,
festoso
fastoso
l'americo mondo.
TUTTI I CORI
Godiamo, che il fato
benigno n'ha dato
di stirpe augusta
sotto l'ombra posar clemente, e giusta.
GLORIA AUSTRIACA
Ma del giubilo vostro
non meno che, del mio
è dover, che risuoni, ed Ippocrene il rio,
onde sì fausto evento
a celebrar co 'le castalie dive
verso l'amene rive
del mio caro Parnaso
dal germanico suolo
sul destrier di Pegaso innalzo il volo.
(la Gloria austriaca si parte a volo sul caval pegaseo)
IMPERIO
Vanne pur; è ben dritto
de' tuoi sublimi onori,
che imperiali allori
co' lauri d'Elicona
intreccino al tuo crin degna corona.
AMORE
Noi sovrani architetti
degl'augusti sponsali,
andiamo a registrarne
negl'archivi immortali
l'onorata memoria.
Onde viva per sempre
anche la nostra gloria.
HIMENEO
Sì, sì, che ben dovuti a sì gran gesti
per sempre memorandi
son gl'applausi celesti.
AMORE
Alme più grandi...
HIMENEO
Più magnanimi cori...
AMORE
Non si acceser giammai...
HIMENEO
Non si strinser mai più...
AMORE
Beati ardori...
HIMENEO
Felicissimi nodi...
AMORE E HIMENEO
Voliam pure a raccorre applausi, e lodi.
TUTTI I CORI
Così sempre gloriose
luminose
si rimirin lineate,
registrate
a caratteri di stelle
ne' volumi del ciel opre sì belle.
Reggia di Plutone.
Proserpina seguita dalle Belidi.
PROSERPINA
E dove t'aggiri
tra l'alme dolenti,
se pianti, e sospiri
non altro qui senti;
se pene e tormenti
ingombrano il tutto
d'orror, di strida, di querele, e lutto.
Là Tantalo geme
per l'esca mendace,
qui Sisifo preme
il sasso fugace,
là rostro vorace
di crudo avoltore
sbrana di tizio il rinascente core.
E in quest'orrido abisso
ho da viver sepolta? O cielo, o dèi,
son questi gl'imenei
di Proserpina vostra?
Dunque senz'altra colpa, che d'esser, qual si sia,
questa bellezza mia
piaciuta al re dell'ombre,
esser devo in eterno
condannata all'inferno?
Proserpina, Plutone corteggiato da vari Spiriti, e Mostri infernali.
PLUTONE
Che piangi amata sposa?
PROSERPINA
I miei fati crudeli.
PLUTONE
A torto ti quereli.
PROSERPINA
In vita sì penosa?
PLUTONE
E pur tu sei regina.
PROSERPINA
E di che regno, o Pluto?
PLUTONE
Del più grande, e temuto,
che al tuo piede s'inchina.
PROSERPINA
E sol per la fiera
Megera
tal regno;
PLUTONE
Chi tanta sventura
non cura,
n'è indegno.
PROSERPINA
E questo uno stato
beato
si dice?
PLUTONE
Chi può quel, che brama,
si chiama
felice.
PROSERPINA
Tra pene sì amare
regnare
non vo'.
PLUTONE
Col regno martire
soffrire
si può.
Insieme
PROSERPINA
Duro è sempre il penar.
PLUTONE
Dolce è sempre il regnar.
PROSERPINA
La pena è grave.
PLUTONE
Ma il dominio è soave.
PROSERPINA
È troppo amaro.
PLUTONE
Ma troppo amato, e caro.
Insieme
PROSERPINA
Il regio soglio no ch'aver no 'l voglio.
PLUTONE
A tal prezzo sì sì ch'aver lo voglio.
Discordia sopra un drago, Plutone, Proserpina.
DISCORDIA
(Io che reggo lo scettro
de' voleri discordi,
or sovra i miei regnanti
pur al fin di regnare ottengo i vanti.)
Riveriti miei regi
se de' vostri contenti
turba il dolce seren nube importuna
di sinistra fortuna,
la cagione se n'ascriva
al partimento iniquo, ed inumano
del retaggio paterno,
che fe' l'alto germano;
ei v'assegnò l'inferno,
centro solo di pene, e di tormenti,
e per sé prese il cielo,
ch'è sfera dei contenti, ove, sbandita
ogni cura molesta,
passa sol la sua vita in gioia, e in festa.
PLUTONE
Purtroppo ineguali
tra loro discerno
del cielo il governo,
e gl'antri infernali.
DISCORDIA
Un tanto svantaggio
non è da soffrire,
si torni a partire
l'antico retaggio.
PROSERPINA
Sì, sì, ch'è ben giusto,
che Giove t'assegni
la parte dei regni,
che usurpasi ingiusto.
PLUTONE
Con lui tutti uniti
si sono gli dèi,
il torto averei
nel muovergli liti.
DISCORDIA
Per farli discordi
quest'opra prometto,
io vo' ch'ogni affetto
tra loro si scordi.
Tra lor sian contese
e vengano all'armi,
il vanto vo' darmi
di far quest'imprese.
PLUTONE
Se tanto ti lice...
PROSERPINA
Se tanto tu puoi...
PROSERPINA E PLUTONE
La speme avrem noi
di sorte felice.
PLUTONE
Va' dunque, ed ultrice
dei nostri gran danni,
di quel mostro infernal
dispiega i vanni.
DISCORDIA
Ecco di Giove a scherno
me ne volo a portar nel ciel l'inferno.
La Discordia sul drago che getta fuoco dalla bocca sparisce a volo.
PLUTONE
Tranquillisi il seno,
ch'avrem fra poch'ore
fortuna migliore,
godendone appieno.
PROSERPINA E PLUTONE
Per noi sol sereno
è il ciel, se vi desta
la Discordia tra i numi aspra tempesta.
Reggia di Giove col convito degli dèi.
Giove, Giunone, Pallade, Venere, Apollo, Marte, Nettuno, Bacco, Mercurio, Ebe coppiera di Giove. Ganimede coppiero degl'altri Dèi. Momo buffone, coro di Semidei, che serve alla tavola.
APOLLO
Questo calice spumante
gran tonante
a tua gloria ecco ch'io voto,
ma ben presto lo riempio,
nostro esempio
segua Marte a te devoto.
MARTE
Sì gran patera di vino
al divino
tuo poter consacro anch'io;
colmo m'ha di gioia il seno;
or ripieno
a Nettuno ecco l'invio.
MOMO
Questo no, che non sta bene,
non conviene,
dar il vino al dio dell'acque.
NETTUNO
Benché in sorte avessi il mare,
di nuotare,
entro il vin sempre mi piacque.
In salute del germano
l'oceano,
se vin fosse, io beverei.
MOMO
Non giurar, che te lo credo,
ben lo vedo;
come trincan questi dèi!
NETTUNO
Cedo o Bacco al tuo gran nume,
le tue spume
delle mie sono migliori;
prendi pure il tuo conforto,
ch'io ti porto
in sì amabili liquori.
BACCO
Del gran Giove all'intenzione
fo ragione
ancor'io con questa coppa.
MOMO
È pur grande, e colma bene,
quanto tiene?
E nessun mai dice è troppa.
BACCO
Or, Cillenio, ch'io l'ho tutta
ben asciutta,
riempir a te la devo.
MERCURIO
Con l'affetto del mio core
in onore
del gran padre io me la bevo.
MOMO
Deh per grazia, o bottigliero
un bicchiero,
che ancor'io vo' far mie prove;
merci pur della vernaccia;
così faccia,
chi vuol bene a messer Giove.
MARTE
Per la diva,
che m'avviva,
suggo il balsamo vitale.
VENERE
Viva Marte,
che nell'arte,
della guerra è senz'uguale.
MOMO
Questo Marte ora, ch'è a cena,
come mena ben le mani?
Ha spolpati due capponi,
sei pipioni, e tre fagiani.
Della fame solo parmi,
non dell'armi, esser il dio;
se alla guerra sei sì bravo,
ti son schiavo bene mio.
GIOVE
Ai vostri dolci inviti
vo' rispondere o numi
co' l'ambrosie celesti.
EBE
Eccomi pronta;
su su dunque su presti
il nettare mescete.
MOMO
Ma sia pieno il bicchiero
da cavarli la sete;
perché per dir il vero
egli è andato sin or mutando a secco;
Ebe spedisci.
EBE
Ed ecco
colmo lo porto; ahimè.
GIUNONE
Figlia, che fai?
EBE
M'è sdrucciolato un piè.
GANIMEDE
Questo è un gran fallo.
GIOVE
E che fu del cristallo?
EBE
È sano.
GANIMEDE
Sì, ma voto,
poi che tutta in cadere
ha data al pavimento
la dolce ambrosia a bere.
GIUNONE
Ohimè che sento?
GIOVE
Sì dunque si trascura
ufficio sì stimato?
MOMO
Giove è molto sdegnato.
GIUNONE
O gran sventura.
EBE
Errai signor, no 'l nego,
ma del perdon ti prego.
GIUNONE
E ben lo merta
involontario errore.
GIOVE
È troppo grave.
GIUNONE
Sai pur, ch'è figlia mia?
GIOVE
Per ciò minore
la sua pena sarà; deposta sia
dal suo gran ministero.
GIUNONE
Per sì lieve fallir?
GIOVE
Non più contrasti,
voglio un altro coppiero, e tanto basti.
EBE
Chi sua sorte
pescar
della corte
nel mar
sperando va,
impari oggi da me,
che lo sdrucciol d'un piè
naufragio fa.
Addio stellanti lumi,
addio reggia, addio numi,
ecco il nappo gemmato,
che per maligno fato
a più felice man da me si cede.
GIUNONE
Ed a chi si consegna?
GIOVE
Ad una man più degna, a Ganimede.
GANIMEDE
Mio re, che favori
immensi son questi?
GIOVE
Tra numi celesti
tu merti gl'onori.
GANIMEDE
Alfin, che son io?
GIOVE
Stimato da un dio.
Insieme
GANIMEDE
Un posto sì degno
dell'Etra nel regno
effetto fu certo
sol della grazia tua, non del mio merto.
GIOVE
Un posto sì degno
dell'Etra nel regno
effetto fu certo
non della grazia mia, ma del tuo merto.
Giove, e gl'altri Dèi, Ganimede.
Momo, la Discordia in una nube passando sopra la tavola senz'esser veduta dai Convitati.
DISCORDIA
Così grande allegria
saprò ben disturbar con l'arte mia;
ecco spargo tra loro
della discordia il seme
con questo pomo d'oro.
(getta il pomo in tavola, e parte)
GIUNONE
E qual novello Giove
quest'oro in sen mi piove?
VENERE
È sopra me caduto.
GIUNONE
Ma a me, che son maggiore, è sol dovuto.
VENERE
Se il primato si contende,
io v'aspiro, e n'ho ragione.
PALLADE
Anche Pallade pretende.
GIUNONE
Ma lo deve aver Giunone.
VENERE
Son di Giove figlia anch'io.
PALLADE
Di sua testa io venni fuora.
GIUNONE
È maggiore il pregio mio,
se li son consorte, e suora.
MOMO
Oro, e che diavol sei?
Se tu accendi le risse anche tra i dèi?
GIOVE
Ecco scritta nel pomo la sentenza,
dalla qual non si appella.
GIUNONE, VENERE E PALLADE
A chi si deve dare?
GIOVE
Alla più bella.
VENERE
A me dunque si deve,
che son della beltà l'unico nume.
GIUNONE E PALLADE
Ma non d'ogni bellezza
il pregio a te s'ascriva.
VENERE
Di quella, che tra l'altre
più si stima, e s'apprezza, io son la diva.
Della vaga, e gentile,
leggiadra, ed amorosa.
PALLADE
Questa ha più del virile.
GIUNONE
Questa è più maestosa.
Insieme
VENERE
No, no il pomo no, no
altrui ceder non vo', no no non io,
non si deve, che a me,
di Venere sol è, lo voglio, è mio.
GIUNONE
No, no il pomo no, no
altrui ceder non vo', no no non io,
non si deve, che a me,
di Giunone sol è, lo voglio, è mio.
PALLADE
No, no il pomo no, no
altrui ceder non vo', no no non io,
non si deve, che a me,
di Pallade sol è, lo voglio, è mio.
GIOVE
Fermate, olà fermate
queste risse mal nate.
PALLADE
M'acquieto.
VENERE
Mi rimetto.
GIUNONE
La tua sentenza aspetto.
GIOVE
Egualmente congiunte
non meno, che per sangue
mi siete per affetto,
onde il giudizio mio
tra voi dar non vogl'io;
Paride il saggio, il giusto
del regnatore dell'Asia inclito figlio,
che tra le selve d'Ida
per mantener d'un'incorrotta mente,
e d'un'alma innocente
la virtù, ch'è sì bella,
ma sì poco gradita,
dalla reggia lontan passa la vita;
egli l'arbitro sia,
che la sentenza dia.
GIUNONE, VENERE E PALLADE
Sì, sì consento
nel pastor frigio,
sì gran litigio
per lui sia spento;
sì, sì consento.
GIOVE
Vanne Cillenio, e questo pomo d'oro,
che tra le nostre dive
s'è reso di beltà pompa, e tesoro,
porta al frigio garzone,
ei d'ogni lor ragione
giusto, saggio, e sincero
potrà scoprire, e dichiarare il vero.
MERCURIO
Non s'è per anche d'Ida
alle cimmerie grotte
ritirata la notte,
m'appresterò per tanto al gran viaggio,
per andar quando spunta
del mattutino albore il primo raggio.
MOMO
E pur il dio de' ladri
dovrebbe, è già gran pezzo,
a camminar di notte esser avvezzo.
Da alcune nubi vien ricoperto il convito, restando fuori Momo.
Questo Paride non ha
mal concetto appresso Giove,
ma venendosi alle prove,
non so poi quel, che sarà;
io, per dirla come sta,
son un uom, che se non vedo,
e non tocco, non gli credo.
Quanti vidine a miei dì
aver titolo di buoni,
che ho scoperti all'occasioni
per furfanti in cremesì;
se sia Paride così
uom dabbene, come parmi,
voglio andare ad accertarmi.
Selva d'Ida.
Ennone sola.
Che gioia, che senti
felice mio core
tra fiamme d'amore
sì dolci, e cocenti,
non son sì contenti
i numi lassù,
no, no, che non fu
non è, non sarà
chi goda di me
più lieta l'età.
Di Paride mio
amante, ed amata
in terra beata
ben dirmi poss'io,
è pago il desio,
non chieggo di più,
no, no, che non fu,
non è, non sarà
chi goda di me
più lietà l'età.
Paride, Ennone.
PARIDE
O mia vita.
ENNONE
O mio core.
ENNONE E PARIDE
O mio soave ardore,
ove a tuoi dolci rai
senza morir giammai quasi fenice
il mio costante amor
si rinnova ad ognor sempre felice.
ENNONE
Ed ove su quest'ora?
PARIDE
Ad adorar nella nascente aurora
di tue bellezze un raggio.
ENNONE
Ed io seguendo
vado l'orme di lei
gelosa del mio bene.
PARIDE
E di che temi?
ENNONE
Che per addur più luminoso il giorno
con quei gemini soli
de' tuoi begl'occhi, ella da me t'involi.
PARIDE
Lungi dal tuo bel volto,
che di mie gioie il dì solo m'adduce,
sarian quest'occhi miei privi di luce.
ENNONE
Dunque sperar poss'io
di poter sempre dir, Paride mio?
PARIDE
Senz'Ennone mio bene
non proverei, che pene.
ENNONE
Ed altra ninfa
non sarà mai bastante
per toglierti al mio amore?
PARIDE
Nemica, e non amante
sarebbe, e di mia morte,
non già di me invaghita
chi togliermi volesse alla mia vita.
