Atto terzo

 

Scena prima

Sparita la riviera si finge la scena una parte delle mura di dentro della città, loco solitario, e inabitato.
Erice, Sicle, Melide.

 Q 

Erice, Sicle, Melide

 

ERICE

Quanto esclamasti, quanto  

perché meco arrecai

questi regi ornamenti,

hanno pur da servire a' nostri intenti.

SICLE

Ti fe' provvida il caso.

MELIDE

Che vuoi far di quest'acqua?

ERICE

No 'l sai? Mondarle il volto

che spruzzato le abbia di succhi erbosi

per trasformargli la nativa effigie:

ma non s'indugi, entrate

conforme il concertato in questa cava

il timor discacciate,

togli cotesti addobbi, entrate, entrate.

MELIDE

Non è privo di luce

quest'antro. Sicle, entriamo.

SICLE

Rimanesse il mio duolo

qui sotterrato almeno.

ERICE

Per te sorgerà ancora un dì sereno.

Melide, Sicle ->

 

Scena seconda

Erice.

 

 

Vo per accreditare  

i miei mentiti incanti

tutto il suolo di circoli segnare.

Poveri quegli amanti

ch'appunto come Amida

per far le donne lor divenir pie

corrono per suffragio alle magie;

e credono ostinati,

ch'una figura, fatta

di vergin cera, e ch'abbia

d'aghi pungenti trapassato il core,

arrostita pian piano a foco lento,

correr gli faccia in sen precipitose

le vaghe drude, al lor desio ritrose.

Negli animi reali

non può destar amore altri ch'amore,

ma ne' cori volgari

nasce dall'oro amor, cresce con l'oro,

e l'oro impetra quanto vuol da loro.

 

Invan spendete l'ore    

narcisi innamorati,

per roder guanti mai sarete amati,

s'oro voi non avete

non entrerete no, non entrerete.

Non è, non è più il tempo,

che chioma profumata

possa allacciar co' fili suoi l'amata,

l'amore ora si vende,

né più moneta di sospir si spende.

Han persa la virtude

i versi, i suoni, i canti,

godono solo i donatori amanti.

Nova legge è d'Amore

entri chi dona, e chi non dà stia fuore.

S

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Scena terza

Amida, Erice.

<- Amida

 

AMIDA

È questo s'io non erro  

il loco stabilito, ecco la maga.

ERICE

Opportuno qui giungi,

quanto chiede l'incanto io preparai,

di possenti caratteri il terreno,

e di figure sferiche vergai,

in guardia diedi a cento spirti, a cento

questi solinghi orrori,

e la terra spruzzai di stigi umori.

AMIDA

Sollecitasti l'opra, io non credea

pur qui trovarti.

ERICE

Il tuo desio m'è sprone.

AMIDA

Dimmi, di questi offici esser degg'io

teco rappresentante, o spettatore?

ERICE

Nel centro di quell'orbe,

formato in tua difesa

posar il piè convienti, a' miei scongiuri

da ingannevole amante alma tradita

dell'orco qui verrà da regni oscuri,

io facendo partita

ti lascerò solo con l'ombra, a lei

narrerai le tue pene,

e porgerai preghiere,

acciò ti faccia la tua bella avere.

AMIDA

Perché privarmi vuoi

dell'assistenza tua?

ERICE

Perché sì lice,

ella non comparisce, ove si trova,

chi fiammelle amorose in sen non cova.

AMIDA

E come potrà mai

spirto sconsolato

ch'ebbe nemico amore

farmi in amor beato?

ERICE

Non più, vedrai l'effetto, or quando siamo

per specular gl'arcani

degl'abissi tremendi.

Entra nel cerchio, e taciturno attendi.

Del dannato Cocito

tenebroso monarca, Ecate nera,

le mie parole udite;

dell'ingannata, e innamorata schiera

per breve tempo un'alma chieggio a Dite.

Di negarli l'uscita alcun de' vostri

temerario non sia,

se non farò, che della lingua mia

provi gl'empi flagelli entro quei chiostri.

O anima infelice,

che dal crudo ingannata,

fuggisti disperata

dal bel corpo di Sicle.

AMIDA

Di Sicle?

ERICE

Ohimè che parli

ogni cosa turbasti.

AMIDA

Qual alma invochi?

ERICE

Un'alma,

che di Susio nel regno

albergò regia salma:

ma non giova all'incanto

saper qual fu la misera, a te tocca,

mentre l'appello qui, chiuder la bocca.

O anima infelice,

che dal crudo ingannata,

fuggisti disperata

dal bel corpo di Sicle.

AMIDA

Morì Sicle, morì? Deh narra il come.

ERICE

Importuno tu sei,

s'uccise, poich'intese esser sprezzata

dal suo malvagio amante.

O anima infelice,

che dal crudo ingannata.

AMIDA

Come lo sai?

ERICE

La vidi agonizzante

col ferro conficcato

nel petto delicato:

ma se formi più nota,

sopra inospiti monti,

da numeroso stuolo

de' spirti rei vo' far portarti a volo.

AMIDA

Lasso ch'intesi? Ah Sicle estinta giaci?

ERICE

Che sì, che sì?

AMIDA

Segui pur, segui.

ERICE

Taci:

o anima infelice,

che dal crudo ingannata

fuggisti disperata

dal bel corpo di Sicle,

esci da quei terrori,

e quivi ascendi a ministrare amori.

Vieni, che tardi, vieni,

se provar tu non vuoi

dell'atre cittadine,

delle furie nocenti

le sferze viperine.

Ancor indugi, ancora?

O non temi le pene,

io ti farò. Mi parto, ella se n' viene.

Erice ->

 

Scena quarta

Sicle, Amida.

<- Sicle

 

AMIDA

Che rimiro? O stupore  

sono l'ombre sì belle?

Vien costei dall'inferno, o dalle stelle?

SICLE

Ancor sazio non sei

ingratissimo, Amida

di turbarmi spietato

gl'inquieti riposi?

Ancora gl'odiosi

alberghi della luce

de' carmi a forza rimirar mi fai?

Oh non t'avessi mai

conosciuto, né amato

traditor scellerato.

AMIDA

Questo pianto, che sgorga

da' canali degl'occhi

ti faccia fede alma leggiadra, e bella,

che la quiete tua,

come sdegnosa accenni,

per turbar qui non venni,

nova del tuo morire

Sicle, non ebbi mai,

dalla maga or l'intesi, e per dolore

in lagrime, e sospiri io sparsi il core.

SICLE

Anco l'angue del Nilo

delle sue reità quasi innocente

piange colui, che lacerò col dente:

così, così tradirmi,

così per una adultera lasciarmi?

Ma che? Qui t'attendea per vendicarmi.

Uscite furie, uscite,

e in quel petto incostante

i Chelidri avventate.

Affliggete il fellone, e tormentate.

Ah no, no, non venite

ministre del martoro,

anco tradita il traditore adoro.

AMIDA

O vendetta d'amore,

giusta quanto inudita

per non aver mai pace

son sforzato ad amare ombra fugace.

Da che ti rimirai

alma amorosa, e vaga, a poco a poco

il petto mio si riempì di foco.

Ohimè t'amo, e non spero

di possederti mai,

ti seguirò per il tartareo impero,

ivi di te fatt'io

seguace indivisibile, e consorte,

ritroverò la vita entro la morte.

SICLE

D'ingannar anco tenti

o miseri defunti,

anco eserciti meco i tradimenti?

Spendi le voci invano,

so, che tu fingi, il so, core inumano.

AMIDA

S'a te fosse concesso

di penetrare entro il mio sen col guardo

scorgeresti la fiamma, onde tutt'ardo.

Lasso d'ogni speranza

l'inesorabil baratro mi priva,

ah Sicle mia, perché non sei tu viva.

SICLE

Viva son se tu m'ami,

morta se mi disami.

AMIDA

T'amo spirto caro,

così mi ti rendesse

l'Erebo sordo, avaro.

T'amo spirito caro.

SICLE

Eccoti la tua Sicle amato Amida

nell'amor suo costante,

animata, e spirante.

AMIDA

Ah, se quale rassembri,

e qual d'esser vaneggi ora tu fossi,

la mia felicità sarebbe tale

ch'invidia non avrei dell'immortale.

SICLE

Qual ti rassembro io sono,

io non vaneggio no, son viva, e spiro,

ho nelle vene il sangue, e di Cocito

mai non vidi, o calcai l'orrido lito.

AMIDA

Oh così fosse anima mia gradita.

Deh se m'ami ti prego

non mi privar le notti

della tua bella imago,

ne' miei sonni interrotti,

nelle vigilie mie torbide, e triste

fantasma innamorata a consolarmi

vieni, vieni talora,

se per mirarti tu non vuoi ch'io mora.

SICLE

Non son, non son qual credi

corpo d'aere formato,

non ho d'Arpia le piante,

che t'abbracci consenti,

son palpabile, tocca, ah tu paventi?

AMIDA

Va' in pace ombra vezzosa,

magico carme mai

rimirar non ti sforzi,

o di Cinzia, o di Febo

la faccia luminosa,

va' in pace ombra vezzosa.