ENNONE
Mio caro, e diletto.
PARIDE
Mia gioia, mio bene.
ENNONE E PARIDE
Che dolci catene
ci stringono il petto!
PARIDE
Non chieggio, non bramo,
non amo
che te.
ENNONE
Quest'alma sincera
è sfera
di fé.
PARIDE
Un servo più fido
Cupido
non ha...
ENNONE
Eterno il contento,
ch'io sento,
sarà.
ENNONE E PARIDE
Godiamoci amanti
costanti
sì, sì,
che l'alme in un core
amore
c'unì.
Mercurio, che scende dal cielo a volo, Ennone, Paride.
MERCURIO
Paride?
ENNONE
Ohimè, che fia?
PARIDE
Che nuove porti
messagger degli dèi?
ENNONE
Forse i contenti miei viene a sturbare?
MERCURIO
Delle novelle gare,
che, tra Giunone insorte
e Pallade, e Ciprigna,
turban tutta la celeste corte
per quest'aurato globo, in cui sta scritta
inviolabil legge,
che diasi alla più bella,
per arbitro t'elegge il gran tonante,
eccoti il pomo d'or, tu lo consegna
a chi ti par più degna.
PARIDE
Di bellezze divine,
che solo co' la mente
si ponno contemplare,
come può giudicare occhio terreno?
MERCURIO
Così Giove n'impone, a te le dive
verran per informarti
d'ogni loro ragione, onde le parti
ben vedute, e sentite
possa far la sentenza in sì gran lite.
ENNONE
O lite, che disturbi ogni mia pace...
PARIDE
Non devo contumace
esser di Giove ai riveriti imperi,
per dar giusti, e sinceri i miei giudici
sul pomo controverso, ecco lo prendo,
e le gran dive attendo.
MERCURIO
Ed io ritorno
a dargliele l'avviso.
(vola al cielo)
PARIDE
Che pallor improvviso
turba il tuo bel sereno?
ENNONE
O dell'anima mia, non so s'io dica,
o soave contento,
o pur grave tormento,
quel titol, ch'io ti dia comanda Amore,
questo detta il timore.
PARIDE
E perché temi?
ENNONE
Non n'ho forse cagione? Ora che sei
arbitro degli dèi,
questa tua fida ancella
sarà vile appo te;
ti scorderai di me
povera pastorella.
PARIDE
Chi della tua bellezza
Ennone sol si appaga,
ogni pompa disprezza,
e se quest'aureo pomo
ad altri, che alle dive
potesse aggiudicarsi
dalla sentenza mia;
d'Ennone sol saria,
per cui vivo, e respiro.
ENNONE
Al pregio di più bella io non aspiro,
ma della più fedele
al bell'idolo mio, che solo adoro,
ma quando (ah ch'in pensarvi
non so come non moro)
ma quando agl'occhi tuoi pompa lasciva
faran la saggia diva,
la più grande, e possente,
la più vaga, e più bella,
ah che purtroppo ahimè
ti scorderai di me
povera pastorella.
PARIDE
E come ben mio
scordarmi poss'io
tua rara beltà?
Mio core leale,
mia fiamma immortale
per sempre sarà.
ENNONE
Ne vivo sicura?
PARIDE
Amor te lo giura.
(esce Aurindo, e seduti insieme Paride, e Ennone, si ritira)
Insieme
ENNONE
M'impegni la fé
amante riamata
di me più beata
al mondo non è.
PARIDE
T'impegno la fé
amante riamato
di me più beato
al mondo non è.
Aurindo solo.
Ma più sventurato
di me non è stato,
e mai non sarà,
che in terra non v'ha
più crudo martire,
che veder del suo bene altrui gioire.
O regio garzone,
cui scettri, e corone
il ciel decretò,
non quelle no, no,
t'invidia il mio core,
ma la sorte, che godi oggi in amore.
Misero, ed è pur vero,
che quel ben, che mi nega
destin perfido, e rio,
premio dell'amor mio, della mia fede,
prodigo altrui concede?
Godi o Paride contento
de' piaceri il più soave,
ch'io più grave
ho di Tantalo il tormento,
se del cibo, onde beate
saziate
son tue brame,
io digiun moro di fame.
Filaura, Aurindo.
FILAURA
Ed ecco quel zerbin, che per amore
dice sempre, che muore, ed anche è vivo;
Aurindo come stai?
AURINDO
Come di vita privo, e ben tu sai,
che Amor se ben nutrito
di soavi speranze
vuol che senza sperare.
FILAURA
Il tempo spendi.
AURINDO
Ami, non una ninfa,
ma sì ben una belva.
FILAURA
Una belva sei tu, mentre pretendi,
non so con che ragion, ch'ella per te
sprezzi un figlio di re.
AURINDO
Correre i fiumi
onde di pianto amare
io vidi al lacrimare
di questi afflitti lumi, i duri sassi
fin dagl'antri dolenti
forman l'eco talora ai miei lamenti,
replica spesso il suon de' miei sospiri,
ed ella più spietata
d'ogni cosa insensata
mai non sente pietà de' miei martiri.
FILAURA
Che vuoi che faccia? Di',
se fossi Ennone anch'io farei così.
AURINDO
Ah che di latte umano
ella non fu nutrita,
ma del sangue crudel d'un mostro ircano
o dell'atro veleno,
che distillan dal seno api, e ceraste.
FILAURA
Né menti per la gola,
che mostri? Che veleni? E che bugie?
Da queste poppe mie
le più pure, ed intatte,
che mai fossero in Ida
ella ha succhiato il latte
la più soave cosa,
che si potesse aver per far la Mosa.
AURINDO
Poiché sorda tu sei,
vado altrove a sfogar gl'affanni miei
FILAURA
Meglio forse saria,
che tu andassi a guarir della pazzia.
Che sciocche persone
son questi zerbini,
sì gran pretensione
con pochi quattrini.
In riga vuol stare
con Paride Aurindo,
e crede passare
per vago, e per lindo.
Son d'oro lo strale,
e l'arco d'Amore,
e l'oro sol vale
a prender un core.
O queruli amante
son vani i sospiri,
ci voglion contanti,
non pene, e martiri.
No, no, non spendete
più tante parole,
ma belle monete,
che l'altre son fole.
Cortile del palazzo di Paride.
Momo sostenuto dall'Aure cala dal cielo in terra.
MOMO
Che bell'andare,
come in seggette,
farsi portare
da quest'aurette;
volo senz'ale,
come vo bene, e non so dir che male.
O coppia vaga
il vostro stile
molto m'appaga
assai simile
al genio mio,
voi mormoranti, e mormorante anch'io.
Ma già m'avete
condotto al suolo,
tornar potete
per l'aria a volo,
bel modo è questo
da viaggiar a suo bell'agio, e presto.
(l'aure a volo spariscono)
Pasquino il mio parente,
che per esser pungente
si trova, oh strano caso,
senza piè, senza braccia, e senza naso,
che direbbe in vedere,
ch'io sagace, et accorto
con più belle maniere,
ch'ei sul Tebro non tiene,
seguo a dir male, e me n'incontra bene?
Giù dal cielo sbalzato
fu Vulcano, ch'è un nume.
Io venni sulle piume
dell'aure sostenuto, ed adagiato,
che d'aver chi li porti
son de matti, e buffoni usate forti.
Fin che il savio ostentai
io non ebbi mai spaccio,
or che da stolto faccio
trovo in poco cervel fortuna assai,
che politico tratto
per giunger al suo fine è il far da matto.
Momo, Paride.
MOMO
Ecco Paride viene,
or vedrò, se in effetto
è conforme al concetto
quell'uom tanto dabbene.
PARIDE
O supremo altitonante,
che del ciel l'imperio reggi,
per l'impresa, a cui m'eleggi,
dammi ancor lume bastante.
MOMO
Mancar non ponno i lumi
all'arbitro dei numi.
PARIDE
E tu chi sei?
MOMO
Il trastul degli dèi,
quest'umor sì galante,
che Momo era già detto.
PARIDE
Quel maligno arrogante?
Quel sì sfacciato, e ardito?
Che da tutti è aborrito?
MOMO
Oggi non più,
che sono in altro stato
da tutti accarezzato.
PARIDE
Mi fai stupir, e come?
MOMO
Cangiai fortuna col mutarmi nome.
PARIDE
E che nome prendesti?
MOMO
Il più caro, e più grato
per farmi ben veder dalle persone,
con questo colmo a lato
altri mi chiama il matto, altri il buffone.
PARIDE
E con questo ora devi
dar le botte più lievi
di quelle, che solea con stil pungente
a tutti indifferente
dar tua lingua mordace.
MOMO
Oh questo no
di smetter non mi piace;
che molto ben si può schietto, e sincero
da un matto, o da un buffon sentirsi il vero.
PARIDE
Ma il mal giammai, che se n'incontra danno
e non si può soffrire.
MOMO
Ma se gl'altri lo fanno,
perché no 'l posso io dire?
PARIDE
Perché non può piacere,
questo è un spender l'ingegno
per farsi mal volere.
MOMO
Io dico quel, che voglio,
e nessun se n'offende,
anzi gran gusto prende
chi può legger talor qualche mio foglio.
PARIDE
Dir mal è sempre male.
MOMO
Anzi ch'è bene;
così del mal oprar punito viene
chi per sua grandezza
non temendo le leggi, Astrea disprezza.
Paride, Momo, Giunone, che scende dal cielo in una gran galleria ripiena d'oro, gioie scettri, corone, eccetera.
PARIDE
Ma che veggio? Dal cielo
scender una gran parte
dell'empirea magione?
MOMO
Questa mi par Giunone,
che se n' venga a trovarte.
PARIDE
Che pompa maestosa?
Ben si vede, ch'a Giove è suora, e sposa.
MOMO
Che meraviglia sia,
che dell'oro la forza
la calamita sia, che tiri ogn'uomo,
se quest'aurato pomo
in fin dal cielo fa calar gli dèi?
GIUNONE
Paride?
PARIDE
A te m'inchino.
MOMO
Ed io sol di quegl'ori
all'alta maestà,
ch'è la più gran deità, ch'oggi s'adori.
GIUNONE
Come sempre stimai
il tuo sangue reale a me devoto,
così ancora al tuo voto
la mia giustizia confidar bramai,
per me dal gran sovrano
a me sposo, e germano, ora tu sei
di contesa sì grande arbitro eletto,
e se i diritti miei
non m'usurpi per altri, io ti prometto,
premi di te ben degni
dell'Asia, e dell'Europa
tutti i più ricchi, e più potenti regni.
MOMO
L'offerte di Giunone
le fan vincer la lite
senza tanto cercar s'abbia ragione.
PARIDE
Al tuo gran merto sol, o bella diva,
non ai doni s'ascriva,
se la lentezza mia farà qual chiedi.
GIUNONE
Paride qual si sia
la beltà di Giunon, conosci, e vedi,
soggiunger d'avvantaggio
un offender sarebbe
d'un arbitro sì saggio
il giudizio sincero;
parto contenta, e la vittoria spero.
PARIDE
Vanne pure, e confida
di ritrovar d'Astrea le lanci in Ida.
MOMO
Se tutti i litiganti,
che tanti n'hanno, e tanti
del mondo i tribunali,
con sì ricchi regali
se ne venisser via,
che bel mestiero il sentenziar saria!
PARIDE
Che volto?
Che ammiro?
Che ascolto?
Che miro?
Che m'offre Giunone?
MOMO
Che gran tentazione!
PARIDE
Che tratti
celesti?
Che patti
son questi?
Che in vincer propone?
MOMO
Che gran tentazione!
PARIDE
Onori?
Ricchezze?
Tesori?
Grandezze?
E scettri, e corone?
MOMO
Che gran tentazione.
PARIDE
E che dici?
MOMO
Che ogn'altri
per premio assai minore
darebbe la sentenza in suo favore.
PARIDE
E che direbbe il mondo?
MOMO
Che tu avessi cervello;
non sai che dai più saggi a chi più spende
la giustizia si vende?
PARIDE
In questa forma
si assassina la gente?
MOMO
Procura pur procura
d'esser ricco, e potente, altro non cura.
Conoscerai per prova,
che quanto un grande fa, tutto s'approva.
Ai ricchi quel più,
che voglion far lice,
in loro si dice,
che il vizio è virtù.
Un Mida non v'è
sì iniquo nell'opra,
che il tutto non copra
con l'oro, ch'ei fe'.
Sia pur quest'età
di ferro ben vile,
che un lustro gentile
dall'oro averà.
Paride, Momo, Pallade armata, che scende dal cielo sotto un grand'arco trionfale, assisa tra varie spoglie, e trofei.
PARIDE
Ma che nobil trionfo
si scopre agl'occhi miei?
MOMO
Superba mostra
da comparire in giostra.
PARIDE
Conosci tu chi sia?
MOMO
Pallade è questa,
vedi, che porta in testa il moriglione.
PARIDE
Vorrà forse con l'armi
sostener sua ragione?
MOMO
Quanto sarebbe meglio
per vincer la sua lite
scoprire il seno ignudo,
che armata comparir d'usbergo, e scudo.
PALLADE
Paride, son sì certa
della giustizia tua, che vincitrice
d'uscir dalla contesa
l'anima mi predice,
onde a te lieta, e di vittoria in segno
trionfante ne vegno.
PARIDE
La tua nobil bellezza,
a cui dà la fierezza
l'amoroso piccante,
ogni spirto guerrier sì rende amante.
PALLADE
So, che Giunon superba,
so, che Venere folle
lusingar ponno un core
avaro, e vile, effeminato, e molle:
ma d'ogni altro maggiore
il tuo spirto reale,
che dall'alto natale
trasse senno, ed ingegno
e generoso, e degno,
nel giudicar tra noi
conoscer si farà stirpe d'eroi;
e tu quando risolvi
il pomo aggiudicarmi, a tanti pregi
aggiungerai per me quello dell'armi,
che sempre vincitore in mare, e in terra
sarà il tuo gran valore
riverito, e temuto in pace, e in guerra.
PARIDE
Già stanno, e frigi, e lidi alla bell'ombra
di pacifiche olive,
ed il mio patrio regno
da nemici sicuro in pace vive,
non m'occorre pugnar, vincer non curo,
non per questo m'avrai
favorevole meno al tuo desio,
quanto all'arbitrio mio
può stendersi a tuo pro, tutto prometto.
PALLADE
Dunque sicura aspetto,
che da te si decida
di Pallade in favor l'alta disfida;
intanto al ciel ritorno
per ostentar in breve
lassù tra gl'altri dèi
della vittoria mia gl'aurei trofei.
MOMO
Questa Pallade è nata
del cervello di Giove, e non l'intende,
se invaghirti pretende
coll'imprese guerriere in paragone
di ricchezze sì grandi,
che ti offerse Giunone.
PARIDE
È troppo il genio mio contrario all'armi,
non pon queste allettarmi.
MOMO
Sventurato
il soldato
credei sempre, a dire il vero,
quanti affanni
in tanti anni
di sì misero n?
PARIDE
Travagliando,
e stentando
starà sempre terra terra,
se si avanza
di speranza,
ecco un colpo, che l'atterra.
Per illusione di Venere si muta la scena nel giardino del piacere.
Venere corteggiata da un coro dell'Idee di varie bellezze, e da un coro di Amori, Paride, Momo.
MOMO
Ma non son già ubriaco?
Come, se non mi nuovo,
ero in cortile, or in giardin mi trovo?
PARIDE
Ah che non è stupore;
ecco la dèa d'amore,
che può col suo bel viso
cangiar anche l'inferno in paradiso.