SICLE

Qual fatica è la mia

per farmi creder viva: eh lascia omai

pensier sì pertinace,

e s'a quel, ch'odi, e vedi

tu non dai fede, al tatto, al tatto credi.

AMIDA

Qual egro tu deliri egra d'amore,

purtroppo fatta sei

abitatrice della reggia ombrosa.

Va' in pace ombra vezzosa.

SICLE

Io Sicle sono, e non di Sicle l'ombra:

sotto egiziaco manto

per ritrovarti in Anfa venni, io sono

la zingara, ch'espose

in presenza d'Erisbe i tuoi spergiuri,

non seppe mai d'incanti

la finta maga, ell'è la mia nutrice

la vecchiarella Erice.

AMIDA

Dunque corporea sei?

SICLE

Te lo diran gl'abbracciamenti miei.

AMIDA

O mia fida, o mia vita,

o mia bella tradita.

Che non m'uccida il core

la troppa gioia, o mio rinato amore.

 

Scena quinta

Erice, Melide, Amida, Sicle.

<- Erice, Melide

 

ERICE

Così s'abbraccian le fantasme Amida?  

AMIDA

Se invece d'invocar larve maligne

chiami dal cielo gli angeli.

MELIDE

Mai seppi

che tu nella magia fossi sì dotta.

Le sue note, i suoi carmi

t'han pur tolta a singulti, alle querele

con il farti ottenere il tuo crudele.

SICLE

Sì digiuna mi rese

dell'amoroso cibo

la tua fiera incostanza,

che mai non mi satollo

di circondarti con le braccia il collo.

AMIDA

Ed io mentre contemplo il tuo bel viso

parmi vedere aperto il paradiso.

 

SICLE E AMIDA

Saetta amor, saetta  

co' strali del piacere i nostri cori,

rendi eterni gl'ardori,

ch'infiammano il mio ben, la mia diletta.

Saetta amor, saetta.

Sicle, Amida ->

 

ERICE

Non dubitar, ch'in breve  

dall'arco d'una bocca

t'accorgerai come le frecce ei scocca.

 
 

Scena sesta

Arsenale.
Hariadeno, Osman, Custode.

 Q 

Hariadeno, Osman, Custode

 

HARIADENO

Solchi l'onda ogni nave,  

e di concavi bronzi

ogni nave divenga onusta, e grave:

ah pigri, che tardate

gl'abeti al mare, al mar via consegnate.

Su di candide penne

vestite omai l'antenne,

segua, seguasi al volo

la coppia fuggitiva, ed infedele,

via date all'acque i pini, ai pin le vele.

CUSTODE

Signor stuoli di gente in questi offici

dall'altra parte sudano anelanti,

e vinti legni, e vinti

io ti prometto pronti

al veleggiar prima, ch'il dì tramonti.

HARIADENO

O re fra quanti cingono la fronte

d'attortigliate, e riverite bende

il più schernito, ah infida, e calpestato

dal crudo piè del fato:

lungi da te lo scettro

scaglia, squarciati il manto,

e nasconditi al sole,

se tosto tu non fai

d'opra così nefanda

vendetta memoranda.

Ma mentre qui mi lagno

vilipeso, infelice,

fugge la traditrice. Ah pigri, che tardate

gl'abeti al mare, al mar via consegnate.

 

Scena settima

Messo, Hariadeno, Osman, Custode.

<- Messo

 

MESSO

Cessino pure, o sire  

dal faticar le turbe,

non è d'uopo d'abeti,

nove liete ti apporto,

son stati presi Ormindo, Erisbe in porto.

OSMAN

Principe sfortunato.

HARIADENO

Son prigioni i lascivi?

Ch'apporti? E come al lido

rivolsero le prore?

MESSO

Li gettarono i venti

quasi de' torti tuoi vendicatori.

Erano appena fuori

delle fauci del porto

le navi predatrici,

quando turbi improvvisi

l'infestaro nemici:

parte di loro restaro

da quei soffi sommerse

tra le montagne ondose,

parte sdrucite, e degl'arnesi prive

spinte furo alle rive:

cento schiere de' nostri

assalirono allora

d'Ormindo il franto legno,

oh dio, che strage, oh dio

fe' degl'assalitori il cavaliero.

Signor m'inorridisce anco il pensiero:

pur le sue genti estinte,

fu preso alfine, e con Erisbe Ormuce

prigionier te l'adduce.

HARIADENO

O quanto giusti siete

o numi, o voi, che dal superno Olimpo

le colpe de mortai quaggiù scorgete:

vo', che su vostri altari

ardano eterni lumi,

fumino eterni odori.

O del mio disonor vindici dèi

avvelenati siano, Osmano, i rei.

OSMAN

Ormindo ohimè deve morir? Signore?

HARIADENO

Gl'adulteri il veleno or ora uccida.

OSMAN

(A chi mi diè la vita

deggio apportar la morte?

O cieli, o fati, o sorte.)

HARIADENO

Che dimore, che pianti? Il mio sol cenno

ti renderà pentito

d'esser stato sì lento, e così umano.

OSMAN

Vado, vado mio rege.

HARIADENO

Osmano, Osmano.

OSMAN

Signor?

HARIADENO

Grido a chi piange,

e di lagrime il core

le viscere mi allaga

fatta un torrente la sua cupa piaga.

Amor pietà mi chiede,

per Erisbe mi prega,

e la bellezza sua m'addita, e spiega.

Eh, non s'oda il lascivo

motor delle sue colpe,

lo scacci la ragion da me lontano,

eseguisci l'imposto. Osmano, Osmano.

OSMAN

Signor?

HARIADENO

Forse rapita

a forza fu dal traditor predone,

forse non è de' scorni miei cagione.

Eh volontaria elesse

la fuga, il so, che mi lusingo insano,

va' pur, morano. Osmano.

OSMAN

Signor?

HARIADENO

Morano dico.

 

Hariadeno, Custode ->

OSMAN

Povero Ormindo, ah non ti fossi amico.

Osman ->

 

Scena ottava

Messo.

 

Un Argo fu chi fece talpa Amore,  

i tributari suoi

ei partecipi fa

della sua cecità,

egli falso, e mendace

gioie promette, e arreca poi dolore,

un Argo fu chi fece talpa amore.

Potea pur la regina

addoppiar la corona

al marito tremante

nella città con un segreto amante,

poteva errare, ed occultar l'errore.

Un Argo fu, chi fece talpa amore.

Anco il rege dovea

specchiarsi, e rimirare

la canizie, le rughe, il labbro irsuto,

e prudente lasciare

nel letto maritale un sostituto;

ma il lasciarsi acciecare

da un dolce affetto in lui fuor di stagione

li produsse l'infamia, e 'l disonore.

Un Argo fu che fece talpa Amore.

 
 

Scena nona

Ritorna il cortile.
Mirinda.

 Q 

Mirinda

 

 

In grembo al caro amato  

Erisbe solca il mare,

invidio la sua fuga, ed il suo stato.

O quanto dolce è dolce, o quanto

un amante mi disse

amando esser amata,

baciando esser baciata.

Che vaglion le corone

a crin di donna bella

s'all'impotenza è confinata in braccio?

Non appagano amore i lussi loro,

e nulla giova all'egro il letto d'oro.

Era regina Erisbe,

e regina sì grande,

che regie bende tributarie avea,

«eppure» mi dicea,

«Mirinda un'infelice eguale a me

nell'Africa non è,

che mi vale lo scettro,

s'appresso un vecchio impetro infastidita

nell'etade più bella, e più fiorita?»

Ora cred'io pensier cangiato avrà,

del suo foco nel sen per l'acqua va.

 

Scena decima

Osman, Mirinda.

<- Osman

 

OSMAN

Nell'ocean trabocchi  

di sanguigno rossore

macchiato il sol, tutto spirante orrore,

e la notte vicina

vestita di caligini infernali

copra il mondo con l'ali;

portentosi vapori

s'accendano nell'aria; o giorno, o notte

infausti, miserabili, e funesti:

perfido amor sono i tuoi frutti questi.

MIRINDA

Sempre tu ti quereli

d'amor, biasma te stesso

ch'amar vuoi chi ti sprezza,

io non t'amo, ti fuggo, e non ti voglio,

or non comprendi tu la tua stoltezza?

Non possono i sospir mover un scoglio.

Io non t'amo, ti fuggo, e non ti voglio.

OSMAN

Ora non mi lamento

della tua crudeltà cruda Mirinda,

piango l'ore vicine

della morte d'Ormindo.

MIRINDA

Ohimè che narri,

Ormindo dée morire?

OSMAN

Deve morire, e della stessa morte

seco Erisbe morrà, così m'impone

il re, ch'eseguir faccia o giorno, o notte

infausti, miserabili, e funesti:

perfido amor sono i tuoi frutti questi.

MIRINDA

Non dier le vele a' venti

i navigli d'Ormindo?

OSMAN

I venti appunto

li rigettaro al lido inermi, e infranti.

MIRINDA

Ohimè che intesi, ohimè, miseri amanti.

Al lor tragico fine

non v'è rimedio Osman?

OSMAN

È troppo offesa

la maestà real, pure vogl'io

o salvargli, o morir, memore sono

di quanto Ormindo fe' per mia salute,

allor, ch'ei trasse l'alma al fier Corcute.