VENERE
Paride, più, che a sdegno,
mi dée muover a riso
la folle pretensione
di Pallade, e Giunone
in voler contrastare
il pregio di beltà con Citerea,
ch'è di beltà la dèa;
io per tale fui sempre
da tutti riverita, ed or mi vedi
corteggiata, e servita
dall'idee le più vaghe
della beltà maggiore,
che s'ammiri nel mondo;
ecco le belle Nore
del principe di Tebe,
del sovran di Corinto,
del re dell'Epiro;
ecco la vaga sposa
del regnante di Tiro, ed ecco quella,
che leggiadra, e vezzosa
non meno, che dei cor, lo scettro tiene
del regno di Micene, ecco di Sparta
la celebre regina.
PARIDE
Oh dio, che veggio?
Una forma divina;
maggior beltà non spero
di rimirar giammai;
che folgoranti rai
da far invidia al sole,
certo è celeste prole.
VENERE
A Giove è figlia,
ed Elena s'appella,
la maggior meraviglia, e la più bella,
ch'abbia prodotto il cielo.
PARIDE
Stupore
maggiore
no, no, non si mira,
il cielo in un volto
raccolto
s'ammira.
MOMO
Oh che semplice augello, o come presto
è calato al zimbello.
PARIDE
S'è tutta
ridutta
quest'alma in un guardo,
già 'l core vien meno;
nel seno
tutt'ardo.
MOMO
Che tenero pollastro,
posto al foco d'amore,
cuoce al primo bollore.
VENERE
Questa è semplice imago,
ma più bello, e più vago
il sembiante verace
in Elena risplende; e se ti piace,
sappi, che il possedere
così rara bellezza è in tuo potere.
PARIDE
E come aver poss'io sì gran tesoro?
VENERE
Con questo pomo d'oro.
MOMO
Con l'oro si fa tutto.
VENERE
Che s'io vinco la lite,
tu goderai di mie vittorie il frutto.
PARIDE
Tanto dunque confidi
di poter operare?
VENERE
Io t'assicuro,
che tua sola sarà, così ti giuro.
PARIDE
Paride fortunato, e quando mai
tal fortuna sperai?
VENERE
Vanne pur a trovar Elena a Sparta,
che per farla tua preda
basta, che là tu giunga, ella ti veda,
tuo pensiero sia questo,
sarà mia cura il resto.
PARIDE
In te mi fido;
eccoti l'aureo pomo, io corro al lido.
MOMO
Oh che bella carità
e così per buscar gl'ori
la mezzana degl'amori
anche Venere sarà;
oh che bella carità.
(parte)
VENERE
Cingetemi il crine
o mirti, ed allori,
con teneri ardori
ho vinto alla fine.
Corone fastose,
e belliche imprese
a gioie amorose
si son pur arrese.
Di tante contese
veduto s'è il fine.
Cingetemi il crine
o mirti, ed allori,
bellezze potenti,
che fiamme cocenti
co' vaghi amoretti
ne' petti
accendete
su liete
scherzate,
godete,
danzate,
è giusto ch'a' miei
più chiari trofei,
più celebri onori
festeggi la beltà, scherzin gl'Amori.
Segue il ballo delle Idee delle bellezze, e degl'Amori intrecciato da questi con vari scherzi d'archi, e di saette.
Porto di mare.
Filaura, Aurindo.
FILAURA
Tu sei pur importun.
AURINDO
Tu sei pur cruda.
FILAURA
Farò darmi un bollore.
AURINDO
E nemica d'amore,
e di pietade ignuda.
FILAURA
Ignuda? Oh se una volta
tu m'avessi veduta,
io ti sarei, piaciuta,
adesso più che gl'anni
le fatiche, e gl'affanni
m'hanno fatto invecchiare.
AURINDO
Dimmi in grazia.
FILAURA
Che brami?
AURINDO
Ennone bella
sa pur quanto, ch'io l'ami?
FILAURA
E pur sempre sei lì;
già t'ho detto di sì;
che pretendi perciò?
AURINDO
D'esserne corrisposto.
FILAURA
Sai pur, ch'è preso il posto?
AURINDO
Io già lo so.
FILAURA
Ma se dunque lo sai,
perché in tanta mal'ora
non dismetti il pensier de' fatti suoi?
AURINDO
Non posso.
FILAURA
E se non puoi,
che vi posso far io?
AURINDO
Narra all'idolo mio
il mio stato infelice, e lacrimevole;
FILAURA
Oh tu sei pur stucchevole;
orsù farò il piacere;
ma tu fammene un altro.
AURINDO
Di quanto è in mio potere
promettetti di me.
FILAURA
Vattene via di qua,
ch'ho da far non so che; tu m'impedisci
AURINDO
Voglio ubbidirti.
FILAURA
Va';
non trattenerti più.
AURINDO
Già son partito.
FILAURA
Vattene ben discosto,
e pur al fin questo tafan d'agosto
m'ho levato d'intorno,
che sempre mi molesta, e notte, e giorno,
or voglio rinvenire
quel, che dica la gente,
s'è ver, che per partire,
come Ennone presente
il suo Paride sia;
o fiera gelosia
come co' suoi tormenti
avvelena d'amor tutti i contenti!
Io che appresi da un gran saggio
a non darle mai ricetto
nel mio petto
benché fosse di passaggio;
sotto pena della vita
l'ho sbandita,
perché piacemi in amare
il goder, non il penare.
A goder senza fastidi
co' miei vaghi sempre attesi;
e se intesi,
che mi fosser poco fidi,
io non volli disperarmi,
né sdegnarmi,
ma cercai con modi scaltri
provvedermene degl'altri.
Però donne vi consiglio,
che a quest'empia gelosia,
pesteria
intimiate omai l'esiglio;
se infedele, ed incostante
v'è un amante,
per passarvi ogni martello
voi trovatene un più bello.
Momo, Filaura.
MOMO
Così far doverà
Ennone ancor.
FILAURA
Perché?
MOMO
Già mancata la fé Paride l'ha?
FILAURA
Che dici?
MOMO
In questo giorno
a Sparta ei s'incammina,
per far d'Elena bella
amorosa rapina.
FILAURA
Ed è pur vero?
MOMO
Se qui tu fermi il piede,
vedrai presto l'infido
sciorr'il legno, e la fede
da quest'istesso lido
FILAURA
Oh dio, che sento?
Parto per non vedere
un sì gran tradimento.
MOMO
Questi vaghi giovinetti
zerbinetti
per avere i loro intenti
con scongiuri
con spergiuri
fan promesse, e giuramenti;
ma contenti
come son,
dan nel ballo del pianton.
Fanno pria li spasimati,
poi svogliati
mutan gusto, e cangian stile,
come un fiore
e l'amore,
o capriccio giovanile,
nell'aprile
dell'età
presto viene, e presto va;
ma Paride qua giunge
per andarsene via,
non voglio, che mi veda,
acciò, che non s'avveda,
ch'io gl'ho fatta la spia.
(si ritira)
Paride solo.
O del ben, che acquisterò
cara, e bella amata idea,
se tua vista oggi mi bea
e che fia quando l'avrò?
Se contemplo tal beltà,
se ne parlo, o se vi penso,
tal piacer m'inebria il senso,
il goderla, e che sarà?
Passiam pur, passiamo il mar,
non si teman flutti, o venti,
che nel porto dei contenti
ho ben presto d'arrivar.
Ennone, Filaura, Paride.
ENNONE
Che nel porto dei contenti
hai ben presto d'arrivar?
PARIDE
Che veggio? Ennone è qui?
Fingi mio cor; sì, sì,
che ritrovar io spero
amoroso nocchiero
dalle tue luci scorto
entro al tuo sen delle mie gioie il porto.
ENNONE
Ah Paride, ben credo,
o a creder mi lusinga
il mio semplice amore,
che d'essermi signore
forse un tempo godessi;
ma poi, che furo impressi
nel tuo tenero core altri sembianti
da bellezze celesti,
temo, ch'Ennone, ahimè,
scancellata ne resti, e più non fia
qual era già il mio seno
un tempo a te sì caro,
e che il sol rammentarti
delle dolcezze tue, ti sembri amaro.
PARIDE
Onde sì gran querele?
ENNONE
Dal sentir, che t'appresti idolo mio,
senza pur dirmi addio,
a far da me partita.
PARIDE
Partir dalla mia vita?
ENNONE
Anzi si dice,
che tu sia per andare
corseggiando per mare.
PARIDE
Io corsaro? E di che?
FILAURA
Di certa mercanzia,
che da quei, che non l'ha, si brama e chiede;
ma quei, che la possiede,
più conto non ne tiene,
come Paride fa,
che per altra beltà
abbandona colei, ch'era il suo bene.
PARIDE
Io lasciarla? E per chi?
FILAURA
Per altra donna.
ENNONE
Per la bella di Sparta
fortunata regina.
PARIDE
Paride non s'inchina ad altro scettro,
ch'a quello del tuo amore,
e chi dice altrimente
io sosterrò, che mente.
FILAURA
Con le buone,
che non vogliam questione.
PARIDE
E chi presume
di renderti sospetto
il mio sincero affetto?
Chi diede quest'avviso?
ENNONE
Filaura.
PARIDE
Onde l'avesti?
FILAURA
Da un cert'uomo sì fatto,
ch'è vestito da matto.
PARIDE
Ed ai matti si crede?
FILAURA
Par che meritin fede,
sentendo dir da tutti,
che l'indovinan sempre, e pazzi, e putti;
e questi io t'assicuro,
che discorre sul saldo.
PARIDE
O menzognero.
FILAURA
Può star, che sia ribaldo;
ma professa però di dire il vero.
PARIDE
O spirito perverso,
di calunnie, e di frodi
scellerato architetto.
ENNONE
Dunque è vano il sospetto,
ch'io di perderti avea?
PARIDE
Vanissimo, o mia dèa;
e come dar si può,
ch'io ti lasci giammai? Questo poi no;
prima del sole i rai
di tenebroso velo
saran coperti, ed oscurato il cielo,
che si macchi il candore
della mia pura fede,
un maligno impostore è chi lo dice,
semplice chi lo crede.
ENNONE
O me infelice.
Insieme
ENNONE
Sol di Paride son io.
Sì mia vita, sì cor mio.
PARIDE
Solo d'Ennone son io.
Sì mia vita, sì cor mio.
PARIDE
Vivi lieta, o mia diletta,
né sospetta
ti si renda la mia fede,
quei, che all'ombre presta fede,
mai non gode gioia vera;
la chimera
tu sai bene;
che d'inferno è tra le pene.
ENNONE
Lunge pur, lunge si stia
gelosia,
che alla fin non è che un'ombra,
già se n' fugge, già si sgombra
ogni nube dal mio seno,
già sereno
fa ritorno
di mie gioie il chiaro giorno.
Insieme
ENNONE
Sol di Paride son io.
Sì mia vita, sì cor mio.
PARIDE
Solo d'Ennone son io.
Sì mia vita, sì cor mio.
FILAURA
O ben, così mi piace,
ch'ogni rissa d'amor termini in pace.
Momo solo.
Io malvagio? Io maligno?
Scellerato? Impostore?
Per aver detto il vero?
E Paride, ch'è un furbo, un traditore,
si stima un uom sincero?
Il mondo così va;
quei, che meglio la sa
dar ad intendere,
può per oro più fino il piombo spendere.
O Giove, che fai tu?
Degl'affari di quaggiù
sei poco pratico,
o perdut'hai il cervello, o sei lunatico.
Tu stimi, che costui
sia più giusto d'ogn'altri,
ed arbitro lo rendi
fin degl'istessi dèi;
poco pratico sei.
Ed ecco, che corrotto
da prezzo infame la giustizia vende,
e te, che l'eleggesti,
e le dive celesti oltraggia e offende;
tradisce chi l'adora,
e per sfogar sue voglie,
vuol rubar ad un re l'istessa moglie;
così quest'uom sì giusto,
ecco ch'oggi si scopre
adultero, infedel, ladrone, e ingiusto;
se queste sono l'opre,
ch'ei sa fare in un giorno,
in progresso dell'anno
quante più belle da sentir se n'hanno!
Bocca d'inferno.
S'apre la terra, dalla quale, sorgendo una grandissima, e mostruosa testa, che occupa tutta la scena, spalanca le fauci in una vasta voragine, in cui si vede il fiume infernale, con Caronte in barca alla riva, ed in lontananza la città di Dite tutta cinta di fiamme.
CARONTE
E così
sfaccendato
tutto il dì?
Vagabondo, ed ozioso
a riposo
devo star?
Non ho pure un sol denar
in tutt'oggi guadagnato;
e così
sfaccendato tutto il dì?
E starà
sempre in pace
quest'età?
Nessun capita al mio lito,
è fallito
il mestier,
e per dire il mio pensier,
seguitarlo non mi piace;
e starà
sempre in pace
quest'età?
Ecco una bella schiera,
Aletto con Tesifone, e Megera;
e che vogliono qua
le tre grazie d'Averno?
Aletto, Tesifone, Megera, con fasci in mano. Caronte.
MEGERA
Olà Caronte, olà
vieni a passar.
CARONTE
Passate
sopra quest'acque a volo.
TESIFONE
Vogliam passar in barca.
CARONTE
Perché non pagan nolo
mi daranno da fare,
se non fossero franche
traghetterian per aria.
ALETTO
Olà spedisci.
MEGERA
E che non la finisci?
TESIFONE
E che si aspetta?
CARONTE
Piano, non tanta fretta
quando si passa a scrocco.
ALETTO
Temerario, arrogante.
MEGERA
Indiscreto, furfante.
TESIFONE
Basta sia barcaiolo.
CARONTE
Che forse non è vero?
Mentre un obolo solo
da tutte voi non spero,
né mai sperar lo posso.
ALETTO
E che sì, che quel Remo
or or ti rompo addosso?
CARONTE
Questi son i guadagni di Caronte
che sempre dalle furie
vien pagato d'ingiurie, oltraggi, ed onte.
ALETTO
Pur venisti una volta.
CARONTE
Scusatemi o signore,
io certo non credei,
che offender vi dovesse il far menzione
de' vostri privilegi,
che son diritti, e pregi
di chi serve a Plutone;
ma quel ch'è stato, è stato;
dev'essere scusato
questo semplice errore.
MEGERA
Io lo condono.
ALETTO
Ti scuso.
TESIFONE
Ti perdono.
CARONTE
Io vi son servitore;
ma ditemi per grazia,
(se però domandar vi si può)
ove sì frettolose
incamminate siete?
Che negozio importante è quel, che avete?
ALETTO
Orsù, che del passaggio
la mancia vogliam darti
con la miglior novella,
che potesse arrivarti.
TESIFONE
La Discordia ha già posto
tutto il cielo in scompiglio,
e noi per suo consiglio in terra andiamo
con le faci infernali
per accenderle in sen fiamme mortali.
CARONTE
Una gran nova è questa,
or sì sperar poss'io
di far il fatto mio.
TESIFONE
Contento resta,
che in breve passerai
l'innumerabil turba degl'estinti
e vincitori, e vinti.
MEGERA
E noi non più tardiamo.
Ad accender gl'ardori
de' bellici furori.
ALETTO, TESIFONE E MEGERA
Andiam, voliamo.
(volano via dalla bocca dell'inferno)
CARONTE
Sta pur lieto Caronte,
che s'ha da guadagnar,
se ti vedrai sudar
spesso la fronte;
consolerà tua pena
il ritrovarti una gran borsa piena.
Alla scola di Marte
corra pur ogn'età,
che per noi sol si fa
così bell'arte;
poiché serve la guerra
a empir l'inferno, e spopolar la terra.
La bocca d'inferno si racchiude, e riconcentrandosi nelle viscere della terra, si vede di nuovo la scena antecedente di porto di mare con un vascello alla vela per Paride.
Porto di mare.
Paride, coro di suoi Servi.