MIRINDA

D'opra sì generosa

me stessa in premio avrai,

non t'arresti il timore,

può ciò, che vuole un risoluto core.

OSMAN

O promesse, o promesse,

con quai stimoli acuti ora pungete

il mio desio fervente, ed accrescete.

Mi parto o bella, io vado

pien di speme, e d'ardire

o salvargli, o morire.

MIRINDA

Vanne, e i pensieri tuoi

sian dal ciel favoriti,

il modo d'eseguirli egli t'additi.

Osman, Mirinda ->

 

Scena undicesima

Ormindo, Erisbe, coro di Soldati taciti.

<- Ormindo, Erisbe, soldati

 

ORMINDO

Di te, di te mi pesa Erisbe cara,  

mi turbano i tuoi casi, e non i miei

per tua sciagura a tuoi begl'occhi ardei,

e le mie fiamme t'apprestar la bara.

Di te di te mi pesa Erisbe cara.

ERISBE

Di te, di te mi duole Ormindo amato

deploro il tuo destino, e 'l mio non curo,

atri cipressi i mirti miei ti furo,

e l'eccidio il mio ardor ti ha apparato.

Di te, di te mi duole Ormindo amato.

ORMINDO

O tiranni dell'onde, iniqui venti,

bugiardi a par d'Amore, e senza fede,

invidi voi di sì pregiate prede

delle perdite mie foste istrumenti.

O tiranni dell'onde, iniqui venti.

ERISBE

O deità fallace, Amore infido,

più de' venti crudeli assai crudele,

così reggesti tu le nostre vele,

così scorgesti i tuoi devoti al lido?

O deità fallace, Amore infido.

 

ORMINDO

Cada l'ira del re sopra il mio capo,  

la macchia del suo onor lavi il mio sangue

pure, che viva bella mia tu resti

mi saran cari i roghi, e non molesti.

ERISBE

Sola poss'io morir, pur se decreta

il tuo fine, cor mio, legge immortale,

ch'esangue tu rimanga, e ch'io respiri

aure vitali, ah tolga il cielo, ah tolga,

un istesso ambo n'accolga.

ORMINDO

Morir cosa sì bella?

Levi gl'auguri il cielo,

scocchi in me sol la morte il negro telo.

 

Scena dodicesima

Osman, Ormindo, Erisbe, Coro di soldati taciti.

<- Osman

 

OSMAN

Perché da te non mi divide Ormindo  

o l'ocean spumante,

o l'arena di Libia, o l'alto Atlante?

Lugubre messaggero

t'apporto, ahi dir no 'l posso, oh destin fiero.

ORMINDO

Conosco gl'apparati,

tu m'arrechi la morte,

e proferir non l'osi? Osmano, Osmano

così t'è noto a tante prove, a tante

d'Ormindo il cor? Cessa dal pianto, slega,

snoda la lingua, e i tuoi messaggi spiega.

OSMAN

A te questa, che miri

velenosa bevanda,

ed alla bella Erisbe il rege manda.

ORMINDO

Ch'io morir deggia è giusto,

con violente sforzo

all'onor d'Hariadeno insidie tesi,

con le rapine mie troppo l'offesi,

ma che mora costei

non è giustizia no, non è ragione.

La forza mia fu del suo error cagione.

ERISBE

No no non morrai solo,

procuri invan ch'io viva,

fu la fuga elettiva:

io ti seguii, la colpa è mia, si deve

a me questo velen.

ORMINDO

Oh dio, che fai?

OSMAN

Come intrepida il beve?

ERISBE

Vo' pria di te morire

per non vederti anima mia languire.

ORMINDO

Ah timido, che tardo?

Porgetemi quel tosco,

ci chiuda le palpebre

un istesso occidente

in un medesmo punto,

voli altrove al tuo spirto il mio congiunto.

Quanto questo veleno

è dissimil da quello,

ch'io co' occhi libai già dal tuo bello,

l'uno di vita riempirmi il seno,

l'altro deve in poche ore

uccidermi la vita in grembo al core.

OSMAN

Con quai forti legami

amor l'anime unisce.

 

ERISBE

Ah questo è l'imeneo,

che ci promise d'Amatunta il dio?

Son queste le sue faci,

ch'arder doveano intorno a nostri letti?

Per infiammarci maggiormente i petti?

O di superbo, e dispietato nume,

traditrice natura, empio costume.

ORMINDO

Non ti doler d'amore

non l'oltraggiar mio core,

querelati del cielo

contro di noi d'ostilità ripieno,

ei fe' l'aere sereno,

per negarci il fuggir, divenir fosco,

egli crudel ci preparò quel tosco.

Non ti doler d'amore,

non l'oltraggiar mio core:

sua mercede godrem gioia infinita

ne' felici giardini,

di veraci riposi unici nidi,

spiriti uniti eternamente, e fidi.

 

ERISBE

Sì, sì, che questa notte

in virtude d'amor alle nostre alme

aprirà un dì lucente

perpetuo, e permanente:

l'ombra, ch'or vela il mondo,

se terrore produce

a noi partorirà stato giocondo

contro il costume suo madre di luce.

Ma temo ohimè ben mio

che nel varcar di Lete,

non spegna in te l'ardor l'acqua d'oblio.

ORMINDO

Così vano timore

da te scaccia mia speme,

tutto l'ondoso umore

di quel profondo, e smemorato fiume

non potrà mai smorzare

una favilla sola

della fiamma, che arde, e mi consola.

OSMAN

Tenero affetto a lagrimar m'induce.

ERISBE

Ormindo?

ORMINDO

Erisbe?

ERISBE

Io sento

di mortifero sonno

gravidi gl'occhi.

ORMINDO

Opprime

a poco a poco ancor i miei la morte.

 

ERISBE E ORMINDO

Rallegramci, che corte  

le vigilie faranno

del nostro crudo, e tormentoso affanno.

 

ORMINDO

Prendi Osman questa carta  

al re tu la darai, ch'al re l'invia

la genitrice mia,

poco pria, ch'io spiegassi

le vele agli euri infidi

me l'arrecò quel messaggero istesso,

che venne ad appellarmi alla difesa

del mio regno cadente, e quasi oppresso.

OSMAN

Farò quanto m'imponi.

ERISBE

Ohimè gelida mano

le palpebre mi serra,

sugl'omeri mi cade

languido il capo, io vado.

ORMINDO

Erisbe aspetta,

io vegno, di già prende

lo mio spirito amante

le licenze dal corpo agonizzante.

ERISBE

Io moro, della parca

l'acciaro trattener più non poss'io,

negl'elisi t'attendo, Ormindo addio.

ORMINDO

Ahi spirò la mia vita,

eclissato è il mio sole,

sol di bellezza vera,

in cui menda non era.

Piangete amori Venere, ch'è morta,

e per formarle l'odorata pira

spennacchiatevi l'ali,

spezzate gl'archi, accumulate i strali.

 

Ti seguo anima mia,    

non consente, che viva

più la mia salma, fatta

nelle fierezze sue la morte pia.

Ti seguo anima mia.

S

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OSMAN

Spettacolo pietoso,  

bastante a intenerire

l'istesse tigri armene,

e le rigide selci ad ammollire.

Ben a ragione piangete

valorosi soldati,

giace estinto dell'armi il pregio, e il vanto:

Ormindo è morto, ah raddoppiate il pianto.

 

Scena tredicesima

Hariadeno, Osman, Erisbe, Ormindo, Coro di soldati taciti.

<- Hariadeno

 

HARIADENO

Son morti questi adulteri?  

OSMAN

Pur ora

intrepidi spiraro.

HARIADENO

Io son umano alfine,

e non trassi il natal da balze alpine.

Per calpestar qui venni

i cadaveri impuri

tutto sdegno, e rigore, e appena giunto

a sì tragico oggetto

la pietade m'accese il freddo petto:

scorgo esangue colui,

che il regno mi salvò, co 'l suo valore,

miro estinto il mio amore.

Io son umano alfine,

e non trassi il natal da balze alpine.

OSMAN

Pria che morisse Ormindo,

questa carta mi porse,

e m'impose signor, ch'a te la dessi.

Te la manda Cedige.

HARIADENO

Aprila, e leggi.

O Cedige, Cedige

qual dolor sarà il tuo, quando saprai

del tuo figlio la morte, ingiustamente

Hariadeno ingrato appellerai.

OSMAN

«Di tue vittorie io godo;

se come scrivi Ormindo

ti trasse di periglio

salvò la prole il padre, egli è tuo figlio.»

HARIADENO

Salvò la prole?

OSMAN

...«il padre egli è tuo figlio.»

HARIADENO

Ohimè.

OSMAN

Che leggo?

HARIADENO

Ohimè ch'intendo, segui.

OSMAN

«Rammentare ti déi, quando approdasti

di Tunisi alle rive

cavalier giovanetto,

e che di mia sorella,

di Nearbe la bella arse il tuo petto,

ne' vostri occulti amori, in cui le desti

la fede maritale

fu generato Ormindo.»

HARIADENO

O figlio, o dèi.

OSMAN

«Ei nacque appunto allora,

ch'io partorito avea,

e in un punto morio

l'infelice nel parto, e il parto mio.