PARIDE
Su presti
s'appresti
quel legno sul mare,
che in breve
mi deve
a Sparta portare.
Il fato
beato
e pur mi destina
d'avere,
godere
bellezza divina.
Già pronte
la fronte
inclinano l'onde,
già sento
del vento
le piume seconde.
L'abete
sciogliete
su dunque, o miei fidi,
andiamo,
lasciamo
omai questi lidi.
Venere, Amore sopra un carro in aria.
VENERE
Ecco Paride il giusto,
che a Sparta s'incammina
per l'acquisto bramato
della bella regina, a te s'aspetta
d'accenderle nel core
delle tue faci il più possente ardore,
onde in breve si veda
questa vaga beltà fatta sua preda.
AMORE
Vada pur Paride, vada,
faccia pur ogni sua parte,
per averla, ei, che sa l'arte,
può trovar la vera strada.
VENERE
Per lui o caro figlio
d'impiegarti oggi mi neghi?
AMORE
Non occorre ch'io m'impieghi,
già gl'ho dato il mio consiglio;
sull'età, che più s'apprezza
egli è bello, e ricco, e grande,
se la prega, e spende, e spande,
otterrà sì gran bellezza.
Con maniere così accorte
una donna tanto amata
ogni dì sollecitata
è impossibil che stia forte.
VENERE
Già purtroppo m'è noto,
che per domar l'orgoglio
d'ostinato rigor queste son l'armi;
ma perché grata io voglio
a Paride mostrarmi,
vattene pure a Sparta, e fa' che almeno
ei creda opra d'Amore
l'accendersi nel seno
d'Elena bella l'amoroso ardore.
AMORE
Anderò,
spaccerò
per fattura
del mio foco
quell'arsura,
che tra poco
sorgerà
sì luminosa,
e sarà tanto famosa,
ch'oggidì
fa così
qualche ingegno de' più scaltri,
nello spacciar per sue l'opre degl'altri.
(parte Amore da solo)
VENERE
Ah quanto è vero,
che il nudo arciero
forza non ha;
il nostro core
ogni vigore
solo gli dà.
L'accesa face,
per cui si sface
misero sen,
è sol del senso
l'ardore intenso,
ch'è senza fren.
Quegli aurei lacci
gravosi impacci
di servitù,
non altro sono,
che d'aureo dono
l'alte virtù.
Piazza d'armi.
Cecrope, Adrasto, coro di Soldati.
CECROPE
Se gli spirti guerrieri
dagli studi più fieri
per gran tempo ritolti,
d'un'oziosa pace
nel letargo sinor giacquer sepolti;
è ben tempo, che desti
dai comandi celesti
della saggia diva
ne' suoi nemici debellati, e vinti
facciano altrui vedere,
ch'eran sopiti sì, ma non estinti.
Pugneremo,
vinceremo
sì miei fidi, sì miei forti,
ne' travagli quali siete,
mi sarete
ne' trionfi anche consorti.
CORO DI SOLDATI
Mentre scorti
noi sarem dal tuo valore,
del trionfo avrem l'onore.
Cecrope, Pallade sopra un carro per aria, Adrasto, coro di Soldati.
CECROPE
Ma verso me se n' viene
la bella dèa d'Atene?
E che onor io ricevo
adorato mio nume? Ah quanto devo
alla tua gran bontà
ch'oggi degno mi fa
di poterti servire,
vedi dove t'aggrada,
che s'impieghi mia spada.
PALLADE
O mio caro io sono offesa;
troppo è lesa
mia divina maestà,
ad un nume non può già
farsi ingiuria la maggiore,
del mio onore
devi prender la difesa;
o mio caro io sono offesa.
L'aureo pomo ad altri è dato,
terminato
così resta, e tolto a me,
e da Paride si diè
la sentenza così rea,
ch'è l'idea
d'un ingiusto giudicato;
l'aureo pomo ad altri è dato.
Troppo è grave un tale affronto;
vanne pronto
quest'iniquo a castigar,
arma pure in terra, e in mar,
togli a lui la vita, e 'l regno,
che ben degno
dell'oltraggio sia lo sconto;
troppo è grave un tal affronto.
CECROPE
I miei guerrier, che sparti
eran per varie parti,
a tuoi cenni ho raccolti,
che ingombran, come vedi,
e piani, e monti, e valli, ecco di nuovo
che s'armano di fanti, e di cavalli
numerose falangi;
onde a guisa d'un fiume
impetuoso, e vasto
poss'io qual altro Xerse
senza trovar contrasto
inondar le campagne;
Paride ovunque sia ben troverò,
non scamperà no, no, per opra mia
con lui, con la sua stirpe, il vasto regno
dell'assaraco sangue
cadrà vittima esangue al tuo gran sdegno.
PALLADE
Tanto spero in quest'armi. Io torno al cielo;
tu vanne a vendicarmi.
CECROPE
In breve aspetta
degna di sì gran torto aspra vendetta.
Su squadre mie liete
dell'Asia al gran regno,
che oggetto più degno
sperar non potete.
Ha d'Ilio la fede
gran gemme, e grand'ori,
sì ricchi tesori
saran vostre prede.
ADRASTO
Ad Ilio su su,
ad Ilio si vada,
non può nostra spada
bramare di più,
ad Ilio su su.
CORO DI SOLDATI
Su dunque all'impresa,
quegl'ori, e quegl'ostri
acquisti sien nostri,
e non sua difesa;
su dunque all'impresa.
Cecrope, Alceste sua sposa.
ALCESTE
Dove, dove o mio sposo?
CECROPE
Ove m'impone
il comando celeste.
ALCESTE
E la tua fida Alceste
tra solitarie piume
abbandonar vorrai? Così mio nume
ricompensi la fé di chi t'adora?
CECROPE
Breve fia la dimora.
ALCESTE
Ah che per me
d'amorosi tormenti
sono secoli ahimè,
della tua lontananza anche i momenti,
ma dimmi, ed in qual parte
esporti devi, oh dio
d'un sanguinoso Marte ai dubbi eventi?
CECROPE
Per vendicar l'offese
del mio nume sdegnato,
contro il sangue reale
del superbo Ilion mi sono armato.
ALCESTE
Contro sì gran nemico, e sì possente
d'oro, d'armi, e di gente?
CECROPE
Da Pallade assistito
non ho di che temer.
ALCESTE
Temo ben io,
perché sempre d'amore
è seguace il timore; ah sposo mio,
se il ciel non mi permette
il poterti impedire
sì periglioso incontro,
il poterti seguire
mi si conceda almeno,
per farti del mio seno,
di questo seno ignudo
un usbergo animato, un vivo scudo.
CECROPE
Cari affetti.
ALCESTE
Puri affetti.
CECROPE E ALCESTE
Della fede che n'avvinse.
Di quel nodo,
per cui godo,
il più saldo Amor non strinse.
ALCESTE
Dunque se a te congiunta
per sempre Amor mi rese,
nelle belliche imprese
non devo esser da te giammai disgiunta.
CECROPE
Divider non ci può nemmen la morte,
sempre teco sarà l'anima mia.
ALCESTE
E questa ad ogn'ora
pur segueti ancora
mio sposo, mio re;
ma so, che bastante
a un'anima amante
ristoro non è.
Seguirti col piè
deh non mi si nieghi;
ecco il cor te ne invia per gl'occhi i prieghi.
CECROPE
Care stelle,
luci belle
di mia vita astri fatali
ai vitali
vostri rai tranquille, e liete
deh rendete
il bel sereno,
che dolenti,
e piangenti
se vi miro, io vengo meno.
ALCESTE
O teneri sensi,
ma senza pietà,
che troppo sostiensi
la tua ferità,
se non mi concede
che al par del mio cor, ti segua il piede.
CECROPE
A chi dell'alma mia l'impero tiene
il contraddir non lice.
ALCESTE
Ti seguo?
CECROPE
Sì mio bene.
ALCESTE
O me felice.
CECROPE
Cari affetti.
ALCESTE
Puri affetti.
CECROPE
Della fede che n'avvinse.
Di quel nodo,
per cui godo,
il più saldo Amor non strinse.
Palude tritonia.
Due Padrini con due squadriglie di Donzelle armate a guisa di amazzoni.
PADRINO Iº
D'ogni altra più fastosa,
e più chiara, e nobil riva,
ch'all'invitta nostra diva
diè l'origine famosa.
PADRINO IIº
Ceda il mar per tal ventura,
ceda pur, ceda a quest'acque,
che se là Venere impura,
qui la dèa più casta nacque.
PADRINO Iº E PADRINO IIº
Or voi donzelle
non men, che belle
pudiche, e caste,
che a festeggiare
con dolci gare
oggi n'armaste,
di scudi, e d'aste
in sì bel loco,
con lieto gioco
e marziale
celebrate di Palla il gran natale.
Segue l'armeggiamento delle Donzelle conforme erano solite di fare nel giorno natalizio di Pallade.
S'apre una nuvola, dentro la quale si vede Pallade armata.
Li 2 Padrini con le Squadriglie.
PALLADE
Non più pugne giocose, altri contrasti,
altri assalti, altre guerre oggi vogl'io;
vilipeso, oltraggiato è il nume mio
da un iniquo mortal, tanto vi basti.
Contro l'empio fellone a vendicarmi
le sue forze raccoglie il re d'Atene,
quei, che di mio devoto il nome tiene,
unito seco a mia difesa s'armi.
(si racchiude la nuvola)
PADRINO Iº
Un uomo sì ardito
d'offender un nume?
PADRINO IIº
Non vada impunito
chi tanto presume.
PADRINO Iº E PADRINO IIº
Su dunque a noi s'aspetta
il far di tanti oltraggi aspra vendetta.
Caverna d'Eolo.
Eolo, Euro, Austro, Zeffiro, Volturno.
EOLO
O miei spirti, che talora,
quando fuora
da questi antri al mondo uscite,
con soavi, e dolci sibili,
e con fremiti terribili
del mio nome il tutto empite,
dite, dite
quel, che festi,
vostri gesti
sol quant'odo,
del mio scettro io lieto godo.
AUSTRO
Io dell'Africa figlio,
che in un soffio disfaccio
del canuto Appennin l'antico ghiaccio
a preghiere d'Amore
per distrugger nel core
della figlia d'Acrisio
un indurato inverno,
che credevasi eterno,
fin dagl'eterei campi
gl'ho vibrati nel seno accesi lampi,
e sempre l'ho trovata
nel suo gelo ostinata;
ma appena un aureo nembo
le diluviò nel grembo,
che si videro a un tratto
distemprate le nevi, e 'l gel disfatto
così Giove trasformato
la godé tra chiuse mura,
ch'ove l'oro è penetrato
mai beltà non fu sicura.
Altre volte ei si compiacque
di cangiarsi in cigno, e in toro;
ma la forma, che sol piacque
fu 'l disfarsi in pioggia d'oro.
EOLO
Ha la forza dell'oro ogni virtù;
e che vuoi di più,
riscalda, ed agghiaccia,
bonaccia,
tempesta
negl'animi desta,
risveglia, sopisce,
unisce
i nemici,
disgiunge gl'amici,
gli placa, gl'irrita,
dà morte, dà vita,
fa quel, che vuoi tu.
Ha la forza dell'oro ogni virtù.
EURO
Un gran favorito,
che s'era imbarcato,
col soffio bramato
estrassi dal lito.
Ei provvido, e saggio
suo corso guidava,
e ben s'augurava
felice viaggio;
ma quando nel porto
ridurr'io lo voglio,
egl'urta in un scoglio,
e restavi assorto.
EOLO
Sian pur di questo mar l'onde tranquille,
alle lusinghe sue non presto fede,
ch'ove trovar il porto altri si crede,
s'incontrano talor Cariddi e Scille.
VOLTURNO
Io spesi il mio fiato
in certo pallone,
ch'avendo ambizione
nell'esser gonfiato,
alzato
di salto
si vide sopra tutti ergersi in alto.
Ma cadde, e in cadere
si ruppe, e fu aperto,
e voto di merto
si fece vedere,
e avere
sol pieno
di vanissimo vento il gonfio seno.
EOLO
Di fortuna il gioco è tale,
onde scherza a suo volere,
mentre il misero mortale
alza, e abbassa per piacere,
che, per farne sol cadere,
non solleva no: ma sbalza
quei, che privi di merto a un tratto innalza.
ZEFFIRO
Ed io Zeffiro con Flora
coltivai con mani accorte
il giardino della corte,
che di speme sol s'infiora,
questi fior si son nutriti
con affetto, e se sincera,
ma sebben di primavera,
son caduti illanguiditi.
E di questo la cagione
so ben io donde deriva,
dal mancargli chi l'avviva,
ch'è la grazia del padrone.
Giunone sopra una nube, Eolo, coro di Venti.
EOLO
Ma come qui Giunone
comparisce improvvisa?
GIUNONE
Alta cagione
o monarca de' venti a te mi chiama.
EOLO
E che da te si brama?
GIUNONE
Sturbar un attentato il più perverso,
ed il più scellerato,
che s'udisse giammai.
EOLO
Nuovo gigante
muover forse vuol guerra al gran tonante?
GIUNONE
Più temeraria impresa
è quella, c'ha intrapresa un vil pastore.
EOLO
E che sento? E chi fu?
GIUNONE
Paride.
EOLO
Quel sì giusto?
GIUNONE
Oggi non più,
ma sacrilego ingiusto,
spergiuro, ed infedele
con temerarie vele
per rapir s'incammina
a Sparta la regina
a Menelao la sposa, a noi l'onore
che pur a Giove nostro Elena è figlia,
e già sul curvo abete
per la campagna ondosa il traditore
intrapreso ha il viaggio
senza temer dell'ire
del sovrano tonante
per così grave oltraggio.
EOLO
O grand'ardire.
GIUNONE
Tu ripara agli scherni
d'una beltà rapita,
d'una reggia tradita,
d'un re sì vilipeso,
del cielo tanto offeso,
d'un ospizio violato
con termine sì indegno,
e di Giove a tal segno
dai mortali sprezzato.
Su su co' tuoi venti
frementi
ne desta
sì fiera tempesta,
che il legno
disperso,
sommerso
l'indegno,
sepolti con lui
restino i falli suoi, l'offese altrui.
EOLO
Diva, troppo tenuto
sono alla tua clemenza,
so che poco temuto
sarebbe il mio potere,
se in quest'antri ristretto
s'avesse a contenere,
che solo è tua mercé, non già mio merto,
che me ne renda degno,
poterlo esercitar nel tuo gran regno;
di quanto imposto m'hai
ubbidita sarai.
GIUNONE
Così confido.
EOLO
Ed io così prometto.
GIUNONE
Starò in cielo attendendo
delle promesse tue d'udir l'effetto.
EOLO
Su, su, furie
della terra,
non tardate,
vendicate
tant'ingiurie
con portare
oggi al mare
orrida guerra.
Su, su furie
della terra.
CORO DI VENTI
Là tutto
rivolgasi
il nostro potere,
il flutto
sconvolgasi
in forme sì fiere,
che Paride assorto
si veda seppellir prima, che morto.
(i venti si partono a volo)
Valle col fiume Xanto, che vi scorre per mezzo.
Ennone sola.
Ahi lassa dov'è
l'oggetto adorato,
che invan ricercato
non vedesi, ahimè;
ah lassa dov'è.
Ahi lassa chissà,
dove egli si sia,
dell'anima mia
chi nuove mi dà?
Ahi lassa chissà.
Ho scorsi e piani, e monti,
e valli, e boschi, e fonti
né mai sin qui trovato
ho l'amato mio bene;
alle paterne arene
ora rivolgo il piè
sol per veder se forse
ei vi venisse, oh dio,
ricercando di me;
ma folle, che dich'io?
E in sì vana credenza
ancor'io mi lusingo?
E qual Paride bramo io me lo fingo?