Io per regi interessi

del nato infante mio celai la morte,

e 'l tuo bambin vezzoso

mentii d'aver prodotto al re mio sposo.

Così nell'arti regie

Ormindo crebbe, e te lo rendo or tale,

qual lo vedesti entro il furor navale.»

HARIADENO

Acerba conoscenza,

doloroso conforto,

notizia intempestiva, e tardo avviso,

ritrovo il figlio dopo averlo ucciso.

O nell'età cadente

miserabile re

versò sopra di te Pandora il vaso:

o figlio, figlio, o lagrimevol caso.

OSMAN

Provvidenza divina ogni tuo arcano,

come come è profondo,

con quai deboli mezzi opri nel mondo.

HARIADENO

Perché di te contezza

Ormindo mio non ebbi?

Spente l'accese voglie

t'avrei cessa la moglie,

e con la moglie il diadema, e 'l regno:

o figlio, o caro figlio illustre, e degno.

 

OSMAN

Non s'indugi a scoprir l'inganno ignoto,  

per consolar l'afflitto.

Sire, se trasgredii gl'ordini tuoi,

per ricever la pena eccomi pronto:

obbligato ad Ormindo,

d'avvelenarlo con Erisbe invece,

sonnifero li porsi,

con pensiero di trarli

dal sepolcro, e serbarli

a fortuna migliore:

non sono estinti, dormono signore.

HARIADENO

O nelle vite loro

ravvivato Hariadeno,

o ministro fatale

de' decreti del cielo, è la tua frode

degna di premio immenso, ed alta lode.

Fortunata vecchiezza,

ch'avrà sì forte appoggio.

Ne' loro sentimenti

ritornino i dormienti.

OSMAN

Il preparato umore,

che meco adduco, or ora

discaccerà dalle lor tempie il sonno.

HARIADENO

Avventurosa notte,

tra le cui nebbie oscure

il mio figlio ritrovo, e riconosco,

misero me se l'uccideva il tosco.

Negligente Cedige

di quanto mal, di quanto

è stato quasi fabbro il tuo tacere.

Né bramaro il mio duol l'eccelse sfere.

 

OSMAN

Cominciano a svegliarsi.  

ORMINDO

Erisbe, Erisbe.

ERISBE

Ormindo, Ormindo.

ORMINDO

Eccoci pure uniti.

Ma dove siam, che miro?

ERISBE

Mi par questa la scena

della nostra tragedia.

ORMINDO

È d'essa.

HARIADENO

È d'essa.

E tu sei d'Hariadeno unico figlio:

abbraccia il genitore,

ti salvaro gli dèi

per consolar gl'estremi giorni miei.

ORMINDO

Son queste illusioni?

Non morii?

OSMAN

No, sonnifero vi porsi

contro gl'ordini avuti,

per trarvi dagl'avelli...

ORMINDO

Con quai note di figlio, o re m'appelli?

HARIADENO

Leggi quel foglio, leggi.

OSMAN

È quel, ch'a me tu desti.

HARIADENO

Regina, i tuoi trascorsi

furono gravi invero,

pur non vogl'io, che la memoria mia

serbi sì indegni eccessi, ella gl'oblia.

ERISBE

Fur sempre generose

l'opre tue, la cui fama

per l'universo si diffonde, e spande,

e ti dichiara eroe famoso, e grande.

OSMAN

Come stupido legge

i caratteri noti?

ERISBE

Deh, dalla mente mia

sgombra la meraviglia,

dimmi, Ormindo è tuo figlio? E come, e quando

lo generasti?

HARIADENO

Giovane guerriero

in Tunisi approdai,

e l'ebbi da Nearbe

sorella di Cedige.

ORMINDO

Oh ritrovato padre

ne' miei novi natali,

o genitore offeso

dalla perfidia mia,

perdona alle mie colpe

in te destando i spiriti clementi,

mi suggerì Cupido i tradimenti.

HARIADENO

Non si parli d'offese,

so la forza d'amore:

questa, che del tuo core

posseditrice è fatta

resti pur teco avvinta,

con un nodo più forte,

sia tua regia consorte.

E perché gl'anni miei

m'invitano alla quiete, io ti consegno,

e ti rinunzio con la moglie il regno.

ORMINDO

L'essere che a me desti ora raddoppi,

ora che meco Erisbe unisci, accoppi,

ma della mano imbelle

non è lo scettro grave

proporzionato pondo,

sulle spalle d'Atlante, è più sicuro,

che su quelle d'Alcide il vasto mondo.

HARIADENO

È d'imperio maggiore

la tua virtù capace,

al seggio d'oro accrescerai splendore.