Ennone, Aurindo.
AURINDO
Ma come così afflitta
la mia bella crudele?
Vo' in disparte sentir le sue querele.
ENNONE
Geloso
timore
deh lascia il mio core;
suo dolce riposo
deh non li sturbare;
ahimè, che scacciare
no, no,
non si può
pensiero affannoso;
geloso
timore
deh lascia il mio core.
Ah non è più quel tempo,
che solo a me rivolto
era ogni tuo pensier Paride mio;
non è più questo volto
agl'occhi tuoi sì grato;
l'averti troppo amato
mi rende a te sprezzabile;
o sorte miserabile,
e questa è la mercede,
del mio sincero amor?
AURINDO
Così richiede
la giustizia del cielo.
ENNONE
E che fec'io?
AURINDO
Disprezzi chi t'adora,
ed è ben giusto ancora,
che nell'istesse forme
riceva del tuo affetto
a quel, che ad altri dai, cambio conforme.
ENNONE
È troppa crudeltà
l'aggiunger nuova pena
a chi pensando sta; purtroppo sai
quanto mi sian moleste
queste importune tue vane richieste.
AURINDO
Ogni supplica mia (purtroppo io so)
che a te sempre è molesta, ed importuna,
e per me sempre vana,
e che sperar fortuna
io non posso da te bella inumana,
poiché a guisa dell'ombra,
sebben un sol, tu sei,
che m'abbrucia, e mi strugge,
tu fuggi chi ti segue
per seguir chi ti fugge.
ENNONE
O mi fugga, o mi segua,
o m'ami, o mi disprezzi,
o che m'usi rigore,
o che m'abbia pietà
il bell'idol mio,
sempre da questo core
adorato sarà; restati, addio.
AURINDO
Addio? Che conforto?
Non posso, che morto,
restar senza te;
dell'anima privo
sai ben, che più vivo
Aurindo non è.
Ennone dispietata
ben veggio, che d'un fiume
sol per mio mal sei nata,
che da' suoi freddi umori hai tratto il sangue
per me gelido sempre,
e delle dure tempre
degl'alpestri suoi sassi
ti fu l'alma vestita
per me sempre impietrita; o caro Xanto
se gradisti giammai
quel tributo di pianto,
che più volte sgorgai
nell'ondoso tuo grembo in duo gran fiumi
da questi afflitti lumi;
poiché di me pietà
la tua figlia non ha: permetti almeno,
ch'io la trovi fra poco
nel tuo profondo seno,
che se viver con lei
per mio crudo destino io non potei,
col morir in quest'acque
godrò d'esser sepolto, ov'ella nacque;
tu prendi il corpo mio,
ch'a lei lo spirto invio.
Momo, Aurindo.
MOMO
Ferma, che fai?
Se ti getti laggiù, t'affogherai.
AURINDO
Posso trovar qui solo
il rimedio al mio duolo.
MOMO
T'inganni (io te lo dico
da buono, e vero amico) e che pretendi
di trovar in un fiume?
E che speri cavarne?
Egli non ha, che pesce,
e l'appetito tuo non vuol, che carne.
AURINDO
Tu scherzi, e pur da scherzo
il mio male non è.
MOMO
Ben te lo credo,
ma il rimedio non vedo
vi si possa trovar con l'annegarsi;
non convien disperarsi.
AURINDO
È ben finire
con la vita il martire
allor, ch'in altro modo
non si può terminar.
MOMO
Questo non lodo;
tu sai, che il viver nostro
è giusto una commedia, in cui la parte
o di servo, o di re,
ch'assegnata se gli è, si rappresenta
da ciascuno, che vive,
questo mondo è la scena,
che in varie prospettive, ed apparati
di sì diversi stati
al girar d'una rota
la volubile dèa cangia in un tratto;
ma dopo l'ultim'atto invan s'attende
dell'umane vicende
altra nuova apparenza,
perché quando la favola è finita,
restano spenti i lumi
della speme non men, che della vita,
onde quel darsi morte è un rinunciare
a tutte le speranze.
AURINDO
E che posso sperare?
MOMO
Che si cangi la scena,
e ch'Ennone sdegnosa
ti si renda amorosa.
AURINDO
È impossibil.
MOMO
Perché?
AURINDO
Perché il suo core
da Paride occupato
non ammette altro amore.
MOMO
Paride se n'è andato.
AURINDO
Ed ove è gito?
MOMO
A pescar a reine in altro lito.
AURINDO
Ed Ennone?
MOMO
La lascia a chi la vuole.
AURINDO
È vero?
MOMO
Più che vero.
AURINDO
Or sì, che non dispero.
MOMO
L'esser vivo a quanto giova;
quest'è l'unico conforto;
se tu fossi adesso morto,
non avresti sì gran nuova
da poterti consolare,
e però convien campare.
(se ne va)
AURINDO
Speranze che dite?
Deh non m'adulate,
deh non m'ingannate,
deh non mi tradite;
speranze che dite?
Speranze che dite?
E creder poss'io,
che l'idolo mio
si renda più mite?
Speranze che dite?
Speranze che dite?
Ah voi me lasciate,
deh non ve n'andate,
ah pregovi, udite,
speranze che dite?
Arsenal di Marte.
Venere, Marte, che sopraggiunge.
VENERE
Questa pur è di Marte.
La bellicosa fede?
Eppur ei non si vede? Ed in qual parte
per richieder di lui devo portarmi?
Se no 'l trovo nemmeno in mezzo all'armi?
Ah forse sarà
tra vezzi giocosi,
tra scherzi amorosi.
Con altra beltà?
Ah ch'esser non può:
non è la mia fiamma,
che il seno l'infiamma
sì lieve no, no.
MARTE
Ecco o bella, che se n' viene
il mio foco alla sua sfera,
che trovar ogni suo bene
fuor, ch'in te giammai non spera.
VENERE
Col mio venir noioso
forse avrò disturbato
in qualche seno amato
il tuo dolce riposo?
MARTE
Un simil concetto
hai dunque di me?
E come? E perché
sì falso sospetto?
VENERE
Tue gioie impedire
non voglio no, no;
tu resta, io me n' vo;
attendi a gioire...
MARTE
Gioire questo core
per altra beltà?
Se ciò mai sarà
può dirtelo Amore.
VENERE
D'Amor non mi fido,
ch'ei teco s'unì
allor, che tradì,
la diva di Gnido.
MARTE
E come o mia vita
tradita
ti chiami?
VENERE
Perché più non vedo,
né credo
che m'ami.
MARTE
Che fede maggiore
d'Amore
tu chiedi?
Se prove già tante
d'amante
ti diedi?
Il sole, che l'opre
discopre
del mondo,
dirà s'altro affetto
nel petto
nascondo.
Veder senza velo
al cielo
ne fe',
che il ciel mio sereno
tuo seno
sol è.
MARTE
Questo sol può bearmi;
ove sotto al tuo piè deposte l'armi,
resi i trionfi miei
amorosi trofei di tua bellezza
maggior d'ogni grandezza,
maggior d'ogni vittoria
l'esser vinto da te stimo mia gloria.
VENERE
Ed io sopra ogni diva
posso a ragion vantarmi.
Se reciproco affetto
per me t'infiamma il petto, o dio dell'armi
e 'l tuo chiaro valore
non mi lascia temere
di Pallade lo sdegno,
sebben a suo favore
arma d'Atene il re tutto il suo regno;
MARTE
Cecrope e che pretende?
VENERE
Di sostenere il torto
di quest'emula mia; distrutto, e morto
vuol il frigio garzon, perché da lui
mi venne destinato
il controverso pomo.
MARTE
A te fu dato
perché sol si dovea
il titol di più bella a Citerea;
così contro 'l superbo
di Pallade campione
in singolar tenzone,
o di tanti per parte
soffron di sostener l'armi di Marte.
VENERE
Resti da te depresso
l'orgoglio di costei
che ribelle si rende al cielo istesso,
mentre che armata a contraddir si muove
ai decreti di Giove.
MARTE
Il giudizio di Paride fu giusto
quanto iniquo, ed ingiusto
è di Pallade il senso,
che sdegnata ne tiene;
sopra questa querela
sulle libere arene
ad uso destinate
di pugne concertate
pronto a pugnar son io;
sì gran disfida
ecco a Cecrope invio.
(si parte)
VENERE
Sì, sì vanne mio caro,
e sostenuta sia
nella giustizia altrui la gloria mia.
Troppo Pallade pretende,
se si crede oggi coll'armi
l'aureo pomo d'usurparmi,
troppo il giusto, e Giove offende;
ah quest'oro quanto luce,
gl'occhi abbaglia, e 'l tutto sforza,
onde in mano della forza
la giustizia si riduce.
Mare.
Paride, coro di suoi Servi in un vascello.
CORO DI SERVI
Alla reggia di Sparta, al soglio, al trono;
di Paride sono
i regni
sol degni,
si lascin le selve
di belve
ricetti,
più nobili affetti
il ciel ti destina;
già bella regina
del cor ti fa un dono.
Alla reggia di Sparta, al soglio, al trono.
Si turba il mare.
PARIDE
Ma come in un momento
dibattuto e sconvolto
quest'ondoso elemento
cangia il tranquillo volto, e lusinghiero
in aperto sì fiero?
PRIMO DEL CORO
Già sorgono in alto
quest'atre procelle,
e par, che alle stelle
minaccia l'assalto.
Segue fiera tempesta di mare.
SECONDO DEL CORO
Dal vento crudele
siam troppo percossi,
son gl'alberi scossi,
squarciate le vele.
CORO
O perfidi venti,
o fati malvagi,
portar i naufragi
in mezzo ai contenti.
TERZO DEL CORO
Già vedomi assorto
dai flutti perversi.
QUARTO DEL CORO
Già siamo sommersi,
QUINTO DEL CORO
Ohimè che son morto.
CORO
O perfidi venti,
o fati malvagi,
portar i naufragi
in mezzo ai contenti.
PARIDE
Bella madre d'amor, figlia del mare
e come puoi lasciare,
che là, dove nascesti,
un tuo fido, e devoto estinto resti?
Dell'averti servita
è questa la mercede?
Paride, e suo Coro, Venere sopra una conchiglia con un coro di Nereidi, Nettuno, che sopraggiunge sorgendo dal mare, coro di Tritoni.
VENERE
Eccomi pronta.
A pro di chi mi diede
la sentenza gradita.
O Nettuno, o Nettuno.
NETTUNO
E che si chiede?
Che orribil tempesta
è questa
ch'io sento?
Chi tal ardimento
aver mai poté?
Chi l'ordine ne diè?
VENERE
Dell'aria la regina
oggi a torto sdegnata
contro Paride il giusto,
coi venti congiurata
per togliergli la vita
turba tutta, e confonde
la monarchia dell'onde;
abbi di lui pietà, porgigli aita,
che in premio ti prometto
render a te soggetto
della vaga Anfitrite
tua nemica adorata il duro core.
NETTUNO
Bella madre d'Amore,
non men per sostenere
dell'umido mio regno
il diritto sovran, che per godere
di tue promesse il desiato effetto,
con scoter il tridente,
che fa l'acqua, e la terra in un tremare,
do bando alle tempeste, e pace al mare.
Il mare si tranquilla.
PRIMO E SECONDO DEL CORO
Ecco quiete,
placide l'onde
del curvo abete
baciar le sponde.
TERZO E QUARTO DEL CORO
Aura fedele
in ciel sereno
di nostre vele
già gonfia il seno.
PARIDE
Diva d'Amore,
ondoso dio
vostro favore
è il viver mio.
Per voi tal calma
solo ne viene
a voi quest'alma
deve ogni bene.
PARIDE E CORO
Ond'è che a voi
il cor devoto
gl'affetti suoi
consacra in voto.
(Paride parte co' suoi)
VENERE
Di quanto per me
Nettuno operò
di Paride a pro,
la degna mercé
n'avrà
tra poch'ore,
per opra di pietà
premio d'Amore.
(parte)
NETTUNO
Non temo no no
restar ingannato,
in breve io godrò
quel ricco tesoro,
quella ninfa; che adoro; o me beato.
Il fin si darà
al nostro tormento,
l'amata beltà
per cui mi disfaccio,
devo accoglier in braccio; oh son contento!
Filaura sola.
Ove sarà sparito
questo regio pastor, che non si trova
chi ne sappia dar nuova?
Per mar non è partito,
poiché tutti dell'onde
furiosi i cavalli
non volevan pur ora,
non che il fien del timone,
o de' remi lo sprone,
non men del curvo abete
sovra il dorso soffrir l'usata stella;
che terribil procella; io che la vidi
benché lunge da' lidi
dal suo sdegno sicura,
m'ebbi quasi a svenir della paura.
E questa tempesta
ch'è sempre infelice
dal mondo si dice
fortuna di mare
e pur si dovria
piuttosto chiamare
sventura ben ria.
Aurindo, Filaura.
AURINDO
O Filaura...
FILAURA
Che nuova?
AURINDO
Paride non si trova,
e per quello che sento,
ad altri amori intento
già per mar se n'è andato.
FILAURA
Paride a questo tempo
so, che non è imbarcato,
e tu per tale avviso
imbarcar non ti déi
nello sdrucito legno
delle speranze tue.
AURINDO
Gl'affetti miei
non s'imbarcano male.
FILAURA
Perché?
AURINDO
Sperar conviene,
mentre manchi un rivale,
che m'usurpa ogni bene.
FILAURA
Quand'Ennone ancora
in quei, ch'adora
non trovi più fé;
non mancano amanti
fedeli, e costanti,
più degni di te.
AURINDO
Io pur in servire...
FILAURA
Ma sempre mal visto...
AURINDO
Il merito acquisto...
FILAURA
Da farti aborrire...
AURINDO
Adunque l'amare
ha queste mercedi?
FILAURA
Sei folle, se credi
fortuna incontrare.
AURINDO
Almen, ch'è pur poco,
pietoso un affetto.
FILAURA
Di già te l'ho detto,
per te non v'ha loco.
AURINDO
Sì cruda fierezza
con vago sembiante?
FILAURA
Un povero amante
da tutte si sprezza.
AURINDO
Son ricco di fede,
se povero d'oro.
FILAURA
È questo un tesoro,
che mai non si vede.
AURINDO
Gl'effetti vi sono
ben visti, e stimati.
FILAURA
Se vengon portati
con nobile dono.
AURINDO
E a questo consente
Amore, ch'è un nume?
FILAURA
È tale il costume
del secol corrente.
AURINDO
O secolo immondo,
o pessimi abusi.
FILAURA
Vuoi forse tu gl'usi
corregger del mondo?
Non giovan lamenti,
querele, né pianti;
chi è senza contanti
non speri contenti.
AURINDO
Già che sperar non posso,
che si cangi mia sorte,
se d'Ennone non son, sarò di morte.
(parte)
FILAURA
Sei semplice a fé,
se credi, che un core
s'arrenda,
s'accenda
d'amore
per te
sei semplice a fé.
Ci vuol altro, che parole,
che corteggi, e che rigiri;
quei sospiri,
quegli ahimè son tutte fole,
poiché sole,
le monete hanno potere
di ridur l'alme più fiere
ad usar qualche mercé.
Sei semplice a fé,
se credi, che un core
s'arrenda,
s'accenda
d'amore
per te
sei semplice a fé.
Quel bel titolo di dama
vuol dir dammi, e donna dona,
così suona
nel suo nome quel, che brama;
e chi l'ama
senza questo, invan pretende,
che se prodigo non spende,
mai pietà per lui non c'è.
Sei semplice a fé,
se credi, che un core
s'arrenda,
s'accenda
d'amore
per te
sei semplice a fé.
Antiteatro.
Cecrope, coro de' suoi Soldati.
CECROPE
Ecco il campo,
ove in breve di trovarmi
col gran Marte avrò l'onore,
fate al lampo
di quest'armi
apparir vostro valore.
Le contese,
che s'incontran più dubbiose
il trionfo fan più grande,
tra l'imprese
generose
queste son più memorande.
CORO DI SOLDATI
Benché Marte il dio guerriero
sia sì fiero,
non però temer non déi;
rendon l'armi tutti eguali,
nostra spada anche agli dèi
saprà dar colpi mortali.
Cecrope, Coro de' suoi, Marte, Coro de' suoi.
CECROPE
Ed ecco Marte in minacciosa fronte,
che prima di pugnar pensa fugarmi;
su miei fedeli a vendicar con l'armi
dell'adirata dèa gl'oltraggi, e l'onte.
MARTE
Tanto ardito un uom mortale
contro me venir presume?
Per combatter contro un nume
tuo potere è troppo frale.
CECROPE
Vengo o Marte ove mi chiami,
ubbidisco ai cenni tuoi,
s'io ti servo in quel, che vuoi,
e che più da me tu brami?
MARTE
In che forza sperar puoi?
CECROPE
In quel giusto, ch'io difendo...
MARTE
La giustizia è sol per noi.
CECROPE
Ch'è per me, provarti intendo.
MARTE E CECROPE
Non si sfoghin le nostr'ire
in contrasti di parole,
su su all'arme, in cui si suole
la ragion far apparire.
Segue abbattimento tra Marte, e li suoi Seguaci, e Cecrope e li suoi Soldati con la peggior di questi, che restano prigionieri di Marte.
MARTE
Cedi, che vinto sei.
CECROPE
Così vuole il mio fato.
MARTE
Anzi quel dritto,
ch'io sostengo, e difendo.
CECROPE
Alla fortuna tua cedo, e m'arrendo.
Insieme
MARTE
Della pugna l'onore
della sorte non è, ma del valore.
CECROPE
Della pugna l'onore
della sorte sol è, non del valore.
Cedrara.
Ennone sola.
Paride, e dove sei?
Dove ahi lassa t'involi agl'occhi miei,
Paride e dove sei?
Forte lieve, e incostante
d'altra bellezza amante
tra più selvaggi orrori
segui la traccia di furtivi amori?
O voi de' miei diletti
solitari ricetti, ombre beate,
ove del mio bel sole
alle luci adorate il ciel mi diede
di legittimo amor degna mercede
deh co' le verdi lingue
dell'odorate fronde
scosse da miei sospiri
dite, ditemi, ahimè dove s'asconde
questa bella cagion de' miei martiri?
Ma voi non rispondete
a sì giuste querele,
né sentite pietà dell'altrui duolo,
perché del mio crudele
il nome, il nome solo,
che tante volte, e tante
incisi in queste piante, in voi trasfonde
la propria qualità; quindi è ch'a un tempo
da voi l'esempio prende,
ed il vostro rigore
da quel nome spietato in voi s'apprende;
ma dal dolor non meno,
che dal cammino stanco
regger più non si può l'afflitto fianco.
O morbide erbette
già piume dilette
a dolce riposo,
or spine pungenti
di cure dolenti
al seno affannoso;
il sonno già parmi,
che tacito scenda
con placida benda
i lumi a serrarmi;
non deve lasciarmi
mirare no, no,
la memoria d'un ben, che più non ho.
Tra tanto, che viene
pietosa la morte
in sì dura sorte
a trarmi di pene,
al sonno conviene
aver (se pur'è
della morte fratel) pietà di me.
Filaura, Ennone, che dorme.
FILAURA
O che pena, o che stento?
Senz'aver un respiro
son quattr'ore, che giro
come un molin da vento,
eppur alcun non veggio,
che novella mi dia di quel, che chieggio;
ma la padrona è qui? Mi par, che dorma;
sì, sì figlia, sì sì,
passa pur il martello in questa forma.
ENNONE
(in sogno)
Dove, dove è il mio bene,
e qual è la cagion, che a me non viene?
FILAURA
Sebben dormendo giace,
neppur permette Amor,
che quel misero cor riposi in pace.
ENNONE
S'io viva, non so;
so ben, che non ho
più l'alma con me;
ahimè,
che solo
morta son ai contenti, e viva al duolo.
FILAURA
Vaneggia ebbra d'amore, e questi fumi
dell'amoroso ardore
ah che mai non si ponno,
come quelli del vin, smaltir col sonno.
ENNONE
Dove Paride mio?
Dove te n' fuggi? Oh dio!
FILAURA
Ma questo è un sogno,
che potrebbe avverarsi.
ENNONE
E puoi soffrire
di lasciarmi morire? Oh dio perché?
In che t'offesi, ahimè.
FILAURA
Sogno affannoso,
che toglie quanto il sonno
può darle di riposo;
sarà ben, ch'io la desti; Ennone sorgi;
a che tante querele?
ENNONE
Non sai, che l'infedele
è fuggito da me.
FILAURA
Sognasti o figlia.
ENNONE
L'anima, che non dorme,
sotto l'ombra del sogno
quasi occulto mistero,
al senso, che n'è ignaro, accenna il vero;
su prora fuggitiva
lungi da questa riva
vidi l'empio sleale.
FILAURA
È già gran tempo,
che di fieri muggiti
fa risuonar i liti il mar cruccioso;
eppur or tempestoso
co' suoi flutti schierati
in aria sollevati
parea, che ardisse al ciel, non che alla terra
muover orrida guerra;
non è nocchiero accorto,
che in sì cruda stagione esca del porto,
onde temer non déi,
che il tuo ben se ne vada
per quell'ondosa strada.
ENNONE
A quest'avviso
respiro dall'affanno
di quel torbido sogno.
FILAURA
Il sogni alfine
son de' nostri timori,
o di nostre speranze,
assai più, che del ver, vane sembianze.
Tempio di Pallade in Atene.
Sacerdote di Pallade. Coro di Ministri, Adrasto.
ADRASTO
Ahimè, che mesti auguri?
(guardando le viscere della vittima)
Quando per la salvezza
dell'attico regnante
alla tritonia diva
dell'ostie a lei più care
fuma per nostra mano il sacro altare,
della vittima, ahimè, putrido è il sangue,
e 'l più vivo colore
delle parti vitali
da funesto squallore oppresso langue;
per evitare i minacciati mali
o ministri devoti
porgete alla gran dèa supplici voti.
SACERDOTE E CORO DI MINISTRI
Dèa d'Atene, che sei nata
tutt'armata,
anco intesa
deh ti mostra a sua difesa.
SACERDOTE
Suscitate la fiamma,
e dagl'altari accensi
sfumin le sacre mirre, e i maschi incensi.
UNO DEL CORO
Come in alto si sollevano
queste nuvole odorate
così a te speriam, che grate
nostre preci giunger devano.
SACERDOTE
Invano alla gran dèa s'ergono i fumi
de' nabatei profumi,
questa torbida fiamma
è troppo chiaro segno
del suo celeste sdegno; ah non sia vero,
che contro noi s'accenda,
a placarla s'attenda.
CORO DI MINISTRI
S'a te sacre fra le dive
son l'olive
di pietà segni amorosi,
deh pietosi
verso noi
volgi ancor i lumi tuoi.
UNO DEL CORO
Pietà, diva, pietà,
gradisci i nostri voti,
che di noi più devoti
il tuo nume non ha,
pietà, diva, pietà.
Pietà, diva, pietà
ascolta i nostri preghi,
sue grazie non ci neghi
tua divina bontà;
pietà, diva, pietà.
Si sente un terribil terremoto, che crollando il tempio, getta a terra il simulacro di Pallade, e la tribuna.
ADRASTO
Ohimè trema la terra;
e 'l Palladio s'atterra; oh fiero scempio,
crollano le colonne, e cade il tempio.
Pallade in aria sopra una nube.
Sacerdote, Coro di ministri, Adrasto.
PALLADE
Il Palladio fatale
non dée restar in piede,
quando Pallade istessa
giace vile, e depressa,
se nel punto d'onore
atterrata son io,
cada pur anche a terra il tempio mio.
ADRASTO
Oltraggiato in che vien il tuo gran nume
dal popolo d'Atene
armato col suo re per tua difesa?
PALLADE
Da voi non sono offesa,
ma dal nemico Marte,
che nel contrasto fiero
con ingannevol arte
il mio forte campione,
ed il vostro gran re
fe' prigioniero.
ADRASTO
Ohimè,
dove si trova?
PALLADE
Nel suo forte recinto, ove pur anco
è il pomo custodito,
che usurpato, e rapito
da Venere mi fu: co' le vostr'armi
si liberi il monarca
dall'indegna prigione,
in cui vivo è sepolto, ed a me si renda
quel che mi venne tolto
dall'iniqua sentenza; io vo' l'emenda
d'un torto manifesto,
il sacrificio è questo,
che più grato da voi si possa farmi.
ADRASTO
Su, su dunque su all'armi.
CORO DI MINISTRI
Presto all'armi su, su.
PALLADE
Vittima voglio,
che cada a' piedi miei
degl'inimici dèi l'odiato orgoglio.
(partono gli ateniesi)
Così dunque così
della beltà, dell'armi
vedo i pregi in un dì
tutti involarmi?
Pallade non son io,
se non so vendicar l'oltraggio mio.
Ah troppo offesa son,
vadano pure in guerra
per sì grave cagion
e cielo, e terra,
quello, che al nostr'onore
l'ingiustizia involò, renda il valore.
Alceste sola.
Ahi, che sento, infelice?
Tra ceppi, e tra catene
esposto all'ira ultrice
d'un furibondo Marte ogni mio bene?
O nuova che m'accora,
ho perduto il mio sposo, e vivo ancora?
O sposo, o sposo mio
perché lasciarmi (oh dio) dimmi perché?
Con notturna sortita
di nascosto da me farne partita?
Che se mi sei consorte
correr teco dev'io l'istessa sorte,
ma in sì vane querele
a che ti perdi Alceste?
Se a Cecrope fedele
già s'arma il suo gran regno
per ritorglierlo a forza
da quel carcere indegno, e tu che fai?
Neghittosa starai
tra le timide ancelle
ad attender sospesa
nell'albergo real di lui novelle?
No, no, si vestan l'armi;
vo co 'l petto non meno,
che co 'l'animo forte,
per salvar la mia vita, espormi a morte,
o gran diva de' guerrieri,
che pensieri
svegli in noi nobili, e casti,
se insegnasti
trattar l'armi al sesso imbelle,
per imprese così belle
al mio braccio, ed al mio core
dona spirto, e dà vigore.
Aerea con la via lattea, e sopra la sfera del foco.
Venere nella sua stella.
VENERE
Mia stella,
più bella,
più chiara risplende,
la sfera maggiore
d'amore,
n'accende,
scintilla,
sfavilla
con raggi di gloria,
al cielo fa mostra
di nostra
vittoria.
Venere, Amore sopra un carro di foco venendo dalla sfera del medesimo.
VENERE
Ma dove o figlio
con incendio sì fiero?
AMORE
Ad eseguire o madre
il tuo soave impero,
ad accender il seno
della bella Anfitrite,
come tu m'imponesti; io v'ho disperse,
e dissipate indarno
tutte le mie facelle,
per ridurre a' tuoi cenni
le sue voglie rubelle; onde me n' venni
a toglier nuove fiamme
dalla sfera del foco,
per veder se potessi
suscitar in quel core
faville di pietà, se non d'Amore;
poiché 'l voler, che giovinetta bella
per rimbambito amante
resti d'Amore accesa,
credimi o madre, è disperata impresa.
VENERE
Ben è vero; ma quel più
opra tu,
che far potrai,
perché resti consolato;
il mio nume tu ben sai,
ch'è a Nettun troppo obbligato.
E se amare (com'io so)
non lo può,
nemmen lo vuole,
ella almen non lo disprezzi,
ma gli dia buone parole,
e cortese l'accarezzi;
perché un vecchio, che non ha
per l'età
più forza alcuna,
si dà a creder d'incontrare
in Amor buona fortuna
nel vedersi accarezzare.
AMORE
O questo sì ben spero,
che simulando almeno
con qualche finti vezzi
lo lusinghi, e accarezzi,
che delle donne in seno
come in lor propria sfera ogn'ora stanno
la finzione, e l'inganno;
scendo intanto nel mare
per andarla a trovare.
(si tuffa in mare)
VENERE
Vanne pure o serpentello,
aspidello
velenoso, empio, e mortale,
con la lingua, e con lo strale;
sempre in pungere sì ardito,
che se udito
tu sei qui tra tanta gente,
qualche bella si risente.
Ecco appunto, che viene
di sdegno folgorante
la sorella, e la sposa al gran tonante.
Giunone sopra il carro stellato d'Arturo, che cammina per la via Lattea formata di piccolissime stelle, Venere.
GIUNONE
Vanne ciprigna pure, ostenta altera
per la stellata sfera
nelle vittorie tue gl'oltraggi miei.
VENERE
E da chi offesa sei?
GIUNONE
Dal tuo frigio pastore.
VENERE
Ei non t'offende,
mentre il suo dritto alla giustizia rende.
GIUNONE
Anzi alle tue lusinghe,
che a te l'hanno obbligato; e sol per queste
il pomo hai guadagnato.
VENERE
Il giusto non porta
di far altrimente...
GIUNONE
Sol ebbe sua mente
il senso per scorta.
VENERE
Da Giove a tal posto
fu d'arbitro eletto.
GIUNONE
A tanto concetto
ha mal corrisposto,
VENERE
Così ti fa dire
il proprio interesse.
GIUNONE
Le frodi chi tesse
è usato a mentire.
VENERE
Chi mente si scopra,
che inganni? Che frodi?
GIUNONE
I soliti modi
che Venere adopra.
VENERE
Di' pur quel che senti,
che modi? Che dici?
GIUNONE
I dolci artifici,
che allettan le genti.
VENERE
Rimasta son io
alfin vincitrice,
dir tutto ti lice;
ma il pomo è già mio.
(parte)
GIUNONE
È tuo, ben lo so,
ma senza ragione,
tal torto Giunone
soffrire non può,
se l'empio scampò
dall'orrido flutto,
chi l'ha liberato,
ne sia castigato,
rimanga distrutto.
Vieni o nume sovrano
della sfera del foco,
che a mia vendetta il tuo soccorso invoco.
L'elemento del Foco sopra un carro tirato da due gran salamandre, Giunone.
FOCO
A' tuoi cenni eccomi pronto,
la mia diva e che m'impone?
GIUNONE
Che tu vendichi Giunone
d'un ingiusto, e grave affronto.
FOCO
Chi si deve castigare?
GIUNONE
Un che pur è tuo nemico...
FOCO
Io me n' vivo a tutti amico...
GIUNONE
Come stai col dio del mare?
FOCO
Differenti siam d'umore,
ma ciascun fa i fatti suoi.
GIUNONE
S'egli è tale, armar ben puoi
a suo danno, e a mio favore.
FOCO
Ecco qua, son pronto a tutto,
che richiede il tuo gran sdegno?
GIUNONE
Ch'ei rimanga senza regno,
che il suo mare sia distrutto.
FOCO
E come?
GIUNONE
Si precipiti
l'elemento focoso
nel mondo procelloso,
onde ben presto asciutto,
del suo misfatto in pena
se ne resti Nettuno in nuda arena.
Già che 'l destin non vuole,
che la pena di morte
cada sovra quel nume,
che di tal nome è indegno,
se la vita non puoi, togligli il regno.
FOCO
No mia diva no, no, no,
tu sai bene,
che il mar giace tra l'arene,
nel suo centro sta la terra,
nel suo posto anche si serra
l'aria tua non men del foco;
il suo loco
destinato
è dal fato
a ogn'elemento,
che ne deve esser contento,
ed uscirne mai non può,
no mia diva no, no, no.