Hariadeno ->

 

Scena ultima

Amida, Erisbe, Sicle, Ormindo, Nerillo, Mirinda, Osmano, Erice, Melide, Coro di soldati taciti.

<- Amida, Sicle, Nerillo, Mirinda, Erice, Melide

 

AMIDA

I graditi ragguagli  

di sì lieti successi

quivi ci han tratti avventurati amanti.

Riconosci regina

quest'egizia presaga? Ella lasciato

di Susio il patrio regno,

qui di beltà con l'armi

venne, suo contumace, a debellarmi.

ERISBE

Principessa gentile, i nostri amori

corsero a loro desiati fini

per strade ignote, e precipizi alpini.

SICLE

Da' nostri avvenimenti

scorga l'ingegno umano,

quanto puote in un petto

tenero, e molle l'amoroso affetto.

ORMINDO

Non avrà già ne' nostri petti Amida

la gelosia più albergo. Amico Osmano

nelle grandezze sue

sarà memore Ormindo,

com'è per te rinato,

come per te possede

il suo bene adorato.

OSMAN

Premio dell'opra sia sol l'opra istessa.

MIRINDA

Riverita regina,

io promisi ad Osmano

il mio imeneo, se della morte rea

dalle fauci voraci ei vi traea,

or che per opra sua salvi vi veggio,

per marito lo chieggio.

ERISBE

Per marito l'avrai.

OSMAN

Felice Osmano.

ERISBE

Ed avrà la tua fede

Mirinda, ampia mercede.

MIRINDA

Consenti, che la destra

riverente ti baci a tai favori.

OSMAN

Saran pur terminati i miei dolori.

 

SICLE E AMIDA

Volate, fuggite,  

dal seno martiri,

cessate, svanite,

dogliosi sospiri.

ERISBE E ORMINDO

Un talamo, ed un letto

ne sarà pur comune,

amoroso diletto

i residui del duolo

scaccia da' nostri cori, e regna solo.

SICLE E AMIDA

Amor, che n'avvinse

ci pasce, e ricrea,

il nodo ei ne strinse,

e l'alme ci bea.

ERISBE E ORMINDO

D'amor non si quereli

quel cor, che vive in pene,

egli usa a' suoi fedeli

arrecar pria tormenti

per render poi più dolci i lor contenti.

 

Fine (Atto terzo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Parte delle mura di dentro della città, loco solitario, e inabitato.

Erice, Sicle, Melide
 

Quanto esclamasti, quanto

Erice
Melide, Sicle ->

Vo per accreditare

Erice
<- Amida

È questo s'io non erro

Amida
Erice ->
Amida
<- Sicle

Che rimiro? O stupore

Amida, Sicle
<- Erice, Melide

Così s'abbraccian le fantasme Amida?

Sicle e Amida
Saetta amor, saetta
Erice, Melide
Sicle, Amida ->

Non dubitar, ch'in breve

Arsenale.

Hariadeno, Osman, Custode
 

Solchi l'onda ogni nave

Hariadeno, Osman, Custode
<- Messo

Cessino pure, o sire

Osman, Messo
Hariadeno, Custode ->
Messo
Osman ->

Cortile.

Mirinda
 

In grembo al caro amato

Mirinda
<- Osman

Nell'ocean trabocchi

Osman, Mirinda ->
<- Ormindo, Erisbe, soldati

Cada l'ira del re sopra il mio capo

Ormindo, Erisbe, soldati
<- Osman

Perché da te non mi divide Ormindo

Erisbe e Ormindo
Rallegramci, che corte

Prendi Osman questa carta

(Erisbe e Ormindo sono avvelenati)

Spettacolo pietoso

Ormindo, Erisbe, soldati, Osman
<- Hariadeno

Son morti questi adulteri? / Pur ora

(Osman rivela a Hariadeno che il veleno per Erisbe e Ormindo è un sonnifero)

Non s'indugi a scoprir l'inganno ignoto

(Ormindo e Erisbe si destano)

Cominciano a svegliarsi / Erisbe, Erisbe

Ormindo, Erisbe, soldati, Osman
Hariadeno ->
Ormindo, Erisbe, soldati, Osman
<- Amida, Sicle, Nerillo, Mirinda, Erice, Melide

I graditi ragguagli

Sicle e Amida, Erisbe e Ormindo
Volate, fuggite
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena ultima
Piazza di San Marco, della città di Venezia. Città d'Ansa. Giardino regio. Atrio reale Dilettevole riviera dell'oceano, situata fuori delle mura d'Ansa. Parte delle mura di dentro della città, loco solitario, e inabitato. Arsenale. Cortile.
Prologo Atto primo Atto secondo

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