GIUNONE
Questa legge fatale
oggi più non s'osserva, e più non vale,
poiché veggio talor qualche elemento
del politico mondo,
ch'ad avanzarsi intento,
con vaste brame, e ambizione altera
esce della sua sfera.
FOCO
Se a questi vien permesso,
a noi non è concesso, e dalle leggi
non vo', né devo uscire;
non ti posso servire.
GIUNONE
E non puoi fare
quel, che fanno tant'altri?
FOCO
In ciò ti prego
a volermi scusare.
GIUNONE
Indegno sei
dell'onor, ch'io ti fei
nel ricorrer a te, spirto sì poco
come può aver costui, ch'è tutto foco?
(si parte)
FOCO
È così fuor di ragione
s'è Giunone
adirata contro me,
sol perché
non vo' far quel che non lice;
uh che secolo infelice.
Chi non segue i pazzi umori
de' maggiori,
e che mille iniquità
far non sa,
senza spirito si dice;
uh che secolo infelice.
Son per questo un vile, e indegno,
non ho ingegno,
e per questo ho a meritar,
e provar
l'ira sua vendicatrice;
uh che secolo infelice.
Atrio del palazzo di Venere.
Eufrosine, una delle grazie, sopra una tartaruga.
EUFROSINE
Che angoscia, che affanno
su questo animale,
che a far in un anno
due leghe non vale,
andando sì lento
che pena, che stento.
Quell'empia, e perversa
fortuna spietata,
che sempre m'è avversa,
or m'ha condannata
a questo tormento,
che pena, che stento.
Ma di fortuna in onta
sono alfin del viaggio, eccomi gionta
alla bella magion di Citerea,
vedo venirmi incontra
Aglaie, e Pasithea.
Aglaie, Pasithea, Eufrosine.
AGLAIE
Come allegra ti accolgo!
PASITHEA
Con che gusto ti stringo!
EUFROSINE
Con che gioia v'abbraccio o mie sorelle;
pur vi rivedo alfine.
AGLAIE
E dove senza dar di te novelle
o diletta Eufrosine
fosti per tanto tempo?
EUFROSINE
Per viaggio sin ora.
AGLAIE
Su quel tardo animal?
EUFROSINE
Sempre su questo.
PASITHEA
Meraviglia non è,
che tu giunga sì tardi;
ma viaggiar perché
su quella lenta mole?
EUFROSINE
Fortuna così vuole.
AGLAIE
E come?
EUFROSINE
Or odi;
quest'arbitra suprema,
che non solo nel mare,
ov'ha la propria fede,
ma nella terra ancora
tutto a sua voglia dominar si vede,
da' suoi cenni pretese,
ch'io dipender dovessi.
AGLAIE
Ah troppo offese
la nostra libertà.
PASITHEA
Libere siamo;
se non fossimo tali,
le grazie sarian solo
di mercede venali
un vilissimo stuolo.
EUFROSINE
Onde libera ancora, e generosa
gl'apersi il seno mio
con modesta repulsa; ella sdegnosa
poiché neghi, mi disse,
d'aver me per tua scorta, è ben ragione,
che per non incespare
ti s'assegni un corsier lento, e posato,
e questo appunto è quello,
che mi fu consegnato,
su questo poi, riprese,
va' pure, e t'incammina
là dove ti destina
regia munificenza,
ch'io so, che non potrai
giungervi senza me, che tardi o mai.
PASITHEA
O grazie sventurate,
ancor che destinate
dal magnanimo affetto
d'un animo real, non hanno effetto.
AGLAIE
Ben io lo so per prova,
che inviata da un grande
con doni preziosi
alla bella virtù, ch'ei tanto stima,
passando per gli stati
del principe interesse, a un tratto fui
sotto vari pretesti
svaligiata da lui.
PASITHEA
Dunque una grazia
incontra tal disgrazia?
AGLAIE
Onde del tutto ignuda
io giunsi alla virtù, non altro avendo
che d'una delle grazie il puro nome...
PASITHEA
Ella che disse?
EUFROSINE
E come,
ti ricevve spogliata
de' preziosi arredi?
AGLAIE
Riverente m'accolse, e al mondo noto
con ossequio devoto
fece il suo puro, e riverente core,
perché stima, assai più
dell'oro del Perù, sì grand'onore.
PASITHEA
Di questo sia contenta,
poich'ogn'altra speranza
per lei si vede spenta,
troppo fiero nemico s'è scoperto
alla virtude, e al merto, io già di questi
esser sposa dovea
per ordine d'Astrea,
ma il vizio, che odiò sempre
il merto, e la virtù, sturbato ha il tutto.
EUFROSINE
Ed Astrea che ne dice?
AGLAIE
Non so come ingannata
ella ancora ha disdetta
la parola già data...
PASITHEA
Ed al vizio aderisce?
AGLAIE
Oh questo no,
anzi soffrir no 'l può.
PASITHEA
So che altre volte
fu punito da lei
per l'esecrando eccesso
de' suoi vari misfatti.
EUFROSINE
E come adesso
vien da lei tollerato?
AGLAIE
Ei l'abito cangiato
con le cabale sue, con gli artifici
di confidenti, e amici
si spaccia per virtù.
PASITHEA
Giunge a tal segno
del vizio infame il temerario ingegno?
EUFROSINE
Ma di guerriera tromba
che strepitoso suono
per la reggia di Venere rimbomba?
Compariscono in trionfo Venere, e Marte con Cecrope a' piedi loro incatenato, assisi sopra un carro tirato da due leoni cavalcati dagl'Amorini; avanti si vede la pompa del trionfo con le spoglie di Giunone, e di Pallade, cioè scettri, corone, armi, e libri e li seguaci di Cecrope prigionieri; una figura alata rappresentante la Vittoria nell'estremità del carro innalza sopra la testa di Marte una corona trionfale, e sopra quella di Venere il pomo d'oro; col séguito d'un coro di Soldati.
CORO DI SOLDATI
Di bellezza, e di valore
ogn'onore
ogni gloria a voi si doni;
e risuoni
ogni parte
vivan pur Venere, e Marte.
MARTE
Di beltà l'invitta diva
viva, viva,
che con Pallade, e Giunone
in tenzone
riportato
vincitrice ha il pomo aurato.
VENERE
Viva pure il dio guerriero,
che il più fiero
de' monarchi oggi si vede
al suo piede
da lui vinto
tra catene essere avvinto.
CECROPE
Tra forti catene
la sorte ritiene
legato il mio piè,
ma l'alma reale
al colpo fatale
soggetta non è.
MARTE
Sei vinto.
CECROPE
Son re...
MARTE
E ancor pertinace,
con spirito audace
contrasti con me?
Sei servo.
CECROPE
Son re.
VENERE E MARTE
La gloria è maggiore,
se il nostro valore
trionfa di te;
sei schiavo.
CECROPE
Son re.
MARTE
Sei re, ma prigioniero
senza scettro, e senz'armi,
non voler irritarmi
con termine sì altiero,
ma tra lacci tenaci
imprigiona la lingua, e soffri, e taci.
Amore a volo, che si posa sul carro; Venere, Marte.
AMORE
Marte, madre, che fate?
Così vi lusingate? Ah non è tempo
no, no di trionfare,
ma sì ben di pugnare,
i popoli d'Atene
da Pallade istigati
se ne vengono armati
per ritorglier a voi
col gran monarca loro
il trofeo di bellezza, il pomo d'oro.
MARTE
Temeraria intrapresa...
VENERE
E dov'è, e quando
hai tal novella intesa?
AMORE
Io stesso vidi
il bellicoso campo,
che spirando furor, sdegno, e vendetta
occupa tutto intorno, e questa rocca
a sorprender s'affretta
con assalto improvviso,
onde me n' venni a volo
a darvene l'avviso.
VENERE
E tanto ardisce
il temerario stuolo?
Che vuol prender co' dèi risse, e contese?
MARTE
E fin ne' regni miei
se n' vien ad irritarmi?
VENERE, MARTE E AMORE
Presto all'armi su, su, su presto all'armi.
Fortezza di Marte.
Alceste, Adrasto, coro di Soldati.
ADRASTO
Ecco il forte recinto,
ove il nostro monarca
giace sepolto almen, se non estinto,
ove è quel Pomo aurato,
che, a Pallade dovuto,
dall'iniqua sentenza ad altri è dato;
tanto so che vi basta
perché appianato il varco
di sì superbe mura alla salita,
renda il vostro valore
alla gran dèa l'onore...
ALCESTE
E a me la vita,
che viver non poss'io
senza Cecrope mio.
ADRASTO
Pria dunque, che il nemico
dentro 'l vallo racchiuso
possa farsi più forte,
a portar gli si vada, e guerra, e morte.
ALCESTE
Su; su dunque o miei fidi
all'assalto si vada;
ecco, ch'io vi precorro;
si tronchi co' la spada il laccio ingiusto,
che toglie (ahi nodo indegno)
a' un re la libertà; l'anima a un regno.
ADRASTO
All'assalto, all'assalto
dell'inimiche mura,
la sorpresa è sicura,
sebben s'ergono in alto.
ALCESTE E ADRASTO
All'assalto, all'assalto.
Gli Ateniesi danno l'assalto alla fortezza con le scalate, e due elefanti con torri sul dorso ripiene d'Uomini armati, che eguagliando l'altezza dei bastioni, tentan d'espugnarli; ma da una vigorosa sortita degl'Assediati, sono costretti a ritirarsi.
ADRASTO
È impossibil per ora
l'espugnar per assalto
un posto così forte,
e così ben munito;
per ritentar la sorte
in breve avremo unito
il nostro collegato il re d'Epiro,
intanto si circondi
di ben vallato giro, onde, al soccorso
impedita ogni strada,
l'oppugnata fortezza a terra cada.
ALCESTE
Benché si difenda
sì forte città;
alfin converrà,
che vinta si renda.
Pallade sopra il suo carro in aria.
Alceste, Adrasto, coro di Soldati.
PALLADE
Sì, sì pur, ch'alla fine
per vostra man cadrà,
sepolta resterà fra sue rovine.
Delle roveri alfine
il tronco noderoso,
che si regge orgoglioso,
e non par che paventi
de' più feroci venti,
orrida guerra,
con percosse iterate alfin s'atterra.
Intanto o squadre amiche
v'andate a ristorar
per più forti tornar alle fatiche,
delle squadre nemiche
sì minacciosa, e fiere
non dovete temere,
quanto più faticosi,
sono più gloriosi
anche i contrasti.
Per Pallade si pugna; e tanto basti.
ALCESTE E ADRASTO
Quest'armi, che son scorte
da tuo divin valore,
non temono il furore
o di Marte, o di morte.
(si partono)
PALLADE
Vedrai bene o Citerea,
che la dèa
della virtù,
quanto Marte,
se non più
della guerra Eveno intende l'arte.
Villa deliziosa di Paride.
Ennone.
O Paride amato,
che lunghe dimore,
da me slontanato
per tante, e tant'ore,
io son tutto ardore,
né arrivo in che loco
mio foco
si sta,
e dove sarà;
ohimè
non so che
di mesto, e infelice
a quest'alma dolente il corpo predice.
Pur questo è il soggiorno
dell'idolo mio,
nemmeno qui intorno
vederlo poss'io,
né intender, oh dio,
pur dove si trova,
chi nuova
ne dà
e dove sarà;
ohimè
non so che
di mesto, e infelice
a quest'alma dolente il cor predice.
Filaura, Ennone, Momo.
FILAURA
O figlia o figlia mia.
ENNONE
E che porti o nutrice?
FILAURA
Novella la più ria,
che ti possa arrivar; già s'è imbarcato
il tuo Paride amato.
ENNONE
Come? Quando? Perché?
MOMO
Per quello, che poc'anzi
(ma a tempo) io n'avvisai,
e voi non lo credeste,
perché a quei, che si vede
sotto povera veste,
non si dà molta fede.
ENNONE
Dunque è ver che mi sprezzi?
Mi fugga? E m'abbandoni?
Dove, dove, dov'è?
Voglio che senta almeno
i rimproveri miei.
FILAURA
Deh ferma il piè,
che a tempo più non sei.
ENNONE
Dunque è partito?
MOMO
È dal lido sparito in un momento,
che lo portava il vento.
ENNONE
Così tradisce ahimè
il mio amor, la mia fé?
MOMO
Imparate in avvenire
a sentire,
ad a creder quel, ch'è detto
da chi schietto
è di lingua, e cor sincero;
io son Momo
galantuomo,
dico mal, ma dico il vero.
ENNONE
O perfido, e ingrato,
spergiuro, infedele,
spietato,
crudele,
rivolgiti in qua,
se a pieno contenta
vuoi pur, che si senta
la tua crudeltà.
Rivolgi la prora,
ritornane in Ida,
ch'io mora,
m'uccida,
tu brami, ch'io 'l fo;
tuo crudo desire
vedermi morire
altrove non può.
Ma l'anima stanca
nel lungo tormento
già sento,
che manca;
o morte soave
in pena sì grave
mio solo
ristoro,
già moro;
e dal duolo
a prender respiro
me n' volo
al tuo seno,
già vengomi meno,
già l'anima spiro.
FILAURA
Ohimè, che s'è svenuta.
MOMO
Oh meschinella.
FILAURA
Presto Momo m'aiuta.
MOMO
Son pronto, oh com'è bella.
FILAURA
Andiamola a spruzzare
alla fonte vicina.
MOMO
Per farla ritornare
saria meglio condurla a una cantina.
Giunone in una nube oscurissima, Giove sopra l'aquila, che sopraggiunge.
GIUNONE
E ancor invendicata
per l'eterea campagna
Giunon tant'oltraggiata invan si lagna?
Che mi vale aver fratello,
e consorte il sommo Giove;
mentre il foco a me rubello
a' miei cenni non si muove?
Dunque Paride impunito
resterà d'opra sì ria?
E Nettuno è tanto ardito,
che l'invola all'ira mia?
GIOVE
Tempra gli sdegni omai,
e dell'arbitro d'Ida
t'acquieta alla sentenza.
GIUNONE
È troppo ingiusta.
GIOVE
A che tanta doglienza
sol per un pomo d'oro?
Mentre tutto possiedi
dell'empirea magion l'ampio tesoro?
GIUNONE
Il pregio di beltà
col pomo anche si diè
e Venere di me
più bella si dirà?
Questo poi no,
giammai non soffrirò.
GIOVE
Abbia pur la pretensione
d'una simil vanità
chi non ha,
né può aver altr'ambizione,
ma Giunone
altri vanti aver ben déi,
mentre mia suora, e mia consorte sei.
GIUNONE
Tra le dive più sublimi
ben lo vedo,
ch'io possiedo
su nel cielo i posti primi,
ma che vale,
se rimessa
son io stessa
all'arbitrio d'un mortale?
GIOVE
Ei da me fu deputato.
GIUNONE
Senza questo ei non ardiva.
GIOVE
A mio nome ha giudicato.
GIUNONE
L'ingiustizia a te s'ascriva.
Giudicar retto, e sincero
tu dovevi fra gli dèi,
né sgravarti del pensiero,
e dell'obbligo, in che sei.
È d'un grande un grand'errore
il rimettersi ad altrui
d'un affare, ch'è il maggiore
possa aver ne' regni sui.
GIOVE
Quando vedrò cessare
nel turbato tuo sen sì gran tempesta
mi riserbo a parlare; intanto resta.
GIUNONE
Vanne pur, che se Giove
oggi per me non sei,
poco grato riesci agl'occhi miei;
ma già che in ciel, né in terra
la giustizia per me non ha più loco,
poiché l'acqua, ed il foco
negan anche di far le mie vendette,
vo nell'etereo regno
oltraggiata deità sfogar lo sdegno.
D'un fosco velo
l'aria s'ingombre,
di nubi, e d'ombre
coprasi il cielo...
(s'annuvola)
E 'l nume di Delo
i raggi più puri
oscuri
del giorno,
intorno
risuoni
il gemito,
e 'l fremito
d'orribil tuoni.
(si sentono tuoni)
Momo, Giunone come sopra.
MOMO
Olà diva, che fai?
Vuoi forse tempestar?
Adunque tu non sai
la tua rabbia sfogar in altra guisa?
Che gran vendetta; ah ah scoppio di risa.
GIUNONE
Dell'aria i campi
già son in armi,
a vendicarmi
turbini e lampi...
(si vedono lampi e saette)
Il cielo s'avvampi
si porti alla terra
la guerra
su presti,
e resti
pur tutto
dal torrido,
ed orrido
mio sdegno distrutto.
(comincia il temporale di pioggia e grandine)
MOMO
Venga pur fiera tempesta;
che di questa
io non ho punto paura,
la mia lingua m'assicura;
che non dèi, se in zucca hai sale,
stuzzicarmi a dir del male.
(cresce il temporale)
Ma che fai rabbiosa diva?
Già m'arriva
la tua pioggia tutta addosso,
e sebben scampar io posso
con salvarmi sotto un tetto,
qui vo stare a tuo dispetto.
Fa' pur su, fa' quanto sai,
che giammai
non vo' togliermi di qui,
quando bene tutto un dì
tu piovessi anche dei sassi,
non mi muovo di due passi.
Par che il ciel voglia cadere,
e le sfere
si disfaccian tutte in pioggia;
segui pure in questa foggia
o Giunone ad ammollarmi;
ch'ho ben io dove rifarmi.
A nessun io la perdono,
Momo sono,
il flagello dei più grandi;
sovra me pur l'acqua spandi,
che dopo i' con lo stil mio
saprò ben sciacquarti anch'io.
Il diluvio è cessato, ed io più duro
di Giunone son stato;
pria che vedermi muovere,
è convenuto a lei restar di piovere;
ma quanto, oh quanto male
ha fatto il temporale; ecco caduta
di Paride la pena,
sovra il suo bel soggiorno, ecco abbattuta
la sua pompa sì amena, ecco distrutta
ogni delizia sua più vaga, e bella,
e così appunto va,
quei, che il mondo non ha
da batter il caval, batte la sella.
Ennone sola.
Amante disprezzata,
ed offesa,
e schernita,
e tradita,
e abbandonata,
e che pensi, e che fai,
forse sperando vai,
che pentito anche un giorno
a te faccia ritorno
colui, che ti sprezzò,
ti schernì,
ti tradì
t'abbandonò?
Ah no, no, no, no,
altra speme non resta
in così dura sorte,
che finir
il martir
con la mia morte.
Lo strale pungente,
che cura sovente,
e dolce diporto
mi fu ne' primi anni,
il solo conforto
anch'oggi mi sia,
che quest'anima mia
levi d'affanni.
Se già tra le selve
feriva le belve,
più cruda è la fiera
che annido nel petto,
trafiggasi, e pera
con questo mio cor
quell'empio traditor,
che v'ha ricetto.
Aurindo, Ennone.
AURINDO
Ferma mia vita...
ENNONE
Oh dio,
e che nel viver mio
mi prolunga il morire?
AURINDO
Un tuo costante
tanto fedel, quanto infelice amante.
ENNONE
Lasciami questo strale.
AURINDO
Io ben lo lascerò,
quando voglio però
il suo colpo mortale
volger contro di me.
ENNONE
Lascia, se m'ami,
lascialo, se tu brami
far pago il mio desire.
Filaura, Ennone, Aurindo.
FILAURA
No, no, lasciala dire,
tienlo Aurindo pur forte,
che non sia dia la morte,
sì sì tienlo pur stretto,
che tu sii benedetto, oh come appunto
a tempo qui sei giunto.
ENNONE
E tu ancor, o nutrice,
vieni d'un infelice
a disturbar la pace?
FILAURA
Anzi darla vorrei,
ma, come tu la cerchi, a me non piace,
già colui se n'è andato
a cercar altri amori,
né creder, che se mori,
ei ti resti obbligato.
ENNONE
Io più non curo
quel perfido spergiuro,
voglio solo finire
con una breve morte
un continuo morire.
FILAURA
Credimi figlia mia,
che quanto all'ammazzarsi è una pazzia.
Lascia andar chi se ne va,
ed attendi a quel che viene,
so che Aurindo ti vuol bene,
ed ancor te ne vorrà,
onde d'altro non sarà,
ma tuo sempre tutto, tutto;
tempo è di dargli del suo amore il frutto.
ENNONE
Ah Paride spietato, e ben si vede,
che da un'orsa crudel, fosti allevato.
FILAURA
Or pensar più non si dée
a quel Paride incostante,
ma trovarsi un altro amante,
che ti serbi amore, e fé;
tal Aurindo sai ch'egl'è,
onde tuo sempre sia tutto;
tempo è di dargli del suo amore il frutto.
AURINDO
Se gradire non vuoi
il mio sincero affetto,
eccomi a' piedi tuoi
per trapassarmi il petto,
la sentenza n'aspetto,
ch'o di morte, o di vita,
pur che venga da te, mi sia gradita.
ENNONE
Ti cedo.
AURINDO
E che vedo?
ENNONE
M'arrendo.
AURINDO
Che sento?
Aurindo contento
o cieli, che intendo?
ENNONE E AURINDO
Un core
in amore
fedele,
costante
può rendersi amante
un'alma crudele.
Momo, Ennone, Aurindo, Filaura.
MOMO
Buon pro vi faccia amici,
Aurindo ora che dici?
E non ti sottoscrivi
alla sentenza mia,
che attendere si deve a star tra i vivi;
se dianzi t'affogavi,
a quel, che giunto sei, non arrivavi.
FILAURA
Dopo aver ben diluviato
piogge il ciel, e gl'occhi pianti,
ecco alfin pur'è arrivato
il seren de' nostri amanti.
ENNONE, FILAURA, AURINDO E MOMO
O voi che penate,
o voi che languite,
soffrite,
sperate,
che alfin la mercede
riportano in amor costanza, e fede.
Piazza del castello di Marte col suo palazzo nel prospetto e nel mezzo una torre isolata. S'apre il cielo, ove nel suo trono si vede assiso maestosamente Giove con l'aquila ai piedi Giunone vicino a lui, Pallade ed un coro numeroso di varie Deità.
Giove, Giunone, Pallade, coro di Dèi.
GIOVE
E per un pomo d'oro
di così lieve pondo
andar dovrà tutto sossopra il mondo?
E Pallade, ch'è parto
della testa di Giove,
per sì debol cagion tant'armi muove?
PALLADE
L'ingiustizia evidente
oltraggiando la terra, offende il cielo,
onde di giusto zelo
s'armano contro lei
non meno de' mortali anco gli dèi.
GIUNONE
Se per zelo del giusto,
che chiede vendicarmi,
arma Pallade sol, giuste son l'armi.
PALLADE
Alla giustizia intendo
di servir ancor'io,
mentre quello, ch'è mio,
a chi, me l'usurpò, toglier pretendo.
GIUNONE
Per propri interessi
armata tu sei?
PALLADE
Astrea son gl'istessi
i dritti, che i miei.
GIUNONE
Il pomo è un tributo,
che venne a Giunone.
PALLADE
E solo dovuto
a me di ragione.
GIUNONE
Io sono regina.
PALLADE
Io Pallade armata.
GIUNONE
Il tutto m'inchina.
PALLADE
Io sono adorata.
GIUNONE
Chi meco contrasta?
PALLADE
Or or lo vedremo.
GIUNONE
Non stimo quell'asta.
PALLADE
Tuo scettro non temo.
GIOVE
Olà figlia, e consorte, olà che sento?
Come tal ardimento
del gran tonante al riverito soglio?
Di sì fiera tenzon
la malnata cagion sopprimer voglio.
Giove fulmina la torre della fortezza, e la fa cadere.
L'erario ecco atterrato
del vostro sì stimato
controverso tesoro;
vanne, o ministra mia,
ritrova il pomo d'oro, e a me si dia.
(l'aquila vola dal cielo tra le rovine della torre)
Quei che vuole in tempo breve
risanar ogni gran male,
pria che rendasi mortale,
la cagion toglier ne deve.
(ritorna l'aquila a Giove col pomo nel rostro)
Così le vostre risse
per tanta, e sì gran lite
emulatrici dèe saran finite.
Insieme
GIUNONE
La lite finirà, se l'aureo pomo
a Giunon si darà,
s'aspetta a me
d'altri certo non è.
PALLADE
La lite finirà, se l'aureo pomo
a Palla si darà,
s'aspetta a me
d'altri certo non è.
PALLADE
Padre...
GIUNONE
Germano, e sposo...
Insieme
GIUNONE
Questi son pregi miei;
fanne veder; che sei giusto, e amoroso.
PALLADE
Questi son pregi miei;
fanne veder; che sei giusto, e pietoso.
PALLADE
Son tua figlia...
GIUNONE
Io sorella...
PALLADE
Del tuo ciel...
GIUNONE
Del tuo letto...
GIUNONE E PALLADE
La delizia più bella.
PALLADE
Mio caro...
GIUNONE
Mio diletto...
PALLADE
Padre...
GIUNONE
Germano, e sposo...
Insieme
GIUNONE
Questi son pregi miei;
fanne veder; che sei giusto, e amoroso.
PALLADE
Questi son pregi miei;
fanne veder; che sei giusto, e pietoso.
Venere sopra il suo carro salisce dalla fortezza al cielo.
Giove, Giunone, Pallade, Venere, coro di Dèi.
VENERE
O cielo ov'è la fede? E la sentenza,
che giustamente diede
un Paride sì retto,
che per arbitro eletto
fu dall'alto tonante,
or ritrattar si deve?
Così dunque di lieve, ed incostante
(ah stravaganze nuove)
condanni il tuo giudizio, o sommo Giove?
GIOVE
Voglio rendervi tutte
soddisfatte egualmente,
vincitrici, e contente.
GIUNONE
E come?
PALLADE
Ed in che modo?
VENERE
Ed in che forma?
GIUNONE, PALLADE E VENERE
No, no, Giove no, no,
questo dar non si può.
GIOVE
Voglio, che si riserbi
il controverso pomo alla maggiore,
e più grande eroina,
che il grand'occhio del sole
sia per veder giammai; consorte, e prole
de' più chiari, e sublimi,
che devan sostenere
di due gran monarchie gli scettri primi;
in questa ammirerai
le tue glorie, o Giunone,
per le tante corone
che l'ingemmato crine, e nel suo spirto
le tue doti divine
o Pallade dal fato
contemplar ti sia dato;
e nella sua bellezza
goderai di vedere
bella madre d'Amore
le tue sembianze vere.
GIUNONE
E in questa uniti
si vedran tanti pregi?
GIOVE
A questa, che sarà d'invitti regi,
di monarchi, e d'augusti
augustissima sposa, e madre, e figlia,
sì saggia, e spiritosa,
e bella a meraviglia
serbando il pomo d'oro, alfine spente
saran tante contese,
e voi tutte contente
d'averne conseguite
le bramate vittorie,
che se le vostre glorie
in lei saranno unite,
può ciascuna di voi
dir, che coi pregi suoi vinse la lite.
GIUNONE, PALLADE E VENERE
E come esser potrà, che mai si veda?
GIUNONE
Tal grandezza?
PALLADE
Tal senno?
VENERE
E tal beltà?
GIOVE
Or tu de' miei decreti
alata esecutrice
conserva l'aureo pomo
a quell'età felice,
in cui per secondar d'augusti, e regi
una stirpe immortale
l'aquila imperiale ai dolci rai
di sì gran eroina arder vedrai;
ch'è sol dovuto a lei
questo premio divino;
s'apran pur del destino
ne' celesti musei gl'occulti arcani,
che d'ammirar son vago
prima dell'avvenir sì bella imago.
Giove ritrattosi a destra, e Giunone a sinistra s'aprono le stanze del fato, che dilatandosi in una gran lontananza vi si vedono l'effige di s. m. c. e dell'imperatrice con numerosa prole ed all'intorno tutte l'immagini degl'imperatori, re, ed altri principi dell'augustissima casa d'Austria.
GIUNONE
E che veggio?
PALLADE
E che miro?
VENERE
E che stupida ammiro?
GIOVE
Ecco là tra l'idee
degl'austriaci regnanti
quella, che deve, o emulatrici dèe,
tutte nelle sue glorie
unire i vostri vanti; oh come godo
vederla in santo nodo
congiunta al gran Leopoldo
per arricchir l'Europa
de' più famosi eroi,
che si pregi la fama
portar dai lidi esperii ai regni eoi,
contemplate, e stupite,
e insieme riverite
la cagione verace,
che unir sola vi può con dolce pace.
GIUNONE
Che maestà?
PALLADE
Che spirto?
VENERE
E che vaghezza?
GIUNONE, PALLADE E VENERE
Magnanima eroina...
Insieme
GIUNONE
Riverente Giunone a te s'inchina,
ed il pomo ti cede.
Che di te non si vede
né giammai si vedrà...
PALLADE
Pallade ossequiosa a te s'inchina,
ed il pomo ti cede.
Che di te non si vede
né giammai si vedrà...
VENERE
E Venere devota a te s'inchina,
ed il pomo ti cede.
Che di te non si vede
né giammai si vedrà...
GIUNONE
Di stirpe, e di grandezza...
VENERE
Di grazia, e di beltà...
PALLADE
Di senno, e di valore...
GIUNONE, PALLADE E VENERE
Meraviglia maggiore.
GIUNONE, PALLADE, VENERE E GIOVE
Non può sott'uman velo...
GIOVE
La più...
Insieme
GIUNONE
Grande...
PALLADE
Saggia...
VENERE
Bella...
GIOVE
Di te formare il cielo.
GIUNONE, PALLADE E VENERE
Onde non si discordi,
ma nelle glorie tue siamo concordi.
GIOVE
Dée ben sperar il mondo
il tranquillo seren d'un secolo d'oro
da quei benigni lumi,
se può l'immagin loro
placar il cielo, e concordare i numi.
GIUNONE, PALLADE E VENERE
Gioiscan dunque a queste nostre paci
de' rai di sì bel sol chiari trofei.
GIUNONE
Gl'aerei spirti miei.
PALLADE
Di Pallade i seguaci.
VENERE
E di quell'acque,
ove Venere nacque,
i più leggiadri mostri.
GIUNONE, PALLADE E VENERE
Così ai giubili nostri
si vedran festeggiare
l'aria, la terra, e 'l mare.
GIOVE
Per sì lieto accidente
come tutte contente
belle dive voi sete,
del secolo felice,
che il destin ne predice,
anche godete.
Ecco tutto svelato
quest'arcano del fato,
di sì lieti imenei
ecco i bramati frutti;
ne festeggino tutti
oggi gli dèi.
UNO DEL CORO
Sì, sì giubiliamo
godiamo,
è ben giusto,
che ognor più vivace
di germi ferace
sia l'albero augusto
su l'Istro regnante,
che Atlante
più degno
esser deve del ciel l'alto sostegno.
PALLADE E VENERE
O bell'età, che da quel sen fecondo
propagata vedrà l'austriaca prole.
GIUNONE
Onde delle sue glorie al più bel sole.
CORO DI DÈI
Si rassereni il ciel, s'illustri il mondo.
Si cangia la scena inferiore in una gran piazza di ricchi e superbi edifici col mare nel prospetto. Seguendo nel medesimo tempo tre balli differenti:
di Spiritelli in aria
di Cavalieri in terra
di Sirene e Tritoni in mare.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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